► Professor Ferrajoli, dal principio politico dell’uguaglianza derivano tutti i diritti umani fondamentali, come quelli alla salute e all’ istruzione. Come può, la scuola, declinare questo principio? L’uguaglianza è l’ “égalité en droits” proclamata dal primo articolo della Dichiarazione francese dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789.
Precisamente, è l’uguaglianza nei diritti fondamentali, che diversamente dai diritti patrimonial i come per esempio la proprietà privata, sono diritti universali, cioè attribuiti ugualmente a tutti. Per “scuola”, ovviamente, deve intendersi il diritto all’istruzione, la cui attribuzione a tutti è stabilita dall’articolo 34, comma 1, della nostra Costituzione che afferma che “la scuola è aperta a tu tti”.
Questo diritto è precisato nel secondo comma del medesimo articolo, secondo cui “l’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita”, e dai due commi successivi sulle “borse di studio” e gli altri benefici cui hanno diritto i “capaci e meritevoli ” onde sia loro possibile “raggiungere i gradi più alti degli studi”.
- Dunque, quanto alla scuola, l’uguaglianza è in due diritti, tra loro ovviamente connessi: nel diritto di tutti all’istruzione gratuita per almeno otto anni e nel diritto di tutti i capaci e i meritevoli di proseguire negli studi fino ai gradi più alti.
- Nel suo testo, lei cita alcune leggi orientate al principio dell’uguaglianza (per es.
l’ intervento dei genitori nella scuola con i Decreti delegati e la liberalizzazione degli accessi universitari). Eppure oggi, la presenza dei genitori si rivela molto dannosa e la liberalizzazione ha prodotto non pochi insuccessi. La presenza dei genitori negli organismi scolastici fu certamente un fattore di democratizzazione della scuola.
- La tesi che essa si è rivelata “molto dannosa”, oltre che opinabile, prova troppo.
- Sarebbe come dire che il suffragio universale è dannoso perché non ci piacciono, come a me e a tanti altri non piacciono, gli attuali governanti e la maggioranza degli elettori che li ha eletti.
- Del resto anche i genitori, non meno della scuola, hanno “dovere e diritto”, come dice il primo comma dell’art.30 della Costituzione, non solo di “mantenere”, ma anche di “istruire ed educare i figli”.
Ed è chiaro che le due forme di educazione e di istruzione – quella della scuola e quella della famiglia – non possono ignorarsi, ma devono integrarsi e coadiuvarsi. Detto questo, non ho difficoltà a riconoscere che il ruolo dei genitori non si è rivelato all’altezza delle aspettative che furono all’origine della sua previsione legislativa ; che si è sviluppato, in molti casi, un antagonismo tra genitori e docenti all’insegna, assai spesso, della difesa insensata degli alunni da parte dei primi contro le oggettive valutazioni dei secondi; che i gen nella gran parte dei casi, non attribuiscono un sufficiente valore alla cultura e alla formazione civile e intellettuale dei loro figli e sembrano interessati soprattutto alle loro promozioni.
- Ma questo è uno dei tanti segni della generale degradazione dello spirito pubblico e del senso civico che sta avvelenando la nostra democrazia e che certamente non può essere risolta con una riduzione degli spazi democratici.
- Nella scuola, oggi sembra prevalere la prosopopea relativa all’uguaglianza formale (tutti bravi, tutti promossi, tutti competenti, tutti con il diritto al successo formativo.).
Cosa ne pensa? Penso che si tratti di un fallimento della scuola. Ma penso anche che tale fallimento non abbia nulla a che vedere con l’ “uguaglianza formale”. L’uguaglianza consiste nell’uguale diritto di tutti all’accesso alla scuola, e non certo nel diritto alla loro uguale valutazione; tanto è vero che lo stesso articolo 34 della Costituzione distingue i capaci e i meritevoli dagli incapaci e dai non meritevoli.
L’idea di cui lei parla del “tutti bravi, tutti promossi, tutti competenti” è del tutto estranea al diritto all’istruzione e al principio di uguaglianza, dei quali rappresenta anzi la negazione, ► Non vi sono dubbi che la “meritocrazia” sia un principio liberista che giustifica le differenze. Ma, può essere applicato anche alla cultura e allo studio? E’ pensabile che la scuola, in virtù di un principio di uguaglianza, escluda il merito dal proprio orizzonte? Come ho già detto nella mia precedente risposta, la valutazione di merito degli studenti e perciò i loro differenti e meritati successi o insuccessi sono imposti dalla nostra stessa costituzione.
► La scuola è un organo istituzionale, il cui scopo risiede nel principio repubblicano di migliorare la struttura della res publica, attraverso la trasmissione della cultura. Come si potrebbe, senza tradire il principio dell’ uguaglianza, restituire alla scuola il compito di formare classi dirigenti avvedute e orientate all’ interesse generale? Mi pare che stiamo girando intorno alla stessa questione.
Il principio di uguaglianza non soltanto non preclude, ma impone alla scuola, come lei dice, “il compito di formare classi dirigenti avvedute e orientate all’interesse generale”, in accordo con il “principio repubblicano di migliorare la struttura della res publica”. _ Luigi Ferrajoli è giurista, ex magistrato e professore emerito di Filosofia del diritto all’università di Roma Tre.
Ha ricevuto dottorati honoris causa in Argentina, Brasile, Cile, Colombia, Ecuador, Messico, Perù, Spagna e Uruguay. È autore di numerose opere – più di 30 libri, di cui molti tradotti in diverse lingue – che hanno contribuito a stimolare un dibattito accademico su temi di rilevanza interdisciplinare.
Questi, oltre al saggio recensito in questo numero, i suoi testi più recenti: Dei diritti e delle garanzie. Conversazione con Mauro Barberis (il Mulino, Bologna 2013); La democrazia attraverso i diritti (Laterza, Roma-Bari 2013); Il paradigma garantista. Filosofia e critica del diritto penale (Editoriale Scientifica, Napoli 2014, II ed.2016); Iura paria.
I fondamenti della democrazia costituzionale (Editoriale Scientifica, Napoli 2015); La logica del diritto. Dieci aporie nell’opera di Hans Kelsen (Laterza, Roma-Bari 2016); con Juan Ruiz Manero, Due modelli di costituzionalismo (Editoriale Scientifica, Napoli 2016); Costituzionalismo oltre lo Stato (Mucchi, Modena 2017), Contro il creazionismo giudiziario (Mucchi, Modena 2018).
Come si realizza l’inclusione nella scuola?
Come? – Attraverso l’ accoglienza e l’ascolto degli alunni con bisogni educativi speciali al fine di favorire la loro crescita in un clima relazionale sereno, capace di valorizzare le loro potenzialità attraverso la conoscenza e lo studio di metodologie didattico-pedagogiche efficaci.
Perché è importante l’inclusione a scuola?
Scopo dell’inclusione – La motivazione primordiale dell’inclusione non è quella di raggiungere un benessere sociale e personale degli alunni fine a sé stessa. Sarebbe un errore pensare in modo tanto miope. L’obiettivo dell’inclusione è raggiungere un significativo miglioramento dell’educazione e dell’apprendimento degli alunni,
- L’importante è che tutti gli alunni sviluppino al massimo il loro potenziale e possano crescere senza ostacoli.
- Affinché sia possibile, è indispensabile che godano di benessere sociale,
- Una persona con un problema di salute avrà meno risorse e questo rappresenterà per lei un grande ostacolo all’apprendimento.
Finora gli strumenti educativi dell’integrazione sono stati insufficienti sotto questo punto di vista. Un esempio in questo senso sono le classi di “” creati dall’integrazione. Queste classi fornivano un’istruzione specializzata agli studenti che non riuscivano a tenere il ritmo del resto della classe.
Tuttavia, alla fine sono diventate un meccanismo di esclusione più che di sostegno. Catalogando alcuni alunni come al di fuori della “normalità”, con tutta le ripercussioni sul proprio benessere sociale. Un altro aspetto essenziale è che se vogliamo educare all’uguaglianza, alla cooperazione e alla non discriminazione, bisogna dare il buon esempio,
Non possiamo educare a questi valori a meno che la scuola non si basi su un modello inclusivo alla base del quale vi siano i suddetti valori.
Quali sono le 3 C della scuola inclusiva?
Si tratta de: il Gruppo di Lavoro Inclusione; il Collegio dei Docenti.
Quali sono i principi chiave della scuola inclusiva?
L’inclusione scolastica, chiave del successo formativo per tutti. In questo interessante articolo di tratto da viene affrontato il tema dell’ inclusione scolastica, chiave del successo formativo per tutti. L’odierna multiformità, con la quale le problematiche della diversità si manifestano nelle classi, impone alla scuola un cambiamento: il superamento di modelli didattici e organizzativi uniformi e lineari, destinati ad un alunno medio astratto, in favore di approcci flessibili adeguati ai bisogni formativi speciali dei singoli alunni.
- La Qualità della scuola si misura sulla sua capacità di sviluppare processi inclusivi di apprendimento, offrendo risposte adeguate ed efficaci a tutti e a ciascuno.
- Attraverso l’analisi dell’esperienza in atto nella scuola Oliver Twist di Como, l’articolo evidenzia quali siano gli elementi distintivi di buone prassi inclusive che, muovendo dall’integrazione dei ragazzi disabili, portano al raggiungimento del successo formativo di tutti.
Il riconoscimento della diversità come valore e delle differenze come risorsa, lancia una sfida al tradizionale ruolo del docente specializzato per il sostegno, che in questa realtà scolastica evolve nell’innovativa figura di co-docente, ampliando l’orizzonte inclusivo a un contesto competente di sostegno.
Premessa L’inclusione delle differenze è il tema di vita scolastica che, ancora oggi, movimenta di più il mondo degli insegnanti. La conformazione che le classi presentano rispecchia la complessità sociale odierna e, rispetto al passato, risulta certamente più articolata e pluralistica. Nelle classi la presenza di alunni con disabilità certificata è una realtà variegata, inoltre, accanto a questi, sono presenti anche allievi con Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA), con situazioni psicosociali e/o familiari problematiche, ragazzi con comportamenti complessi da gestire, o figli di stranieri.
Eppure, sembra quasi che, in questo scenario di difficoltà, l’inclusione sia l’unico catalizzatore di sforzi di cambiamento, di tentativi per rendere più significativa la didattica, il lavoro scolastico, l’emozione della relazione e dell’apprendimento.
- La diversità, ancora oggi, è il fulcro di un movimento evolutivo di qualità, certo difficoltoso, problematico, sofferto, ma reale.
- La continua e incessante ricerca di qualità dell’inclusione è, in realtà la ricerca di una qualità del fare scuola quotidiano per tutti gli alunni.
- L’alunno “diverso” interroga ogni giorno e ogni giorno chiede qualità.
Nella ricerca, oggetto di questo articolo, si presenta l’esperienza della scuola Oliver Twist come possibile modello di buone prassi inclusive e di come, proprio le differenze degli alunni si siano trasformate in risorsa e stiano sviluppando, via via, processi di cambiamento e di innovazione metodologico/didattiche e strutturali di qualità e di successo formativo per tutti.
Litterature Review L’inclusione scolastica: percorso normativo La storia dell’inclusione scolastica non può essere disgiunta dalla scuola italiana. È stato un percorso lungo partito dalla segregazione degli alunni disabili affidati inizialmente a Enti religiosi privati (Legge Casati 1859). La Costituzione della Repubblica italiana, nel 1947 all’art.3 ” Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali ” disegna un’eguaglianza formale, accompagnata da una eguaglianza sostanziale, che prevede il diritto ad una dignità della “persona”, che deve essere messa in grado di esplicare pienamente le proprie attitudini personali.
Nel secondo comma il Costituente pone l’accento sul fatto che non basta l’enunciazione di principio, ma occorre garantire a tutti le medesime opportunità ( rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona). All’art.34 ( la scuola è aperta a tutti) ha introdotto i principi di uguaglianza di opportunità educative per tutti, ma per lungo tempo questo ha significato, soltanto, percorsi scolastici separati, scuole speciali e classi differenziali (C.M.
’53) che sanciscono il periodo storico della segregazione. Negli anni ’70, caratterizzati dalla contestazione, si mette sotto accusa la scelta di corsi separati e anche la scuola muove i primi passi verso un’apertura progressiva all’accoglienza. Nel 1975 il documento della commissione presieduto dalla senatrice Falcucci enuncia i principi basilari di quella che ora chiamiamo scuola inclusiva : la collegialità, il protagonismo della famiglia, la gestione integrata dei servizi, la formazione degli insegnanti.
Si afferma che non basta accogliere l’alunno, occorre integrarlo, farlo diventare protagonista. La legge 517 del 4 agosto 1977 rappresenta una pietra miliare nella storia della scuola italiana, vengono abolite le scuole speciali e determinata l’integrazione nelle classi comuni degli alunni disabili.
- Nel 1987 la frequenza scolastica dei disabili nella scuola comune viene estesa anche alla scuola secondaria di secondo grado.
- Ma è con la legge 5 giugno 1992 n.104 “Legge Quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate”, che si elevano a rango di norma i principi della collegialità e della interistituzionalità.
La “cura educativa” nei confronti dell’alunno disabile si esplica in un percorso formativo individualizzato, al quale partecipano più soggetti istituzionali, privilegiando l’aspetto del potenziamento dell’apprendimento e dell’autonomia, ben oltre la semplice “istruzione”.
- La legge 104/92 rappresenta un punto di sintesi di importanza rilevante nel mondo della scuola e dell’inclusione, momento di consolidamento e di stimolo.
- È con il Regolamento dell’Autonomia scolastica, D.P.R.275/99 che viene sancito il diritto per tutti al successo formativo, la Legge di Riforma n.53/03 si spinge ancora oltre, sottolineando il diritto di tutti gli alunni alla personalizzazione dei percorsi di apprendimento.
Le Linee Guida per l’integrazione degli alunni con disabilità del 2009 sono il documento, che presenta la decisione italiana dell’inclusione scolastica come un processo irreversibile, conseguente alla scelta “coraggiosa” che ha aperto le classi “normali” affinché diventassero per tutti effettivamente “comuni”.
Uno dei punti più rilevanti, in campo normativo, è senz’altro individuabile nella Convenzone ONU per i diritti delle persone con disabilità, ratificata dal Parlamento italiano con la Legge 18/2009, che impegna tutti gli stati firmatari a provvedere a forme di integrazione scolastica nelle classi comuni, condizione che è, appunto, la specificità italiana.
Si presenta inoltre l’orientamento attuale nella concezione della disabilità, legato ad un ” modello sociale”, che interpreta la condizione del soggetto disabile come il prodotto fra il livello di funzionamento della persona e il contesto sociale di vita, così come definito dall’ICF ( International Classification of Functioning).
Il modello ICF propone una classificazione di tipo bio-psico-sociale, di tipo funzionale piuttosto che meramente clinico. Dunque, la scelta italiana rispetto all’inclusione della disabilità nella scuola comune ha aperto la strada a tutte le altre forme di inclusione. Nel luglio 2011, allegate al D.M.n.5669, applicativo della Legge 170/2010, vengono pubblicate le Linee guida per il diritto allo studio degli alunni e studenti con Disturbo Specifico di Apprendimento (DSA).
Il documento è ricchissimo di indicazioni metodologiche e didattiche, al fine di assicurare un efficace intervento nei confronti degli alunni con dislessia, disgrafia, disortografia, discalculia, nelle varie fasi evolutive. Val la pena sottolineare che il rinnovamento metodologico auspicato per incontrare i bisogni “speciali” degli alunni con DSA si applica con successo a tutti gli alunni della classe.
- L’area dello svantaggio comprende situazioni in cui sono presenti disturbi specifici di apprendimento, disturbi evolutivi specifici, disturbi dell’attenzione e iperattività, difficoltà causate da appartenenze culturali e linguistiche diverse
- Questo complesso panorama interessa tutte le scuole, ed individua quelle che si potrebbero definire in generale come condizioni di svantaggio scolastico, o Bisogni Educativi Speciali ( Special Educational Needs secondo la definizione in uso in ambito internazionale).
- La Direttiva MIUR del 27 dicembre 2012 interviene in maniera decisa nella direzione del richiamo alla forte responsabilità della scuola nei confronti della “cura educativa” verso gli alunni che si trovano, temporaneamente o permanentemente, in questa condizione, indicando una serie di stringenti misure di intervento, al fine di assicurare percorsi di formazione adeguati ed efficaci per promuovere il successo formativo di ciascuno.
- La Direttiva presenta alcune criticità che sono state in gran parte affrontate dalle circolari e note applicative che hanno seguito l’emanazione della Direttiva:
- CM attuativa 6 marzo 2013, n.8;
- Nota 27 giugno 2013, n.1551;
- Nota 22 novembre 2013, n.2563;
- “Strumenti di intervento per alunni con BES, a.s.2013/2014_ chiarimenti”.
L’iter normativo presentato mostra come la scuola italiana si proponga di essere una scuola inclusiva, dove cioè il Diritto all’istruzione è inteso come diritto che deve essere riconosciuto a tutti, che si fonda su valenze di tipo pedagogico e sociale che prevedono anche un approccio che può e deve essere “personalizzato”.
Inserimento, integrazione, inclusione: prospettiva pedagogica Attualmente, in letteratura, ai termini inserimento, integrazione e inclusione vengono attribuiti significati diversi. Il termine inclusione li supera e li ricomprende tutti. Inizialmente si parlava di ” inserimento ” dei disabili nella scuola comune.
Il termine fa riferimento ad un processo additivo, in base al quale si “aggiunge” un soggetto in più ad un gruppo, con il sottointeso intento di fare in modo che questi riesca in qualche modo ad adattarsi al “funzionamento” del resto del gruppo. L’inserimento è un numero in più nel registro, presuppone una dinamica di questo tipo: La freccia indica una relazione unidirezionale. L’inserimento si sostanzia nella coesistenza nello stesso luogo fisico, non pone interesse alla qualità degli scambi relazionali tra i soggetti compresenti. Questa filosofia ha portato per molto tempo ad identificare in una presunta “socializzazione” l’obiettivo fondamentale, se non addirittura esclusivo, della presenza dei “diversi” in classe, fino a trattare la socializzazione come obiettivo di riserva, atto a giustificare l’inclusione stessa: “L’alunno non ha imparato, ma ha socializzato” e tanto basta. La freccia indica una relazione bidirezionale Il soggetto “integrato” riceve dal gruppo e a sua volta dà qualcosa al gruppo stesso. L’integrazione presuppone il fatto che l’alunno “diverso” guadagni qualcosa nel contesto dei “normali”, ma a sua volta anche i compagni abbiano qualcosa da ricevere.
- E, in effetti, il contatto con un coetaneo caratterizzato da un diverso funzionamento impegna i compagni in uno sforzo cognitivo ed empatico altamente stimolante da diversi punti di vista, sicuramente arricchente.
- In questi ultimi anni il tradizionale vocabolo “integrazione” è stato gradualmente sostituito, a livello internazionale, nei documenti e nei discorsi ufficiali ed informali, da quello di “inclusione”.
Non si tratta di una semplice variazione, ma di un rimando a scenari educativi molto diversi. Potremmo rappresentare così l’inclusione, Le frecce indicano una relazione multidirezionale e reciproca, gli elementi sono tutti diversi tra loro e tutti in relazione. Questa multiformità di elementi tutti diversi presenti nelle classi esprime bisogni diversi e quindi la necessità di approcci speciali-specifici per ciascuno.
- Si parla infatti di Bisogni Educativi Speciali.
- L’idea di integrazione muove dalla premessa che è necessario “fare spazio” al “diverso” nel contesto scolastico.
- Facile l’equazione che porta a voler individuare un suo spazio fisico all’interno del contesto scolastico per poi affidare all’insegnante di sostegno e al contatto più o meno frequente con i compagni una condizione di “vivibilità” del diverso all’interno della scuola.
Si tratta di un paradigma “assimilazionista”, fondato sull’adattamento del “diverso” ad un’organizzazione scolastica strutturata essenzialmente in funzione degli alunni “normali”, dove la progettazione per gli alunni “diversi” riveste ancora un ruolo residuale.
- In quest’ottica, la finalità è quella di portare il diverso a normalizzarsi il più possibile, anche se questo nega la differenza in nome di un ideale di uniformità non sempre raggiungibile.
- Le ricadute sono rilevanti anche in ambito educativo: richiedere al diverso di normalizzarsi porta a ritenere che sia l’alunno a non riuscire a seguire il programma scolastico, piuttosto che chiedersi se quel programma è adatto o adattabile all’alunno! L’idea di inclusione invece non si basa sulla misurazione della distanza che c’è tra il livello dell’alunno diverso e un presunto standard di adeguatezza, ma sul riconoscimento della rilevanza della piena partecipazione alla vita scolastica di tutti i soggetti.
Se l’integrazione è uno stato, l’inclusione è un processo, una cornice entro cui tutte le condizioni possono essere valorizzate, rispettate e fornite di opportunità a scuola. “La nozione di inclusione afferma l’importanza del coinvolgimento di tutti gli alunni nella realizzazione di una scuola realmente accogliente, anche mediante la trasformazione del curricolo e delle strategie organizzative, che devono diventare sensibili all’intera gradazione delle diversità presenti tra gli alunni” (Dovigo, 2007).
L’attuale prospettiva pedagogica internazionale propone la visione di piena inclusione che, partendo dal riconoscimento degli alunni disabili nella scuola, si apre all’inclusione per tutti i bisogni educativi speciali e conseguentemente accoglie pienamente tutti gli alunni fornendo risposte adeguate a tutte le difficoltà presenti.
È una scuola che sa rispondere adeguatamente a tutte le diversità individuali di tutti gli alunni non soltanto a quelle degli alunni disabili o con BES, una scuola che non pone barriere, anzi valorizza le differenze individuali di ognuno e facilita la partecipazione sociale e l’apprendimento; una scuola fattore di promozione sociale, davvero attenta alle caratteristiche individuali, sia nel caso delle difficoltà che nel caso della variabilità “normale” ed eccezionale. Sperimentazione: metodologia, azioni sviluppate, risultati, prospettive future Il presente lavoro di ricerca si sviluppa all’interno del centro di formazione professionale Oliver Twist-Comate Formazione, nelle classi I, II, III del settore “Operatore del legno- Manutentore d’immobili”.
- La realtà che si fotografa ogni giorno entrando in una classe tipo di 25 alunni (secondo l’analisi dei dati effettuata e riportata in allegato) è dell’effettiva presenza media di 2 alunni con disabilità, di 10 con DSA, di 2 con BES, di 1 straniero e di 10 alunni non certificati “normali”.
- Queste presenze vengono ulteriormente rese critiche da atteggiamenti aggressivi-provocatori-turbolenti- iperattivi- stati d’animo di ansia- di euforia -di demotivazione- di felicità- di gratitudine- di noia che, sovrapponendosi e intrecciandosi con la realtà esistente, la rendono ancora più complessa.
La costatazione di tale scenario fa sorgere, la necessità di trovare risposte adeguate ai multiformi bisogni educativi presenti nelle classi. Da qui nasce il problema di ricerca :
trasformare la complessità delle differenze da problema a risorsa capace di indurre elementi di qualità nella scuola.
Ed emergono due domande di ricerca :
- l’inclusione può essere risorsa, cioè il fulcro di un movimento evolutivo verso la Qualità del fare scuola quotidiano per tutti gli alunni?
- come l’insegnante di sostegno può essere vera risorsa per l’inclusione?
Si impone, a questo proposito, la precisazione rispetto a cosa s’intende per risorsa in questa indagine. Si può discutere sul valore di risorsa almeno su due piani quello strumentale e quello intrinseco, Una risorsa ha valore strumentale quando è utile e serve a raggiungere un fine-un obiettivo ritenuto desiderabile.
- In questo senso, ad esempio il tempo o il livello di formazione sono una risorsa strumentale.
- Servono a raggiungere nuovi obiettivi o a migliorare l’esistente.
- Ma una risorsa possiede anche un valore intrinseco quando è valida di per sé, arricchisce soltanto per la sua presenza, non per il fatto che serve a raggiungere qualcos’altro.
Ci si sente, talvolta, ricchi di amicizia, di relazioni positive, di bellezza, di cultura, di valori ecc. Sono “beni”, anche estremamente immateriali, che fanno sentire immensamente ricchi. Di interesse per la presente ricerca, però, è il piano del valore strumentale dell’inclusione, cioè della presenza attiva dell’alunno “diverso” in classe.
- Metodologia
- La metodologia di ricerca applicata nell’indagine è stata di tipo qualitativo e si basa sull’osservazione e sull’analisi dell’esperienza in atto nell’Istituto di IeFP Oliver Twist.
- Obiettivo: evidenziare come l’organizzazione di questo contesto scolastico, superando vincoli culturali e strutturali, stia intraprendendo proficui processi di cambiamento attraverso lo sviluppo di ” Buone Pratiche ” (didattica, progettazione e rete di rapporti), che portano al successo formativo: l’inclusione scolastica.
L’inclusione si dimostra essere una risorsa proprio perché obbliga-spinge verso un cambiamento nel fare scuola. Come dice Don Milani: ” La scuola ha un problema i ragazzi che perde. Se si perdono i ragazzi più difficili la scuola non è più scuola. Chi era senza basi, lento, svogliato si sentiva il preferito.
Veniva accolto come voi accogliete il primo della classe. Sembrava che la scuola fosse tutta solo per lui. Finché non aveva capito, gli altri non andavano avanti “. In questa affermazione si ritrova il valore ideale della Mission di Cometa: “non perdere nessuno, perché tutti gli alunni sono educabili”.
Il professor Luigi D’Alonzo propone dei Passi Fondamentali in modo da sviluppare l’inclusione scolastica secondo le diverse esigenze personali degli alunni:
- credere nell’inclusione,
- il ruolo dinamico e progettuale del Dirigente Scolastico,
- il ruolo dell’insegnante di sostegno come insegnante complementare nella progettazione pedagogica e la conduzione didattica,
- il lavoro in équipe come docenti che co-progettano, programmano insieme, documentano l’attività didattica e valutano con dei dispositivi condivisi,
- la preparazione dell’insegnante curriculare nell’affrontare le tematiche relative alla pedagogia speciale e alla didattica inclusiva.
Azioni sviluppate, Nella realtà osservata, vengono tradotti nella pratica quotidiana le azioni teorizzate del pedagogista. Infatti, credere nel valore dell’inclusione delle differenze, ha portato ogni docente a riflettere a fondo sui processi di apprendimento di ogni alunno: ” come l’altro apprende?” È chiaro che se si parte dall’evidente diversità di ogni allievo, la didattica tradizionale non può essere più utilizzata.
” Non è la più forte, ma solo la più facile ed allettante ” (Cutrera). La didattica necessariamente si trasforma in didattica personalizzata adattandosi ai bisogni di ciascuno. Quindi non si tengono più lezioni frontali nelle quali si impartiscono nozioni da imparare, ma l’insegnamento si adatta agli stili cognitivi di ogni alunno; non si propongono più esercizi interminabili e uno studio mnemonico, ma le lezioni vengono esemplificate secondo una concretizzazione della didattica e non attraverso un’automatizzazione dei concetti.
Non si applicano verifiche standardizzate, ma un’osservazione personalizzata che valuta il processo e non il risultato. Come sostiene il pedagogista Giuseppe Bertagna, ” la valutazione, nelle sue varie forme, se intende rimanere educativa, è un processo, non uno stato; un percorso, non un traguardo; un passaggio, non un luogo; in questo senso, non è un momento autonomo e separato dal processo educativo, quasi dovesse svolgersi quando esso è concluso, magari per condannarlo od osservarlo, ma è una modalità costante del suo svolgersi”.
- Rinnovare la didattica per incontrare i Bisogni Educativi Speciali (BES) degli alunni è anche una grande opportunità di crescita professionale per gli insegnanti.
- Giacomo Cutrera, vice-presidente dell’AID_ Associazione Italiana Dislessia, usa una metafora efficace per spiegare l’imprescindibilità dell’uso di una didattica flessibile,
“Immaginiamo che la classe sia una scatola piena di chiodi dove, casualmente, sono finite delle viti. Se dalla scatola l’insegnante estrae una vite e con un martello la conficca nel legno, penserà che il “chiodo” sia difettoso perché non entra nel legno.
Ma se, osservandolo meglio, si accorge che è una vite, allora si servirà dello strumento adatto: il cacciavite per farla entrare nel legno, e noterà subito che la vite funziona benissimo!” Le diversità hanno bisogno di strumenti opportuni e metodi flessibili. “Se non imparo nel modo in cui tu insegni.
Insegnami nel modo in cui io imparo”. In Cometa si stanno realizzando percorsi personalizzati proprio perché gli stili cognitivi e le potenzialità di ogni ragazzo sono diverse. Quindi l’inclusione come risorsa porta a personalizzare la didattica e l’alunno è co-protagonista della propria maturazione e del proprio processo di crescita.
L’offerta formativa viene calibrata sull’unicità che caratterizza il bisogno di ciascun ragazzo. Si cura l’accrescimento dei punti di forza e lo sviluppo dei talenti individuali, così come si sostengono le fragilità, attraverso la ricerca di metodologia e strategie didattiche adeguate e di misure compensative o dispensative opportune.
Si rimodulano gli interventi sulla base dei livelli raggiunti, nell’ottica di una valutazione autentica per l’apprendimento e non dell’apprendimento. La progettazione didattica sviluppata ha le caratteristiche dell’ intenzionalità in quanto nasce da una riflessione e mira a uno scopo: la formazione del ragazzo; della contestualizzazione perché è riferita a quell’alunno e alla sua storia; della sistematicità perché procede giorno dopo giorno in un processo continuo fatto spesso di piccoli passi uno dopo l’altro e della flessibilità perché si adatta ai cambiamenti.
Quindi è una progettazione e non una programmazione perché nel programmare si ha una visione didattica verticale già stabilita, una sorta di addestramento, con obiettivi da raggiungere, tempi da rispettare, adatti a tutte le classi. L’insegnante sa e l’alunno deve apprendere quello che ha detto il docente.
L’organizzazione precede ed è prevalente rispetto all’attuazione. Mentre quello che si fa in Cometa, personalizzando gli interventi, è un Progettare perché l’alunno è al centro, finalità, metodologie, strumenti e sussidi vengono scelti e orientati con flessibilità, l’insegnante e l’alunno sono co-responsabili e co-apprendono insieme.
L’inclusione come risorsa ha evidenziato la necessità di conoscere sempre meglio gli alunni. E quindi ha indotto a cercare un nuovo strumento conoscitivo, Si è introdotto, in forma sperimentale un modello di classificazione secondo l’International Classification Functioning (ICF) che propone una visione nuova del concetto di salute, intesa come globale benessere bio-psico-sociale della persona.
Il sistema ICF propone una prospettiva antropologica dell’uomo che va oltre l’inquadramento nosologico di un’eventuale disabilità: è infatti un sistema di classificazione che descrive il funzionamento umano, evidenziando eventuali problemi, in relazione al contesto ambientale di riferimento.
Nella prospettiva dell’ICF, la partecipazione alle attività sociali di una persona con una disabilità, di qualunque tipo sia, è determinata dall’interazione della sua condizione di salute (a livello di strutture e di funzioni corporee) con le condizioni ambientali, culturali, sociali e personali (fattori contestuali), in cui essa vive.
Il modello bio-psico-sociale prende in considerazione i molteplici aspetti di una persona, correlando la condizione di salute e il suo contesto, pervenendo ad una definizione di disabilità come ” una determinata condizione di salute in un ambiente sfavorevole”.
La salute viene valutata complessivamente secondo tre dimensioni: biologica, individuale e sociale, superando la concezione meramente medica e medicalizzante della disabilità. È in sostanza il passaggio da un approccio individuale ad uno socio-relazionale nello studio della disabilità, dei deficit e dei disturbi.
La disabilità viene dunque intesa come la conseguenza o il risultato di una complessa relazione tra la condizione di salute di un individuo, fattori personali e fattori ambientali che rappresentano le circostanze in cui egli vive. Ne consegue che ogni individuo, date le proprie e specifiche condizioni di salute, può trovarsi, in un particolare momento della sua vita, in un ambiente con caratteristiche che possono limitare o restringere le proprie capacità funzionali e di partecipazione sociale.
- L’ICF correlando la condizione di salute con l’ambiente propone un metodo di misurazione della salute, delle capacità e delle difficoltà nella realizzazione di attività che permette di individuare gli ostacoli da rimuovere o gli interventi da effettuare perché l’individuo possa raggiungere il massimo della propria auto-realizzazione.
- In questo orizzonte di senso, il modello ICF permette la lettura dei bisogni educativi speciali degli alunni mantenendo un riferimento antropologico comune a tutti, capace di offrire una preziosa base inclusiva.
- Quanto detto risponde in modo positivo ed efficace alla prima domanda, l’inclusione è il fulcro di un movimento evolutivo verso la qualità del fare scuola quotidiano per tutti gli alunni.
Il secondo quesito pone come centro d’interesse della ricerca il ruolo dell’insegnante di sostegno che, nella scuola Oliver Twist è diventato chiave del cambiamento, evolvendo nel ruolo di co-docente. Infatti, l’organizzazione ideale del sostegno si declina nella contitolarità che genera corresponsabilità dell’insegnamento, nella collegialità che porta a fare squadra; nella collaborazione che presuppone una visione comune e nell’aiuto reciproco.
L’azione inclusiva, in Cometa, è sentita come compito di tutti gli operatori del sistema scolastico. Il ruolo di sostegno non è più solo dell’insegnante di sostegno, ma si è evoluto in un intervento di sostegno che coinvolge l’intera comunità educante, divenendo contesto di sostegno, cioè contesto inclusivo,
L’inclusione come risorsa ha portato a questo cambiamento positivo nella direzione della normalità. L’insegnante di sostegno non è più una figura separata, ma realmente titolare del lavoro educativo e didattico con tutti gli allievi. È co-docente/figura di sistema come recita la Legge 107 del 2015 “La Buona Scuola” in quanto svolge, come docente specializzato, la funzione di facilitatore dei processi inclusivi.
- La co-docente condivide con l’intero Corpo Docente, ruolo, responsabilità, decisioni, non solo in merito ai disabili, ma anche ai ragazzi con DSA e con BES.
- La complessità delle classi necessita di più risorse, la co-docente di sostegno è una di queste risorse,
- La co-docente, come tale, ha sviluppato azioni di potenziamento sia nei confronti degli alunni che dei docenti.
- Verso gli alunni ha condotto un’osservazione sistematica degli assi di sviluppo, nella consapevolezza che i dati raccolti sono costantemente soggetti a rapidi cambiamenti, poiché ” studiare lo sviluppo significa studiare la trasformazione continua dell’individuo nella sua globalità e nel suo divenire “.
Ha ampliato l’indagine conoscitiva introducendo l’uso innovativo del modello ICF. L’osservazione ha permesso di raccogliere informazioni precise per individuare punti di forza e di debolezza degli alunni al fine di progettare un percorso personalizzato adeguato alle effettive necessità di ciascuno e del contesto classe.
- La posizione apparentemente marginale della co-docente ha costituito un punto di vista privilegiato per l’osservazione delle dinamiche di classe, dell’efficacia dei diversi approcci e delle strategie messe in atto, consentendo di rimodulare costantemente gli interventi.
- La cura della relazione affettiva con gli allievi da parte della co-docente ha favorito l’accrescimento di rapporti empatici e di fiducia in se stessi.
L’azione di maternage e di scaffolding, nell’accompagnamento durante le diverse fasi del percorso formativo dei ragazzi, ha contribuito allo sviluppo dell’autonomia di ciascuno. Amorevolezza ed empatia, a volte, sono state l’unico modo per attivare condizioni e dinamiche di apprendimento altrimenti inceppate o congelate e di riaccendere la motivazione.
Per i colleghi la co-docente, come risorsa aggiuntiva, ha consentito di far evolvere la didattica ordinaria in forme più flessibili e inclusive come, l’apprendimento cooperativo, il tutoring, la didattica laboratoriale, l’adattamento e la diversificazione dei materiali di apprendimento, l’uso partecipato e inclusivo delle tecnologie e di promuovere l’utilizzo di una valutazione formativa autentica che esamina il processo di apprendimento e non i risultati.
Grazie all’azione di motivatore positivo, di mediazione e di coordinamento didattico-relazionale, sviluppate con i colleghi, si è potuto realizzare il co-teaching in cui i ruoli si possono differenziare e inter-scambiare. Con due insegnanti la classe ha potuto essere facilmente divisa in gruppi e sottogruppi, non è più un monolite inattaccabile, si è potuto essere più vicini agli alunni, sia in senso didattico che psicologico, si sono rotte le barriere dell’aula, conquistando contesti facilitanti, si è riusciti meglio anche a intervenire sulle problematiche comportamentali in modo più preventivo o almeno più precoce, il gruppo classe ha fatto meno paura, ed è stato più gestibile.
- la comunità educante ha dimostrato maggior sensibilità nel riconoscimento delle differenze;
- la riflessione sugli stili cognitivi e sui processi di apprendimento di ciascun alunno è punto di partenza per l’azione educativa;
- la formazione continua è sentita come necessaria per la conoscenza più ampia delle differenze e dei bisogni di ciascuno;
- il corpo docente ha sviluppato maggior coesione nella condivisione di finalità, metodologia e didattica; maggior flessibilità e disponibilità all’adattamento della didattica verso i bisogni speciali di ciascuno; miglioramento delle capacità comunicative ;
- i ragazzi soprattutto, nella parte tecnico professionale, hanno raggiunto l’eccellenza.
Prossimi sviluppi I punti di lavoro sono ancora tanti, L’inclusione è un tema complesso che necessita di riflessione, applicazione e ricerca continue. Ritengo si debba ancora lavorare per:
- migliorare la capacità di relazione educativo-affettiva e di negoziazione, punto nodale per favorire la crescita del benessere in classe;
- sviluppare la fermezza della flessibilità per il rispetto delle regole;
- utilizzare con più sistematicità nelle attività d’aula la didattica laboratoriale per l’acquisizione delle competenze teoriche di base;
- cercare spazi temporali per programmare e pianificare i lavori collegialmente;
- usare nei confronti dei ragazzi una valutazione formativa e non sommativa
“la vera valutazione è quella che confronta ognuno con se stesso” (Canevaro A.)
analizzare l’organizzazione scolastica complessiva con l’aiuto dell’Index per l’inclusione per individuare e misurare i fattori di qualità e i processi di auto-miglioramento.
Bibliografia Baldeschi M., Ragazzi Speciali. Percorsi didattici di educazione psicomotoria ed espressiva, Firenze, Boso Editore, 2003 Bertagna G., Valutare tutti valutare ciascuno. Una prospettiva pedagogica, Brescia, Editore La Scuola, 2004
- Betto F., De Masi D, Non c’è progresso senza felicità, Milano, Rizzoli, 2004
- De Anna L., Aspetti normativi dell’inserimento sociale degli handicappati in Italia e all’estero, Tempinuovi, Roma, 1983
- De Anna L,, Pedagogia Speciale, Roma, Carocci Editore, 2014
De Anna L., Gaspari P., Mura A., L’insegnante specializzato, Milano, Franco Angeli, 2015 D’Alonzo L., Pedagogia speciale. Per preparare alla vita, Brescia, La Scuola, 2006 Dovigo F., Fare differenze, Trento, Erickson, 2007 Fiorin I., La scuola luogo di relazioni e apprendimenti significativi, in Canevaro A., L’integrazione scolastica degli alunni con disabilità, Erickson, Trento, 2008
- Fiorin i., I curriculi nella scuola di base, Tecnodid-Zanichelli, Napoli, 2001
- Gaspari P,, L’insegnante specializzato al bivio, Franco Angeli, Milano, 2015
- Goleman D., Intelligenza sociale ed emotiva, Trento, Erickson, 2014
IANES D., Qualche spunto di riflessione su integrazione, inclusione, disabilità e Bisogni Educativi Speciali, “L’integrazione scolastica e sociale”, n.8/5, 2009 Ianes D., L’evoluzione dell’insegnante di sostegno, Nuova Edizione, Trento, Erickson, 2015 Ianes D., Macchia V.
Chi è l’insegnante inclusivo?
È un docente che è in grado di creare un clima di classe inclusivo dove la diversità è riconosciuta ed accettata; riesce ad adattare gli stili di insegnamento e le proprie metodologie agli alunni che ha di fronte; fa dell’approccio cooperativo uno dei suoi cavalli di battaglia; costruisce lezioni metacognitive; si sforza di trovare punti di contatto tra la programmazione di classe e quella personalizzata/ individualizzata e intesse reti relazionali con la famiglia, la Asl, i centri che hanno in cura gli alunni con Bisogni Educativi Speciali, ecc.
(Saper) valutare la diversità degli alunni (la diversità è una ricchezza e non un impoverimento della classe)
Sostenere gli alunni (i docenti devono coltivare aspettative alte sul successo scolastico degli alunni)
Lavorare con gli altri (il docente non è una monade, ma deve collaborare con gli altri colleghi)
Aggiornamento professionale continuo (l’insegnamento è una attività di apprendimento e i docenti hanno la responsabilità del proprio apprendimento permanente per tutto l’arco della vita)
Il progetto (che ha visto la partecipazione di più di 55 esperti nazionali provenienti da 25 paesi europei) ha analizzato i percorsi di formazione iniziale e di abilitazione all’insegnamento per la scuola dell’obbligo, comuni e generali, e in che modo questi percorsi preparano ad esercitare la professione docente in ambienti scolastici inclusivi.
Il documento europeo afferma con vigore che i valori e le aree di competenza servono a tutti gli insegnanti, dato che l’inclusione è responsabilità di tutti i docenti, rinforzando così il messaggio che l’inclusione è un approccio didattico valido per tutti gli studenti e non solo per determinati gruppi di alunni portatori di specifiche esigenze particolari.
Anche l’OCSE sostiene che occorre preparare tutti i docenti a rispondere alla diversità delle richieste e delle esigenze didattiche ed educative che incontreranno in classe. Con la Legge 107/2015, sono state di fatto introdotte sostanziali modifiche all’approccio alla formazione e allo sviluppo professionale.
Il Piano Nazionale per Formazione dei Docenti (PNFD) presuppone che il capitale professionale di cui è dotata la scuola sia uno dei principali fattori di crescita del Paese e che la qualità dell’istruzione sia imprescindibile dalla qualità della formazione. “La definizione del profilo di un docente inclusivo richiede la considerazione di più aree di competenza rispetto alle quali andrebbero declinati indicatori e possibili descrittori operativi: -personale (capacità di empatia, sensibilità pedagogica, motivazione, livello di autoefficacia, convinzioni personali); -relazionale (capacità di gestire la comunicazione e le relazioni all’interno della comunità professionale e con i genitori degli alunni); -psicopedagogica (conoscenze specifiche sul processo di sviluppo e sulle condizioni per l’apprendimento); -didattica (capacità di pianificazione di interventi mirati, repertorio di metodologie didattiche inclusive e di strategie di individualizzazione e personalizzazione, repertorio di risorse e strumenti per la valutazione sommativa e formativa); -organizzativa (capacità di gestire la classe e i gruppi di apprendimento, di allestire ambienti di apprendimento stimolanti, di utilizzare in modo efficace spazi e tempi, di ricorrere a mediatori didattici multicanale, comprese le TIC, per sostenere processi di apprendimento attivi e cooperativi); -epistemologica (capacità di riflettere criticamente e di rivedere pratiche e scelte attraverso nuovi percorsi di ricerca e di innovazione).”.
(MIUR, Sviluppo professionale e qualità della formazione in servizio”, 2018) Il MIUR, il 16/04/2018, ha pubblicato il dossier “Sviluppo professionale e qualità della formazione in servizio”, redatto dalla Direzione Generale per il personale scolastico dello stesso Ministero, per focalizzare l’attenzione degli insegnanti sui punti cardine che ogni formazione/aggiornamento dovrebbe affrontare per essere in linea con il Piano Nazionale di Formazione 2016-2019.
Con la pubblicazione del dossier, frutto dei risultati di tre gruppi di lavoro, il MIUR ha gettato le basi per la nascita, nel nostro Paese, del docente inclusivo. Essere docenti oggi significa essere consapevoli di entrare a fare parte di una grande e complessa comunità educativa, in cui si è chiamati a svolgere un articolato percorso formativo, un percorso di acquisizione di competenze specifiche mirate all’insegnamento e non solo.
I docenti sono chiamati a leggere la realtà della società per individuarne le tendenze di sviluppo e poter meglio identificare gli obiettivi educativi e formativi in comunità scolastiche sempre più eterogenee. Infatti, stiamo vivendo in uno scenario in continua evoluzione, in cui si assiste -ad un rapido cambiamento di competenze culturali di base e trasversali (conoscenza delle lingue, del digitale); -a profonde trasformazioni nelle classi (classi multiculturali, bilinguismo, intercultura,); -a innovazioni strutturali (autovalutazione, alternanza scuola-lavoro, educazione alla cittadinanza).
- L’inclusione scolastica è impegno fondamentale di tutte le componenti della comunità scolastica le quali, nell’ambito degli specifici ruoli e responsabilità, concorrono ad assicurare il successo formativo degli alunni e degli studenti.
- L’inclusione scolastica riguarda tutti gli alunni e gli studenti, risponde ai differenti bisogni educativi e si realizza attraverso strategie educative e didattiche finalizzate allo sviluppo delle potenzialità di ciascuno.” (Decreto 66/2017, Articolo l (principi e finalità) Dal “vecchio” concetto di integrazione (consentire e facilitare al “diverso” la maggior partecipazione possibile alla vita scolastica degli “altri”) a quello di inclusione: strutturare i contesti educativi in modo tale che siano adeguati alla partecipazione di tutti, ciascuno con le proprie modalità.
L’inclusione comincia dall’interno, da un cambiamento culturale, da ciò che si può fare partendo da ciò che abbiamo, dalla valorizzazione delle risorse presenti, dalla collaborazione tra le persone e i ruoli che assumono nel contesto, dalle competenze sia personali che professionali volte verso obiettivi condivisi.
- Dai comportamenti che assumiamo anche tra colleghi, infatti è di questo clima che si alimentano i nostri alunni.
- I docenti, inizialmente spaventati da tali e tante responsabilità, infine hanno colto l’essenza di questo cambiamento considerando il ruolo centrale e determinante del proprio intervento calibrato e attento nelle dinamiche di classe.
La capacità del docente di gestire le relazioni e i comportamenti in classe diventa, dunque, un criterio di qualità, funzionale sia a favorire l’apprendimento, che a gestire con intelligenza gli eventuali conflitti, Una modalità emotivamente intelligente di gestire la dimensione relazionale e comportamentale aiuta la creazione di un ambiente di apprendimento di mutuo rispetto, comunicazione e coinvolgimento, in cui è più facile creare relazioni positive e trasmettere valori e regole.
La scuola non è solo il luogo dove si impara, ma è anche l’ambiente in cui dobbiamo fare entrare le nostre emozioni, la nostra esperienza e il nostro vissuto. Gli esperti sostengono che l’affettività condiziona l’apprendimento e i processi cognitivi. Nessuna esperienza nella vita viene perduta, ma rimane nella mente creando modelli operativi interni che possono essere riattivati se ci si trova in una situazione analoga.
Pertanto, cerchiamo di far in modo che l’esperienza scolastica dei nostri studenti venga vissuta come esperienza di successo. Solo cosi potranno sperimentare gli anni della scuola come momenti di crescita. L’insegnante deve scegliere di essere una guida autorevole: se riesce in questo compito promuoverà fiducia e proporrà una relazione stimolante e rassicurante.
- Deve essere autentico, voler incontrare i suoi alunni, volerli comprendere e confermare nel loro essere unici.
- La relazione dovrà essere sempre di aiuto e incoraggiamento e mai di svalutazione.
- L’insegnante deve essere una persona che sa insegnare come imparare, più che insegnare ad apprendere ciò che si deve sapere.
E ci sono delle abilità che oggi sono assolutamente richieste: per esempio, la collaborazione, anche multiculturale. “Un insegnante, cioè, che abbia dei confini più sfumati: a volte deve essere più psicologo, altre volte più educatore, altre volte più autoritario.
- E deve sviluppare tutto questo insieme, in una sua personalità integrata che diventa un modello di uomo di domani.” (M.
- Comoglio, 2004) Perché i ragazzi hanno bisogno di modelli in cui credere! Dobbiamo ritornare ad essere modelli, esempi veri.
- Ve inclusione delle persone con “Bisogni Educativi Speciali” nella scuola e nella società costituisce la punta più avanzata di un processo culturale susseguito alla maturazione dell’immaginario sulla disabilità e culminato nella presa d’atto della dignità umana e dei diritti dei disabili ad avere pari opportunità.
Tale processo, i cui prodromi sono rintracciabili in azioni normative e istituzionali a livello internazionale, si presenta in continua evoluzione e avviato attualmente verso molteplici e sempre più aperte soluzioni. L’inclusione scolastica implica la ridefinizione del concetto di formazione di tutti i docenti per riconoscere adeguatamente i bisogni delle nuove emergenze educative, speciali e non.
Ciò richiede la puntuale riorganizzazione dei saperi, delle conoscenze e competenze che costituiscono il bagaglio professionale degli operatori scolastici, adottando una plu Serrone Maria, docente di scienze integrate presso IISS “Ferraris” di Molfetta, ho conseguito la maturità classica e quella magistrale, sono laureata in Biologia, ho maturato alcune esperienze presso il policlinico di Bari come ricercatrice; sono stata consulente come esperta per un ente di formazione che eroga corsi per ottici ed optometristi per diversi anni.
Ho iniziato la carriera scolastica nella scuola superiore di primo grado, ho svolto il primo anno di ruolo nella scuola materna, esperienza veramente unica e formatrice. infine sono entrata in ruolo nella scuola superiore nel 2008. Nel 2009 sono arrivata all’istituto Lotti e mi hanno affidato il ruolo di coordinatrice del dipartimento scientifico.
Negli anni ho continuato a svolgere il compito di coordinatore, ho assunto il ruolo di funzione strumentale area 1 per diversi anni, ora seguo i lavori del PTOF, sono referente per Invalsi e curo la parte riferita agli esiti nel RAV. Collaboro alla stesura del PDM insieme ad altri colleghi. Dopo la mia prima esperienza digitale con la formazione a tutor Didatech a Napoli, ho iniziato ad avvicinarmi alla didattica digitale, da diversi anni faccio parte del team digitale, ho maturato la mia esperienza come docente in classi digitali e ho svolto il ruolo di esperto anche in PON che trattavano questo tema.
Nello staff di dirigenza ho il compito di coinvolgere i colleghi all’uso della didattica digitale, attraverso azioni di diverso tipo tra cui condivisione di buone pratiche e la pubblicazione di una news letter mensile con suggerimenti a tema. PS. Nel tempo libero sono una speleologa e cerco di coinvolgere quanti fossero interessati al mondo speleologico.
Qual’è il principio più importante dell’educazione inclusiva?
Cos’è l’educazione inclusiva? – Parlare di educazione per tutti e quindi di educazione inclusiva significa garantire che ogni studente si senta valorizzato e rispettato, e possa godere di un autentico senso di appartenenza. Significa fare ogni sforzo per eliminare tutti i possibili ostacoli all’inclusione: la discriminazione basata sul genere, l’orientamento sessuale, l’etnia, la ricchezza, la disabilità, la lingua, la migrazione, la religione o altri credi.
- Ma anche l’esclusione dovuta alla mancanza di mezzi, alla lontananza dagli edifici scolastici, alla carenza di strumenti tecnologici (durante la pandemia da Covid-19 questo è stato un elemento cruciale ).
- Educazione inclusiva vuol dire anche evitare di stigmatizzare i bambini, appiccicando loro un’etichetta che limita le loro potenzialità.
Significa, soprattutto, considerare la diversità un valore, e comprendere che un approccio diversificato nell’insegnamento può portare benefici a tutti gli studenti.
Chi è il responsabile dell inclusione scolastica?
I referenti dell’Inclusione nelle scuole | Istruzione e Diritto allo Studio All’interno di ogni Istituto è individuato almeno un docente delegato dal dirigente scolastico (preside) per l’inclusione degli studenti che deve essere contattato dalla famiglia che intende iscrivere il proprio figlio a quell’istituto. Il docente delegato costituisce la figura di riferimento per le famiglie che possono rivolgersi a lui/lei per fare tutte le domande ed avere le informazioni che ritengono utili per il percorso scolastico del proprio figlio all’interno di quello specifico istituto.
- il referente per gli alunni con bisogni educativi speciali (BES),
- il referente per gli allievi con disturbi specifici d’apprendimento (DSA),
- il referente o coordinatore dei docenti di sostegno.
Le figure del coordinatore di sostegno, del referente per i BES e del referente per i DSA coincidono in alcune scuole con le funzioni strumentali dell’area del sostegno o dei BES. Il docente referente per i BES può essere un docente curricolare o di sostegno, che ha competenze specifiche sui BES, acquisite durante appositi corsi di formazione, organizzati a livello di singola Istituzione scolastica o anche a livello provinciale.
- curare il rapporto con gli Enti e le strutture del territorio che operano a favore degli studenti con BES
- supportare i Team della scuola per l’individuazione di casi di alunni BES;
- raccogliere, analizzare la documentazione (certificazione diagnostica/ segnalazione) aggiornando il fascicolo personale e pianificare attività/progetti/strategie ad hoc;
- partecipare ai Team, se necessario, e fornire collaborazione/consulenza alla stesura di PdP;
- organizzare momenti di approfondimento/formazione/aggiornamento sulla base delle necessità rilevate all’interno dell’istituto;
- monitorare/valutare i risultati ottenuti e condividere proposte con il Collegio dei Docenti e Consiglio d’Istituto;
- gestire e curare una sezione della biblioteca di istituto dedicata alle problematiche sui BES;
- gestire il sito web della scuola in merito ai BES e collaborare con il referente PTOF di Istituto.
- aggiornarsi continuamente sulle tematiche relative alle diverse “tipologie” che afferiscono ai BES.
Il referente d’Istituto per i DSA ha il compito di sensibilizzare e approfondire tematiche specifiche sui DSA, supportare i consigli di classe, in cui vi siano alunni con DSA, favorire la relazione con le famiglie. Nello specifico, il referente:
- fornisce informazioni circa le disposizioni normative vigenti;
- fornisce indicazioni di base su strumenti compensativi e misure dispensative al fine di realizzare un intervento didattico il più possibile adeguato e personalizzato;
- collabora, ove richiesto, alla elaborazione di strategie volte al superamento dei problemi nella classe con alunni con DSA;
- diffonde e pubblicizza le iniziative di formazione specifica o di aggiornamento;
- fornisce informazioni riguardo alle Associazioni/Enti/Istituzioni/Università ai quali poter fare riferimento per le tematiche in oggetto;
- fornisce informazioni riguardo a siti o piattaforme on line per la condivisione di buone pratiche in tema di DSA
- offre supporto ai colleghi riguardo a specifici materiali didattici e di valutazione;
- cura la dotazione bibliografica e di sussidi all’interno dell’Istituto;
- funge da mediatore tra colleghi, famiglie, studenti (se maggiorenni), operatori dei servizi sanitari, EE.LL. ed agenzie formative accreditate nel territorio;
- informa eventuali supplenti in servizio nelle classi con alunni con DSA
I compiti del coordinatore per il sostegno sono regolamentati dalle singole istituzioni scolastiche, e, in genere, sono:
- convocare e presiedere le riunioni del gruppo di lavoro disabilità,
- collaborare con il dirigente scolastico e il gruppo di lavoro sui bisogni speciali d’Istituto per l’assegnazione degli alunni alle classi di riferimento e delle relative ore di sostegno;
- organizzare e programmare gli incontri tra Aziende di servizi alla persona, scuola e famiglia;
- partecipare agli incontri di verifica iniziale, intermedia e finale, con gli operatori sanitari;
- fissare il calendario delle attività del gruppo di lavoro disabilità, di quelle di competenza dei Consigli di Classe che riguardano gli alunni in situazione di disabilità;
- coordinare il gruppo degli insegnanti di sostegno, raccogliendo i documenti da loro prodotti nel corso dell’anno scolastico e le buone pratiche da essi sperimentate;
- gestire i fascicoli personali degli alunni diversamente abili;
- gestire il passaggio di informazioni relative agli alunni tra le scuole e all’interno dell’istituto al fine di perseguire la continuità educativo-didattica;
- favorire i rapporti tra Enti Locali e Ambito territoriale;
- richiedere, qualora ve ne sia la necessità, ausili e sussidi particolari;
- promuovere le iniziative relative alla sensibilizzazione per l’integrazione/inclusione scolastica degli alunni, proposte dal dipartimento.
- Il referente per il sostegno è un docente di sostegno; la retribuzione per le funzioni svolte viene definita in sede di contrattazione d’Istituto.
: I referenti dell’Inclusione nelle scuole | Istruzione e Diritto allo Studio
Quali sono i 4 valori del docente inclusivo?
Sono stati individuati quattro valori fondamentali per l’insegnamento e l’apprendimento come base del lavoro dei docenti in ambienti scolastici inclusivi. Questi valori sono associati alle aree di competenza. Le aree di competenza contano tre elementi: comportamento, conoscenza, competenza.
Quali sono i quattro pilastri della didattica inclusiva?
Come le strategie meta-cognitive, cooperative, il rafforzamento delle competenze sociali ed emotive, nonché la creazione di un positivo clima di classe, sono essenziali ad una didattica di tipo inclusivo.
Cosa vuol dire inclusione a scuola?
Cos’è l’inclusione scolastica – Inclusione: l’atto, il fatto di includere, cioè di inserire, di comprendere in una serie, in un tutto. Così la Treccani definisce questo termine che, associato all’aggettivo “scolastica” vuole rappresentare il coinvolgimento di tutti gli studenti e le studentesse all’interno del gruppo classe, coinvolgendoli e valorizzando l’individualità di ognuno.
Chi deve accompagnare l’alunno disabile in classe?
Alunni con disabilità – L’integrazione scolastica degli alunni con disabilità costituisce un punto di forza della scuola italiana, che vuole essere una comunità accogliente nella quale tutti gli alunni, a prescindere dalle loro diversità funzionali, possano realizzare esperienze di crescita individuale e sociale.
La piena inclusione degli alunni con disabilità è un obiettivo che la scuola dell’autonomia persegue attraverso una intensa e articolata progettualità, valorizzando le professionalità interne e le risorse offerte dal territorio. Il MIUR mette in atto varie misure di accompagnamento per favorire l’integrazione: docenti di sostegno, finanziamento di progetti e attività per l’integrazione, iniziative di formazione del personale docente di sostegno e curriculare nonché del personale amministrativo, tecnico e ausiliare.
Per l’anno scolastico 2019/20, con il Decreto scuola, sono state adottate misure straordinarie a favore degli alunni con disabilità. Nello specifico, i dirigenti, tenuto conto della particolarità di questo anno scolastico, possono accogliere le richieste delle famiglie degli alunni con disabilità e consentire la reiscrizione dell’alunno al medesimo anno di corso, dopo aver sentito i Consigli di classe e acquisito il parere del Gruppo di lavoro per l’inclusione della loro scuola.
- Questo consentirà di recuperare il mancato conseguimento degli obiettivi didattici e inclusivi per l’autonomia, stabiliti nel Piano educativo individualizzato.
- Il Provvedimento che recepisce queste indicazioni è disponibile al link di seguito indicato: Alunni con disabilità – Reiscrizione alla medesima classe – Indicazioni Organo consultivo e propositivo, a livello nazionale, in materia di integrazione scolastica è l’ Osservatorio per l’integrazione delle persone con disabilità FAQ Chi è il docente per il sostegno? L’insegnante per le attività di sostegno è un insegnante specializzato assegnato alla classe dell’alunno con disabilità per favorirne il processo di integrazione.
Non è pertanto l’insegnante dell’alunno con disabilità, ma una risorsa professionale assegnata alla classe per rispondere alle maggiori necessità educative che la sua presenza comporta. Le modalità di impiego di questa importante (ma certamente non unica) risorsa per l’integrazione, vengono condivise tra tutti i soggetti coinvolti (scuola, servizi, famiglia) e definite nel Piano Educativo Individualizzato.
- Quali sono i compiti dell’insegnante di classe rispetto all’integrazione degli alunni con disabilità? Ogni insegnante ha piena responsabilità didattica ed educativa verso tutti gli alunni delle sue classi, compresi quindi quelli con disabilità.
- Dovrà contribuire alla programmazione e al conseguimento degli obiettivi prefissati, didattici e/o educativi, e sarà chiamato di conseguenza a valutare i risultati del suo insegnamento.
Poiché l’alunno con disabilità segue dei percorsi di apprendimento personalizzati e/o individualizzati, i reali compiti del docente di classe vanno necessariamente definiti nel quadro di un Piano Educativo Individualizzato. La precisa formulazione degli obiettivi da parte di ciascun insegnante garantisce la chiara definizione delle attività anche per l’alunno con disabilità e nei confronti della famiglia e degli altri soggetti coinvolti in eventuali forme di supporto logistico/organizzativo.
Quali sono i compiti del Dirigente Scolastico rispetto all’integrazione degli alunni con disabilità? È responsabile dell’organizzazione dell’integrazione degli alunni con disabilità e della vigilanza sull’attuazione di quanto deciso nel Piano Educativo Individualizzato. L’organizzazione comprende l’assegnazione degli alunni con disabilità alle varie classi, la definizione degli orari, la pianificazione degli incontri di progettazione, la gestione di tutta la documentazione formale e, in generale, il coordinamento delle varie attività che richiedono la collaborazione di più soggetti.
Il Dirigente Scolastico ha inoltre il compito di promuovere e incentivare attività diffuse di aggiornamento e di formazione, di valorizzare progetti che attivino strategie orientate a potenziare il processo di inclusione, di presiedere il GLH d’istituto, di indirizzare in senso inclusivo l’operato dei singoli Consigli di classe/interclasse, di coinvolgere attivamente le famiglie, di curare il raccordo con le diverse realtà territoriali, di attivare specifiche azioni di orientamento per assicurare continuità nella presa in carico del soggetto, di intraprendere le iniziative necessarie per individuare e rimuovere eventuali barriere architettoniche.
Quali sono i compiti dei Collaboratori Scolastici nei confronti degli alunni con disabilità? Ai collaboratori scolastici è affidata la cosiddetta “assistenza di base” degli alunni con disabilità. Per assistenza di base si intende l’ausilio materiale agli alunni con disabilità all’interno della scuola, nell’accesso dalle aree esterne alle strutture scolastiche e nell’uscita da esse.
Sono comprese anche le attività di cura alla persona, uso dei servizi igienici e igiene personale dell’alunno con disabilità. Ma non è solo questione di “accompagnarlo in bagno”. In una scuola inclusiva l’assistenza di base è parte fondamentale del processo di integrazione scolastica e attività interconnessa con quella educativa e didattica.
- Se coinvolto in questo modo, il collaboratore scolastico partecipa al progetto educativo e collabora con gli insegnanti e la famiglia per favorire l’integrazione scolastica (CM 3390/2001).
- Quale è il ruolo degli enti locali? L’integrazione scolastica si avvale anche di altre figure professionali fornite dagli Enti Locali (Comune o Provincia di residenza dell’alunno).
Le modalità di applicazione possono variare in base a diverse disposizioni regionali. Gli “operatori di assistenza” e “addetti alla comunicazione” sono figure professionali, nominate dagli Enti Locali, presenti a scuola, a supporto dell’alunno con disabilità, per consentirgli di frequentare le lezioni in modo adeguato.
La figura di Operatore di Assistenza è riferita prevalentemente agli alunni con disabilità di tipo fisico e conseguenti problemi di autonomia, l’Addetto alla Comunicazione si occupa degli alunni con disabilità sensoriale. L’organizzazione di questi servizi può però essere anche molto diversa nelle varie regioni d’Italia.
Essi hanno principalmente il compito di consentire all’alunno di fruire dell’insegnamento impartito dai docenti. Seguono solo lo specifico alunno e non hanno nessuna competenza sul resto della classe (in certe regioni si chiamano anche assistenti ad personam).
- Il compito dell’Operatore di Assistenza è chiamato anche di Assistenza Specialistica per distinguerlo dall’Assistenza di Base affidata ai collaboratori scolastici.
- Cos’è il piano educativo individualizzato o PEI? Il PEI – Piano Educativo Individualizzato descrive annualmente gli interventi educativi e didattici destinati all’alunno, definendo obiettivi, metodi e criteri di valutazione.
È parte integrante della programmazione educativo-didattica di classe e contiene:
finalità e obiettivi didattici e in particolare gli obiettivi educativi, di socializzazione e gli obiettivi di apprendimento riferiti alle diverse aree, perseguibili nell’anno anche in relazione alla programmazione di classe; gli itinerari di lavoro (le attività specifiche); i metodi, i materiali, i sussidi e tecnologie con cui organizzare la proposta, compresa l’organizzazione delle risorse (orari e organizzazione delle attività); i criteri e i metodi di valutazione; le forme di integrazione tra scuola ed extra-scuola.
Poiché la valutazione degli alunni con disabilità è riferita al PEI, sia per quanto riguarda obiettivi che metodi e criteri di verifica, questo documento dovrà contenere in modo chiaro tutti gli elementi che consentiranno poi effettivamente di valutare gli esiti dell’azione didattica.
- Il PEI viene redatto all’inizio di ciascun anno scolastico ed è soggetto poi a verifica.
- È redatto congiuntamente dalla scuola e dai Servizi (Equipe Psico-Sociosanitaria) con la collaborazione della Famiglia.
- In che modo il POF (Piano dell’Offerta Formativa) di una scuola tiene conto anche degli alunni con disabilità? Una scuola inclusiva deve necessariamente tener conto nella formulazione del POF dei propri alunni con disabilità.
Deve descrivere quello che offre alla propria utenza in termini di effettiva fruibilità per tutti, compresi gli alunni con particolari difficoltà, nonché indicare come la scuola intervenga per superare eventuali ostacoli, per meglio rispondere alle esigenze educative speciali.
- In particolare deve definire chiaramente le modalità di organizzazione dei momenti meno strutturati quali le attività integrative, i viaggi di istruzione, gli spazi di aggregazione ecc.
- E, per evitare rischi di esclusione è importante intervenire a monte con una idonea progettazione inclusiva.
- Chi deve accompagnare gli alunni con disabilità in caso di viaggi di istruzione o altre attività integrative (piscina, teatro)? Anche in questi casi vale il principio della progettazione.
Nel momento in cui si decide di organizzare un viaggio di istruzione, o altra iniziativa, per una o più classi si dovrà tener conto di tutte le esigenze: di quelle didattiche, innanzitutto, ma poi anche dei costi, della sicurezza, dei tempi e delle distanze.
- Se in quelle classi c’è un alunno con disabilità si progetterà il viaggio in modo che anche lui possa partecipare.
- Nessuna norma prescrive come debba essere accudito o da chi vada sorvegliato in queste occasioni: la scuola, nella sua autonomia, predisporrà le misure più idonee per consentire all’alunno di partecipare a questa esperienza senza eccessivi rischi o disagi.
La sorveglianza pertanto può essere affidata all’insegnante di sostegno ma anche ad un altro docente, ad un operatore di assistenza, ad un collaboratore scolastico, ad un compagno (nelle scuole superiori), ad un parente o ad altre figure, professionali o volontarie, ritenute idonee e, ovviamente, disponibili.
Cosa sono i gruppi di lavoro per l’integrazione scolastica, GLHI e GLH? In ogni istituzione scolastica è previsto dalla L.104/92 un GLHI, Gruppo di Lavoro per l’Handicap di Istituto. È pertanto un gruppo interistituzionale, aperto quindi a tutte le agenzie che hanno competenze su questo tema: scuola, genitori, ASL, Enti Locali e, possibilmente, anche rappresentanti della realtà associativa del territorio.
Nelle scuole superiori è importante la presenza anche degli studenti, in tutte quella del personale ATA. Affinché sia veramente uno strumento per l’integrazione, è essenziale che la partecipazione non sia limitata solo a coloro che sono direttamente coinvolti.
- Quindi non solo insegnanti di sostegno, non solo genitori di alunni con disabilità, non solo alunni disabili.
- Ha il compito di collaborare con il Dirigente Scolastico per migliorare la qualità dell’integrazione formulando proposte di tipo organizzativo ed educativo L’espressione GLH, Gruppo di Lavoro sull’Handicap, è riferita invece ad ogni singolo alunno e indica l’insieme dei soggetti chiamati a definire il Profilo Dinamico Funzionale e il PEI, ossia tutti gli insegnanti, curricolari e di sostegno e gli operatori dell’Azienda Sanitaria, con la collaborazione dei genitori.
Cosa sono i centri territoriali di supporto per la consulenza alle scuole? Rete territoriale, pubblica di Centri per gli ausili permanente con il compito di accumulare, conservare e diffondere le conoscenze (buone pratiche, corsi di formazione) e le risorse (hardware e software) a favore dell’integrazione didattica dei disabili attraverso le Nuove Tecnologie.
La rete è in grado di sostenere concretamente le scuole nell’acquisto e nell’uso efficiente delle nuove tecnologie per l’integrazione scolastica. Nata con il progetto NTD (Nuove Tecnologie e Disabilità), distribuita uniformemente su tutto il territorio italiano, offre consulenze e formazione a insegnanti, genitori e alunni sul tema delle tecnologie applicate a favore degli alunni disabili.
Sul territorio nazionale sono funzionanti al momento 100 Centri Territoriali di Supporto. Per sostenere i CTS, il Ministero prevede incontri di formazione e di discussione con i referenti regionali per la disabilità e con gli operatori dei singoli Centri.
Il referente dei CTS può essere contattato sia dal Dirigente Scolastico sia dalla famiglia, sia dai docenti stessi. Alunni disabili impossibilitati alla frequenza Ai minori con handicap soggetti all’obbligo scolastico, temporaneamente impediti per motivi di salute a frequentare la scuola, sono comunque garantite l’educazione e l’istruzione scolastica.
A tal fine il provveditore agli studi, d’intesa con le unità sanitarie locali e i centri di recupero e di riabilitazione, pubblici e privati, convenzionati con i Ministeri della sanità e del lavoro e della previdenza sociale, provvede alla istituzione, per i minori ricoverati, di classi ordinarie quali sezioni staccate della scuola statale.
A tali classi possono essere ammessi anche i minori ricoverati nei centri di degenza, che non versino in situazioni di handicap e per i quali sia accertata l’impossibilità della frequenza della scuola dell’obbligo per un periodo non inferiore a trenta giorni di lezione. Riferimenti normativi: Legge 5 febbraio 1992, n.104, art.12 comma 9,
Gli alunni con disabilità conseguono un titolo di studio valido? Dobbiamo distinguere tra il primo e il secondo ciclo di istruzione. Nel primo ciclo, ossia scuola Primaria e Secondaria di Primo Grado, la programmazione è sempre valida per la promozione alla classe successiva, anche quando è completamente differenziata poiché la valutazione degli alunni con disabilità avviene sempre in base al loro Piano Educativo Individualizzato.
- Questo vale naturalmente anche al momento dell’Esame di Stato conclusivo (ex esame di licenza media) che il candidato con disabilità potrà affrontare anche sostenendo prove totalmente differenziate, in base a quanto stabilito nel suo PEI.
- Superando queste prove conseguirà un diploma valido a tutti gli effetti, senza nessuna menzione del particolare percorso seguito.
Come risulta chiaramente dall’art 11 comma 11 dell’O M n.90/01 solo se l’alunno di scuola media non raggiunge gli obiettivi del suo PEI, che è calibrato esclusivamente sulla base delle sue effettive capacità, non riceve il diploma; nelle superiori invece l’art 15 dell’O M n.90/01 distingue tra PEI semplificato e differenziato, distinzione non esistente per la scuola media.
uno curriculare, o per obiettivi minimi, che porta al conseguimento di un regolare titolo di studio; uno differenziato che consente solo la frequenza nella scuola e porta, alla fine, al rilascio di un attestato, non del diploma.
Cos’è la Programmazione Differenziata? Nella Scuola Secondaria di Secondo Grado (Scuola Superiore) quando gli obiettivi del Piano Educativo Individualizzato sono nettamente difformi rispetto a quelli dell’ordinamento di studi della classe, la programmazione viene dichiarata differenziata e l’alunno pertanto non può conseguire il titolo di studio.
- Salvo situazioni eccezionali, la programmazione differenziata si applica solo in caso di disabilità di tipo cognitivo.
- La famiglia va informata subito di questa scelta e ha facoltà di opporsi; in questo caso l’alunno seguirà ugualmente il suo PEI, con il sostegno e ogni altra tutela prevista, ma la valutazione sarà effettuata in base ai criteri definiti per tutta la classe.
Alla fine dell’anno, l’alunno che segue una programmazione differenziata viene ammesso alla classe successiva, ma di fatto non ha conseguito la promozione. Sulla pagella andrà annotato che la valutazione è stata effettuata in base al proprio Piano Educativo Individualizzato.
- Nessuna nota particolare va mai inserita nei tabelloni esposti al pubblico.
- Al termine del percorso non consegue il diploma ma un attestato dei crediti formativi.
- Cosa sono i DSA? La legge 8 ottobre 2010, n.170, riconosce la dislessia, la disortografia, la disgrafia e la discalculia come Disturbi Specifici di Apprendimento (DSA), assegnando al sistema nazionale di istruzione e agli atenei il compito di individuare le forme didattiche e le modalità di valutazione più adeguate affinché alunni e studenti con DSA possano raggiungere il successo formativo.
I Disturbi Specifici di Apprendimento interessano alcune specifiche abilità dell’apprendimento scolastico, in un contesto di funzionamento intellettivo adeguato all’età anagrafica. Sono coinvolte in tali disturbi: l’abilità di lettura, di scrittura, di fare calcoli.
Sulla base dell’abilità interessata dal disturbo, i DSA assumono una denominazione specifica: dislessia (lettura), disgrafia e disortografia (scrittura), discalculia (calcolo). Secondo le ricerche attualmente più accreditate, i DSA sono di origine neurobiologica; allo stesso tempo hanno matrice evolutiva e si mostrano come un’atipia dello sviluppo, modificabili attraverso interventi mirati.
Per maggiori informazioni e approfondimenti consultare le Linee Guida del MIUR Cos’è il PDP – piano didattico personalizzato? Quando si attua? È chiamato in questo modo il documento di programmazione con il quale la scuola definisce gli interventi che intende mettere in atto nei confronti degli alunni con esigenze didattiche particolari ma non riconducibili alla disabilità (in caso di disabilità, come è noto, il documento di programmazione si chiama PEI, Piano Didattico Individualizzato, ben diverso per contenuti e modalità di definizione).
La scuola può elaborare un documento di programmazione di questo tipo per tutti gli alunni con Bisogni Educativi Speciali qualora lo ritenga necessario. Per gli alunni con DSA, Disturbi Specifici di Apprendimento, un documento di programmazione personalizzato (il PDP, appunto) è di fatto obbligatorio; contenuti minimi sono indicati nelle Linee Guida del 2011, come pure i tempi massimi di definizione (entro il primo trimestre scolastico).
Per gli alunni con DSA, il consiglio di classe predispone il Piano Didattico Personalizzato, nelle forme ritenute più idonee e nei tempi che non superino il primo trimestre scolastico, articolato per le discipline coinvolte nel disturbo, che dovrà contenere:
Dati anagrafici Tipologia del disturbo Attività didattiche individualizzate Attività didattiche personalizzate Strumenti compensativi Misure dispensative Forme di verifica e valutazione personalizzata
Cosa sono gli strumenti compensativi per gli alunni con DSA? Gli strumenti compensativi sono strumenti didattici e tecnologici che sostituiscono o facilitano la prestazione richiesta nell’abilità deficitaria. Fra i più noti indichiamo:
la sintesi vocale, che trasforma un compito di lettura in un compito di ascolto; il registratore, che consente all’alunno o allo studente di non scrivere gli appunti della lezione; i programmi di video scrittura con correttore ortografico, che permettono la produzione di testi sufficientemente corretti senza l’affaticamento della rilettura e della contestuale correzione degli errori; la calcolatrice, che facilita le operazioni di calcolo;
Tali strumenti sollevano l’alunno o lo studente con DSA da una prestazione resa difficoltosa dal disturbo, senza peraltro facilitargli il compito dal punto di vista cognitivo. L’utilizzo di tali strumenti non è immediato e i docenti – anche sulla base delle indicazioni del referente di istituto – avranno cura di sostenerne l’uso da parte di alunni e studenti con DSA.
Quali sono le misure dispensative per gli alunni con DSA? Le misure dispensative sono invece interventi che consentono all’alunno o allo studente di non svolgere alcune prestazioni che, a causa del disturbo, risultano particolarmente difficoltose e che non migliorano l’apprendimento. Per esempio, non è utile far leggere a un alunno con dislessia un lungo brano, in quanto l’esercizio, per via del disturbo, non migliora la sua prestazione nella lettura.
Rientrano tra le misure dispensative altresì le interrogazioni programmate, l’uso del vocabolario, poter svolgere una prova su un contenuto comunque disciplinarmente significativo, ma ridotto o tempi più lunghi per le verifiche. L’adozione delle misure dispensative, dovrà essere sempre valutata sulla base dell’effettiva incidenza del disturbo sulle prestazioni richieste, in modo tale da non differenziare, in ordine agli obiettivi, il percorso di apprendimento dell’alunno o dello studente in questione.
Cosa fa la scuola inclusiva?
Qual è l’obiettivo fondamentale della didattica inclusiva? – L’obiettivo principale è creare delle condizioni di apprendimento ottimali per tutti gli studenti, appianare difficoltà e differenze, allo scopo di mettere ogni alunno nelle condizioni di scoprire, valorizzare ed esprimere al massimo il proprio potenziale.
Qual è la differenza tra integrazione e inclusione in ambito scolastico?
Inclusione ed integrazione due termini differenti C’è una notevole differenza tra i termini integrazione ed inclusione. Se per integrazione infatti si intende mettere fisicamente insieme le persone, senza consentire loro di condividere gli stessi strumenti, l’inclusione, invece, offre la possibilità a tutti di essere cittadini e cittadine a tutti gli effetti.
- Non è sufficiente quindi integrare le diversità, ma è necessario consentire inclusione facendo spazio alla ricchezza delle differenze.
- Quello dell’inclusione è un concetto introdotto da pochi anni dalla convenzione dell’Onu sui diritti umani e rappresenta l’occasione per operare affinché ogni individuo abbia pari opportunità, indipendentemente dalla presenza di disabilità e/o povertà.
Il termine società inclusiva è stato definito nell’ambito del Vertice mondiale per lo Sviluppo Sociale tenutosi a Copenaghen nel 1995. Si deve lavorare, tutti uniti, nella stessa direzione: integrare in ogni ambito della società, la scuola in tal senso riveste un ruolo fondamentale.
Una scuola inclusiva è molto di più di una scuola che attua integrazione, perché riconosce e valorizza pienamente tutte le differenze dalla disabilità alla genialità, dalle differenze culturali a quelle linguistiche, dalle differenze di pensiero fino alle differenze di genere o orientamento sessuale.
Una scuola inclusiva deve superare una didattica standard, ossia che va bene per tutti, in favore di una didattica della differenziazione strutturale. Le relazioni inclusive tra i compagni di scuola ciascuno con le sue peculiarità sono fondamentali per una buona integrazione.
Dunque l’inclusività è un valore aggiunto all’integrazione. Per il filosofo Jürgen Habermas: “Inclusione non significa accaparramento assimilatorio, né chiusura contro il diverso. Inclusione dell’altro significa piuttosto che i confini della comunità sono aperti a tutti: anche, e soprattutto, a coloro che sono reciprocamente estranei o che estranei vogliono rimanere”.
(L’inclusione dell’altro, 2013). L’inclusione sociale dei migranti è un punto chiave nell’Agenda ONU 2030. Nell’ambito dell’obiettivo “Ridurre le disuguaglianze all’interno e tra i paesi” e nel suo obiettivo 10.7 “facilitare una migrazione ordinata, sicura, regolare e responsabile e la mobilità delle persone, anche attraverso l’attuazione di politiche migratorie pianificate e ben gestite”, l’Agenda indica un piano per proteggere e responsabilizzare lo sviluppo delle popolazioni mobili e delle comunità di accoglienza, tra gli altri.
Quali sono i valori inclusivi?
Va radicato in valori inclusivi: – equità, – partecipazione, – comunità, – rispetto per le diversità, – sostenibilità.
Cosa si intende per inclusione a scuola?
Cos’è l’inclusione scolastica – Inclusione: l’atto, il fatto di includere, cioè di inserire, di comprendere in una serie, in un tutto. Così la Treccani definisce questo termine che, associato all’aggettivo “scolastica” vuole rappresentare il coinvolgimento di tutti gli studenti e le studentesse all’interno del gruppo classe, coinvolgendoli e valorizzando l’individualità di ognuno.
Qual’è il principio più importante dell’educazione inclusiva?
Cos’è l’educazione inclusiva? – Parlare di educazione per tutti e quindi di educazione inclusiva significa garantire che ogni studente si senta valorizzato e rispettato, e possa godere di un autentico senso di appartenenza. Significa fare ogni sforzo per eliminare tutti i possibili ostacoli all’inclusione: la discriminazione basata sul genere, l’orientamento sessuale, l’etnia, la ricchezza, la disabilità, la lingua, la migrazione, la religione o altri credi.
- Ma anche l’esclusione dovuta alla mancanza di mezzi, alla lontananza dagli edifici scolastici, alla carenza di strumenti tecnologici (durante la pandemia da Covid-19 questo è stato un elemento cruciale ).
- Educazione inclusiva vuol dire anche evitare di stigmatizzare i bambini, appiccicando loro un’etichetta che limita le loro potenzialità.
Significa, soprattutto, considerare la diversità un valore, e comprendere che un approccio diversificato nell’insegnamento può portare benefici a tutti gli studenti.
Qual è il compito del docente nel promuovere l’inclusione?
Quali sono gli obiettivi educativi che un insegnante di sostegno deve perseguire? – Alcuni obiettivi importanti che un insegnante dovrebbe perseguire sono: aiutare gli allievi a crescere come persone, aiutare gli allievi a crescere intellettualmente, ottenere un pieno coinvolgimento negli apprendimenti, ottenere stima e affetto dagli allievi.
Quando si parla di inclusione nella scuola?
Dall’integrazione all’Inclusione Il concetto di inclusione scolastica entra nel dibattito pedagogico italiano negli anni ’90. Successivamente, si concretizza il passaggio da un approccio basato sull’integrazione degli alunni con disabilità a un modello di didattica inclusiva orientato al pieno sviluppo formativo di tutto il gruppo classe.
Il Decreto Inclusione ( decreto legislativo 13 aprile 2017, n.66 ) rappresenta solamente l’ultima tappa di questa rivoluzione educativa che mette al centro il valore della diversità come occasione di crescita per tutti gli alunni. L’ integrazione scolastica può essere letta come l’obiettivo di una strategia didattica per la partecipazione e il coinvolgimento delle persone con disabilità.
Con il termine ” inclusione “, ci si riferisce invece a una strategia finalizzata alla partecipazione e al coinvolgimento di tutti gli studenti, con l’obiettivo di valorizzare al meglio il potenziale di apprendimento dell’intero gruppo classe. È impossibile parlare di inclusione scolastica senza citare uno dei documenti pedagogici e normativi più importanti a livello didattico, ovvero le Linee guida per l’integrazione scolastica degli alunni con disabilità del 2009,
- È con questo documento, infatti, che si gettano le basi per l’utilizzo dell’ICF, una classificazione che non fa distinzione tra abilità e non abilità ma guarda alla singolarità delle situazioni personali.
- Il successivo passaggio normativo è rappresentato dalle ” Nuove norme in materia di disturbi specifici dell’apprendimento (DSA) in ambito scolastico” contenute nella Legge 170/2010.
È con questa legge che si concretizza l’approccio innovativo dell’inclusione scolastica e si definiscono tutti gli strumenti e le metodologie per consentire il pieno sviluppo del processo formativo a partire dalla singolarità e complessità di ogni persona.
- Al centro di questa strategia, vengono così inserite la personalizzazione e l’ individualizzazione dell’offerta didattica.
- Nel 2012, la necessità di dare sempre più centralità agli studenti ha portato il MIUR a redigere una specifica Direttiva Ministeriale intitolata ” Strumenti di intervento per alunni con Bisogni Educativi Speciali (BES) e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica “, in cui si riconosce la possibilità che un alunno presenti esigenze didattiche particolari anche in assenza di DSA.
Di conseguenza, si organizzano criteri didattici inclusivi per tutti quegli studenti che presentano difficoltà dovute a cause socio-ambientali, culturali o familiari. Questo passaggio ha rappresentato sicuramente una rivoluzione culturale per l’istituzione scolastica, soprattutto per il potenziamento della cultura dell’inclusione che ne consegue.
Il Decreto inclusione rappresenta l’ultima tappa, in ordine di tempo, del percorso verso la realizzazione dell’inclusione scolastica. La sua prima stesura è del 2017, modificata poi nel 2019. Con questo decreto, il governo ha introdotto importanti modifiche, consolidando e approfondendo la scelta per la personalizzazione della didattica.
Tra le altre cose, viene dato maggior peso al ruolo delle famiglie, si creano i Gruppi di Inclusione Territoriale e i Gruppi di lavoro operativi per l’inclusione, Il nucleo della riforma è sicuramente concentrato nei Piani Educativi Individualizzati (PEI), che vengono così ad essere gli strumenti fondamentali con cui il consiglio di classe è tenuto a disegnare un piano didattico specifico per ogni alunno disabile.
La scuola, quindi, è chiamata a generare protocolli metodologici e a elaborare congegni riflessivi che permettano agli alunni di diventare attori consapevoli del proprio apprendimento e del proprio futuro. Concetti teorici ed implicazioni pragmatiche trovano così la propria espressione nell’articolazione del nuovo PEI (decreto interministeriale 29 dicembre 2020, n.182) come strumento per una migliore cultura inclusiva di tutti gli attori del mondo scolastico.
Una “scuola per tutti” è un obiettivo da concretizzarsi attraverso la flessibilità del gruppo classe, la collegialità di ogni iniziativa di integrazione e la massima individualizzazione delle proposte sia educative che didattiche. Gli strumenti che il piano per l’inclusione del nostro Istituto prevede di adottare sono:
l’elaborazione di PDP per alunni con difficoltà certificate; l’elaborazione di PDP per alunni le cui difficoltà siano evidentemente diagnosticate, e per i quali, concordemente con la famiglia, il Consiglio di Classe/team docenti reputi necessario adottare strumenti specifici; interventi didattici specifici relativi all’apprendimento della lingua per alunni con cittadinanza non italiana e, solo nel caso in cui siano evidenziate problematiche di altro tipo, la formalizzazione di un PDP; presenza dei GLO, Gruppi Lavoro Operativi presenza di un gruppo di lavoro per l’inclusività (GLI) che svolga funzione di raccordo di tutte le risorse specifiche e di coordinamento presenti nella scuola. Elaborazione del Piano Annuale per l’Inclusione PAI Salgareda 2021-22