La pronuncia ecclesiastica o scolastica – Essendo la pronuncia ecclesiastica derivata dal latino volgare parlato dal popolo, essa risulta essere più variegata e, nel complesso, meno semplice di quella classica. In linea generale, possiamo dire che la pronuncia ecclesiastica adotta le medesime convenzioni dell’ italiano,
A : /a/ ; è la semplice a, Esempi: aqua /’akwa/. B : /b/ ; è la semplice b, Esempi: bibo /’bibo/. C : /k/, /tʃ/ ; se davanti a a, o, u è pronunciata /k/, come la c dura di c asa; se davanti a i, e, ae e oe è pronunciata /tʃ/, come la c dolce di c ena. Esempi: cervus /’tʃervus/; canis /’kanis/; caelum /’tʃelum/.
D : /d/ ; è la semplice d, Esempi: dolum /’dolum/. E : /e/, /ε/ ; è la semplice e, aperta o chiusa. Esempi: ver /’vεr/; elephas /’elefas/. F : /f/ ; è la semplice f, Esempi: fero /fεro/; efficio /e’f:itʃio/. G : /g/, /ʤ/ ; se davanti a a, o, u è pronunciata /g/, come la g dura di a g o; se davanti a i, e, ae e oe è pronunciata /ʤ/, la g dolce di g elo.
- Esempi: gerere /’ʤεrere/; gaudeo /’gawdeo/.
- H : muta : non ha suono.
- Esempi: hirundo /i’rundo/; mihi /’mii/; I : /i/, /j/ ; se ad inizio parola seguita da vocale, o se intervocalica, si legge come semiconsonante /j/ (come in j ena), altrimenti come i vocalica normale.
- Nel gruppo ti +vocale a volta è letta come vocale, altre come semiconsonante.
Esempi: Iulius /’julius/; ratio /’ratsjo/ o /ratsio/; video /’video/; iniuria /in’juria/. K : /k/ ; è la c dura di c ane. L : /l/ ; è la semplice l, Esempi: lupus /’lupus/; alter /’alter/. M : /m/ ; è la semplice m, Esempi: manus /’manus/; immo /’im:o/.
N : /n/, /ɱ/, /ŋ/ ; se davanti a vocale o a consonante dentale (t; d; s; z; l; r; c /tʃ/; g /ʤ/) è la /n/ normale di n ano (esempi: nugae /’nuʤe/; intereo /in’tereo/; incido /in’tʃido/); se davanti a consonante labiodentale (f; v) diviene la corrispettiva nasale labiodentale ( /ɱ/, come in i n finito; esempi: infinitas /iɱ’finitas/); se davanti a consonante velare (c /k/, k, g /g/) diviene la corrispettiva nasale velare ( /ŋ/, come in vi n co; esempi: angustus /aŋ’gustus/).
O : /o/, /ɔ/ ; è la semplice o, aperta o chiusa. Esempi: ora /’ɔra/; volo /’vɔlo/; cano /kano/. P : /p/ ; è la semplice p, Esempi: Paris /’paris/; Alpes /’alpes/. Q : /k (w)/ ; come in italiano, è pronunciata come labiovelare, come in q uadro. Esempi: qua /’kwa/.
- R : /r/ ; è la semplice r,
- Esempi: ros /’rɔs/; pirum /’pirum/.
- S : /s/, /z/ ; se ad inizio parola o attigua ad una consonante, è la s sorda (/s/, come in s ole); se intervocalica o seguita da consonante sonora è la s sonora (/z/, come in a s ilo).
- Esempi: sal /’sal/; rosa /’rɔza/; praesto /’presto/; Lesbos /’lezbos/.
T : /t/ ; è la semplice t, Esempi: timeo /’timeo/; raptatus /rap’tatus/. U : /u/, /w/ : si pronuncia come u semiconsonantica ( /w/, come in u ovo) dopo la q e nei dittonghi au ed eu ; si legge come vocale ( /u/ ) negli altri casi. Esempi: qui /’kwi/; uva /’uva/; aurum /awrum/; urbs /’urbs/.
- V : /v/ ; si pronuncia come semplice v,
- Esempi: vinum /’vinum/.
- X : /ks/, /gz/ ; normalmente è la doppia consonante x (/ks/, come in x ilofono); se intervocalica, si legge /gz/ ( g gutturale seguita da s lene).
- Esempi: rex /’rεks/; exilium /eg’ziljum/.
- Y : /i/ ; è letta come semplice i,
- Esempi: hypnosis /ip’nosis/.
Z : /dz/ ; è la z sonora di z aino. Esempi: orizon /o’ridzon/. Inoltre: PH : /f/, Esempi: philosophia /filo’sofia/; Sappho /’saffo/. TH : /t/, Esempi: thesaurus /te’saurus/. CH : /k/, Esempi: Chaos /’kaos/. GN : /ɲ/ ; è la gn di ra gn o. Esempi: gnosco /’ɲɔsko/; agnus /’aɲus/.
TĬ seguito da vocale: /tsj/ ; è la z aspra di pi zz a seguita da una i semiconsonantica. Esempi: otium /otsjum/; gratiis /’gratsjis/. SC : /sk/, /ʃ/ ; se davanti a a, o, u è pronunciata /sk/; se davanti a i, e, ae e oe è pronunciata /ʃ/, come la sc molle di sc iare. Esempi: scio /’ʃio/. AE e OE : /e/, /ε/,
Esempi: caelum /’tʃelum/; poena /’pena/. Per quanto concerne i dittonghi, anche i grafemi vocale+i ( ei, ui ) vengono usualmente letti nell’ecclesiastico come dittonghi: rei si pronuncerà /’rεj/ e portui sarà /’pɔrtuj/ o anche /pɔrtwi/; per quanto riguarda yi, esso è pronunciato come semplice i allungata (/i:/).
Come si legge EA?
L’alfabeto latino è pressoché identico a quello italiano, sia come grafia, sia come natura delle sillabe. Ne esistono però alcune in più, e ci possiamo riferire alla x, k, y. Queste portano il numero delle sillabe dell’alfabeto latino ad un totale di 24 grafemi, ai quali corrisponde, quasi sempre lo stesso fonema ( suono della sillaba). Non corrisponde il suono quando siamo di fronte ai dittonghi. In latino non esistono parole tronche (Verità), cioè che portano accento sull’ultima, non esistono nemmeno (a grandissima differenza del greco) accenti di alcun tipo. Esiste però un piccolo accorgimento: le quantità. Cioè, quanto mi devo fermare sulla pronuncia del suono di ciascuna vocale? Tanto o poco? E’ importante perché i romani basavano la lingua parlata proprio sulla distinzione durativa della pronuncia. Esattamente, l’italiano è tra le lingue romanze, assieme al romeno quello che conserva maggiori affinità con il latino. Il latino infatti non presenta regole di pronuncia, ogni parola la si legge come si scrive salvo qualche eccezione. I dittonghi ae e oe si leggono e a meno che essi non siano segnati con una dieresi (¨) segno diacritico che indica quando due vocali non fanno dittongo. Esempi – rosae, foedus -> si leggono -> rose, fedus – poëta, aëdus -> si leggono -> poeta, aedus – il gruppo consonantico ph si legge f, come in molte altre lingue che hanno preso spunto dal latino. – il gruppo gl è gutturale, come nella parola “glutine” il gruppo “-ti” intervocalico (fra 2 vocali), si legge “-zi”.
Quali sono i dittonghi in latino?
GRAMMATICA LATINA: VOCALI, DITTONGHI E PRONUNCIA – Le vocali sono le stesse che per l’italiano: A, E, I, O, U, e si pronunciano come in italiano. La Y di origine greca si pronuncia comunque I. Le vocali si possono anche trovare unite insieme, formando quello che viene chiamato dittongo,
- Le combinazioni più frequenti sono: “AE”, “AU”, “EU”, “OE”.
- Rari sono “EI”, “UI” ed “YI”.
- I dittonghi “AE” e “OE” si pronunziano E. Ma Poeta si legge Poèta, come in italiano, poiché comprendendo il latino la dieresi, i due puntini sulla lettera E, ci dicono che O ed E non formano dittongo.
Anche per le consonanti ci sono dei casi i cui la differenza tra grafie antiche e consuetudini moderne è un po’ più rilevante. Ad esempio il gruppo “PH” si pronuncia f, e il gruppo “TI” + vocale si pronuncia zi, Ci sono delle eccezioni, Si pronuncia ti:
- Se il gruppo “TI” + vocale è preceduto da S, T, X
- Se la sillaba “TI” è accentata
- Se il gruppo è all’interno di un nome greco
Quando la i è semiconsonante in latino?
La pronuncia ecclesiastica – La pronuncia ecclesiastica era quella abitualmente in uso nella Chiesa cattolica di rito latino per la propria liturgia, soprattutto prima della riforma voluta dal Concilio Vaticano II che ha introdotto l’uso della lingua volgare nella liturgia cristiana (“introdotto” e non “reintrodotto” perché, sebbene per diversi secoli la liturgia a Roma fosse stata celebrata in greco, l’introduzione del latino non fu, a suo tempo, l’adozione di una lingua del popolo, ma di una lingua standard, già molto diversa da quella effettivamente parlata dal popolo).
- Essendo la pronuncia ecclesiastica improntata sul latino volgare parlato in epoche successive alla classicità, essa risulta più variegata e, nel complesso, meno uniforme di quella classica.
- In linea generale, si può dire che la pronuncia ecclesiastica risenta della fonetica e spesso anche delle convenzioni grafiche delle diverse lingue locali: pertanto il latino letto in Francia suonava molto simile al francese, in Germania al tedesco e naturalmente in Italia all’ italiano,
In Francia fu fondata una Société des amis de la prononciation française du latin in opposizione alla proposta di adottare la pronuncia italianizzante, Peraltro, è anche possibile che alcuni fenomeni fonetici presenti in questo sistema di lettura del latino risalgano ad una pronuncia più antica di questa lingua (per esempio la palatalizzazione delle velari che le ha portate a mutarsi in affricate, oppure l’ assibilazione di /tj/ seguito da vocale in /t͡sj/ ).
Lungo i secoli, la pronuncia del latino finì comunque per essere dominata dalla fonologia delle lingue locali, con il risultato di una grande varietà di sistemi di pronuncia. A causa della centralità di Roma all’interno della Chiesa cattolica, tuttavia, una pronuncia italianizzante del latino fu via via sempre più consigliata: prima di allora, la pronuncia del latino anche nella liturgia cattolico-romana rifletteva la pronuncia del latino utilizzata localmente in altri ambiti (accademico, scientifico, giuridico, etc.).
Il papa Pio X raccomandò ai Paesi cattolici il mantenimento della pronuncia ecclesiastica del latino nelle scuole, ed anche il suo motu proprio Tra le sollecitudini, del 1903, venne normalmente interpretato come un invito a fare della pronuncia “romana” lo standard del latino per ogni ministro di culto cattolico che celebrasse un atto liturgico, si trattasse della messa, dell’amministrazione di un sacramento o della celebrazione delle ore canoniche,
La pronuncia ecclesiastica italianizzante divenne da allora la più diffusa nella liturgia cattolica, e fu anche la pronuncia preferita dai cattolici anche al di fuori della liturgia (sebbene gli studi di Fred Brittain abbiano mostrato che la diffusione di questo tipo di pronuncia non era ancora del tutto consolidata alla fine del XIX secolo ).
La Pontificia accademia di latinità è un organismo della Curia romana che regola autorevolmente l’uso del latino nell’ambito della Chiesa cattolica. Al di fuori dell’Italia e della liturgia cattolica, la pronuncia ecclesiastica è utilizzata soltanto nel canto corale, che molto spesso ha uno stretto legame con i testi liturgici (sebbene vi siano anche delle eccezioni, come l’ Oedipus rex di Stravinskij, che è in latino ma non tratta un tema cristiano).
Una pronuncia del latino improntata all’ecclesiastica è stata utilizzata anche nel film La passione di Cristo, Anche le corali della Chiesa anglicana usano spesso la pronuncia ecclesiastica. La ricerca di una resa dei brani musicali filologicamente più attendibile, tuttavia, porta spesso a rivalutare le pronunce regionali del latino, e ad eseguire i testi musicati come li avrebbe pronunciati l’autore o l’esecutore per il quale erano stati scritti.
In Italia, a differenza del resto del mondo (escluse alcune scuole cattoliche all’estero), la pronuncia ecclesiastica è tuttora insegnata nella maggior parte dei licei ; essa adotta le seguenti regole: A : /a/ ; è la semplice a, Esempi: aqua /ˈakwa/,
- B : /b/ ; è la semplice b,
- Esempi: bibo /ˈbibo/,
- C : /k/, /t͡ʃ/ ; ha la stessa pronuncia che ha in italiano: se davanti a a, o, u è pronunciata /k/, come la c dura di c asa, se davanti a i, e, ae e oe è pronunciata /t͡ʃ/, come la c dolce di c ena.
- Esempi: cervus /ˈt͡ʃɛrvus/ ; canis /ˈkanis/ ; caelum /ˈt͡ʃɛlum/,
D : /d/ ; è la semplice d, Esempi: dolum /ˈdɔlum/, E : /e/, /ε/ ; è la semplice e, aperta o chiusa. Esempi: ver /vεr/ ; elephas /ˈɛlefas/, F : /f/ ; è la semplice f, Esempi: fero /ˈfεro/ ; efficio /efˈfit͡ʃio/, G : /g/, /d͡ʒ/ ; ha la stessa pronuncia che ha in italiano: se davanti a a, o, u è pronunciata /ɡ/, come la g dura di a g o, se davanti a i, e, ae e oe è pronunciata /d͡ʒ/, la g dolce di g elo.
Esempi: gerere /ˈd͡ʒεrere/ ; gaudeo /ˈɡau̯deo/, H : muta : non ha suono. Esempi: hirundo /iˈrundo/ ; mihi /mi(ː)/ ; I : /i/, /j/ ; se ad inizio parola seguita da vocale, o se intervocalica, si legge come semiconsonante /j/ (come in j ena), altrimenti come i vocalica normale. Nel gruppo ti +vocale a volte è letta come vocale, altre come semiconsonante.
Esempi: Iulius /ˈjuljus/ ; ratio /ˈratt͡sjo/ o /ˈratt͡sio/ ; video /ˈvideo/ ; iniuria /iˈnjurja/, K : /k/ ; è la c dura di c ane. L : /l/ ; è la semplice l, Esempi: lupus /ˈlupus/ ; alter /ˈalter/, M : /m/ ; è la semplice m, Esempi: manus /ˈmanus/ ; immo /ˈimmo/,
N : /n/, /ɱ/, /ŋ/ ; se davanti a vocale o a consonante dentale (t; d; s; z; l; r; c /tʃ/ ; g /dʒ/ ) è la /n/ normale di n ano (esempi: nugae /ˈnud͡ʒe/ ; intereo /inˈtɛreo/ ; incido /inˈt͡ʃido/ ); se davanti a consonante labiodentale (f; v) diviene la corrispettiva nasale labiodentale ( ɱ/, come in i n finito; esempi: infinitas /iɱˈfinitas/ ); se davanti a consonante velare (c /k/, k, g /ɡ/ ) diviene la corrispettiva nasale velare ( ŋ/, come in vi n co; esempi: angustus /aŋˈɡustus/ ).
O : /o/, /ɔ/ ; è la semplice o, aperta o chiusa. Esempi: ora /ˈɔra/ ; volo /ˈvɔlo/ ; cano /ˈkano/, P : /p/ ; è la semplice p, Esempi: Paris /ˈparis/ ; Alpes /ˈalpes/, Q : /k(w)/ ; come in italiano, è pronunciata come labiovelare, come in q uadro. Esempi: qua /kwa/,
R : /r/ ; è la semplice r, Esempi: ros /rɔs/ ; pirum /ˈpirum/, S : /s/, /z/ ; se ad inizio parola o attigua ad una consonante, è la s sorda ( /s/, come in s ole); se intervocalica o seguita da consonante sonora è la s sonora ( z/, come in ro s a). Esempi: sal /sal/ ; rosa /ˈrɔza/ ; praesto /ˈprɛsto/ ; Lesbos /ˈlɛzbos/,
T : /t/ ; è la semplice t, Esempi: timeo /ˈtimeo/ ; raptatus /rapˈtatus/ ; per la T seguita da I e un’altra vocale si veda in seguito. U : /u/, /w/ : si pronuncia come u semiconsonantica ( /w/, come in u ovo) dopo la q e nei dittonghi au ed eu ; si legge come vocale ( u/ ) negli altri casi.
- Esempi: qui /kwi/ ; uva /ˈuva/ ; aurum /ˈawrum/ ; urbs /urbs/,
- V : /v/ ; si pronuncia come semplice v,
- Esempio: vinum /ˈvinum/,
- X : /ks/ ; è la doppia consonante x, come in x ilofono; esempio: rex /rεks/,
- Normalmente veniva prescritta una pronuncia /ɡz/ quando la consonante si trovasse tra due vocali; esempio: exemplum /eɡˈzεmplum/,
Y : /i/ ; è letta come semplice i, Esempio: hypnosis /ipˈnɔzis/, Z : /d͡z/ ; è la z sonora di z aino. Esempio: horizon /oˈrid͡zon/, Inoltre: PH : /f/, Esempi: philosophia /filoˈzɔfja/ ; Sappho /ˈsaffo/, TH : /t/, Esempi: thesaurus /teˈzawrus/, CH : /k/,
Esempi: Chaos /ˈkaos/, GN : /ɲ/ ; è la gn di ra gn o. Esempi: gnosco /ˈɲɔsko/ ; agnus /ˈaɲus/, TĬ seguito da vocale: /t͡sj/ ; è la z aspra di pi zz a seguita da una i semiconsonantica. Esempi: otium /ˈɔt͡sjum/ ; gratiis /ˈɡrat͡sjis/, lectio /ˈlɛkt͡sjo /, patior /ˈpat͡sjor/, La regola non viene rispettata, e il gruppo TI torna a pronunciarsi /ti/, quando questo è preceduto da S, X o da un’altra T, quando la I è accentata, e nelle parole di origine greca.
Esempi: ostium /ˈɔstjum/, mixtio /ˈmikstjo/, Attius /ˈattjus/, totius /toˈtius/, Critias /ˈkritjas/, SC : /sk/, /ʃ/ ; si pronuncia esattamente come in italiano: se davanti a a, o, u è pronunciata /sk/, se davanti a i, e, ae e oe è pronunciata /ʃ/, come la sc molle di sc iare.
- Esempi: scio /ˈʃio/,
- AE e OE : /ε/, /e/,
- Esempi: caelum /ˈt͡ʃɛlum/ ; poena /ˈpɛna/,
- Per quanto concerne i dittonghi, anche i grafemi vocale+i ( ei, ui ) vengono usualmente letti nell’ecclesiastico come dittonghi: rei si pronuncerà /rεj/ e portui sarà /ˈpɔrtui/ o anche /ˈpɔrtwi/ ; per quanto riguarda yi, esso è pronunciato come semplice i allungata ( /iː/ ).
Come per la pronuncia classica, dei digrafemi vocale+u, au è sempre dittongo ( /au̯/ ), mentre eu, quasi sempre derivato dal greco, è dittongo solo se lo era anche in greco, altrimenti no. I dittonghi ae ed oe (salvo i casi particolari con dieresi, come aër e poëta ), come abbiamo accennato, si leggono come i fonemi della e,
Cosa vuol dire Æ?
Simbolo dell’alfabeto fonetico internazionale, indica la vocale anteriore quasi aperta non arrotondata.
Come si scrive ae?
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æ, Æ | CTRL+MAIUSC+&, a o A |
œ, Œ | CTRL+MAIUSC+&, o o O |
ç, Ç | CTRL+, (virgola), c o C |
Come si legge il dittongo ei?
Ricorda: ‘ei’ si pronuncia e ‘ie’ si pronuncia.
Come riconoscere dittonghi Trittonghi è iati?
Conclusione – In conclusione possiamo osservare che lo iato si differenzia dal dittongo e dal trittongo per due ordini di ragioni:
in primo luogo l’accostamento di vocali nello iato si pronuncia in due emissioni di voce (nel dittongo e nel trittongo abbiamo una stessa emissione di voce); in secondo luogo le vocali dello iato formano due sillabe distinte, al contrario del dittongo e del trittongo nei quali l’unione dà luogo ad una sola sillaba.
Quando una vocale e atona?
Tipi di vocale – Oltre ai tre parametri già menzionati (altezza, anteriorità-posteriorità, procheilia), a seconda delle loro caratteristiche, le vocali possono essere:
- orali (per esempio le vocali dell’ italiano ) o nasali (per esempio nella pronuncia milanese o francese di Milan ), a seconda che il velo palatino sia alzato o abbassato, impedendo o permettendo il passaggio dell’aria dalle fosse nasali ;
- anteriori (per esempio o ) (dette anche vocali palatali), centrali (per esempio ) o posteriori (per esempio o ) (dette anche vocali velari), a seconda della posizione della lingua;
- aperte (o “basse”) o chiuse (o “alte”), a seconda della posizione della lingua nella cavità orale e dell’angolo intermascellare: quando la vocale è bassa, la bocca è più aperta; quando è alta, la bocca è più chiusa. È possibile osservare diversi gradi di apertura delle vocali: alcune lingue (ad esempio l’ arabo ) distinguono solo due gradi: vocale aperta /a/, vocali chiuse /i/ e /u/; l’italiano standard ha quattro gradi di apertura: vocale aperta (o bassa) /a/, vocali semiaperte (medio-basse) /ɛ/ e /ɔ/ ( ed aperte), vocali semichiuse (medio-alte) /e/ e /o/, vocali chiuse /i/ e /u/ (il sardo ha un grado di apertura in meno, essendo privo delle vocali ed aperte, per questo la sua pronuncia appare “cupa” agli italofoni; il siciliano invece ha due gradi di apertura in meno, essendo privo delle vocali ed chiuse);
- arrotondate (o “procheile”) o non arrotondate (“aprocheile”), a seconda che nell’articolazione intervenga o meno un arrotondamento delle labbra. In italiano sono arrotondate le vocali posteriori (o, ɔ e u) mentre non lo sono le altre. Vi sono lingue in cui una vocale anteriore può essere arrotondata (per esempio nella pronuncia lombarda o francese di mur ), oppure una vocale posteriore può non essere arrotondata (per esempio l’inglese nella parola cup );
- brevi o lunghe, a seconda della durata. In alcune lingue la lunghezza vocalica può avere valore distintivo. Per esempio in milanese la lunghezza vocalica distingue spesso l’infinito dei verbi dal participio passato: andà “andare” / andaa “andato”.
- vocali toniche o atone, Una vocale dicesi tonica quando su di essa cade l’ accento e atona quando non è accentata.
Le vocali sono suoni prodotti senza occlusioni al flusso d’aria. Le vocali possono essere schematizzate nel triangolo vocalico, dove si ha come base la A che è la vocale più aperta mentre ai lati abbiamo la I e la U che sono le vocali più chiuse. Sul percorso dalla A alla I abbiamo la E aperta e la E chiusa, mentre sul percorso dalla A alla U troviamo la O aperta e infine la O chiusa.
Che vocale e la i?
Linguistica – La forma primitiva della lettera i nell’alfabeto fenicio era ✂ e il suo valore fonetico era quello di un i semiconsonante, La forma si venne via via semplificando: presso gli Ebrei, finendo col ridursi a un grosso punto munito d’un apice inferiore, il più piccolo di tutti i segni alfabetici; presso i Greci e i Romani, riducendosi a una semplice asta verticale, da cui derivarono poi le varie forme delle scritture corsive.
L’uso del punto sull’ i minuscolo, introdotto nelle scritture latine del tardo Medioevo, dapprima in forma di sottile apice obliquo, per evitare confusioni tra la lettera i e i tratti verticali delle lettere u, n, m, diventò presto generale, ma fu sempre inteso come una prova di scrupolo eccessivo.
L’impiego d’un i minuscolo senza punto fu rinnovato nel 16° sec. da C. Tolomei e da P.F. Giambullari, in via sperimentale e solo come segno ortofonico, per distinguere l’ i non vocale dall’ i vocale. La lettera i del latino non era esclusivamente vocale come l’ ι del greco, ma era comunque vocale sillabica in quasi tutte le posizioni, e semiconsonante solo tra vocali (per es., Gaius ), o all’inizio di parola davanti ad altra vocale (per es., iocus ); la generalizzazione del suono semiconsonantico per l’ i latino atono davanti ad altra vocale (per es., basium ) è un fenomeno relativamente tardo, dell’età imperiale.
Nell’uso ortografico odierno la i, sostituisce anche, per tutte le parole italiane (eccezion fatta per pochi nomi propri che conservano la grafia tradizionale), il segno j nei casi e nelle posizioni in cui questo era adoperato in passato, Nell’uso fonetico, la lettera i può avere in italiano tre valori: vocale (sillabica e tonica come in pino ; sillabica ma atona come in pineta ; asillabica come in baita ); semiconsonante (come in piano ); segno diacritico (come in maggio ).
I confini fra le tre pronunce non sono così rigidi da non ammettere in numerosi casi uno scambio stilistico tra la prima e una delle altre, Come regola generale, un i non può essere segno diacritico se non è preceduto da una delle consonanti c, g, sc, gl o eccezionalmente gn ; un i non può essere né segno diacritico né semiconsonante se non è seguito da vocale; un i non può essere né segno diacritico né semiconsonante se porta l’ accento tonico.
- Come vocale, l’ i è la più chiusa delle vocali palatali ( i, é, è ); nella sua pronuncia la lingua è sollevata verso il palato anteriore, e l’apertura delle labbra è minima rispetto a quella che è caratteristica delle altre vocali di questa serie ( é, è ).
- Sono trascurabili in italiano anche le variazioni di durata dell’ i (così come delle altre vocali) e, in ogni modo, non hanno funzione distintiva, a differenza di quanto avviene in altre lingue, in cui l’opposizione tra i breve (relativamente aperto ) e i lungo ( chiuso ) può servire a distinguere due parole identiche in tutto il resto (in tedesco, per es., bitten «pregare» e bieten «offrire»).
Come semiconsonante l’ i italiano non ha un suono nettamente differenziato dall’ i vocale come l’ j del tedesco e d’altre lingue. In italiano l’opposizione tra i due fonemi, confusi dalla scrittura in una lettera unica, è possibile solo, e non sempre, davanti a un’altra vocale; nelle rimanenti posizioni l’italiano conosce solo il suono vocalico.
Davanti a vocale postonica, o in mezzo a due vocali (anche tra vocale e u semiconsonante) senza riguardo alla sede dell’accento, la pronuncia comune ammette solo un i semiconsonante: per es., coppia, abbaiare, aiuola, noia. Anche in posizione iniziale (prevocalica) si ha di regola i semiconsonante: per es., iattura, ieri.
L’ i preceduto da consonante e seguito da vocale tonica o protonica è di regola semiconsonante: per es., arpione, fiammata. Ultima funzione della lettera i è quella di segno diacritico. Nei gruppi cia cio ciu, gia gio giu, scia scio sciu, glia glie glio gliu la lettera i ha solo la funzione d’indicare la pronuncia dolce delle consonanti che la precedono, e la stessa funzione conserva nei gruppi cie, gie, scie, gnia (per es., socie, regie, conscie, sogniamo ).
- S’intende per i prostetico l’ i premesso a parole comincianti per s impura quando nella frase vengono a trovarsi precedute da consonante: per es., in istrada,
- Il fenomeno ha la sua origine nel latino volgare, e in altre lingue romanze ha avuto sviluppi più estesi che in italiano: all’it.
- Spada fanno riscontro il fr.
épée, lo sp. e port. espada, in cui la vocale prostetica si è fissata alla parola. In italiano il fenomeno si è ridotto a poche formule come per iscritto. Per i greco ➔ Y.
Come si pronuncia ti in latino?
Ti si pronuncia come è scritto. y è letto come la ü lombarda o francese. le lettere u \ v sono lette u.
Cosa significa Œ?
Puoi migliorare questa voce aggiungendo citazioni da fonti attendibili secondo le linee guida sull’uso delle fonti, Œ œ Œ œ Œ (minuscolo: œ ) è un grafema composto dalle lettere o ed e, Originariamente intesa come una legatura che rappresentava il dittongo latino, è stata promossa a lettera vera e propria in vari alfabeti, ( ᛟ ) del fuþorc anglo-sassone (un antico alfabeto runico, predecessore dell’antico inglese). È una lettera utilizzata anche in francese, sebbene non sia elencata nell’alfabeto, in cui è chiamata e dans l’o /ə dɑ̃ lo/, ossia “e nella o”.
Come si chiama la è al contrario?
Da Wikipedia, l’enciclopedia libera. Ə (minuscolo ə ) è un simbolo utilizzato in diverse lingue scritte nell’ alfabeto latino, chiamato « scevà » (o schwa ) o «e capovolta», Si usa come grafema in varie lingue:
- Nell’ azero rappresenta la vocale anteriore quasi aperta non arrotondata, A volte, si usa ä al suo posto per non creare problemi con l’ ISO 8859-9,
- Nell’alfabeto latino ceceno : l’uso di questo alfabeto è politicamente significativo in quanto in Russia si preferisce l’uso dell’ alfabeto cirillico, mentre i separatisti preferiscono l’alfabeto latino.
- Nella traslitterazione dell’ avestico la corrispondente vocale lunga è iscritta come uno scevà con il segno di lunga ə̄.
- Nella scrittura di alcuni dialetti dell’Italia centrale e meridionale,
Come capire dove va l’accento tonico in latino?
L’accento tonico nelle parole latine – A chi parla l’Italiano capita abbastanza spesso, nel pronunciare qualche parola nella lingua di Cicerone, di indovinare la collocazione dell’accento tonico senza incorrere in errore. Nella maggior parte dei casi anche la posizione dell’accento, come gran parte del patrimonio lessicale, è passata dal Latino all’Italiano senza modifiche.
Ma dai tempi di Cicerone sono trascorsi oltre 2000 anni. Non c’è quindi da meravigliarsi se in alcuni casi l’analogia lessicale tra le due lingue costituisce un falso aiuto, Oltre a ciò bisogna tener presente che alcune parole del Latino non sono giunte fino all’Italiano e quindi l’ orecchio non ci può aiutare a indovinare la posizione del loro accento.
Fortunatamente, almeno in teoria, le norme che regolano la collocazione dell’accento tonico nelle parole latine sono estremamente semplici, certamente molto più semplici di quelle del Greco, Va però ricordato che, nella scrittura attuale, il Greco presenta rispetto al Latino il vantaggio di segnare l’accento su tutte le parole, escluse le enclitiche e le proclitiche, prive per definizione di accento proprio.
- Il Latino non prevede invece nessun segno grafico per indicare la posizione dell’accento, il che rende particolarmente opportuna la conoscenza delle poche e semplici regole che determinano la collocazione dell’accento nelle parole.
- Naturalmente le parole monosillabiche sono fornite di un unico accento sull’unica sillaba di cui sono composte.
• Le parole composte di due sillabe hanno sempre l’accento sulla prima o penultima sillaba. Ecco alcuni esempi: Nascondi trattini ♫ a -qua, b e l-lum, cl a- rus, c o r-pus, f e- ro, g e -nus, h o- mo, l au- do, l u -na, m a g-nus, p o s-sum, s i -bi, v i -num Your browser does not support the audio element.
- Le parole composte di più di due sillabe seguono la cosiddetta regola della penultima, nel senso che sarà la quantità o durata della penultima sillaba a determinare la posizione dell’accento.
- In particolare: • l’accento tonico della parola cade sulla penultima sillaba se essa è lunga,
- Esempi: Nascondi trattini ♫ au-d ī -re, for-t ū -na, fu- ē -runt, ha-b ē- bam, lau-d ā- re, mo-n ē -re, na-t ū- ra, om-n ī -no, ra-ti- ō -nem, stu-di- ō -sus, vi-d ē- tur Your browser does not support the audio element.
• l’accento tonico cade sulla terzultima sillaba se la penultima è breve, Esempi: Nascondi trattini ♫ a -nĭ-mus, c i -vĭ-tas, con-sti-t u -ĕr-am, d i -cĕ-re, f u- ĕ-rant, h o -mĭ-nes, m a- xĭ-mus, o m-nĭ-bus, o p-pĭ-dum, s i -mĭ-lis, t e m-pŏ-ris Your browser does not support the audio element.
in Latino l’accento non cade mai prima della terzultima sillaba; allo scopo di stabilire la posizione dell’accento nelle parole composte di 3 o più sillabe non è necessario conoscere la quantità o durata né dell’ultima né della terzultima sillaba, ma solo della penultima.
Nella normale grafia dei testi non sono indicati i segni di quantità della penultima sillaba; negli esempi proposti i segni sono stati collocati solo per scopo esplicativo. Fortunatamente i vocabolari indicano normalmente il segno di quantità sulle diverse sillabe e risolvono possibili dubbi non solo in vista di una corretta pronuncia degli accenti, ma anche allo scopo di facilitare l’ analisi prosodica dei testi poetici.
la vocale tematica dei verbi della 1a coniugazione è costituita da -ā- lunga; es. laud-āre ; la vocale tematica dei verbi della 2a coniugazione è costituita da -ē- lunga; es. mon-ēre ; la vocale tematica dei verbi della 3a coniugazione è costituita da -ĕ- breve; es. leg-ĕre ; anche la vocale tematica dei verbi della 3a coniugazione in -io è costituita da -ĕ- breve; es.: da facio > fac-ĕre ; la vocale tematica dei verbi della 4a coniugazione è costituita da -ī- lunga; es. aud-īre,
Si ricordi infine che la desinenza della 3a persona plurale del perfetto indicativo ( -ērunt ) determina una penultima lunga e in quanto tale accentata. La desinenza originaria, nel latino letterario, era -ēre, frequente sia in prosa (es. Tacito) sia in poesia anche in età classica. La desinenza del sermo era invece -ĕrunt con penultima breve. Proprio da questa forma del sermo prende origine l’accento italiano della 3a persona plurale del passato remoto (es. da f e cĕrunt > fécero ). Molto rara, e quasi sempre imposta da esigenze metriche, la desinenza -ĕrunt nella poesia di età classica. Esempio: ♫ cūm sĕmĕl īnstĭt ĕ rūnt vēstīgĭă cērtă vĭāī. Lucr. I 406 Your browser does not support the audio element.
Quando la o è chiusa?
O chiusa (ó) La vocale o si pronuncia chiusa in italiano (ó): nelle parole con, don, non; nelle terminazioni -forme, -oce, -ogno, -ognolo, -oio, -onda, -ondo, -one, -oni, -onte, -onto, -onzolo, -ore, -oso, -posto.
Come si legge la è al contrario?
e capovolta in Vocabolario (m.: e capovolto; e rovesciata) loc.s.le f. Altra denominazione, non tecnica, dello schwa. ♦ Un comune emiliano ha adottato lo “schwa” (e / rovesciata) per essere più inclusivo. ( Elle.com, 15 aprile 2021, Magazine) • Continuamente sollecitata a dire la mia sulla “lingua inclusiva”, sottoinsieme del Grande Dibattito su genere identità di genere fluidità di genere e correttezza rispetto alla sensazione di genere, ho svicolato fin qui.
Dire cosa ne penso dell’asterisco a fine parola — così da non discriminare nessuno — mi provoca un improvviso tracollo della capacità di articolare un pensiero, sonnolenza e secchezza delle fauci. Limite mio, astenersi da insulti. In alternativa all’asterisco, insistono, ci sarebbe lo schwa, che nel sistema fonetico indica una vocale intermedia fra due vocali note, per esempio la “a” e la “o”.
È una “e” capovolta, si pronuncia come quando non sai come si pronuncia qualcosa e fai cadere la fine della parola in un suono indistinto simile a un eehm. Anche qui, tracollo. (Concita De Gregorio, Repubblica, 12 maggio 2021, p.27, Commenti) • Schwa o e capovolta: come si pronuncia e scrive su tastiera / e cellulare Che cos’è il simbolo a forma di e rovesciata che viene chiamato “schwa” e come si usa? Scopriamo insieme come si pronuncia e scrive su tastiera e cellulare.
Sololibri.net, 29 ottobre 2021) • Con l’arrivo via via di firme quali quelle di Luca Serianni ed Edith Bruck, Alessandro Barbero e Massimo Cacciari, Paolo Flores d’Arcais e tantissimi scrittori, storici, artisti e letterati con in testa Claudio Marazzini, il presidente dell’Accademia della Crusca.
L’istituzione che già mesi fa intervenne in modo molto duro contro l’introduzione dell’«e» capovolto, appunto lo schwa (ə) cocciutamente voluto dai promotori «per rendere la lingua italiana più inclusiva e meno legata al predominio maschilista». (Gian Antonio Stella, Corriere della sera.it, 8 febbraio 2022, Cronache) • Contro-appello sullo schwa, perché fa così / paura la ‘e’ capovolta (ə) La petizione su Change.org ‘Lo schwa (ə)? No grazie.
- Pro lingua nostra’ ha raggiunto da sabato quasi / 14mila firme.
- Chiedetevi, prima di sottoscrivere la petizione, se non state contribuendo a schiacciare, / mortificare e relegare ancora di più ai margini persone che già si sentono discriminate.
- Fanpage.it, 9 febbraio 2022, Politica) • Il simbolo schwa, o e capovolta (ə), sta entrando sempre di più nell’uso comune e si trova spesso al centro del dibattito su come rendere l’italiano una lingua ancora più inclusiva.
( Money.it, 18 febbraio 2022, Tecnologia). Composto dal grafema e s.f. o m. e e dall’agg. capovolto (o rovesciato ). : e capovolta in Vocabolario
Come si chiama la è rovesciata?
Ə (minuscolo ə) è un simbolo utilizzato in diverse lingue scritte nell’alfabeto latino, chiamato «scevà» (o schwa) o «e capovolta».
Quando si usa la schwa?
Come e quando si usa lo schwa in italiano – Naturalmente, l’ utilizzo dello schwa va effettuato solo per sopperire a quelle situazioni in cui l’italiano comune predilige l’assegnazione di un genere in cui, magari, l’ascoltatore non si riconosce, o magari veicola un’informazione sbagliata o incompleta.
- La casistica più diffusa per cui si usa lo schwa in italiano riguarda i momenti in cui ci si riferisce a una moltitudine mista.
- Entrando in una stanza in presenza di, per esempio, dieci persone che non siano dieci uomini o dieci donne, il saluto più corretto sarebbe “Buonasera a tuttə”.
- In questo modo si mantiene neutro il genere delle persone a cui è riferito l’enunciato.
“Buonasera a tutti”, utilizzato finora in italiano, è figlio di una tradizione linguistica che ha sovrapposto il concetto di genere maschile al neutro, o almeno alla moltitudine indistinta. Una tradizione che, dopo secoli, non ha più ragione di esistere in una società che ha finalmente compreso il valore della parità di genere.
Lo schwa dev’essere applicato anche quando ci si riferisce a una persona di cui non si conosce il genere. Di fronte a un ombrello dimenticato, l’enunciato corretto è “Qualcunə ha lasciato qui l’ombrello”, se non si è certi del genere del soggetto. Nulla vieta che sia stata una donna a commettere la dimenticanza, e quindi la frase corretta sarebbe “Qualcuna ha lasciato qui l’ombrello”.
Finché il dubbio permane, lo schwa neutro (ə) è la soluzione linguistica migliore. Infine lo schwa rimane il modo migliore per riferirsi a una persona che si è dichiarata, Un amicə non binaria particolarmente splendente una sera si merita un “Ti vedo bellə stasera”, senza la vocale di genere nel suffisso.
Come si leggono le parole accentate?
Accenti e parole – Possiamo classificare le parole della lingua italiana in base al modo in cui sono accentate, ovvero in base alla posizione della sillaba a cui viene data più enfasi nella pronuncia. Come abbiamo visto, le uniche parole per cui l’accento è obbligatorio anche nella forma scritta sono le parole tronche:
nelle parole tronche l’accento sull’ultima sillaba (mercoledì, virtù); nelle parole piane l’accento va sulla penultima sillaba (libro, giornale); nelle parole sdrucciole l’accento va sulla terzultilma sillaba (zucchero, origine); nelle parole bisdrucciole l’accento va sulla quartultima sillaba (parlamene, verificano).