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Che Cosa Tutela L Articolo 583 Quinquies Del Codice Penale?

Che Cosa Tutela L Articolo 583 Quinquies Del Codice Penale?
583-quinquies ( Deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso ). – Chiunque cagiona ad alcuno lesione personale dalla quale derivano la deformazione o lo sfregio permanente del viso e’ punito con la reclusione da otto a quattordici anni.

Cosa definisce l’articolo 583 del codice penale?

Art.583 – Circostanze aggravanti Aggiornato al 1 gennaio 2020 Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.

Cass. pen.n.4177/2015 In tema di lesioni personali, anche una menomazione minima, purché apprezzabile, di un organo integra l’aggravante di cui all’art.583, comma primo, n.2, cod. pen. (Fattispecie in cui la S.C. ha ritenuto sussistente l’aggravante in questione nella avulsione traumatica di un incisivo superiore riportata dalla persona offesa).

Cass. pen.n.32984/2014 In tema di lesioni gravissime, integra lo sfregio permanente qualsiasi nocumento che, senza determinare la più grave conseguenza della deformazione, importi un turbamento irreversibile dell’armonia e dell’euritmia delle linee del viso, con effetto sgradevole o d’ilarità, anche se non di ripugnanza, secondo un osservatore comune, di gusto normale e di media sensibilità.

In applicazione del principio,la S.C. ha ritenuto corretta la sentenza impugnata che aveva ravvisato l’aggravante in questione avendo riguardo ad una cicatrice profonda, lunga 10 cm. e tracciata sulla parte visibile del volto, dalla base del collo fino alla regione mandibolare). Cass. pen.n.34012/2013 Sussiste la circostanza aggravante dell’indebolimento permanente di un organo qualora, in conseguenza del fatto lesivo, esso risulti menomato nella sua potenzialità funzionale, la quale sia ridotta rispetto allo stato anteriore, a nulla rilevando il fatto del minore o maggiore grado di menomazione.

(Fattispecie di riduzione permanente del flusso aereo di una narice a seguito di lesioni al cranio e al volto). Cass. pen.n.27986/2013 In tema di lesioni personali, anche una menomazione minima, purché apprezzabile di un organo integra l’aggravante di cui all’art.583, comma primo, n.2, c.p.

Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto sussistente l’aggravante in presenza di plurime fratture dentarie da cui era derivato un indebolimento permanente dell’organo della masticazione). Cass. pen.n.32687/2009 La lesione personale deve considerarsi grave se l’incapacità ad attendere alle ordinarie occupazioni perduri oltre il quarantesimo giorno, ivi compreso il periodo di convalescenza o quello di riposo dipendente dalla malattia.

Cass. pen.n.31134/2007 In tema di lesioni aggravate, il pericolo di vita di cui all’art.583, comma primo, n.1, c.p. — e cioè la probabilità che la morte si verifichi in un momento qualunque del corso del processo morboso — deve essere desunto secondo l’id quod plerumque accidit dai vari sintomi che accompagnano la malattia, alla luce del perturbamento prodottosi nelle fondamentali funzioni organiche del soggetto; ne deriva che, in linea di principio, l’attestazione di prognosi riservata non si identifica col pericolo di vita, sicché ove, in relazione al contenuto effettivo della certificazione, non siano espletati i dovuti accertamenti, non sussistono i presupposti per l’applicazione dell’aggravante di cui all’art.583, comma primo, n.1, c.p.

Cass. pen.n.4113/1997 In materia di lesioni personali va affermato che, per la sussistenza dello sfregio permanente, non è richiesto un ripugnante sfiguramento o una sensibile modificazione delle sembianze, ma è sufficiente che ricorra una apprezzabile alterazione dei lineamenti del viso con effetto sgradevole se non proprio ripugnante.

(Nella fattispecie, cicatrice verticale sul dorso del naso lunga 5 cm). Cass. pen.n.1067/1996 L’aggravante dell’indebolimento permanente non ha carattere progressivo rispetto a quella relativa alla durata della malattia, potendo dalle lesioni derivare una malattia per un tempo inferiore ai quaranta giorni e comunque l’indebolimento permanente di un senso o di un organo.

Pertanto, ritenere l’una, non contestata, in luogo dell’altra, contestata, implica mancanza di correlazione tra accusa e sentenza. (Nella fattispecie, era stata ritenuta l’aggravante di cui all’art.583, comma primo, n.1, c.p., la quale non era stata contestata, mentre era esclusa la circostanza dell’indebolimento permanente, contestata, perché considerata durata della malattia superiore ai quaranta giorni).

Cass. pen.n.4130/1994 In tema di lesioni personali, la perdita dell’uso (art.583, comma 2, n.2, c.p.) per gli organi a costituenti plurimi o a funzione similare si verifica solo quando tutti gli elementi che li compongono siano perduti, mentre la perdita di una sola parte comporta effetti che variano dall’irrilevanza all’indebolimento permanente (art.583, comma 1, n.2, c.p.).

  1. Pertanto, la perdita di un occhio, risolvendosi nella perdita di un organo geminato (esempio rene, testicolo), configura l’aggravante dell’indebolimento permanente e non quella della perdita dell’uso di organo. Cass.
  2. Pen.n.9903/1993 In tema di lesioni volontarie, l’indebolimento permanente della funzione visiva non è escluso dal fatto che l’occhio abbia riacquistato completa efficienza grazie all’applicazione d’una protesi (cristallino artificiale), poiché la permanenza dell’indebolimento va riferito alla normale funzione dell’organo, prescindendo dall’uso coadiuvante di mezzi artificiali.

Cass. pen.n.11213/1992 In tema di applicazione di sanzioni sostitutive su richiesta dell’imputato, per effetto dell’art.60 della L.24 novembre 1981, n.689, è inapplicabile la sanzione sostitutiva per il reato di cui all’art.590 c.p. – commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o all’igiene del lavoro – che abbia determinato le conseguenze previste dal primo comma n.2 dell’art.583 c.p.

Cass. pen.n.8704/1992 L’omessa specificazione nel capo di imputazione del grado di indebolimento di un senso o di un organo — nella specie dell’udito — riguardando un elemento non essenziale della circostanza aggravante addebitata all’imputato, non è tale da determinare un’incertezza assoluta sui fatti contestati e quindi la nullità del decreto di citazione.

Cass. pen.n.3952/1992 Nel reato di lesioni volontarie la previsione o la prevedibilità dell’evento integrante una delle circostanze aggravanti di cui all’art.583 c.p. (e, conseguentemente, la valutabilità della stessa a carico dell’agente, ai sensi del disposto dell’art.59, secondo comma, c.p.), deve ritenersi sussistere quando la condotta dell’agente (qualità del mezzo adoperato, direzione, violenza, reiterazione dei colpi) di per sé riveli l’intenzione di arrecare notevole danno.

Nel caso in cui la condotta non assuma i caratteri di cui sopra, la valutazione della prevedibilità deve essere fatta da caso a caso, e, quando all’esito grave o gravissimo concorrano particolari condizioni fisiche o di salute della persona offesa, occorre tener conto, oltre che della situazione «apparente» che riveli le particolari condizioni di cui sopra, di quella prevedibile in relazione all’età, al sesso e a quant’altro nel caso specifico possa ragionevolmente essere preso in considerazione ai fini di cui sopra.

Cass. pen.n.10644/1991 La totale perdita della milza costituisce non già indebolimento del sistema reticolo-endoteliare, ma perdita dell’uso di un organo, che integra l’ipotesi di lesione gravissima prevista dall’art.583, secondo comma, n.2, c.p., e ciò perché le numerose funzioni cui assolve la milza, sebbene tutte perfettamente compensabili, non possono tuttavia ritenersi propriamente vicariate, nella loro entità globale, da singole attività svolte separatamente da organi diversi.

  • Cass. pen.n.2782/1990 Ai fini della configurabilità del delitto di lesioni gravi, non ha rilievo che l’organo già fosse menomato, purché si verifichi un ulteriore aggravamento, che ne compromette maggiormente la funzionalità. Cass.
  • Pen.n.4049/1989 In tema di lesioni personali, ai fini dell’integrazione dell’aggravante ex art.583, primo comma, n.2 del c.p., il concetto di «apprezzabilità» del danno permanente, sia esso organico che funzionale, va definito essenzialmente sotto l’aspetto negativo, nel senso che «non apprezzabile» deve ritenersi l’indebolimento (dell’organo o della funzione) tanto lieve che non si riesca né a percepirlo né a oggettivamente (strumentalmente) valutarlo, nella irrilevanza, ai fini della sussistenza dell’aggravante, del maggiore o minore grado di indebolimento.

Pertanto, il concetto di danno penalmente apprezzabile non si identifica con quello di danno indennizzabile, siccome previsto e disciplinato dalla normativa previdenziale in materia di infortuni sul lavoro e malattie professionali, la quale (normativa) fissa limiti (alla rilevanza del danno e alla sua indennizzabilità) in relazione sia alla quantificazione della (diminuita) capacità di guadagno, sia alle deficienze finanziarie dell’ente erogatore, le quali, a loro volta, trovano riscontro nella misura delle contribuzioni versate dai soggetti assicurati e dagli altri a ciò tenuti, per contratto o per legge.

Ne consegue che nell’individuazione dei criteri referenti il concetto di apprezzabilità del danno permanente, ex art.583, comma primo, n.2, del c.p., rimane estranea qualsiasi nozione civilistico-previdenziale concernente i limiti di rilevanza, valutabilità ed indennizzabilità. (Fattispecie di operai addetti a uno stabilimento di imbottigliamento di bevande, le cui catene di lavorazione producevano elevata rumorosità, ritenuta fattore eziologico di otopatia da traumatismo riscontrato su numerosi addetti; l’abbassamento del senso dell’udito era stato fissato, per alcuni, in misura aggirantesi sul 4/5 per cento.

Poiché la normativa in materia previdenziale prevede, per il caso di otopatia professionale (art.74 D.P.R.30 giugno 1965, n.1124), la soglia di indennizzabilità in valori superiori al 10 per cento (di abbassamento uditivo), si sosteneva, a censura della decisione di merito, che al di sotto di tale limite il danno permanente da otopatia non sarebbe stato (penalmente) apprezzabile e quindi idoneo ad integrare l’aggravante contestata.

  1. La corte ha ritenuto corretto, invece, il giudizio di merito esprimendo la massima come sopra enucleata). Cass.
  2. Pen.n.9933/1988 In tema di malattie professionali, la contrazione della malattia denominata silicosi, ritenuta sicuramente sclerogena in conseguenza alla prolungata esposizione in ambiente di lavoro inquinato da polveri aereodiffuse contenenti particelle di quarzo, comportando una grave compromissione degli organi deputati alla funzione respiratoria, integra l’aggravante dell’indebolimento permanente di un senso o di un organo (di cui all’art.583, primo comma, n.2, c.p.).

Cass. pen.n.5807/1988 Ai fini della contestazione delle circostanze aggravanti, mentre non è indispensabile l’indicazione delle relative disposizioni di legge, è necessario che nella formulazione dell’imputazione siano riportati gli estremi di fatto che costituiscono gli elementi circostanziali di aggravamento della fattispecie a struttura semplice, in vista della esigenza di una completa informazione dell’imputato, onde questi sia posto nella condizione di esercitare il suo diritto di difesa con riferimento ad un ben determinato campo di contestazioni e di accuse e per evitare che sia esposto alla possibilità di vedersi giudicare e condannare per un fatto del quale non abbia avuto preventiva integrale conoscenza.

Alla carenza fattuale della contestazione non possono supplire né le specificazioni normative, tanto più quando non siano specificamente riferibili all’elemento circostanziale che si assume dedotto in contestazione, né la comunicazione al difensore del deposito in cancelleria della relazione di perizia medico legale, in quanto la contestazione dei dati obiettivi posti a base dell’accusa è atto riservato all’organo giudiziario ed è destinato alla persona a cui l’addebito è mosso e non al suo difensore.

(Fattispecie in tema di reato contro la vita e l’integrità fisica). Cass. pen.n.7425/1987 La disposizione contemplante la procurata impotenza alla procreazione non era speciale rispetto a quella di cui all’art.583, capoverso, n.3, c.p. Ne consegue che, dopo l’abrogazione, ad opera dell’art.22 della L.22 maggio 1978, n.194, dell’art.552 c.p., l’illiceità penale della sterilizzazione volontaria (cosiddetta vasectomia) è venuta definitivamente meno né può essere affermata con riferimento al reato di lesioni gravissime non scriminabili dal consenso dell’avente diritto.

Cass. pen.n.5087/1987 Qualora a seguito di un’aggressione, la vittima riporti una alterazione psicopatica che è in rapporto diretto di causalità con la condotta dell’agente, questi risponde di lesioni personali aggravate se la malattia derivata da esse presenta un carattere insanabile, a nulla rilevando i preesistenti stati patologici della vittima, allorché sia accertato che il trauma ad essa inferto abbia posto in luce tale preesistente patologia.

In tale ipotesi non può dirsi che l’azione criminosa sia solo occasione delle gravi conseguenze manifestatesi, ma deve ritenersene sicuro il contributo causale. Cass. pen.n.5696/1986 La norma di cui all’art.583 c.p., non delinea un’autonoma figura di delitto, ma prevede delle semplici circostanze in quanto le ipotesi prese in considerazione non implicano una modificazione dell’essenza del reato di lesioni personali, ma costituiscono soltanto delle particolarità e, più precisamente, dei risultati che si aggiungono ad esso, determinandone una maggiore gravità.

Ne consegue che gli elementi previsti in questa norma vanno soggetti al giudizio di comparazione previsto dal vigente art.69 c.p., con l’ulteriore effetto, nel caso della sua equivalenza, di ritenere il reato, non solo ai fini della determinazione della pena, ma anche ai fini della prescrizione, come reato di lesioni semplici Cass.

pen.n.5809/1984 L’ipotesi alternativa della malattia o dell’incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore ai quaranta giorni, prevista dal n.1 dell’art.583 c.p. come idonea a far qualificare come grave la lesione personale è configurabile anche nel caso in cui il limite temporale suddetto sia superato da una sola delle due previsioni e non anche dall’altra.

Cass. pen.n.10903/1981 Lo sfregio permanente, contemplato nella seconda ipotesi del n.4 del comma secondo dell’art.583 c.p., è un qualsiasi nocumento che, senza determinare la più grave conseguenza della deformazione, importi un turbamento irreversibile dell’armonia e dell’euritmia delle linee del viso, per tale intendendosi quella parte del corpo che va dalla fronte all’estremità del mento e dall’uno all’altro orecchio.

Ne deriva che, se pure non ogni alterazione della fisionomia del viso costituisce sfregio, sono certamente tali quelle alterazioni che ne turbino l’armonia con effetto sgradevole o d’ilarità, anche se non di ripugnanza; il tutto rapportato ad un osservatore comune, di gusto normale e di media sensibilità.

Cass. pen.n.9229/1981 Agli effetti dell’aggravante prevista dall’art.583 n.1 c.p., non è richiesta l’incapacità assoluta di attendere alle ordinarie occupazioni, essendo sufficiente anche un’incapacità relativa e, cioè, che la persona offesa non possa attendere alle sue occupazioni senza uno sforzo inconsueto o senza pregiudizio dell’abituale tenore di vita.

Cass. pen.n.6721/1981 L’incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni va intesa in relazione ad ogni impiego della propria energia psico-fisica o della propria persona per un determinato scopo utile, lecito e giuridicamente apprezzabile, che, prima del fatto lesivo, caratterizzava l’abituale tenore di vita della parte offesa.

Cass. pen.n.6821/1976 In tema di lesione gravissima deve considerarsi perdita di un arto non solo la asportazione di esso, ma anche l’impossibilità assoluta di usarlo secondo la sua normale funzionalità. Cass. pen.n.138/1971 Per «viso» si intende la parte anteriore del capo compresa tra l’impianto frontale dei capelli e la estremità del mento, parte che interessa maggiormente la venustà della persona.

Non può tuttavia prescindersi — per accertare la sussistenza o meno della alterazione dell’«estetica» del viso nella quale si sostanzia la ratio della aggravante prevista dall’art.583 comma secondo n.4 c.p. — dal considerare anche quelle immediate zone di «contorno» che necessariamente contribuiscono alla formazione ed al completamento di detta estetica, come la regione sottomandibolare e quella latero-superiore del collo.

Che cosa punisce il reato di deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso?

Lo sfregio permanente al viso dopo il c.d. Codice rosso: una prima applicazione dell’art.583 quinquies c.p. (G.U.P. Parma, sent.n.786 del 7 dicembre 2021, giud. Agostini). – Rivista Penale Diritto e Procedura Sommario: 1. Il fatto – 2. La fattispecie di sfregio permanente.

  • 3. L’art.583 quinquies c.p.
  • È una fattispecie autonoma di reato. – 4.
  • Il rigetto della questione di legittimità costituzionale dell’art.583 quinquies c.p. – 5.
  • Alcuni rilievi critici.
  • Abstract: Il contributo dedica alcune riflessioni parzialmente critiche a una delle prime pronunce di merito, in cui ha trovato applicazione l’art.583 quinquies c.p.

L’ iter giudiziario si conclude in primo grado con la condanna dell’imputato, al quale si contestava – tra gli altri capi di imputazione – di aver provocato lo sfregio permanente al volto della vittima. Con la sentenza in commento si conferma che l’interpretazione giurisprudenziale della distinzione tra sfregio permanente e deformazione non ha subito modificazioni di rilievo in seguito all’entrata in vigore del c.d.

  • Codice rosso.
  • Inoltre, il G.U.P.
  • Del Tribunale di Parma afferma chiaramente che l’art.583 quinquies c.p.
  • Costituisce una nuova figura criminosa autonoma.
  • Infine, le statuizioni inserite dal giudicante nella pronuncia, in merito al rigetto della questione di legittimità costituzionale dell’art.583 quinquies c.p., sollevata dalla Difesa nel corso del giudizio, consentono all’autore del commento di avanzare alcune considerazioni parzialmente diverse rispetto a quelle proposte dal Giudice, con riferimento ai profili dell’aumento sanzionatorio e alla previsione della pena interdittiva perpetua.

The paper proposes some partially critical reflections to one of the first decision about art.583 quinquies Criminal Code. The judicial process ends with the conviction of the accused, who was challenged – among other charges – for having caused the permanent scarring of the victim’s face.

  1. The sentence confirms the traditional jurisprudential interpretation on the distinction between permanent scarring and deformation, even after the entry into force of the so-called “Codice rosso”.
  2. Furthermore, the judge clearly states that art.583 Criminal Code is a new autonomous crime.
  3. Finally, the part of the sentence regarding the rejection of the question of constitutional legitimacy of art.583 Criminal Code (issue raised by the Defense during the trial) allow the author of the comment to propose some considerations that are partially different from those proposed by the judge.

Il 9 maggio 2021 l’imputato incontra la vittima in un parco per venderle dell’hashish. Ne nasce una discussione al termine della quale la vittima tenta di fuggire. Quest’ultima viene inseguita con un monopattino dall’imputato, che impugna un grosso coltello.

Una volta raggiunta la vittima, l’imputato la colpisce prima al braccio destro poi alla parte sinistra del corpo, in particolare al braccio, alla spalla, alla coscia e alla caviglia, riportando ferite multiple da taglio guaribili in trenta giorni. Infine, l’imputato sferra un ultimo colpo alla guancia sinistra della vittima, ormai a terra, provocandole una ferita lacerocontusa, che lascerà esiti cicatriziali permanenti.

Successivamente, grazie all’intervento di terzi, l’imputato viene spinto ad allontanarsi. Richiesto e ammesso il giudizio abbreviato, ai sensi dell’art.438 c.p.p. e ss., la Difesa dell’imputato eccepisce l’illegittimità costituzionale dell’art.583 quinquies c.p.

  1. Tuttavia, la questione viene rigettata dal G.U.P.
  2. Del Tribunale di Parma perché manifestamente infondata ai sensi dell’art.23, l.11 marzo 1953, n.87.
  3. All’esito del procedimento, il Giudice, con la sentenza n.786 del 7 dicembre 2021, condanna l’imputato per il reato di cui agli artt.582 e 585 c.p.; per il reato di cui agli artt.583 quinquies e 585 c.p.

e per la violazione dell’art.4, della l.n.110/1975. A ciò si aggiunge la condanna all’interdizione in perpetuo da qualsiasi ufficio attinente alla tutela, alla curatela e all’amministrazione di sostegno e all’interdizione per cinque anni dai pubblici uffici.

La fattispecie di sfregio permanente.

L’art.583 quinquies c.p. punisce con la reclusione da 8 a 14 anni colui che cagiona ad alcuno una lesione personale dalla quale derivano la deformazione o lo sfregio permanente al viso. Mentre il Codice Rocco annoverava tale ipotesi tra le circostanze aggravanti del delitto di lesioni personali, la legge 19 luglio 2019, n.69, pubblicata nella Gazzetta ufficiale n.173 del 25 luglio 2019, recante «Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere», il c.d.

Codice rosso, ha trasformato la deformazione e lo sfregio permanente al viso in un titolo autonomo di reato, con un proprio trattamento sanzionatorio. Nel caso in esame, alla luce della valutazione del compendio probatorio, il Giudice rileva che l’evento lesivo ha determinato lo sfregio permanente della persona offesa.

Infatti, i segni di sutura sono particolarmente visibili; la guancia sinistra presenta un affossamento ben visibile in corrispondenza della cicatrice; tale traccia è decisamente appariscente in quanto collocata al centro del volto tra la mandibola e l’orbita; il segno è stato cagionato da una lama e non potrà mai scomparire in modo completo.

  • Ad avviso del Giudice, la ferita è dunque permanente ai sensi dell’art.583 quinquies c.p.
  • Infatti, l’imputato ha provocato alla vittima un «turbamento irreversibile dell’armonia e delle linee del viso, interrotte dalle linee dei punti di sutura che le intersecano in orizzontale in modo innaturale».
  • In linea con quanto previsto dalla giurisprudenza, il Giudice conferma che nella valutazione del carattere permanente della ferita appare irrilevante la possibilità di eliminazione o di attenuazione del danno fisionomico attraverso il ricorso a trattamenti di chirurgia estetica.

Non rileva, infatti, la possibilità di eliminazione o di attenuazione del danno fisionomico mediante speciali trattamenti di chirurgia facciale. Nel caso in esame, l’imputato ha provocato «uno sfregio permanente, perché senza determinare la più grave conseguenza della deformazione, la lesione al volto comportò un’apprezzabile alterazione, tale da incidere, sia pure in misura contenuta, sulla funzione estetico-fisiognomica, sull’armonia e sull’euritmia delle linee del viso, nonché da comportare un effetto sgradevole, anche se non al punto da ingenerare un senso di ripugnanza, secondo un osservatore comune, di gusto normale e di media sensibilità».

Dunque, il Giudice conferma la giurisprudenza che identifica un gradiente progressivo di lesività della condotta illecita che procede dallo sfregio permanente alla deformazione, distinguendo le due ipotesi. Infatti, già in epoca precedente all’introduzione del c.d. Codice rosso, con riferimento all’aggravante della deformazione, ovvero dello sfregio permanente del viso, la giurisprudenza aveva affermato che per deformazione si deve intendere un’alterazione anatomica del viso, che ne alteri profondamente la simmetria tanto da causarne uno sfiguramento ridicolizzante e sgradevole.

Rientrano nella nozione di deformazione, ad esempio, la mutilazione delle narici o la paresi facciale. Invece, lo sfregio permanente è inteso come un qualsiasi nocumento che non venga a determinare la più grave conseguenza della deformazione, ma che importa un turbamento irreversibile dell’armonia e dell’euritmia delle linee del viso.

In particolare, integra lo sfregio permanente qualsiasi segno idoneo ad alterare la fisionomia della persona, ancorché di dimensioni contenute, rispetto ai tratti naturali dei lineamenti, escludendone l’armonia con effetto sgradevole o di ilarità, anche se non di ripugnanza, e compromettendone l’immagine in senso estetico.

L’interpretazione della giurisprudenza non ha subito modificazioni di rilievo in seguito alla trasformazione della fattispecie da circostanza aggravante a titolo autonomo di reato, perché la struttura letterale della norma è rimasta invariata.

L’art.583 quinquies c.p. è una fattispecie autonoma di reato.

Nel caso di specie, il Giudice afferma chiaramente che l’art.583 quinquies c.p. costituisce una nuova figura criminosa autonoma. Come anticipato, nella formulazione originaria del Codice penale, la deformazione e lo sfregio permanente del viso erano puniti ai sensi dell’art.583, co.2, n.4 c.p.

  • In passato un orientamento, invero minoritario, identificava, all’interno dell’art.583 c.p., una pluralità di fattispecie autonome di reato, escludendo qualsiasi rapporto di specie a genere tra l’ipotesi di deformazione e sfregio, da una parte, e la fattispecie di lesioni personali, dall’altra.
  • Secondo l’orientamento maggioritario, invece, l’art.583 c.p.

annoverava una serie di circostanze aggravanti della fattispecie di lesioni personali, avuto riguardo alla rubrica, alla presenza di elementi specializzati rispetto all’ipotesi base delle lesioni personali e al testo dell’art.582 c.p. che rinvia alle circostanze aggravanti di cui all’art.583 c.p.

Con l’entrata in vigore del c.d. Codice rosso, il Legislatore ha introdotto una fattispecie autonoma di reato, per quanto attiene alla specifica ipotesi della deformazione e sfregio permanente al viso. Infatti, la circostanza aggravante prima prevista all’art.583, co.2, n.4 c.p. muta, divenendo un’autonoma figura criminosa che punisce con la reclusione da 8 a 14 anni colui che cagiona ad alcuno una lesione personale dalla quale derivano la deformazione o lo sfregio permanente al viso.

Il nuovo titolo autonomo delittuoso prevede un proprio trattamento sanzionatorio costituito dall’applicazione di una pena principale, di una pena accessoria perpetua ed eventualmente di circostanze aggravanti (art.585, co.1, c.p. e art.576, co.1, n.5 c.p.).

  • Alla luce dei principi generali del diritto penale, la fattispecie viene sottratta, quindi, al giudizio di bilanciamento, di cui all’art.69 c.p., con eventuali circostanze attenuanti.
  • Infatti, la conseguenza di maggiore novità che discende dalla trasformazione della circostanza aggravante in reato autonomo è il fatto che si sottrae la fattispecie in parola al giudizio di bilanciamento delle circostanze.
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Mentre in passato il regime sanzionatorio previsto per le lesioni aggravate dall’aver cagionato una deformazione o uno sfregio permanente del viso poteva essere contemperato dalla sussistenza di circostanze attenuanti, attualmente risulta inapplicabile l’ipotesi di bilanciamento, determinandosi così un irrigidimento sul piano sanzionatorio.

Dunque, nel caso di specie, il reato in questione concorre con quello di lesioni in quanto le ulteriori ferite arrecate alla persona offesa riguardano distretti corporei diversi dal volto, ossia zone prive del peculiare disvalore tipico della fattispecie di cui all’art.583 quinquies c.p. Tra l’altro, nel caso concreto viene riconosciuta anche la sussistenza dell’aggravante di cui all’art.585 c.p.

per entrambi i reati di cui agli artt.583 quinquies e 582 c.p., in quanto i delitti furono commessi con uno strumento atto a offendere. Tuttavia, nel caso di specie, il Giudice ha riconosciuto le attenuanti generiche e le ha ritenute prevalenti sulle aggravanti.

Il rigetto della questione di legittimità costituzionale dell’art.583 quinquies c.p.

Nella sentenza il Giudice afferma che durante il procedimento è stata proposta dalla Difesa la questione di legittimità costituzionale dell’art.583 quinquies c.p., per violazione degli art.3 e 27, co.3, Cost., sotto i profili dell’aumento sanzionatorio introdotto dal c.d.

  • Codice rosso, della previsione dell’interdizione perpetua come pena accessoria e dell’inserimento della fattispecie nel novero dei reati menzionati dal comma 1 quinquies dell’art.4 bis della legge n.354/1975.
  • Tuttavia, il Giudice rigetta la questione perché manifestamente infondata ex art.23, l.n.87/1953.

Con riferimento alla prima questione, in linea con quanto previsto dalla giurisprudenza costituzionale a partire dalla sentenza n.236/2016 e confermato dalla sentenza n.40/2019, la Difesa invoca la violazione dell’art.3 Cost. Il Giudice, dopo aver esplicitamente dimostrato di avere contezza delle voci critiche sollevate in dottrina dall’art.583 quinquies c.p., a cui probabilmente la Difesa si è ispirata nell’eccepire l’illegittimità costituzionale della fattispecie in parola, afferma che la sanzione prevista dall’art.583 quinquies c.p.

non appare viziata da irragionevolezza intrinseca per mancanza di proporzionalità rispetto alle condotte ad esso riconducibili. Infatti, ad avviso del Giudice, il Legislatore del Codice rosso, nell’ambito della sua discrezionalità, ha non solo mutato la fattispecie aggravata nel reato autonomo di cui all’art.583 quinquies c.p., ma anche ne ha incrementato i limiti edittali al fine di punire in modo più severo una condotta di particolare disvalore come quella lesiva dell’estetica del volto della vittima.

Infatti, tale condotta non lederebbe solo la sua integrità fisica ma andrebbe oltre, aggredendo la sua individuale personalità e la sua dignità come persona. La condotta lesiva, dunque, inciderebbe sull’immagine della vittima, che rappresenta un veicolo essenziale nei rapporti interpersonali.

  1. Con riferimento alla seconda questione, ad avviso del Giudice, il Legislatore del 2019 – sempre nella propria discrezionalità legislativa – ha introdotto l’art.583 quinquies, co.2, c.p.
  2. Che prevede l’interdizione perpetua da qualsiasi ufficio connesso alla tutela dei soggetti deboli.
  3. A tal proposito, il G.U.P.

del Tribunale di Parma afferma che tale pena accessoria è a tutela dei soggetti deboli, che potrebbero essere influenzati negativamente da tali rei. Infatti, la tutela, la curatela e l’amministrazione di sostegno sarebbero uffici di notevole delicatezza, che possono essere conferiti solo a individui di comprovata serietà morale.

  1. Inoltre, il carattere perpetuo della pena non apparirebbe incompatibile di per sé con l’art.27 Cost.
  2. In quanto la perpetuità consentirebbe di isolare a tempo indeterminato i criminali che abbiano dimostrato una particolare pericolosità ed efferatezza, al pari di quanto avverrebbe per l’art.609 nonies, n.2, c.p.

e in tutte le ipotesi di cui al combinato disposto di cui agli art.28, n.3, e 29 c.p. Infine, con riferimento all’art.4 bis, co.1 quinquies, della l.n.354/1975, il Giudice ritiene che tale normativa non sia suscettibile di trovare applicazione nel giudizio di merito.

Se è vero che in dottrina si è paventata l’illegittimità costituzionale dell’art.583 quinquies c.p. per violazione degli artt.3 e 27, co.3, Cost, sotto il profilo dell’inserimento della fattispecie al comma 1 quinquies dell’art.4 bis della l.26 luglio 1975, n.354, tuttavia, non si può negare che nel caso di specie tale disposizione non avrebbe comunque trovato applicazione nel giudizio di merito, ma solo eventualmente nella fase di esecuzione della pena.

Dunque, il Giudice ha condivisibilmente rigettato la questione. Con riferimento all’aumento sanzionatorio, sin dall’entrata in vigore dell’art.583 quinquies c.p., in dottrina sono stati sollevati dubbi sulla legittimità costituzionale della disposizione per violazione dell’art.3 Cost., così come individuato dalla Corte costituzionale nelle sentenze nn.236/2016 e 40/2019.

Sul punto, con la sentenza n.236/2016, in tema di alterazione di stato, di cui all’art.567, co.2, c.p., la Corte costituzionale ha abbandonato il tradizionale requisito del tertium comparationis, che fino a un recente passato condizionava l’ammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale inerenti all’art.3 Cost.

Sul tema del principio di proporzionalità sanzionatoria si è pronunciata in termini non dissimili la stessa Corte costituzionale nella più recente sentenza n.40/2019, in materia di traffico di sostanze stupefacenti. Da ciò si evince che, nel caso di specie, non è condivisibile la posizione del Pubblico Ministero che aveva chiesto che la questione venisse dichiarata inammissibile o manifestamente infondata evidenziando che il parametro dell’uguaglianza sotteso all’art.3 della Costituzione richiederebbe un tertium comparationis non rinvenibile né indicato dal difensore.

Ad ogni modo, nonostante i dubbi espressi dalla Difesa, che richiama in sostanza i temi già espressi in dottrina, il Giudice conferma che il severo trattamento sanzionatorio riservato alle ipotesi di deformazione e sfregio permanente al viso sarebbe la conseguenza del maggior disvalore dell’evento e della notevole gravità delle conseguenze subite dalla vittima.

Se da un lato, la scelta dell’aumento sanzionatorio costituirebbe una decisione frutto dell’esercizio discrezionale del potere legislativo, dall’altro, il Giudice pare non prendere sufficientemente in considerazione il fatto che la scelta di cosa e come punire spetta sì al Legislatore, ma quest’ultimo incontra un limite nella Costituzione, in particolare nei principi di ragionevolezza e di proporzione, così come interpretati dalle richiamate sentenze della Corte costituzionale.

Con riferimento alla pena accessoria, sembrano potersi avanzare considerazioni parzialmente diverse rispetto a quelle proposte dal G.U.P. del Tribunale di Parma. Se da un lato, è condivisibile affermare che la pena accessoria dell’interdizione perpetua del condannato da qualsiasi ufficio attinente alla tutela, alla curatela e alla amministrazione di sostegno assolve il fine di allontanare il condannato dal bene giuridico che ha leso, dall’altro, può apparire non conforme alla Costituzione il carattere perpetuo della pena prevista.

Sembrerebbe emergere, a parere di chi scrive, un contrasto con il principio di proporzione e di rieducazione del reo, alla luce della dottrina penale sul punto e, soprattutto, della posizione – in via di consolidamento – della Corte costituzionale sul tema.

Ciò è confermato anche nella Relazione sulla “Legge 19 Luglio 2019, n.69, Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale a altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere”, pubblicata dalla Corte di cassazione – Ufficio del Massimario e del Ruolo, il 27 ottobre 2019, in cui si afferma che «in tale ottica», cioè di maggior rigore sanzionatorio, «deve altresì leggersi la disposizione in tema di pena accessoria, non senza rilevare che di recente la Corte costituzionale, con la sentenza n.222 del 2018, ha formulato rilievi fortemente critici nei confronti delle pene accessorie perpetue».

La pena fissa – e a fortiori quella perpetua – stride con il principio di ragionevolezza (art.3, co.1, Cost.) rispetto al fatto commesso perché essa parifica irrazionalmente tutti i fatti di reato e tutti i soggetti che li hanno commessi, non consentendo di distinguere situazioni diverse.

Dal vulnus appena menzionato deriva la conseguente violazione dell’art.27, co.3, Cost. in quanto l’impossibilità di commisurare la pena in base al disvalore del fatto commesso non consente di individualizzare la pena per ciascun reo. Dunque, ciò stride, in conclusione, anche con la finalità rieducativa della pena, in quanto quest’ultima non si pone come base per un percorso rieducativo del condannato.

A tal proposito, il sindacato sulla pena fissa non necessita di una valutazione sistematica ma mira a rendere manifesta l’irragionevolezza intrinseca della norma, proprio con riferimento alla fissità e ( a fortiori ) la perpetuità della pena. La stessa Corte costituzionale, con la sentenza n.50/1980 aveva già affermato che le pene fisse sono indiziate di essere in contrasto con i principi costituzionali sulla pena, salvo che sia accertata nel caso concreto la proporzione della pena fissa in relazione a tutte le ipotesi fattuali riconducibili alla norma incriminatrice.

Più di recente, la Corte costituzionale con la sentenza n.222/2018, con riferimento alla pena accessoria della durata fissa di dieci anni prevista per la bancarotta fraudolenta, ha affermato che, siccome il delitto di bancarotta fraudolenta incrimina condotte di diverso disvalore sociale e punite con pene principali diverse, la pena accessoria fissa in egual misura per tutte le ipotesi si pone in contrasto con il principio di proporzione e con quello di rieducazione della pena.

Allo stesso modo, da un lato, il delitto di cui all’art.583 quinquies c.p. consente di punire condotte dotate di un diverso disvalore sociale (la deformazione e lo sfregio), dall’altro, la norma prevede una pena accessoria perpetua per tutte quelle ipotesi riconducibili al delitto in esame.

  1. Ciò pare potersi porre in contrasto con i principi costituzionali sopra esposti, in quanto si finisce per sottoporre alla stessa pena fatti dalla portata offensiva evidentemente diversi.
  2. Con riferimento all’ultima questione, ossia al comma 1 quinquies art.4 bis l.n.354/1975, appare condivisibile la decisione del Giudice, posto che la predetta disposizione non avrebbe trovato applicazione nel giudizio, ma solo nella fase di eventuale esecuzione della pena.

In conclusione, il G.U.P. del Tribunale di Parma ha ritenuto le questioni come manifestamente infondate ex art.23, l.n.87/1953, motivando dettagliatamente la sua scelta. Tuttavia, ad avviso di chi scrive, dal procedimento che ha dato origine alla sentenza in commento, sembrerebbe intravedersi la presenza di elementi che avrebbero potuto portare il Giudice a sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art.583 quinquies c.p.

  • Con riferimento all’aumento sanzionatorio o, quantomeno, alla previsione della pena interdittiva perpetua.
  • Fiandaca, Musco, Diritto penale.
  • Parte speciale.
  • I delitti contro la persona, 5° ed., Bologna, 2020, p.103 ss.; Padovani, Lo sfregio, da aggravante a delitto, in Cadoppi, Veneziani, Aldrovandi, Putinati (a cura di), Legalità e diritto penale dell’economia.

Studi in onore di Alessio Lanzi, Roma, 2020, p.246 ss.; Manna, La deformazione o lo sfregio permanente al viso tra codice penale, codice rosso e principio di proporzione, in Arch. pen,, 3, 2020, Manna, La deformazione o lo sfregio permanente al viso tra codice penale, codice rosso e principio di proporzione, in Arch.

pen,, 3, 2020; Lo Monte, Il “nuovo” art.583-quinquies c.p. (“deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso”): l’ennesimo esempio di simbolismo repressivo, in Leg. Pen., 22 novembre 2019; Casalnuovo, Colella, Il nuovo reato di deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso introdotto dal codice rosso, in Riv.

Pen., 2019, p.983 ss.; Lasalvia, Appunti sulla deformazione o sfregio permanente del viso. Note critiche sulle modifiche introdotte con il Codice rosso, in Rassegna dell’Arma dei Carabinieri, 3 2021, p.23 ss. Sia concesso anche il riferimento a Botto, Girani, Ipotesi speciali di lesioni personali dolose, in Cadoppi, Canestrari, Manna, Papa (a cura di), Trattato di diritto penale, II, Torino, 2022, p.5097 ss.

  • E Girani, Il fenomeno del vitriolage: da circostanza aggravante a fattispecie autonoma di reato, in questa Rivista, 3, 2021, p.517 ss.
  • In generale, per un’ampia analisi della legge 19 luglio 2019, n.69, comunemente denominata dai mezzi di comunicazione e dagli stessi esponenti del mondo politico con l’espressione “Codice rosso” si vedano: Marandola, Pavich, Codice rosso.L.n.69/2019, Milano, 2019; Romano B., Marandola, Codice rosso.

Commento alla l.19 luglio 2019, n.69, in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere, Pisa, 2020; Basile, La tutela delle donne dalla violenza dell’uomo: dal Codice Rocco al codice Rosso, in Dir. pen. e uomo, 20 novembre 2019; De Santis, “Codice Rosso”.

Le modifiche al codice penale (Prima parte), in Studium iuris, 2020, 1, p.1 ss.; Mattio, “Codice Rosso”. Le modifiche al codice penale (Seconda parte), in Studium iuris, 2020, 2, p.141 ss.; Recchione, Codice Rosso. Come cambia la tutela delle vittime di violenza domestica e di genere con la legge 69/2019, in ilPenalista, 26 luglio 2019; Russo, Emergenza e “Codice Rosso”, in Sistema pen.

, 2020, 1, p.5 ss.; Valsecchi, “Codice rosso” e diritto penale sostanziale, in Dir. pen. proc,, 2020, 2, p.163 ss; Gatta, Il disegno di legge in tema di violenza domestica e di genere (c.d. Codice Rosso): una sintesi dei contenuti, in Dir. pen. cont,, 9 aprile 2019; Algeri, Il Codice rosso in gazzetta: nuovi reati e una corsia preferenziale per la tutela delle vittime, in Quotidiano Giuridico, 26 luglio 2019.

Più in generale, sulla violenza di genere, si veda Pecorella, Violenza di genere e sistema penale, in Dir. pen. proc,, 2019, p.1181 ss.G.U.P. Parma, sent.n.786 del 7 dicembre 2021, p.6. In giurisprudenza si vedano Cass., sez. V, 21.4.2010, n.26155, in CED 247892; Cass., sez. V, 16.1.2012, n.21998, in CED 252952; Cass., sez.

V, 16.6.2014, n.32984, in CED 261653; più di recente Cass. pen., sez. V, 7 maggio 2021 n.23692 in CED, Rv.281319-01. In dottrina, sul punto, si veda Pulitanò, Lesioni personali, percosse, rissa, in Id. (a cura di), Diritto penale. Parte speciale. Tutela penale della person a, II, Torino 2019, p.77.G.U.P.

  1. Parma, sent.n.786 del 7 dicembre 2021, p.7.
  2. Sulla distinzione tra sfregio permanente e deformazione si vedano Cass. Sez.
  3. I, 10.6.1978; Cass., sez.
  4. IV, 4.7.2000, n.12006, in CED, n.217879; Cass., 16.01.2012, n.21998, in CED, n.252912; Cass., Sez., V, 16.6.2014 n.32984 in CED n.261653; Cass., 21.09.2020, n.27564, in CED, n.279471.

A conferma del costante orientamento della giurisprudenza, si veda Cass., 21.09.2020, n.27564, cit., spec.p.3 della pronuncia.G.U.P. Parma, sent.n.786 del 7 dicembre 2021, p.7. Sulla distinzione tra i due orientamenti si vedano: Pannain, I delitti contro la vita e l’incolumità individuale, Torino, 1965, p.192 ss.; Antolisei, Manuale di diritto penale, Parte speci ale, I, Milano, 2016, p.84 ss.; Salcuni, sub artt.582-583,

Lesioni personali dolose e circostanze aggravanti, in Manna (a cura di), Reati contro la persona, I, Torino, 2007, p.116 ss.; Mantovani, Diritto penale, Parte speciale, Delitti contro la persona, I, Milano, 2016, p.140 ss.; Galiani, Lesioni personali e percosse, in Enc. dir,, Milano, 1974, p.157 ss.; Baima Bollone, Zagrebelsky, Percosse e lesioni personali, Milano, 1975, p.129 ss.; Basile, I delitti contro la vita e l’incolumità individuale, in Marinucci, Dolcini(a cura di), Trattato di diritto penale, Parte speciale, III, Milano, 2015, p.61 ss.; Masera, Delitti contro l’integrità fisica, in Viganò, Piergallini(a cura di), Reati contro la persona e contro il patrimonio,, Torino, 2015, p.112 ss.

La scelta del legislatore di trasformare una circostanza aggravante in fattispecie autonoma non costituisce un unicum, Già in passato, il legislatore aveva utilizzato un simile meccanismo trasformando le due aggravanti del furto domiciliare (art.625, n.1) e del furto con scippo (art.625, n.4) in reati autonomi, con pena pecuniaria triplicata nel minimo, sottraendole così al bilanciamento di cui all’art.69.

Si veda Mantovani F., Diritto penale. Parte speciale, II, Delitti contro il patrimonio, Padova, 2018, p.90. Il medesimo modus procedendi è stato applicato nell’ipotesi del delitto di omicidio stradale che costituiva prima una circostanza aggravante dell’omicidio colposo e che poi è stato trasformato dal Legislatore in un reato autonomo.

Sul punto si veda Corte di cassazione – Ufficio del Massimario e del Ruolo, Relazione su “Legge 19 Luglio 2019, n.69, Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale a altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere”, 27 ottobre 2019, consultabile all’indirizzo ufficiale www.cortedicassazione.it : “il Legislatore, con modalità analoga a quella già precedentemente seguita in tema di omicidio stradale, trasforma in autonoma fattispecie di reato il fatto di lesione causativo della deformazione o dello sfregio permanente al viso “.

Norma ad oggi abrogata, contestualmente, dal comma 3 dell’art.12 della legge 19 luglio 2019 n.69. Per un’analisi dettagliata della circostanza aggravante in parola si veda Basile, sub art.583, in Dolcini, Gatta (a cura di), Codice penale commentato, Milano, 2015. Sulla natura di reato autonomo, confermato dalla contestuale abrogazione della corrispondente ipotesi aggravata di lesioni personali gravissime, si vedano in dottrina Fiandaca, Musco, Diritto penale.

Parte speciale. I delitti contro la persona, cit., p.104; Padovani, Lo sfregio, da aggravante a delitto, cit., p.248. Un’altra conseguenza derivante dal passaggio da circostanza aggravante (contestualmente abrogata) a titolo autonomo di reato – che tuttavia non rileva ai fini della presente nota a sentenza – è che dopo l’entrata in vigore del “Codice rosso” non si può applicare l’art.583 quinquies c.p.

Nel caso in cui la deformazione o lo sfregio permanente al viso mediante lesioni siano state provocate da una condotta colposa. Prima della riforma, la circostanza aggravante della deformazione o dello sfregio permanente del viso poteva essere addebitata all’autore solo se in linea con il principio di colpevolezza e, quindi, soltanto se era dall’agente conosciuta ovvero ignorata per colpa o ritenuta inesistente per errore determinato da colpa, secondo quanto previsto dall’art.59, co.2, c.p.

Invece, dopo l’entrata in vigore del “Codice rosso”, che ha contestualmente abrogato l’art.583, co.2, n.4, l’art.583 quinquies costituisce una fattispecie autonoma, perciò il fatto potrà essere ascritto all’agente secondo i normali criteri dell’ascrizione della responsabilità penale (art.42, co.2, c.p.), vale a dire a titolo di dolo, non essendovi alcun riferimento esplicito alla colpa.

  1. Sul punto, si veda Manna, La deformazione o lo sfregio permanente al viso tra codice penale, codice rosso e principio di proporzione, in Arch.
  2. Pen,, 3, 2020, p.6; Padovani, L’assenza di coerenza mette a rischio la tenuta del sistema, in Guida dir,, n.37, 7 settembre 2019, p.55.G.U.P.
  3. Parma, sent.n.786 del 7 dicembre 2021, p.8.

Il riferimento sembra essere a Manna, La deformazione o lo sfregio permanente al viso tra codice penale, codice rosso e principio di proporzione, cit., p.1 ss.G.U.P. Parma, sent.n.786 del 7 dicembre 2021, p.2.G.U.P. Parma, sent.n.786 del 7 dicembre 2021, p.2.G.U.P.

Parma, sent.n.786 del 7 dicembre 2021, p.3. Manna, La deformazione o lo sfregio permanente al viso tra codice penale, codice rosso e principio di proporzione, cit., p.10. Il co.1 quinquies, dell’art.4 bis, della l.26 luglio 1975, n.354 recita: «Salvo quanto previsto dal comma 1, ai fini della concessione dei benefici ai detenuti e internati per i delitti di cui agli articoli 583-quinquies, 600-bis, 600-ter, anche se relativo al materiale pornografico di cui all’articolo 600-quater.1, 600-quinquies, 609-quater, 609-quinquies e 609-undecies del codice penale, nonché agli articoli 609-bis e 609-octies del medesimo codice, se commessi in danno di persona minorenne, il magistrato di sorveglianza o il tribunale di sorveglianza valuta la positiva partecipazione al programma di riabilitazione specifica di cui all’articolo 13-bis della presente legge».

Critico sul punto Manna, La deformazione o lo sfregio permanente al viso tra codice penale, codice rosso e principio di proporzione, cit., p.11 ss. Corte cost. sent n.236 del 2016 con nota di Viganò, Una importante pronuncia della Consulta sulla proporzionalità della pena, in www.penalecontemporaneo.it,

Corte cost.n.40 del 2019, in www.cortecostituzionale.it, Sul punto si veda, in dottrina Dodaro, Illegittima la pena minima per i delitti in materia di droghe pesanti alla luce delle nuove coordinate del giudizio di proporzionalità, in Dir. pen. proc., 2019, 10, p.1403 ss.; nonché Bartoli, La Corte costituzionale al bivio tra “rime obbligate” e discrezionalità? Prospettabile una terza via, in Dir.

pen. cont. – Riv. trim,, 2019, 2, p.139 ss.G.U.P. Parma, sent.n.786 del 7 dicembre 2021, p.1. Manna, La deformazione o lo sfregio permanente al viso tra codice penale, codice rosso e principio di proporzione, cit., p.1 ss. Ad avviso di chi scrive, il Legislatore del “Codice rosso” nell’esercizio del suo potere discrezionale sarebbe stato animato da una sorta di “populismo penale”.

Sulla funzione simbolico-espressiva svolta dall’aumento della pena, si Manna, La deformazione o lo sfregio permanente al viso tra codice penale, codice rosso e principio di proporzione, cit., p.4; Bonini S., La funzione simbolica nel diritto penale del bene giuridico, Napoli, 2018, Gargani, Il diritto penale quale extrema ratio tra post-modernità e utopia, in Riv.

it. dir. pen. proc,, 2018, p.1488 ss.; Paliero, Il sogno di Clitennestra: mitologie della pena. Pensieri scettici su modernità e archeologia del punire, in ibid, p.447 ss.; Caiazza, Governo populista e legislazione penale: un primo bilancio, in DPP, 2019, p.589 ss.; Palazzo, Il volto del sistema penale e le riforme in atto, in ibid, p.5 ss.; Pelissero, Politica consenso sociale e dottrina: un dialogo difficile sulle riforme attuate e mancate del sistema sanzionatorio, in Archivio penal e, 2019, 1, p.1 ss.; Pulitanò, Idee per un manifesto sulle politiche del diritto penale, in Riv.

It. dir. pen. proc,, 2019, p.361 ss. In generale, sul tema della proporzionalità della pena, intesa quale criterio limitativo della discrezionalità legislativa nella determinazione dell’entità delle sanzioni, si veda Viganò, La proporzionalità della pena. Profili di diritto penale e costituzionale, Torino, 2021.

Si veda anche Recchia, Il principio di proporzionalità nel diritto penale. Scelte di criminalizzazione e ingerenza nei diritti fondamentali, Torino, 2020, p.127 ss. Paliero, Pene fisse e Costituzione: vecchi e nuovi argomenti, in RIDPP, 1981, p.725 ss.; Manna, Sulla illegittimità delle pene accessorie fisse.

L’art.2641 del codice civile, in Giur. Cost,, 1980, 910 ss. Corte cost., sent.222 del 2018. Lasalvia, Appunti sulla deformazione o sfregio permanente del viso. Note critiche sulle modifiche introdotte con il Codice rosso, cit., p.31. In generale, sul tema si vedano Manes, Proporzione senza geometrie, in Giur.

cost,, 2016, p.2110 ss; Manes, Napoleoni, La legge penale illegittima. Metodo, Itinerari e limiti della questione di costituzionalità in materia penale, Torino, 2019, p.372 ss.; Pulitanò, La misura delle pene, fra discrezionalità politiva e vincoli costituzionali, in Dir.

  • Pen. cont. – Riv. trim.
  • 2, 2017, 56 ss.; Bartoli, La Corte costituzionale al bivio tra “rime obbligate” e discrezionalità? in Dir. pen. cont. – Riv.
  • Trim,, 2, 2019, p.145 ss.
  • Corte cost., sent.n.50 del 1980: «sussiste di regola l’esigenza di una articolazione legale del sistema sanzionatorio, che renda possibile tale adeguamento individualizzato, “proporzionale”, delle pene inflitte con le sentenze di condanna.

Di tale esigenza, appropriati ambiti e criteri per la discrezionalità del giudice costituiscono lo strumento normale. In linea di principio, previsioni sanzionatorie rigide non appaiono pertanto in armonia con il “volto costituzionale” del sistema penale ed il dubbio d’illegittimità costituzionale potrà essere, caso per caso, superato a condizione che, per la natura dell’illecito sanzionato e per la misura della sanzione prevista, questa ultima appaia ragionevolmente “proporzionata” rispetto all’intera gamma di comportamenti riconducibili allo specifico tipo di reato».

Corte cost., sent.n.222 del 2018. In dottrina, si veda Manna, Corsi di diritto penale, Parte generale, 5° ed., Milano 2020, p.608; M. Romano, Forme di automatismo nell’applicazione delle sanzioni interdittive, in Archivio penale, 1, 2020, p.1 ss. Corte cost., sent.n.222 del 2018: «Ma anche all’interno delle singole figure di reato previste in astratto da ciascun comma, nonché di quelle previste dall’art.223, secondo comma, della legge fallimentare, la gravità dei fatti concreti ad esse riconducibili può essere marcatamente differente, in relazione se non altro alla gravità del pericolo di frustrazione delle ragioni creditorie (in termini sia di probabilità di verificazione del danno, sia di entità del danno medesimo, anche in termini di numero delle persone offese) creato con la condotta costitutiva del reato.

La durata delle pene accessorie temporanee comminate dall’art.216, ultimo comma, della legge fallimentare resta invece indefettibilmente determinata in dieci anni, quale che sia la qualificazione astratta del reato ascritto all’imputato (ai sensi del primo, del secondo o del terzo comma dello stesso art.216), e quale che sia la gravità concreta delle condotte costitutive di tale reato; e resta, altresì, insensibile all’eventuale sussistenza delle circostanze aggravanti o attenuanti previste dall’art.219 della medesima legge, le quali pure determinano variazioni significative della pena edittale, potendo determinare un abbassamento del minimo sino a due anni (ulteriormente riducibili in caso di scelta di riti alternativi da parte dell’imputato), ovvero un innalzamento del massimo sino a quindici anni di reclusione.

Una simile rigidità applicativa non può che generare la possibilità di risposte sanzionatorie manifestamente sproporzionate per eccesso – e dunque in contrasto con gli artt.3 e 27 Cost. – rispetto ai fatti di bancarotta fraudolenta meno gravi; e appare comunque distonica rispetto al menzionato principio dell’individualizzazione del trattamento sanzionatorio».

: Lo sfregio permanente al viso dopo il c.d. Codice rosso: una prima applicazione dell’art.583 quinquies c.p. (G.U.P. Parma, sent.n.786 del 7 dicembre 2021, giud. Agostini). – Rivista Penale Diritto e Procedura

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Come possono essere le lesioni personali?

Cosa sono le lesioni personali? – Il Codice Penale definisce la lesione personale come un delitto in cui la lesione alla persona fa insorgere una malattia fisica o psichica. Le lesioni personali possono essere così classificate:

Lesione dolosa, ovvero provocata con piena coscienza e intenzionalità. Può essere lievissima (se la malattia si risolve entro 20 giorni), lieve (se si risolve entro i 40 giorni), grave (se si risolve oltre i 40 giorni) e gravissima (se la malattia è certamente o probabilmente non sanabile); Lesione colposa, ovvero non provocato con la volontà di nuocere, ma per negligenza, imprudenza o inosservanza delle leggi. Viene classificata in semplice (malattia che si risolve entro i 40 giorni), grave (malattia che si risolve in più di 40 giorni) e gravissima (se la malattia è certamente o probabilmente insanabile).

Quali casi di cronaca hanno indotto il Legislatore ad istituire il reato di sfregio?

L’omicidio d’identità, il progetto del 2017 – Prima del Codice Rosso c’era già stata la proposta d’introdurre il reato di omicidio d’identità. La proposta di legge era stata presentata dopo diversi casi di cronaca che avevano avuto come protagoniste soprattutto le donne, il cui viso era stato deturpato per pura vendetta, con fuoco o acido, da ex fidanzati, compagni o mariti il cui intento era la distruzione sociale, fisica e psicologica della propria vittima, che fino a poco tempo prima dicevano di “amare”.

Cosa comporta una denuncia per lesioni personali?

1. Che cos’è e come è punito? – Il reato di lesioni personali è un delitto previsto dall’art.582 del codice penale e punisce chiunque cagioni ad alcuno una lesione personale, dalla quale derivi una malattia nel corpo o nella mente. Il reato di lesione personale è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.

Quando si procede d’ufficio per lesioni?

Il delitto è punito a querela della persona offesa, proponibile nel termine di 6 mesi. Si procede, tuttavia, d’ ufficio se il fatto è commesso nei confronti di un minore o di una persona con disabilità, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d’ ufficio.

Cosa si rischia con il codice rosso?

COSA PREVEDE IL NUOVO “CODICE ROSSO” Dopo accesi dibattiti e complessi iter normativi, il 25 luglio ha visto la luce il ” codice rosso ” (L.69/19). Lungamente atteso dalle vittime di reati di stalking, abusi e maltrattamenti in famiglia, violenze sessuali, nonchè da tutti gli operatori di giustizia che, quotidianamente, combattono al loro fianco per tutelare con impegno, professionalità, energia e passione i diritti più basilari delle donne, calpestati in nome di un amore “malato”, che di amore non ha davvero nulla.

  • Si tratta dunque di un vero e proprio ” codice rosso ” investigativo e giudiziario, analogo a quello previsto in ambito ospedaliero, in cui le – in gran maggioranza donne e minori – dovranno essere sentite “obbligatoriamente” dai pubblici ministeri, e d’urgenza, entro tre giorni dall’iscrizione dei fatti denunciati nel registro delle notizie di reato (altrimenti l’indagine non potrà essere chiusa).
  • La prima nota di merito della nuova riforma, consiste, quindi nel fatto che, denunciati tali reati, potranno essere applicati con maggior rapidità alcuni provvedimenti di protezione per le vittime,
  • La polizia giudiziaria, dopo aver acquisito la notizia di reato, dovrà riferire immediatamente al Pubblico Ministero (anche in forma orale), il quale a sua volta, entro tre giorni dall’iscrizione di detta notizia di reato, dovrà assumere informazioni dalla persona offesa (giorni che possono arrivare fino ad un massimo di sei qualora vi siano particolari esigenze di tutela dei minori e di riservatezza delle indagini).

Quanto alle misure cautelari e di prevenzione ( custodia in carcere, arresti domiciliari con o senza braccialetto elettronico, obbligo di firma in commissariato o in caserma ), sono state apportate importanti modifiche relativamente al divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla p.o.; all’introduzione di procedure di controllo con l’uso del braccialetto elettronico o di altri strumenti analoghi; all’estensione delle misure di prevenzione anche al reato di maltrattamenti contro familiari.

  • Il Delitto di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti senza il consenso delle persone rappresentate: ” revenge porn “;
  • Il Delitto di deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso: “sfregio” ;
  • Il Delitto di costrizione o induzione al matrimonio ;
  • Il Reato d i violazione del divieto di allontanamento dalla casa familiare e di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla p.o.
  1. Inoltre, per alcuni delitti, come la violenza sessuale, la vittima può sporgere querela fino a 12 mesi.
  2. Considerata altresì la delicatezza della materia, sono stati predisposti dei corsi professionali specifici per le forze dell’ordine, affinchè gli operatori siano sempre più preparati ad approcciare le vittime con l’attenzione e la cura che certe vicende necessitano, e adottino dei protocolli per la prevenzione e la valutazione del rischio di reiterazione di determinati abusi o condotte violente.
  3. Ma vediamo nello specifico cosa prevedono ora i nuovi reati e quali sono le pene applicabili:
  1. Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti senza il consenso delle persone rappresentate (cd. revenge porn ). E’ un delitto punito con la reclusione da uno a sei anni e la multa da 5mila a 15mila euro : la pena si applica anche a chi, avendo ricevuto o comunque acquisito le immagini o i video, li diffonde a sua volta per provocare un danno agli interessati. La condotta può essere commessa da chiunque diffonde, dopo averli realizzati o sottratti, senza il consenso delle persone interessate, immagini o video sessualmente espliciti, destinati a rimanere privati. La fattispecie è aggravata se i fatti sono commessi nell’ambito di una relazione affettiva, anche cessata, ovvero mediante l’impiego di strumenti informatici.
  2. Deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso, cd “sfregio”. Chiunque cagiona ad alcuno una lesione personale dalla quale derivano la deformazione o lo sfregio permanente del viso è punito con la reclusione da otto a quattordici anni. La condanna ovvero l’applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale per il reato di cui al presente articolo comporta l’interdizione perpetua da qualsiasi ufficio attinente alla tutela, alla curatela e all’amministrazione di sostegno (sarà inoltre più difficile ottenere benefici come l’assegnazione di lavoro all’esterno, i permessi premio e le misure alternative alla detenzione), S e lo sfregio causa la morte del danneggiato, la pena è l’ergastolo.
  3. Costrizione o induzione al matrimonio : è un nuovo reato punito con la reclusione da uno a cinque anni. La fattispecie è aggravata quando esso è commesso a danno di minori e si procede anche quando il fatto è commesso all’estero da o in danno di un cittadino italiano o di uno straniero residente in Italia.
  4. La violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, viene sanzionata con la detenzione da sei mesi a tre anni.
  5. Delitto di costrizione o induzione al matrimonio : è un delitto che punisce con la reclusione da uno a 5 anni chi, con violenza o minaccia, costringe una persona a contrarre vincolo di natura personale o un’unione civile, approfittando delle condizioni di vulnerabilità o di inferiorità psichica o di necessità di una persona. Il reato è punito anche quando il fatto è commesso all’estero da un cittadino italiano o da straniero residente in Italia. La pena è aumentata se i fatti sono commessi ai danni di un minore di 18 anni; é aumentata da 2 a 7 anni se riguarda un minore sotto i 14.
  6. Stalking : la pena detentiva passa dai 6 mesi a 5 anni nel minimo; e da un anno a 6 anni e 6 mesi nel massimo.
  7. Violenza sessuale: è punita con la reclusione da 6 a12 anni. Inoltre, nel caso di atti sessuali con minori di 14 anni ai quali è stato consegnato o anche solo promesso, denaro o altra utilità, la violenza diventa aggravata, I n caso di violenza su un minore di dieci anni, la pena va da 12 anni fino a un massimo di 24 anni di reclusione. La violenza sessuale di gruppo viene invece punita con la reclusione da otto e 14 anni,
  8. Delitto di maltrattamenti contro familiari e conviventi, è punito con la reclusione da tre e sette anni; se dal fatto deriva una lesione personale grave, si applica la reclusione da 4 a 9 anni; se deriva una lesione gravissima, la reclusione va da 7 a 15 anni. In caso di morte la reclusione è raddoppiata da 12 a 24 anni. La fattispecie viene ulteriormente aggravata della metà quando il delitto di maltrattamenti è commesso in presenza o in danno di minore, di donna in stato di gravidanza o di persona con disabilità,
  9. E’ introdotto anche l’omicidio aggravato dalle relazioni personali, che è punito con l’ergastolo anche in caso di relazione affettiva senza stabile convivenza o di stabile convivenza non connotata da relazione affettiva,

Nel caso di condanna per reati sessuali, la sospensione condizionale della pena è subordinata alla partecipazione a percorsi di recupero, organizzati ad hoc da enti o associazioni che si occupano di assistenza psicologica, prevenzione, e recupero di soggetti condannati per reati sessuali. : COSA PREVEDE IL NUOVO “CODICE ROSSO”

Quali sono i reati da codice rosso?

La normativa punisce i reati di violenza sessuale, stalking o atti persecutori, la violenza domestica.

Qual è il bene tutelato dalla norma?

Generalità – Le norme penali disciplinano e puniscono quei comportamenti che appaiono contrari alle regole del buon vivere sociale perché offendono determinati beni o interessi. Ogni norma penale, dunque, tutela un determinato bene o interesse. Si definisce appunto oggetto giuridico del reato il bene giuridico o l’interesse giuridico tutelato dalla norma che prevede il reato stesso: ad esempio, la norma che punisce il reato di omicidio tutela il bene giuridico «vita», mentre la norma che punisce il reato di furto tutela il bene giuridico patrimonio (e, più in particolare, «il possesso della cosa mobile»).

Quanto dura un processo penale per lesioni?

Quanto durano le indagini per il reato di lesioni? – Il legislatore, con la recente riforma c.d. Cartabia, ha fissato i termini di durata delle indagini in 1 anno, che decorrono dalla annotazione nel registro del reato (335).

  • il termine è di 1 anno e 6 mesi per ipotesi delittuose di particolari gravità.
  • Il termine è di 6 mesi, per le contravvenzioni

Trascorsi questi termini, al P.M. è riconosciuto un ulteriore lasso di tempo (il c.d. termine di riflessione ) per ponderare la propria decisione, pari a:

  • tre mesi dalla scadenza del termine di durata delle indagini (articolo 405, comma 2);
  • tre mesi dalla scadenza dei termini di cui all’articolo 415-bis, comma 3 e 4, se ha disposto la notifica dell’avviso della conclusione delle indagini preliminari;
  • nove mesi nei casi di cui all’articolo 407, comma 2.
  • RICHIESTA DI PROROGA :
  • Prima della scadenza del termine, il PM, quando le indagini si rivelino “complesse”, può fare richiesta di proroga al GIP indicandone i motivi.
  • Tale richiesta deve essere notificata dal GIP ai potenziali contro-interessati (indagato – persona offesa), i quali possono controdedurre presentando memorie.

La notifica non è necessaria quando si tratta di gravi reati specificamente previsti dal codice.

  1. Se il GIP non è convinto dell’accoglibilità della richiesta del PM, instaura un pieno contraddittorio convocando gli interessati in un’apposita udienza in camera di consiglio,
  2. in questa udienza deciderà :
  3. è per la concessione della proroga, autorizzando il prosieguo delle indagini
  4. è il diniego della proroga, imponendo al PM di richiedere l’archiviazione o esercitare l’azione penale.
  5. È possibile una sola proroga delle indagini per un tempo non superiore a sei mesi,

Se l’attività investigativa è proseguita oltre il termine massimo, gli atti sono inutilizzabili,

Ai sensi dell’art.407-bis c.p.p., il P.M. se non vuole chiede l’archiviazione, da inizio all’azione penale:

  • con richiesta di rinvio a giudizio o
  • formulando l’imputazione nei casi di richiesta di patteggiamento, giudizio direttissimo, giudizio immediato, decreto penale e messa alla prova.

: Cosa significa essere indagato per lesioni

Cosa si rischia con una denuncia per lesioni?

Lesioni personali colpose – Veniamo ora alle lesioni personali colpose, ossia quelle non volontarie ma causate da imprudenza, negligenza o imperizia. Si pensi a chi lasci il cane libero senza guinzaglio, a chi non utilizzi in modo corretto una falce ferendo un passante o al medico che lasci le garze nella pancia del paziente.

  1. Per le lesioni lievissime (guaribili cioè entro massimo 20 giorni ) scatta la reclusione fino a tre mesi o la multa fino a 309 euro.
  2. Anche per le lesioni lievi (guaribili entro massimo 40 giorni ) scatta la reclusione fino a tre mesi o la multa fino a 309 euro.
  3. Per le lesioni gravi (che comportano cioè una malattia di durata complessiva superiore a 40 giorni o un indebolimento permanente di un senso o di un organo) è prevista la pena della reclusione da uno a sei mesi o della multa da euro 123 a euro 619.

Per le lesioni gravissime, la pena è della reclusione da tre mesi a due anni o la multa da euro 309 a euro 1.239.

Quando le lesioni sono lievi?

Gravità – Le lesioni personali si distinguono in volontarie e, Le lesioni colpose sono di norma perseguibili per querela, ma sono perseguibili d’ufficio se sono malattie professionali o lesioni gravi o gravissime derivanti da infortunio sul, Le lesioni personali colpose sono così descritte nell’articolo 590 del Codice Penale: «Chiunque cagiona ad altri per colpa una lesione personale è punito con la reclusione fino a tre mesi o con la multa fino a euro 309.

  • Lievissime – l.p. che conducono a o incapacità di svolgere attività della vita quotidiana per tempo non superiore ai 20 giorni
  • Lievi – tra 21 e 40 giorni
  • Gravi – superiori ai 40 giorni
  • Gravissime – malattia insanabile

Tra le gravi si contano anche quelle lesioni che

  • hanno messo in pericolo di vita il soggetto leso
  • hanno provocato un indebolimento permanente di organo o senso.

Tra le gravissime si contano anche lesioni che hanno provocato:

  • la perdita di un senso o di un organo
  • una mutilazione che rende inservibile un arto
  • disfunzione grave della favella
  • uno (cicatrice visibile che altera i movimenti mimici) o una deformazione (menomazione che provoca ribrezzo in chi guarda) del volto
  • perdita della capacità di procreare

Dove finisce il diritto di cronaca?

Il fondamento del diritto di cronaca è nell’art.21 Cost., in quanto libera manifestazione del pensiero. La cronaca si distingue dalle varie forme di espressione, riconducibili a quella norma costituzionale, principalmente per due ragioni. In primo luogo, si manifesta attraverso la narrazione di fatti,

In secondo luogo, si rivolge alla collettività indiscriminata, Essendo la cronaca narrazione di fatti rivolta alla collettività, se ne deduce che la sua funzione è quella di informare la collettività. Quella collettività il cui ruolo, nella società democratica, è inequivocabilmente delineato dall’art.1 Cost., laddove dice che “La sovranità appartiene al popolo”.

Ed è proprio questa attribuzione di sovranità a connotare ulteriormente la funzione della cronaca. La collettività, infatti, delega periodicamente la gestione della “cosa pubblica” ( res publica ) ai suoi rappresentanti eletti in Parlamento. E la delega deve avvenire con piena cognizione di causa.

La collettività deve avere un quadro dettagliato sia di ciò che accade nel Paese, sia delle persone alle quali delega l’esercizio della sovranità. Ma, non disponendo di mezzi idonei, ecco che gli organi di informazione si incaricano di puntare i riflettori su quegli aspetti la cui valutazione determina la scelta del delegato.

Di qui l’insostituibile funzione della cronaca: la raccolta di informazioni e la loro diffusione, in virtù del rapporto privilegiato che gli organi di informazione vantano con la realtà, allo scopo di consentire al popolo un corretto e consapevole esercizio di quella sovranità che l’art.1 Cost.

  • Gli attribuisce.
  • Tuttavia, vi sono articoli di cronaca riguardanti personaggi o aspetti che non presentano punti di contatto con la gestione della cosa pubblica, ma che per vari motivi destano l’interesse della collettività.
  • Si pensi agli artisti, ai campioni dello sport, agli argomenti culturali.
  • Anche su questi personaggi e argomenti la collettività va tenuta informata.

Qui la funzione della cronaca è quella di mantenere saldo il legame che unisce la collettività al personaggio, nonché di agevolarne la crescita intellettuale. Sotto questo aspetto si può dire che la collettività vanta un vero e proprio diritto alla informazione.

O perché è funzionale all’esercizio di quella sovranità che per Costituzione le appartiene, o perché ne favorisce la crescita in termini culturali e intellettuali. Ma si potrebbe affermare che esiste, in correlazione al diritto della collettività ad essere informata, anche un obbligo di informazione ? Un necessario chiarimento.

Qui un eventuale “obbligo di informazione” non andrebbe riferito né specificamente alla persona del giornalista (o a chi comunque informa la collettività), né allo scopo di fondare un giudizio di responsabilità in caso di mancata osservanza. Un giornalista non può essere costretto a pubblicare una notizia, né può essere ritenuto responsabile nei riguardi della collettività per non averla informata.

Al limite, ciò potrà avere rilevanza nel suo rapporto contrattuale con l’editore. In realtà, si tratta soltanto di verificare se, in base ad alcune norme, tra collettività ed organi di informazione si possa delineare un rapporto che, sebbene privo di rilevanza giuridica, sia tale da attribuire alla manifestazione di pensiero che accompagna la cronaca un valenza tutta particolare all’interno dell’art.21 Cost.

Ebbene, di vero e proprio obbligo di informazione si potrebbe formalmente parlare con riferimento a quei soggetti che esercitano un servizio dichiarato pubblico dalla legge, perché inteso in favore della collettività indiscriminata. Secondo le leggi di disciplina del sistema radiotelevisivo che finora si sono succedute, l’attività radiotelevisiva ha sempre costituito “un servizio di preminente interesse generale”.

E alla relativa attività di informazione è sempre stata attribuita la massima importanza, dal momento che ” I soggetti titolari di concessione per la radiodiffusione sonora o televisiva in ambito nazionale sono tenuti a trasmettere quotidianamente telegiornali o giornali radio ” (art.20, comma 6°, L.n.223/1990, nota come “legge Mammì”, confermato dalla L.n.112/2004, nota come “legge Gasparri” e dall’art.7, comma 2° lett.

b), D.Lgs.n.177/2005, noto come “Testo Unico della radiotelevisione”). L’attività informativa radiotelevisiva è dunque un obbligo per i maggiori concessionari. Per la carta stampata, non c’è dubbio che molti quotidiani e periodici a diffusione nazionale assolvano ad una funzione informativa indispensabile per la collettività.

  • Ma è anche vero che nella L.n.47/1948 (“legge sulla stampa”) non vi è norma sulla quale fondare un obbligo di informazione analogo a quello dei concessionari radiotelevisivi nazionali.
  • Tuttavia, l’attività di quasi tutti i quotidiani e i periodici è esclusivamente informativa.
  • Per non dimenticare, poi, quelle norme deontologiche che disciplinano la professione giornalistica e che espressamente parlano di “diritto dei cittadini all’informazione” e di “diritto dovere di cronaca”, senza fare distinzione tra mezzi di informazione.

Dati questi presupposti, è evidente come la cronaca assuma una posizione di netto privilegio rispetto alle altre forme di manifestazione del pensiero garantite dall’art.21 Cost. Si tratta dunque di scoprire in cosa consiste esattamente questo privilegio.

Di norma, i limiti alla libertà di manifestazione del pensiero sono rappresentati dal rispetto di quei diritti inviolabili che l’art.2 Cost., norma “aperta” a sempre nuove istanze di tutela della persona, fin dalla sua nascita si è incaricato di accogliere e garantire: a cominciare da concetti come onore, decoro, reputazione.

Diritti della persona che l’ordinamento tutela attraverso la previsione di reati come l’ ingiuria (art.594 c.p.) e la diffamazione (art.595 c.p.). E, nel conflitto tra manifestazione del pensiero e diritto inviolabile, è sempre quest’ultimo a prevalere.

Non così per il diritto di cronaca. Costituendo al tempo stesso espressione della libertà di pensiero ed insostituibile strumento di informazione al servizio esclusivo della collettività, il diritto di cronaca vanta una tutela rafforzata. E finisce per prevalere sul diritto del singolo individuo, anche se “inviolabile”.

Il reato di diffamazione, l’illecito civile, qui non sorgono, pur in presenza di una obiettiva lesione, perché è lo stesso ordinamento giuridico a permetterla (art.51 c.p.: ” L’esercizio di un diritto esclude la punibilità” ). Nel linguaggio giuridico in questo caso si dice che il comportamento illecito è scriminato, e la lesione non dà luogo ad alcuna responsabilità.

  1. Tutela rafforzata, ma non assoluta.
  2. Il diritto inviolabile del singolo individuo soccombe di fronte all’esigenza informativa, ma nel rispetto di alcune precise condizioni.
  3. Di stabilire quali siano queste condizioni si è incaricata la giurisprudenza, a partire dalla storica sentenza che scrisse il cosiddetto decalogo del giornalista (Cass.18 ottobre 1984 n.5259).

Secondo tutti i giudici che, a partire da quella storica sentenza, si sono ritrovati a dover affrontare problematiche relative al diritto di cronaca, quest’ultima si configura correttamente soltanto quando concorrono i seguenti tre requisiti: a) la verità dei fatti (oggettiva o “putativa”); b) l’ interesse pubblico alla notizia; c) la continenza formale, ossia la corretta e civile esposizione dei fatti.

  • In assenza anche di uno solo di questi requisiti, il diritto inviolabile risorge in tutta la sua pienezza, rendendo illecita la manifestazione di pensiero.
  • Un’ultima considerazione va fatta riguardo ai soggetti che possono beneficiare del diritto di cronaca.
  • Sarebbe errato sostenere che il privilegio di informare è riservato al giornalista.

L’art.21 Cost. non può riguardare una ristretta categoria. In realtà, l’ambito di applicazione del diritto di cronaca non è riferito al soggetto che lo esercita, ma al mezzo attraverso il quale viene diffuso il pensiero. Così, il diritto di cronaca va riconosciuto a chi narra fatti o esprime un pensiero utilizzando un mezzo tecnicamente idoneo ad informare una cerchia indeterminata di persone.

Quindi, non solo al giornalista, ma anche a chi scrive sul giornalino della scuola o dell’università, su un volantino poi distribuito al pubblico, a chi interviene in un forum o tiene un blog su internet. Persino chi scrive sui muri della città può invocare il diritto di cronaca, se vengono rispettati gli altri requisiti (interesse pubblico e continenza formale), anche se il più delle volte i messaggi scritti sui muri, non riportando fatti ma giudizi, risultano meglio riconducibili alla problematica della critica.

LA VERITA’ L’INTERESSE PUBBLICO LA CONTINENZA FORMALE

Quali sono le tre condizioni che rendono legittimo il diritto di cronaca?

Il diritto di cronaca ha dei limiti, quindi non può essere sempre esercitato. La notizia non deve essere diffamazione, deve raccontare fatti veri, con un linguaggio adeguato, deve essere di interesse pubblico e attuale.

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Quando il diritto di cronaca prevale sul diritto all onore?

4. Diritto di cronaca, oblio e riservatezza: una convivenza dai fragili equilibri – In disparte il pronunciamento della Cassazione, 5 aprile 2012, n.5525 di cui si è avuto occasione di discettare n el paragrafo 3.2.2, la giurisprudenza è tornata più volte sul rapporto esistente tra il diritto di cronaca e il diritto alla riservatezza, anche senza fare riferimento al diritto all’oblio.

La sentenza 24 aprile 2008, n.10690, ha ricordato che «il diritto alla riservatezza, il quale tutela l’esigenza della persona a che i fatti della sua vita privata non siano pubblicamente divulgati, è confluito nel diritto alla protezione dei dati personali a seguito della disciplina contenuta nella legge 31 dicembre 1996, n.675»; dopo aver chiarito che la sua violazione è fonte di illecito civile ai sensi dell’art.2 della Costituzione, la sentenza ha aggiunto che «la libertà di stampa prevale sul diritto alla riservatezza e all’onore, purché la pubblicazione sia giustificata dalla funzione dell’informazione e sia conforme ai canoni della correttezza professionale».

In particolare, deve sussistere «un apprezzabile interesse del pubblico alla conoscenza dei fatti privati», in considerazione di finalità culturali o didattiche e, comunque, di una rilevanza sociale dei fatti stessi. In continuità con questo precedente, i giudici di Piazza Cavour hanno stabilito che al giornalista è consentito divulgare dati sensibili senza il consenso del titolare né l’autorizzazione del Garante per la protezione dei dati personali, a condizione che la divulgazione sia «essenziale» ai sensi dell’art.6 del codice deontologico dei giornalisti, e, cioè, indispensabile in considerazione dell’originalità del fatto o dei modi in cui è avvenuto; valutazione che costituisce accertamento in fatto rimesso al giudice di merito,

La difficoltà di stabilire una esatta linea di confine tra il diritto di cronaca e quello alla riservatezza, inteso come diritto all’oblio, è evidente nella sentenza 26 giugno 2013, n.16111, la cui vicenda, benché molto diversa da quella affrontata delle Sezioni Unite nell’estate 2019, contiene alcuni evidenti punti di contatto.

Chiamati ad esaminare il caso della pubblicazione di un articolo di giornale nel quale la vicenda personale di un ex terrorista era stata accostata al ritrovamento di un arsenale di armi in luoghi non lontani dalla residenza dello stesso, gli ermellini osservavano che l’ex terrorista – essendo stato condannato a pena detentiva ed avendola espiata, con conseguente faticoso reinserimento nel contesto sociale – desiderava soltanto essere dimenticato, affinché la sua drammatica storia personale, appartenente ormai al passato, non risultasse un macigno così ingombrante da precludergli la ripresa di una vita normale.

  • In quella sentenza la Corte, pur riconoscendo che le vicende relative ai c.d.
  • Anni di piombo «appartengono certamente alla memoria storica del nostro Paese», ha spiegato che «ciò non si traduce nell’automatica sussistenza di un interesse pubblico alla conoscenza di eventi che non hanno più, se non in via del tutto ipotetica e non dimostrata, alcun oggettivo collegamento con quei fatti e con quell’epoca».

Ragione per cui «la diffusione di notizie personali in una determinata epoca ed in un determinato contesto non legittima, di per sé, che le medesime vengano utilizzate molti anni dopo, in una situazione del tutto diversa e priva di ogni collegamento col passato»,

La giurisprudenza più recente ha ulteriormente consolidato gli approdi raggiunti. E, così, la sentenza 6 giugno 2014, n.12834, affrontando il problema del rapporto tra diritto di cronaca e tutela dell’immagine – si trattava, in quel caso, della pubblicazione di un articolo relativo all’esecuzione della misura degli arresti domiciliari a carico di una persona poi assolta con formula piena – ha ribadito che la pubblicazione su un quotidiano della foto di una persona in coincidenza cronologica col momento del suo arresto deve rispettare non solo le condizioni, ormai ben note, per il legittimo esercizio del diritto di cronaca, ma anche le particolari cautele imposte dalla tutela della dignità della persona, che viene colta in un frangente di particolare debolezza.

La sentenza ha anche aggiunto che l’accertamento sulla legittimità della pubblicazione è indagine che va condotta caso per caso, tenendo presente la previsione dell’art.8 del codice deontologico dei giornalisti. Nello stigma della presente dissertazione si pone anche l’ordinanza 20 marzo 2018, n.6919, nella quale il giudice della nomofilachia, in relazione ad una vicenda molto particolare che aveva ad oggetto un noto cantante, ha cercato di ricapitolare i termini del problema, anche alla luce del recente Regolamento UE che nel frattempo era stato emanato.

Ebbene, dopo aver ricordato come l’esistenza del diritto all’oblio sia stata riconosciuta anche dalla giurisprudenza sovranazionale, la pronuncia ha osservato che il trascorrere del tempo viene a mutare il rapporto tra i contrapposti diritti ; per cui, fatta eccezione per il caso di una persona che rivesta un ruolo pubblico particolare o per quello in cui la notizia mantenga nel tempo un interesse pubblico, «la pubblicazione di una informazione concernente una persona determinata, a distanza di tempo da fatti ed avvenimenti che la riguardano, non può che integrare la violazione del fondamentale diritto all’oblio».

Interessanti contributi provengono, poi, anche dalla giurisprudenza penale. Degna di nota è la sentenza 22 giugno 2017, n.38747, emessa all’esito di in un processo per diffamazione a carico del direttore e di un giornalista di un noto quotidiano nazionale, a seguito della pubblicazione di un articolo riguardante Vittorio Emanuele di Savoia.

In quella pronuncia la Corte ebbe ad osservare che era indubbia la rilevanza pubblica della notizia rievocata (nella specie, l’uccisione di un uomo all’isola di Cavallo per mano di Vittorio Emanuele di Savoia, benché avvenuta molti anni prima), perché l’articolo era stato scritto in occasione della cerimonia di riapertura della reggia di Venaria, alla quale aveva partecipato Vittorio Emanuele di Savoia, così com’era indubbia l’esistenza di un pubblico interesse a conoscere le vicende di un soggetto che «è figlio dell’ultimo re d’Italia e, secondo il suo dire, erede al trono d’Italia»; per cui il diritto all’oblio doveva nella specie cedere di fronte al diritto della collettività «ad essere informata e aggiornata sui fatti da cui dipende la formazione dei propri convincimenti» ( Cfr.

Sez. Un., 22 luglio 2019, n.19681 ), Da ultimo, onde fornire una completa panoramica d’insieme circa la visione che la giurisprudenza ha del come deve effettuarsi l’opera di bilanciamento tra il diritto all’oblio ed il diritto di cronaca, sia consentito richiamare una recente pronuncia della Corte di Cassazione, Sez.

  1. III, 24 Giugno 2016, n.13161 che – soprattutto in seguito all’emanazione del Regolamento Europeo sulla protezione dei dati personali – determina con esattezza i confini del diritto all’oblio.
  2. Nel caso di specie, il tribunale di merito aveva condannato al risarcimento del danno per violazione del diritto all’oblio sia il direttore che l’editore di una testata giornalistica telematica per la permanenza a tempo indeterminato di un articolo su una vicenda giudiziaria di natura penale che aveva coinvolto i ricorrenti.

Questi ultimi attribuivano alla pubblicazione non solo un danno nei confronti della loro reputazione personale, ma, soprattutto, un danno all’immagine di un locale da loro gestito. La Suprema Corte, accogliendo la richiesta di cancellazione presentata dai ricorrenti, ha confermato la decisione del giudice di seconde cure, sottolineando che l’illecito trattamento dei dati personali è da ravvisarsi non nel contenuto e nelle originarie modalità di pubblicazione dell’articolo, bensì nel consentire ancora un facile reperimento dello stesso.

Più nel dettaglio, secondo la Corte: “Il diritto all’oblio è quindi conseguenza di un corretto utilizzo del diritto di cronaca. Come non va diffuso un fatto che non risponde ad un reale interesse pubblico allo stesso modo non va riproposta una vecchia notizia quando non sia più rispondente ad esigenze informative”.

L’aspetto di certo più innovativo risiede nella circostanza che in questa occasione il Supremo Collegio si spinge oltre, fissando una sorta di data di scadenza per la permanenza della notizia in rete, Nella sentenza si sottolinea, infatti, che seppur non vi sia nessuna previsione legislativa in tal senso, per giungersi alla cancellazione di un articolo online il termine da doversi rispettare obbligatoriamente è di due anni e mezzo.

Più nello specifico, due anni e mezzo è il termine trascorso dalla pubblicazione dell’articolo alla richiesta di cancellazione giunta alla Suprema Corte. Tale termine è ritenuto, dunque, dai Giudici sufficiente affinché le notizie divulgate con l’articolo possano considerarsi come oramai assorbite dalla collettività e lesive, se ancora accessibili, del diritto alla riservatezza ed alla reputazione dei ricorrenti.

Trascorso tale arco temporale l’articolo non solo deve essere deindicizzato ma deve anche sparire totalmente dal web, Nella sentenza si legge, infatti, che ” la facile accessibilità e consultabilità dell’articolo giornalistico, superiore a quello dei quotidiani cartacei, tenuto conto dell’ampia diffusione locale del giornale online consentiva di ritenere che dalla data della pubblicazione fino a quella della diffida stragiudiziale fosse trascorso sufficiente tempo perché le notizie divulgate potessero avere soddisfatto gli interessi pubblici sottesi al diritto di cronaca giornalistico () il persistere del trattamento dei dati personali aveva determinato una lesione del diritto dei ricorrenti alla riservatezza ed alla reputazione e ciò in relazione alla peculiarità dell’operazione di trattamento, caratterizzata da sistematicità e capillarità della divulgazione dei dati trattati ed alla natura degli stessi, particolarmente sensibili attenendo a vicenda giudiziaria penale”,

In conclusione, ad avviso dei giudici del Supremo Consesso, il giornale online che ha in archivio articoli contenenti informazioni personali viola la legge sulla privacy perché detiene dati sensibili senza il consenso dell’interessato e deve ottemperare subito alla richiesta di cancellazione. I dati sensibili, difatti, non possono essere trattati e resi fruibili al pubblico sine die, in quanto decorso un ragionevole lasso temporale – qui individuato in 2 anni – deve ritenersi prevalente la privacy e, contestualmente, sorgere l’obbligo di cancellare anche articoli recenti ed attuali.

In presenza di determinate condizioni, quello alla cancellazione sarebbe, dunque, un diritto ad esigibilità istantanea. Il suddetto pronunciamento presta, tuttavia, il fianco ad una critica di non poco momento laddove non sembra considerare che la conservazione in rete degli archivi storici dei giornali sarebbe espressione non solo della libertà di manifestazione del pensiero ai sensi dell’articolo 21 della Costituzione, ma anche del diritto di ricerca e critica storica riconosciuto dall’articolo 9 Cost.

  1. E dell’articolo 33 Cost.
  2. In tema di creazione artistica e ricerca scientifica.
  3. Sulla scorta di tutto quanto testé osservato, si può rilevare, allora, che l’interesse pubblico e l’attualità della notizia sono elementi che obbligatoriamente devono essere bilanciati con il diritto all’oblio, inteso come legittima aspettativa dell’individuo ad essere dimenticato dall’opinione pubblica e rimosso dalla memoria collettiva.

Onde assicurare piena efficacia a tale processo di bilanciamento, le Sezioni Unite della Cassazione hanno profuso, con sentenza 22 luglio 2019, n.19681, un apprezzabile sforzo esegetico mirante a correggerne l’angolo di tiro ed enfatizzare l’importanza del fluire del tempo quale imprescindibile fattore per poter discettare di ricostruzione storica dell’evento,

Qual è la pena per lesioni personali?

Se la lesione è grave la pena è della reclusione da uno a sei mesi o della multa da euro 123 a euro 619, se è gravissima, della reclusione da tre mesi a due anni o della multa da euro 309 a euro 1.239.

Quando le lesioni sono gravi?

LESIONI PERSONALI STRADALI GRAVI E GRAVISSIME: PENE PREVISTE DAL CODICE – L’art.590-bis del Codice penale dispone che ” chiunque cagioni per colpa ad altri una lesione personale con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale è punito con la reclusione da tre mesi a un anno per le lesioni gravi ; e da uno a tre anni per le lesioni gravissime “.

C’è lesione grave se dal fatto deriva una malattia che metta in pericolo la vita della persona offesa; ovvero una malattia o un’incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore ai quaranta giorni; nonché se il fatto produce l’indebolimento permanente di un senso o di un organo. C’è invece lesione gravissima se dal fatto deriva una malattia certamente o probabilmente insanabile (ossia un processo patologico destinato a durare tutta la vita); oppure la perdita di un senso o di un arto o una mutilazione che renda l’arto inservibile; o ancora la perdita dell’uso di un organo o della capacità di procreare (inclusa per la donna la capacità di concepire e portare a termine una gravidanza); ovvero una permanente e grave difficoltà dell’uso della parola.

Cosa si rischia per lesioni personali lievissime?

1) Lesioni personali lievissime – Le lesioni personali lievissime sono quelle in cui la malattia non abbia una durata superiore ai 20 giorni : prevedono come pena la reclusione che va dai 6 mesi ai 3 anni e sono punibili a querela della persona offesa.

  1. con una multa;
  2. con gli arresti domiciliari per un periodo che va tra i 20 e i 45 giorni;
  3. con un lavoro di pubblica utilità per un periodo che va da 1 a 6 mesi.

Cosa rischia chi aggredisce una persona?

Chiunque minaccia ad altri un ingiusto danno è punito, a querela della persona offesa, con la multa fino a 1.032 euro. Se la minaccia è grave o è fatta in presenza di circostanze aggravanti di cui all’art.339 c.p. la pena è della reclusione fino a un anno.

Quali sono i reati perseguibili a querela di parte?

Al via i nuovi reati procedibili a querela: limiti all’obbligo di avvisare le persone offese di Guido Camera Il Sole 24 Ore, 2 gennaio 2023 Il magistrato deve informare le vittime solo se l’indagato è in custodia cautelare. Le restrizioni cadono se il danneggiato non agisce entro il 19 gennaio.

La riforma penale contenuta nel decreto legislativo 150/2022 – entrata in vigore il 30 dicembre, con i correttivi introdotti dal decreto legge 162/2022, come modificato nel passaggio parlamentare – conferma l’aumento dei reati procedibili a querela di parte, anziché d’ufficio, ma modifica la disciplina transitoria, limitando ai casi in cui l’indagato (o imputato) è in custodia cautelare l’obbligo per i magistrati e le forze dell’ordine di avvisare le persone offese del diritto di querela.

La misura cautelare perde infatti efficacia se non è presentata querela entro il 19 gennaio. Nuovo regime di procedibilità – La riforma amplia la sfera della procedibilità a querela con l’obiettivo di ridurre i carichi giudiziari lasciando che sia la vittima a decidere se lo Stato debba perseguire, o meno, l’autore del reato.

Tra le nuove fattispecie procedibili a querela vi sono delitti contro il patrimonio e la persona che si verificano con frequenza: furto, truffa, frode informatica, appropriazione indebita, lesioni personali fino a 40 giorni di prognosi, lesioni stradali colpose gravi e gravissime causate da una violazione generica del Codice della strada, danneggiamento, turbativa violenta del possesso di cose mobili, minaccia, violenza privata e violazione di domicilio.

Per la prima volta nel nostro ordinamento, diventano poi perseguibili a querela due contravvenzioni, cioè molestia e disturbo alle persone. La caratteristica di tutti questi reati è che la condotta del loro autore colpisce beni giuridici privati: l’avvenuto risarcimento del danno, insieme al buon esito di un percorso di giustizia riparativa – cioè un’altra misura introdotta dal decreto 150, volta a comporre anche sotto il profilo umano e sociale il conflitto – sono perciò fattori decisivi per rendere inutile la celebrazione di un processo.

  • In questo scenario, è evidente l’opportunità dell’effettivo coinvolgimento della vittima, garantendo che sia adeguatamente informata del diritto di proporre querela.
  • La procedibilità d’ufficio rimane quando la vittima è incapace, per età o infermità, oppure se la condotta incriminata lede anche beni dello Stato, come nel caso di furto commesso in uffici pubblici, oppure su cose destinate al pubblico servizio.

Da ultimo, la nuova disciplina transitoria prevede che i reati di violenza sessuale, stalking e revenge porn, connessi ad altri reati che diventano perseguibili a querela, rimangano procedibili d’ufficio. Disciplina transitoria Le novità si applicano anche ai reati commessi prima del debutto della riforma, se non coperti da giudicato, come ha ricordato il massimario della Cassazione nella relazione 68/22.

Il comma 1 dell’articolo 85 del decreto 150 (non modificato dal decreto legge 162) detta la norma transitoria “generale”: se la vittima era a conoscenza del fatto prima del 30 dicembre, il termine trimestrale per la presentazione della querela decorre da tale data. Ma rispetto al testo originario del decreto 150 scompare l’obbligo generalizzato per l’autorità giudiziaria di informativa alla persona offesa del diritto di sporgere querela.

La nuova disciplina transitoria circoscrive l’obbligo di avviso del diritto di querela in capo a magistratura e forze dell’ordine ai soli casi di pendenza di misura cautelare; il nuovo comma 2 dell’articolo 85 prevede che le misure personali in corso di esecuzione perdono efficacia se, entro 20 giorni dall’entrata in vigore del decreto 150, l’autorità giudiziaria che procede non acquisisce la querela.

  1. A tal fine, la stessa autorità deve effettuare ogni ricerca utile della vittima, anche avvalendosi della polizia giudiziaria; durante la pendenza del termine, rimangono sospesi i termini di custodia cautelare.
  2. Viene inoltre previsto che possano essere compiuti atti di indagine necessari ad assicurare fonti di prova, anche con le forme dell’incidente probatorio, in attesa che la vittima decida di sporgere querela: ciò indifferentemente se l’imputato è libero o sottoposto a misura cautelare.

Si tratta di modifiche alle quali l’avvocatura deve prestare particolare attenzione visto che, nei fatti, onerano il professionista, quando difende la vittima, di informarla del cambio di procedibilità, per tutti i casi (la maggior parte) in cui l’imputato non è sottoposto a misura cautelare.

La nuova disposizione può prestare il fianco a rilievi per le poche tutele offerte alla persona offesa senza difensore: il reato potrebbe estinguersi senza dare alla vittima la possibilità di manifestare la sua volontà punitiva, anche se, in ipotesi, non sia stata risarcita e non sia stato avviato un percorso di giustizia riparativa.

: Al via i nuovi reati procedibili a querela: limiti all’obbligo di avvisare le persone offese

Quanto tempo ho per denunciare lesioni personali?

PROCEDIBILITÀ DEL REATO DI LESIONI PERSONALI – Il reato di lesioni personali è procedibile a querela della persona offesa se la malattia ha una durata non superiore ai venti giorni e non concorre alcuna delle circostanze aggravanti prevedute dagli art.583 e art.585 c.p.

  1. Ciò significa che la persona offesa ha 3 mesi di tempo dal fatto per sporgere denuncia-querela, rivolgendosi direttamente alle autorità o ad un avvocato penalista che rediga l’atto in funzione del futuro risarcimento del danno,
  2. Il risarcimento del danno verrà disposto sia a titolo di danno patrimoniale che non patrimoniale (come il danno biologico, voce del danno non patrimoniale in relazione alla quale il Tribunale di Milano ha stilato da tempo delle tabelle per rapportare il quantum risarcitorio alla lesione sofferta).

Nei casi differenti da quelli sopracitati si procede d’ufficio,

Quali sono le lesioni procedibili d’ufficio?

Le lesioni personali colpose perseguibili d’ufficio –

Sono previste modifiche, rimanendo sempre nell’ambito delle lesioni personali, anche per le lesioni personali colpose.Rimangono perseguibili d’ufficio, ai sensi dell’, le lesioni colpose gravi e gravissime, quando siano commesse in violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni o dell’igiene del lavoro o che abbiano determinato una lesione personale.Viene invece esclusa la procedibilità d’ufficio per quanto riguarda i disposti dell’ (lesioni personali stradali gravi o gravissime) se non ricorre alcuna delle circostanze aggravanti previste dal presente articolo.Stante l’importanza e la complessità del tema invitiamo da subito tutti i lettori a proporre integrazioni o correzioni a quanto riportato nell’articolo. VUOI APPROFONDIRE QUESTO ARGOMENTO? Leggi anche:

: Lesioni personali: cosa cambia con la riforma Cartabia – Simla

Cosa dice l’articolo 585 del codice penale?

(Codice Penale-art.585) Art.585. (Circostanze aggravanti) Nei casi previsti dagli articoli 582, 583, 583-bis ((, 583-quinquies)) e 584, la pena e’ aumentata da un terzo alla meta’, se concorre alcuna delle circostanze aggravanti previste dall’articolo 576, ed e’ aumentata fino a un terzo, se concorre alcuna delle circostanze aggravanti previste dall’articolo 577, ovvero se il fatto e’ commesso con armi o con sostanze corrosive, ovvero da persona travisata o da piu’ persone riunite.

Quando le lesioni sono gravi?

LESIONI PERSONALI STRADALI GRAVI E GRAVISSIME: PENE PREVISTE DAL CODICE – L’art.590-bis del Codice penale dispone che ” chiunque cagioni per colpa ad altri una lesione personale con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale è punito con la reclusione da tre mesi a un anno per le lesioni gravi ; e da uno a tre anni per le lesioni gravissime “.

C’è lesione grave se dal fatto deriva una malattia che metta in pericolo la vita della persona offesa; ovvero una malattia o un’incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore ai quaranta giorni; nonché se il fatto produce l’indebolimento permanente di un senso o di un organo. C’è invece lesione gravissima se dal fatto deriva una malattia certamente o probabilmente insanabile (ossia un processo patologico destinato a durare tutta la vita); oppure la perdita di un senso o di un arto o una mutilazione che renda l’arto inservibile; o ancora la perdita dell’uso di un organo o della capacità di procreare (inclusa per la donna la capacità di concepire e portare a termine una gravidanza); ovvero una permanente e grave difficoltà dell’uso della parola.

Cosa dice l’articolo 582 del codice penale?

(Codice Penale-art.582) Art.582. (Lesione personale) Chiunque cagiona ad alcuno una lesione personale, dalla quale deriva una malattia nel corpo o nella mente, e’ punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. Se la malattia ha una durata non superiore ai venti giorni e non concorre alcuna delle circostanze aggravanti previste negli articoli ((61, numero 11-octies),)) 583 e 585, ad eccezione di quelle indicate nel numero 1 e nell’ultima parte dell’articolo 577, il delitto e’ punibile a querela della persona offesa.

– AGGIORNAMENTO (24) Il D.P.R.11 luglio 1959, n.460 ha disposto (con l’art.1, comma 1, lettera g)) che e’ concessa amnistia “per il reato di lesioni personali volontarie lievissime previsto dall’art.582, capoverso, del Codice penale, aggravato ai sensi dell’art.585, in relazione all’art.577, stesso Codice, se concorre un’attenuante”.

Ha inoltre disposto (con l’art.15, comma 1) che l’amnistia ha efficacia per i reati commessi fino a tutto il 23 ottobre 1958. – AGGIORNAMENTO (29) Il D.P.R.24 gennaio 1963, n.5 ha disposto (con l’art.1, comma 1, lettera c)) che e’ concessa amnistia “per il delitto di lesioni personali lievissime, preveduto dall’articolo 582 capoverso del Codice penale, aggravato ai sensi dell’articolo 585 in relazione allo articolo 577 capoverso dello stesso Codice”.

  • Ha inoltre disposto (con l’art.8, comma 1) che l’amnistia di cui sopra ha efficacia per i reati commessi fino a tutto il giorno 8 dicembre 1962.
  • AGGIORNAMENTO (36) Il D.P.R.4 giugno 1966, n.332 ha disposto (con l’art.1, comma 1, lettera c)) che “E’ concessa amnistia, salvo quanto previsto dal presente decreto per i reati in materia tributaria: c) per il delitto di lesioni personali lievissime previsto dall’art.582 capoverso del Codice penale, se il fatto e’ commesso contro il coniuge, il fratello o la sorella, il padre o la madre adottivi, o il figlio adottivo, o contro un affine in linea retta”.

Ha inoltre disposto (con l’art.16, comma 1) che l’amnistia ha efficacia per i reati commessi fino a tutto il giorno 31 gennaio 1966.