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Scuola Come Organizzazione Complessa?

Scuola Come Organizzazione Complessa
Le scuole sono organizzazioni complesse il cui funzionamento è condizionato da una pluralità di fattori che si influenzano reciprocamente. La figura del DS non viene isolata dalle altre figure professionali della scuola, né dagli altri soggetti e organismi con cui è chiamata istituzionalmente a interagire.

Cosa si intende per organizzazione complessa?

Un’organizzazione è soggettivamente complessa quando la si consideri in una prospettiva che privilegia le relazioni tra le unità componenti una struttura piuttosto che le componenti in quanto tali.

Cosa si intende per organizzazione della scuola?

L’organizzazione scolastica – L’organizzazione scolastica è un’istituzione educativa di carattere formale con una struttura ben definita nella quale si portano a termine compiti ed attività specifiche, Esistono ruoli ben definiti e differenziati. Lo studio e l’analisi di queste organizzazioni educative e dei loro processi, sono la base della quale si nutre la teoria dell’organizzazione scolastica.

Chi ha definito la scuola come una organizzazione a maglie larghe?

Il conflitto organizzativo

  • Il conflitto organizzativo e la sua gestione a scuola
  • di Emmanuele Roca
  • Il conflitto in ambito scolastico è connaturale alle interazioni
  • Quando si lavora insieme e si condivide la stessa organizzazione scolastica, la medesima struttura e gli spazi, interagendo nell’ambito delle dinamiche dei processi e delle procedure, essendo sottoposti a regole e regolamenti comuni, i conflitti si presentano inevitabilmente ed anzi sono quasi naturali, in quanto strettamente connessi alle interazioni che caratterizzano la quotidianità della vita di una scuola.
  • Zan (2011) definisce la scuola come una organizzazione sociale complessa ed a maglie larghe (“loose coupling”) dove le relazioni tra le varie componenti si caratterizzano per complessità, variabilità e debolezza.

Infatti, nelle istituzioni scolastiche interagiscono un gran numero di soggetti (dirigenti, docenti, personale ATA, studenti, genitori/tutori degli studenti, rappresentanti degli enti territoriali, ecc.) che devono confrontarsi su varie questioni e problemi e la genesi di un probabile conflitto risulterebbe associabile a differenze di cultura, personalità, valori, atteggiamenti, bisogni, obiettivi, interessi, aspirazioni, ecc.

  1. Nella scuola di oggi si richiede sempre più una maggiore collaborazione tra le diverse componenti di sistema – al fine di raggiungere determinati traguardi nell’ambito di un comune orizzonte di senso – ed il conflitto può considerarsi come l’insorgenza di una situazione generata da altri (una persona o un gruppo) e che viene percepita come interferente nel perseguimento dei propri obiettivi; si tratta di una disputa che sorgendo nel contesto delle relazioni, a livello personale o di gruppo, può influenzare il grado di soddisfacimento dei bisogni psicologici e/o delle prospettive sociali.
  2. Saiti (2015) riferisce che, a livello organizzativo, i conflitti in ambito scolastico sono attribuibili ai seguenti fattori: a) l’interdipendenza tra i membri di un’organizzazione e la mancanza di accordo in merito agli atteggiamenti ed alle procedure; b) l’esistenza di punti di vista discordanti che non consentono la realizzazione di azioni comuni; c) le divergenze nell’adozione di pratiche didattiche e/o amministrative; d) la percezione di differenti bisogni e/o la non condivisione di valori di senso e di appartenenza; e) l’incompatibilità tra diversi interessi di parte; f) gli interessi contrastanti nell’espletamento di un progetto/compito; g) le controversie generate da rivalità, dall’ignoranza e/o da comportamenti lavorativi negativi; h) le eccessive lamentele nello svolgimento di un compito; i) l’evenienza di errori procedurali reiterati nel tempo; l) il fenomeno dell’assenteismo; m) la crescente pressione e/o l’ingerenza esercitata dall’ambiente esterno; n) ecc.
  3. Di per sé il conflitto non può considerarsi né un evento “positivo”, né un accadimento “negativo” e – per quanto la sua genesi possa essere ricondotta a fattori personali e/o organizzativi – l’aspetto più importante del suo verificarsi risiede nella modalità di risoluzione, in quanto ciò genera potenziali ricadute sull’organizzazione.
  4. Occorre saper gestire il conflitto considerando le possibili strategie risolutive e riflettendo sul come lo stesso conflitto possa trasformarsi “da problema a risorsa” sul piano dei processi di miglioramento.
  5. Bisogna imparare a gestire i conflitti in modo da contribuire al miglioramento dell’organizzazione e ciò richiede lo sviluppo di un apprendimento organizzativo costante, situato e calato nella propria realtà (Roca, 2021).
  6. Tipologie di conflitto nell’ambito dell’organizzazione scolastica
  7. In ambito scolastico è possibile classificare i conflitti in relazione ai seguenti parametri: a) le tipologie degli obiettivi perseguiti dai diversi contendenti o attori scolastici; b) il livello organizzativo in cui si verifica il conflitto; c) la natura del conflitto; d) gli effetti determinati dal conflitto; e) l’intensità del conflitto e la frequenza con cui esso si ripete.
  8. I conflitti possono emergere sia tra individui che hanno obiettivi diversi ma devono accordarsi su questioni comuni, sia tra persone e/o gruppi che, pur avendo obiettivi comuni, competono per le stesse risorse.

I conflitti intra-organizzativi tra i membri della comunità possono verificarsi a livello personale o di gruppo. Nel primo caso, si possono distinguere conflitti intrapersonali e interpersonali, nel secondo caso conflitti interdipartimentali (tra gruppi) e intradipartimentali (all’interno del gruppo).

  1. Sulla base della natura stessa dei conflitti, si possono ulteriormente differenziare conflitti di relazione, di compito e di processo.
  2. A mero titolo esemplificativo, un conflitto di relazione potrebbe originarsi a causa delle diverse personalità degli insegnanti impegnati a realizzare, in maniera sinergica e condivisa, una comune azione didattica.

Un conflitto di compito potrebbe invece implicare una mancanza di accordo sul contenuto degli obiettivi di una unità di apprendimento. Un conflitto di processo potrebbe emergere allorquando ci siano percezioni e filosofie diverse sull’uso delle nuove tecnologie nella didattica.

  • Sulla base degli effetti prodotti sull’organizzazione è possibile ulteriormente classificare i conflitti in funzionali (costruttivi) e disfunzionali (distruttivi); i primi possono permettere il raggiungimento degli obiettivi ed hanno un effetto positivo sul miglioramento dell’efficienza organizzativa mentre i secondi costituiscono un ostacolo alle prestazioni ed al raggiungimento degli obiettivi dell’organizzazione.
  • In riferimento al livello di intensità dei conflitti, si possono distinguere livelli di intensità bassi, medi e alti.
  • Per quanto riguarda le parti coinvolte, i conflitti possono avvenire tra studenti, tra studenti e insegnanti, tra studenti e Dirigente Scolastico (DS), tra DS e personale scolastico (insegnanti e personale ATA), tra insegnanti, tra personale ATA, tra genitori/tutori degli studenti e tra questi e il personale scolastico e/o il DS, tra i vari attori sociali della scuola compreso le autorità locali, ecc.
  • Cause dei conflitti e variabili di sistema
  • Cercare di comprendere le cause del conflitto ed identificare i fattori che possono influenzarne la frequenza e l’intensità rappresenta il punto di partenza per imparare a gestire le situazioni conflittuali.
  • In letteratura non mancano studi sulle possibili cause dei conflitti organizzativi a livello scolastico.
  • Jubran (2017) ha proposto tre tipologie di cause quali: a) il grado di indipendenza funzionale tra le parti interagenti di un’organizzazione (dipartimenti/gruppi/referenti) aventi responsabilità diverse e l’assenza di un coordinamento e/o di una supervisione efficace; b) le differenze nei valori e negli obiettivi da perseguire; c) i compiti sovrapposti e non chiaramente definiti degli operatori con conseguente confusione tra ruoli, doveri e responsabilità (ambiguità di ruolo) all’interno dell’organizzazione.

Una variabile del sistema organizzativo da tenere sotto controllo è il modello di comunicazione che si realizza tra le parti; infatti, ci possono essere forme disfunzionali di comunicazione in grado di generare conflitti. Ad esempio, se non tutti dispongono delle stesse informazioni oppure la comunicazione viene trasmessa in modo diverso in relazione alle persone e tali differenze originano interpretazioni differenti ed agiti diversi, ciò determina possibili conflitti organizzativi e lo stesso può verificarsi allorquando la comunicazione risulta errata o determina una errata interpretazione delle informazioni.

Inoltre, le eventuali scarse relazioni tra le parti e la mancanza di briefing e confronto condizionano negativamente la comprensione reciproca e concorrono ad amplificare i possibili conflitti (Grammatikopoulos, 2022). Altro fattore da attenzionare è la lotta per l’assegnazione di maggiori quote di risorse per il proprio gruppo di appartenenza o per il/i singolo/i.

In questo caso occorre che la dirigenza sappia far comprendere (o almeno tenti di far comprendere) e renda trasparente il necessario uso diligente delle limitate risorse cercando la condivisione degli obiettivi ed operando a favore di possibili azioni tese ad intercettare nuove forme di finanziamento.

La tipologia di management e lo stile di leadership scolastica rappresentano altre variabili di contesto dell’organizzazione che interferiscono con la genesi dei conflitti. Infatti, l’adozione di un comportamento direttivo o all’opposto lassista da parte del DS influenza non poco l’origine e l’evoluzione del possibile conflitto in ambito scolastico.

Anche l’approccio all’identificazione dell’errore organizzativo – che può causare conseguenti conflitti nell’ambito delle unità operative o nei gruppi di lavoro e generare problemi di accettazione da parte del responsabile, con il timore di eventuali conseguenze nell’ambito del gruppo dei pari, con relazioni rese di fatto più difficili ed incremento di stress, in uno scenario che demonizza l’errore come un fallimento o lo considera esclusivamente come un ostacolo al raggiungimento degli obiettivi – costituisce una variabile di sistema da tenere sotto controllo.

In tal senso in un precedente lavoro (Roca, 2022) si è approfondito il ricorso all’Appreciative Inquiry in ambito scolastico, un approccio basato sulla diffusione di una concezione positiva delle organizzazioni e degli attori coinvolti nella generazione del cambiamento in modo da contribuire a ridurre, in una certa misura, la genesi delle conflittualità organizzative.

Stili di gestione dei conflitti Friend e Cook (2000) hanno analizzato gli stili di gestione del conflitto in ambito scolastico ribadendo che occorre imparare a interpretare e conseguentemente risolvere adeguatamente il conflitto in maniera efficace, al fine di ricavarne – laddove possibile – un beneficio per l’organizzazione in termini di riflessività e miglioramento operativo.

Di fronte al presentarsi di situazioni problematiche – nelle quali potrebbero emergere rivalità, bisogni non convergenti, obiettivi non condivisi, controversie personali, ecc. – i diversi attori dell’organizzazione scolastica, ed in primis il Dirigente Scolastico, dovrebbero attivare momenti di riflessione per prendere coscienza del dato di fatto, studiarne le variabili di contesto e formulare ipotesi di intervento che consentano attraverso una negoziazione tra le parti, di giungere ad una possibile condivisione di scelte, di atteggiamenti e di azioni, in un’ottica di miglioramento continuo.

La gestione dei conflitti deve mirare a: 1) prevenire l’azione di disturbo generata dalla conflittualità facendo convergere l’attenzione delle parti sul raggiungimento di una condivisione di valori e sugli obiettivi da perseguire, attraverso l’arte della possibile mediazione e del contemperamento degli interessi; 2) migliorare la comprensione e la conoscenza dei diversi attori della scuola, rispettandone la diversità; 3) aumentare la creatività gestionale dell’organizzazione e la capacità di autoriflessione del sistema; 4) imparare a mettere in atto procedure e strategie valide per la loro risoluzione.

Larasati e Raharja (2020) riportano cinque differenti stili di gestione dei conflitti ovvero: 1) evitante; 2) competitivo; 3) accomodante; 4) collaborativo; 5) di compromesso. Si tratta di comportamenti e approcci caratterizzati in maniera differente dalle dimensioni della collaboratività e dell’assertività.

Infatti, il comportamento evitante presenta il minor grado di queste due variabili ovvero il minimo livello di collaboratività e di assertività, al contrario lo stile collaborativo porta con sè il massimo grado di collaboratività ed assertività. Lo stile evitante comporta la scelta di evitare il conflitto o di affrontarlo allontanandosi dal problema ma in questo modo il problema non viene risolto e può generare ulteriori disfunzioni; tale strategia in alcuni casi può essere consigliabile allorquando il conflitto si presenta carico di emozioni e di sentimenti negativi ed il suo differimento temporaneo consentirebbe alle parti di affrontarsi più serenamente ed in maniera più controllata, in un successivo confronto.

  • Lo stile competitivo richiede un alto livello di consapevolezza ma un basso grado di cooperazione; è uno stile orientato all’uso del potere, si vuole avere ragione a tutti i costi facendo valere il proprio potere.
  • Tale comportamento potrebbe usarsi quando c’è da prendere una decisione di cui solo uno è responsabile ma se abusato porta con sé lo svantaggio di “danneggiare” le relazioni di collaborazione.

Lo stile accomodante rappresenta una modalità di gestione dei conflitti con un basso livello di assertività ed un alto livello di cooperazione; con tale comportamento si mettono da parte i propri interessi a favore di quelli del contendente nei cui confronti ci si arrende.

Tale evenienza può essere consigliata nel caso di questioni poco importanti o nel caso in cui non si può modificare una situazione e ciò consente di definire rapidamente il conflitto e di spostare l’attenzione su problemi ben più importanti. Lo stile collaborativo comporta la volontà di identificare le cause scatenanti il contendere, condividere le informazioni anche valutando il problema da prospettive ed angolature diverse e ricercare in maniera costruttiva la soluzione del caso.

Tale comportamento, seppure da auspicarsi in termini di crescita e di positiva collaborazione, non è da applicarsi quando i contendenti non si fidano l’uno dell’altro, né si rispettano lealmente, e peraltro richiede molto tempo. Lo stile di compromesso prevede la negoziazione ed il contemperamento degli interessi in modo tale che ciascuno dei contendenti raggiunga qualche vantaggio considerato accettabile.

  1. Rappresenta una modalità di gestione alquanto rapida ma comunque non è privo di svantaggi.
  2. Come ben si comprende non esiste una modalità univoca di gestione del conflitto ma all’interno delle interazioni scolastiche occorrerà fare riferimento, di volta in volta, a seconda delle caratteristiche del problema che si presenta e del contesto in cui esso avviene, a queste tipologie di stili che costituiscono dei modelli.
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Infatti, di fronte al crescente grado di complessità dello scenario scolastico non è pensabile che si adotti un modello organizzativo e di gestione prestabilito, ma occorre sviluppare capacità organizzative e gestionali che sappiano promuovere autonomia, creatività e flessibilità con l’orientamento al grado di soddisfazione di tutti gli stakeholders (Roca, 2021).

  1. Gestione del conflitto
  2. Non è possibile avere una scuola senza conflitti e la loro gestione assorbe non poco tempo, richiedendo lo sforzo di comprenderne le ragioni, le cause scatenanti, la logica sottesa alle parti contendenti, la ricerca di una auspicata possibile risoluzione delle problematiche e la prospettazione delle eventuali potenzialità generative, funzionali o disfunzionali all’organizzazione stessa.
  3. Il primo passo nella gestione di un conflitto è quello di analizzarne la natura e la tipologia, considerando le caratteristiche delle parti interagenti e le motivazioni da loro espresse.
  4. Una volta pervenuti alla comprensione generale del conflitto ed aver capito le motivazioni dei diversi attori, occorre identificare la possibile strategia da seguire e scegliere lo stile di gestione più consono al problema ed alle parti.
  5. Si avvia una fase di pre-negoziazione dove si attua un processo di avvicinamento con le parti, palesando la volontà di incontrare le stesse e stabilendo la logistica e la tempistica degli incontri.
  6. Segue una fase vera e propria di negoziazione ove occorre ricordare che l’oggetto dell’interazione non è che un “contendente” vinca e l’altro perda, ma che il problema che emerge, se concreto e reale, deve essere risolto.
  7. Pietroni e Rumiati (2008) hanno definito la negoziazione come “un processo sociale in cui due o più individui, portatori di interessi divergenti e legati tra loro da una relazione di interdipendenza rispetto alla condivisione di una o più risorse scarse, definiscono dinamicamente cosa ognuno deve dare all’altro fino a raggiungere un risultato vantaggioso per tutti”.
  8. Pertanto, durante le varie fasi di negoziazione si focalizzerà l’attenzione sul problema e non sulle persone, riconoscendo l’eventuale disaccordo e le conseguenti implicazioni sull’organizzazione, collegando le criticità al possibile potenziale miglioramento della scuola.

L’ambito del conflitto deve sempre rimanere circoscritto, focalizzando l’attenzione sul problema concreto e reale senza divagare in sterili discussioni che fanno capo ad astratte convinzioni ideologiche, ecc. Si chiariscono le questioni in modo tale che tutti i contendenti abbiano una comprensione comune del problema.

  • Il Dirigente Scolastico o il suo Collaboratore, nella gestione del conflitto, deve sempre considerare la componente emotiva delle interazioni e nel caso di forti coinvolgimenti emozionali è preferibile rimandare il confronto a tempi successivi.
  • Prima della negoziazione bisogna stabilire la valutazione di una soluzione ideale del conflitto e operare poi, successivamente, una mediazione con le motivazioni della controparte e gli eventuali fattori che possono influenzare la situazione; si fanno offerte e si rispondono alle offerte tenendo presente l’onestà e la liceità delle posizioni.
  • Uno dei fattori importanti per la gestione dei conflitti è la qualità della comunicazione durante il processo negoziale; essa deve essere tale da ridurre il rischio di affrontare le divergenze cadendo nella trappola del conflitto aperto, specie nell’evenienza di forti emotività negative.
  • Il negoziato deve avvenire facendo percepire che non si opera contro l’altro ma insieme all’altro per costruire situazioni e soluzioni organizzative orientate al miglioramento e determinate sempre nel rispetto del contemperamento degli interessi di parte con quelli del bene comune della scuola.
  • Una volta completata la negoziazione e definita la risoluzione del conflitto, occorrerà attuare le decisioni prese e controllare che esse vengano applicate nel corso del tempo.

Occorre ribadire che non sempre è facile riuscire a gestire efficacemente il conflitto e controllare tutte le eventuali implicazioni che esso determina sull’organizzazione scolastica. Se da un lato si cercherà di ridurre – per quanto possibile – le interferenze negative quali la tensione, la rabbia, la delusione, il senso di inutilità o di rassegnazione, ecc., dall’altro si dovrà cercare di migliorare i processi decisionali puntando anche su una più efficace cooperazione di squadra, sul senso di coesione e sull’innovazione organizzativa orientata al miglioramento.

Appare evidente che la risoluzione dei conflitti andrebbe affrontata con l’adozione di un approccio multiforme, valutando e affrontando gli eventuali problemi che potrebbero emergere, circoscrivendo le questioni per non ingigantirle e impegnandosi in un dibattito costruttivo con le parti per ricercare soluzioni adeguate nella consapevolezza che, seppure possono esistere differenti letture della realtà, si debba giungere a decisioni il più possibile condivise.

Bibliografia FRIEND M., COOK L. (2000), Interazioni. Tecniche di collaborazione tra insegnanti, specialisti e dirigenti della scuola, Trento, Edizioni Centro Studi Erikson, 205-210. GÖKSOY S., ARGON T. (2016), “Conflicts at Schools and Their Impact on Teachers”, Journal of Education and Training Studies, 4(4), 197-205.

  1. GRAMMATIKOPOULOS C.
  2. 2022), “Causes and implications of organizational school conflicts: A theoretical approach”, International Journal of Education and Research, 10(2), 77-88.
  3. JUBRAN A.M.
  4. 2017), “Organizational Conflict among Teachers and the Principal’s Strategies of Dealing with It from the Teachers’ Perspective in Schools of Jordan”, Journal of Education and Learning, 6(1), 54-71.

LARASATI R., RAHARJA S. (2020), “Conflict Management in Improving Schools Effectiveness”, in 3rd International Conference on Learning Innovation and Quality Education (ICLIQE 2019), Atlantis Press, 191-197. PIETRONI D., RUMIATI R. (2008), La mente che negozia.

  • Come la psicologia ci insegna a contrattare in economia, Milano, Ed.
  • Il Sole 24 Ore, 4. ROCA E.
  • 2021), “Organizzazione scolastica ed apprendimento organizzativo.
  • Una sfida per il governo dell’incertezza, tra flessibilità, creatività ed accomodamento situazionale”, Educazione&Scuola (ISSN 1973-252X), XXVI, 11.

ROCA E. (2022), “L’Appreciative Inquiry a scuola, un paradigma per il miglioramento. La gestione delle emergenze e la necessità di ‘attrezzare’ la scuola a rispondere alle sfide del futuro attraverso la pratica dell’Indagine Apprezzativa ed il lavoro collaborativo.

Dai punti di forza dell’organizzazione scolastica fino alla generazione di un processo trasformativo di miglioramento basato sul pensiero positivo e l’attivazione della comunità professionale”, Educazione&Scuola (ISSN 1973-252X), 2022, XXVII, 7. SAITI A. (2015), “Conflicts in schools, conflict management styles and the role of the school leader: A study of Greek primary school educators”, Educational Management Administration & Leadership, 43(4), 582-609.

ZAN S. (2011), Le organizzazioni complesse. Logiche d’azione dei sistemi a legame debole, Roma, Carocci. : Il conflitto organizzativo

Come è organizzata la scuola italiana?

Scuola dell’obbligo (6-16 anni) – Da 6 a 16 anni frequentare la scuola è obbligatorio. Le scuole dell’obbligo statali sono gratuite e così suddivise:

Scuola primaria (elementare) – da 6 a 11 anni, obbligatoria; Scuola secondaria di primo grado (medie) – da 11 a 14 anni, obbligatoria; Scuola secondaria di secondo grado (superiore) da 14 a 19 anni, obbligatoria fino a 16 anni.

Nella scuola primaria la mensa, se presente, è a pagamento con agevolazioni tariffarie in base alla situazione economica di ogni famiglia (ISEE). Come iscriversi a scuola Cerca la tua scuola di stradarario

Cosa sono le unità operative complesse?

44. Le Unità operative complesse – Le Unità operative complesse sono articolazioni aziendali in cui si concentrano competenze professionali e risorse umane, tecnologiche e finanziarie, finalizzate allo svolgimento di specifiche funzioni e alle quali viene affidata la responsabilità di svolgere attività istituzionali specifiche e di gestire le risorse umane e strumentali affidate.

Le Unità operative complesse sono stabilite dall’Atto aziendale e sono definite sulla base della programmazione regionale. Per quanto riguarda la tipologia delle attività, le Unità operative complesse dell’Azienda ULSS 5 Polesana possono essere di tipo assistenziale, di tipo professionale, tecnico e amministrativo e di staff.

Le Unità operative complesse possono comprendere al loro interno una o più unità operative semplici qualora, per motivi assistenziali e/o scientifico-professionali e/o organizzativi e/o strutturali e/o normativo-programmatori, sia opportuno evidenziare specifici segmenti organizzativi della struttura che necessitano di un elevato grado di autonomia e di responsabilità.

Ai sensi della DGRV 1306/2017, le Unità operative complesse possono inoltre comprendere articolazioni funzionali, intese quali livello/segmento organizzativo interno alla struttura di riferimento, anche dotato di autonomia funzionale, identificato per la presenza di elevate competenze tecnico professionali che producono prestazioni quali – quantitative complesse.

A tali articolazioni funzionali può essere preposto un dirigente con incarico professionale di cui alle lettere a) e b) del comma 1 (parte II) dell’art.18 del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro dell’Area della Sanità del 19 Dicembre 2019. Le Unità operative complesse gestiscono il budget assegnato ed erogano le prestazioni e le attività connesse con gli specifici processi di competenza.

Quali sono le due componenti che costituiscono l’organizzazione?

Principi ed elementi organizzativi – Per definire l’oggetto di studio della ricerca organizzativa occorre formulare tre premesse:

  • Le organizzazioni sono formate da diversi elementi con differenti funzioni che contribuiscono singolarmente a formare il processo organizzativo complessivo;
  • I sistemi organizzativi sono concepiti sulla base di principi che trovano soddisfazione all’interno così come nell’ambiente esterno;
  • I sistemi si basano sull’elaborazione e la generazione di informazioni che permettono alle organizzazioni di apprendere e di svilupparsi.

I principi fondamentali di un’organizzazione includono:

  • un carattere strumentale: i processi di perseguimento degli obiettivi organizzativi seguono un iter predeterminato in base alla ” razionalità strumentale “;
  • la gestione dei conflitti: coincide con il riconoscimento delle norme e della loro immutabilità;
  • una piramide gerarchica: gli individui sono esseri razionali che basano le proprie scelte in funzione del feedback affettivo-relazionale. La natura di questi bisogni è descritta tramite una scala di valori che inizia da esigenze fondamentali legate al coinvolgimento emotivo fino a raggiungere valori più complessi quali l’autorealizzazione e le promozioni.

Gli elementi di un’organizzazione sono:

  • Attori: persone, animali o cose; si suddividono in staff e line a seconda del ruolo che ricoprono;
  • Struttura sociale: rappresentano gli elementi di regolarità dei processi sociali;
    • verticale con un unico responsabile della relazione con l’esterno;
    • orizzontale dove l’omogeneità organizzativa è messa in discussione dalla situazione sociale interna;
  • Tecnologie : insieme di mezzi e risorse per la trasformazione degli input in output;
  • Fine ( mission ): rappresentazione degli obiettivi desiderati;
  • Ambiente ( setting ): il contesto in cui l’organizzazione svolge la sua attività e anche l’insieme di elementi esterni che condizionano tale organizzazione.

A cosa serve l’organizzazione?

Organizzare il personale – Scuola Come Organizzazione Complessa Assegnare risorse, spostare persone tra i vari dipartimenti, aumentare il dimensionamento aziendale con assunzioni, valutare le figure professionali alle quali assegnare un compito da svolgere in azienda, non sono le uniche cose corrette dall’attività di organizzazione del personale.

Per agevolare il successo dell’impresa bisogna favorire il collegamento tra attività, strumenti, strategie e risorse umane. Organizzare non significa solo coordinare affinchè ogni processo funzioni correttamente, ma anche avere la capacità di predisporre il binomio strutture e ruoli per consentire alle persone di svolgere il proprio compito in modo produttivo.

Approfondisci: Organizzazione del personale

Che ruolo ha la scuola nella società?

La scuola è un osservatorio importante per cogliere i bisogni, le risorse e le difficoltà delle nuove generazioni. La scuola è anche un luogo su cui le famiglie attuali, spesso disorientate nelle scelte educative da compiere, riversano attese di aiuto nel crescere i figli.

Chi realizza l’inclusione scolastica?

7. I Gruppi per l’inclusione scolastica – Viene riscritto quasi completamente l’articolo 9 del decreto 66, con i capoversi da 4 a 9 che sono sostituiti dai seguenti: 4. Per ciascun ambito territoriale provinciale, ovvero a livello delle città metropolitane maggiori, è costituito il Gruppo per l’Inclusione Territoriale (GIT).

Il GIT è composto da personale docente esperto nell’ambito dell’inclusione, anche con riferimento alla prospettiva bio-psico-sociale, e nelle metodologie didattiche inclusive e innovative. Il GIT è nominato con decreto del direttore generale dell’ufficio scolastico regionale ed è coordinato da un dirigente tecnico o da un dirigente scolastico che lo presiede.

Il GIT conferma la richiesta inviata dal dirigente scolastico all’ufficio scolastico regionale relativa al fabbisogno delle misure di sostegno ovvero può esprimere su tale richiesta un parere difforme. Agli oneri relativi al personale docente di cui al presente comma, si provvede ai sensi dell’articolo 20 comma 4.5.

Il GIT, che agisce in coordinamento con l’ufficio scolastico regionale, supporta le istituzioni scolastiche nella definizione dei PEI secondo la prospettiva bio-psico-sociale alla base della classificazione ICF, nell’uso ottimale dei molteplici sostegni disponibili, previsti nel Piano per l’Inclusione della singola istituzione scolastica, nel potenziamento della corresponsabilità educativa e delle attività di didattica inclusiva.6.

Per lo svolgimento di ulteriori compiti di consultazione e programmazione delle attività nonché per il coordinamento degli interventi di competenza dei diversi livelli istituzionali sul territorio, il GIT è integrato: a) dalle associazioni maggiormente rappresentative delle persone con disabilità nell’inclusione scolastica; b) dagli Enti locali e dalle Aziende sanitarie locali.7.

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Con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, nell’ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili, sentito l’Osservatorio permanente per l’inclusione scolastica, sono definite le modalità di funzionamento del GIT, la sua composizione, le modalità per la selezione nazionale dei componenti, gli ulteriori compiti attribuiti, le forme di monitoraggio del suo funzionamento, la sede, la durata, nonché l’assegnazione di ulteriori funzioni per il supporto all’inclusione scolastica.8.

Presso ciascuna istituzione scolastica è istituito il Gruppo di lavoro per l’inclusione (GLI). Il GLI è composto da docenti curricolari, docenti di sostegno e, eventualmente da personale ATA, nonché da specialisti della Azienda sanitaria locale del territorio di riferimento dell’istituzione scolastica.

Il gruppo è nominato e presieduto dal dirigente scolastico ed ha il compito di supportare il collegio dei docenti nella definizione e realizzazione del Piano per l’inclusione nonché i docenti contitolari e i consigli di classe nell’attuazione dei PEI.9. In sede di definizione e attuazione del Piano di inclusione, il GLI si avvale della consulenza e del supporto degli studenti, dei genitori e può avvalersi della consulenza dei rappresentanti delle associazioni delle persone con disabilità maggiormente rappresentative del territorio nell’inclusione scolastica.

Al fine di realizzare il Piano di inclusione e il PEI, il GLI collabora con il GIT di cui al comma 4 e con le istituzioni pubbliche e private presenti sul territorio.10. Al fine della definizione dei PEI e della verifica del processo di inclusione, compresa la proposta di quantificazione di ore di sostegno e delle altre misure di sostegno, tenuto conto del profilo di funzionamento, presso ogni Istituzione scolastica sono costituiti i Gruppi di Lavoro Operativo per l’inclusione dei singoli alunni con disabilità.

Ogni Gruppo di lavoro operativo è composto dal team dei docenti contitolari o dal consiglio di classe, con la partecipazione dei genitori della bambina o del bambino, dell’alunna o dell’alunno, della studentessa o dello studente con disabilità, o di chi esercita la responsabilità genitoriale, delle figure professionali specifiche, interne ed esterne all’istituzione scolastica che interagiscono con la classe e con la bambina o il bambino, l’alunna o l’alunno, la studentessa o lo studente con disabilità nonché con il supporto dell’unità di valutazione multidisciplinare e con un rappresentante designato dall’Ente Locale.

Ai componenti del Gruppo di Lavoro Operativo non spetta alcun compenso, indennità, gettone di presenza, rimborso spese e qualsivoglia altro emolumento. Dall’attivazione dei Gruppi di lavoro operativo non devono derivare, anche in via indiretta, maggiori oneri di personale.11.

Chi ha creato la scuola dell’obbligo?

Storia – L’istruzione obbligatoria venne introdotta in Italia durante l’epoca napoleonica: nelle repubbliche giacobine italiane e poi nel Regno italico e nel Regno di Napoli la scuola cercò di modellarsi su quella francese. In particolare nel 1810, Gioacchino Murat decretò l’obbligatorietà della scuola primaria,

L’istruzione primaria fu concepita come pubblica, obbligatoria e gratuita: tutti i cittadini, sia maschi che femmine, dovevano accedervi; per i livelli superiori non doveva esserci invece uguaglianza dell’istruzione (la quale deve valorizzare i talenti), ma uguaglianza di opportunità, La scuola, bandendo qualsiasi insegnamento religioso, deve essere laica, basata da una parte sulla trasmissione di capacità professionali utili, contenuti verificabili e metodi razionali e dall’altra sulla formazione civile.

Durante l’unità d’Italia, la legge Casati del 1859 istituì una scuola elementare articolata su due bienni, il primo dei quali obbligatorio. Di fatto, al censimento del 1871 si attestò un notevole peggioramento dell’analfabetismo rispetto alla situazione pre-unitaria, cosicché la legge Coppino del 1877 portò la durata delle elementari a cinque anni ed introdusse l’obbligo scolastico nel primo triennio delle elementari stesse, definendo anche sanzioni per i genitori degli studenti che non avessero adempiuto a tale obbligo.

Quali sono i principi della scuola senza zaino?

SENZA ZAINO: I VALORI Il metodo del curricolo globale si fonda su tre valori: l’ospitalità, la responsabilità, la scuola come comunità di ricerca.

Come sono classificate le scuole?

Struttura degli studi – Fonte: http://dati.istat.it/Index.aspx?DataSetCode=DCCV_POPTIT1 L’ordinamento italiano prevede diversi livelli di studio :

  • Servizi sociali a carattere educativi (che non rientrano propriamente nel ciclo di istruzione primaria, ma partecipano, per continuità educativa, alla realizzazione degli obiettivi di istruzione nell’infanzia):
    • nido d’infanzia (per bambini dai 3 mesi ai 3 anni, non obbligatorio);
    • sezione primavera annessa a nidi d’infanzia o a scuole dell’infanzia (servizio a sperimentazione regionale per bambini dai 2 ai 3 anni, non obbligatoria).
  • Scuola dell’infanzia (per bambini dai 3 ai 6 anni, non obbligatoria).
  • Scuola primaria (per bambini dai 6 agli 11 anni, obbligatoria).
  • Scuola secondaria di primo grado (per ragazzi dagli 11 ai 14 anni, obbligatoria).
  • Scuola secondaria di secondo grado (obbligatoria per ragazzi dai 14 ai 16 anni, non obbligatoria per ragazzi dai 16 ai 19 anni).
  • Istituti di alta formazione artistica, musicale e coreutica,
  • Università,

Come si classificano le scuole?

L’ORDINAMENTO SCOLASTICO IN ITALIA L’istruzione in Italia è regolata dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, con modalità diverse secondo la forma giuridica (scuole pubbliche, scuole paritarie, scuole private). La formazione professionale dipende invece dalle regioni.

Nel complesso, almeno stando alla legislazione di riforma in vigore, si passa da un obbligo scolastico che termina a 16 anni, ad un diritto dovere, o obbligo formativo, che dura fino al diciottesimo anno di età. CICLI DI ISTRUZIONE Il sistema scolastico italiano è strutturato in tre cicli di istruzione: l’istruzione primaria, che comprende la scuola primaria, di durata quinquennale.

l’istruzione secondaria, che comprende la scuola secondaria di primo grado (ex scuola media inferiore) di durata triennale, e la scuola secondaria di secondo grado (ex scuola media superiore) di durata quinquennale. l’istruzione superiore, che comprende l’Università, l’Alta Formazione Artistica, Musicale e Coreutica e la formazione professionale. Scuola Come Organizzazione Complessa La scuola dell’infanzia è un’istituzione prescolastica non obbligatoria, caratterizzata dal gioco e della convivenza con i compagni, e dalla preparazione al primo ciclo d’istruzione, cioè la scuola primaria. La durata media è di tre anni: sezione “piccoli” (primo anno), sezione “medi” o “mezzani” (secondo anno) e infine sezione grandi (terzo anno).

  • Con la riforma Gelmini è possibile iscrivere i bambini di 2 anni e mezzo, mentre il precedente prerequisito erano i tre anni.
  • In Italia era precedentemente nota come “scuola materna”, sino all’introduzione della riforma Moratti nel 2003.
  • ISTRUZIONE PRIMARIA La scuola primaria, prima della riforma Moratti scuola elementare, è l’istituzione rappresenta l’istruzione primaria in Italia.

In precedenza era divisa in due cicli, un biennio e un triennio, con un esame di finale per il completamento e l’accesso alle scuole di secondo grado. Con la riforma Moratti venne divisa in 3 cicli, un anno singolo e due bienni, e l’esame finale venne abolito.

Durante la storia della scuola primaria si sono alternati due moduli didattici: quello del maestro unico e quello del modulo didattico. Il maestro unico era in uso sino 1990 per essere poi abolito dopo anni di sperimentazione e rimpiazzato con un gruppo di docenti (3 per due classi o 4 per tre classi), chiamato modulo didattico.

Con la riforma Gelmini la figura del maestro unico è stata riapprovata. Con il decreto legislativo n.59 del 2004 applicativo della legge Moratti, nacque una nuova figura: il docente tutor: una figura di orientamento, di consulenza, di tutorato per ciascuno studente, al fine di giungere ad un grado.

  1. ISTUZIONE SECONDARIA – PRIMO GRADO La scuola secondaria di primo grado, in precedenza scuola media inferiore, è l’istituzione che rappresenta il primo grado dell’istruzione secondaria.
  2. Vi si accedeva fino al 2003 con la licenza primaria (attualmente abolita).
  3. La scuola media inferiore nacque nel 1965 con l’unificazione dei ginnasi, che davano accesso ai licei, e delle scuole di avviamento professionale, che davano accesso alle scuole tecnico/professionali.

Da quel momento si è quindi parlato di scuola media unificata. L’orario settimanale della scuola secondaria di primo grado va, in media, da un minimo di 29 ore ad un massimo di 33 ore. In alcune scuole al posto delle ore possono essere usati i periodi di 50 minuti, quindi l’orario varia da un minimo di 35 periodi a un massimo di 38 periodi.

Con la riforma Gelmini si ritorna però all’oraria di sessanta minuti. Le materie studiate sono (in media): Italiano (5 ore settimanali), Storia e Geografia (con Cittadinanza e Costituzione) (4 ore), approfondimento in discipline letterarie (1 ora), Matematica (4 ore), Scienze (2 ore), Tecnologia (2 ore), Lingua inglese (3 ore), Seconda lingua comunitaria (2 ore), Arte e Immagine (2 ore), Musica (2 ore), Scienze motorie e sportive (2 ore), Religione cattolica o attività alternativa (1 ora).

Inoltre lo studente e le famiglie possono scegliere fino ad un massimo di 4 ore di laboratori facoltativi: laboratori che ogni scuola può proporre in base alle risorse di organico di cui dispone. Con l’attuale organizzazione sono scomparse le precedenti (prima del 2003) sperimentazioni di tempo prolungato che permettevano un orario massimo di 36 ore effettive comprendenti anche momenti di compresenza di più insegnanti.

  • Recentemente si sperimenta un corso musicale sperimentale nel quale vengono scelti gli alunni a numero chiuso con la facoltà di studiare uno strumento musicale nel quale alla fine del ciclo vi è un esame anche per questa materia.
  • ISTUZIONE SECONDARIA – SECONDO GRADO La scuola secondaria di secondo grado, in precedenza scuola media superiore, rappresenta il secondo grado del ciclo di istruzione secondaria.

Alla scuola secondaria superiore si accede dopo il conseguimento della licenza di scuola media al termine della scuola secondaria di primo grado. La scuola secondaria di secondo grado è divisa in quattro tipologie di istituti: licei, istituti tecnici, istituti professionali e istituti d’arte.1) Licei Per liceo si intende una tipologia di scuola superiore di secondo grado il cui obiettivo è quello di formare lo studente in ambito accademico e di prepararlo alle università e istituzioni di terzo grado, piuttosto che immetterlo direttamente nel lavoro.

– liceo classico – liceo scientifico – liceo linguistico (entrato in ordinamento con la Riforma Gelmini – liceo artistico – liceo delle scienze umane (nato con la Riforma Gelmini) – liceo musicale e coreutico (nato con la Riforma Gelmini) 2) Istituti Tecnici 3) Istituti professionali 4) Istituti d’arte (La riforma Gelmini ha soppresso questi istituti che confluiranno nei licei artistici). ISTRUZIONE SUPERIORE UNIVERSITA’ L’Italia è stata uno dei primi Paesi ad aderire al processo di Bologna, nella quasi totalità delle università, già dall’anno accademico 1999/2000. Il ciclo degli studi all’università è articolato su tre livelli:

1. Laurea triennale (3 anni) 2. Laurea magistrale, ex-laurea specialistica (2 anni) 3. Dottorato di ricerca (3 anni) o scuola di specializzazione (2-5 anni). La quasi totalità delle università sono statali e finanziate congiuntamente dallo stato e, in misura minore, dagli studenti tramite le tasse universitarie.

Perché la scuola italiana è così severa?

La scuola italiana, tra genio e leggenda Scuola Come Organizzazione Complessa Albert Einstein in America negli anni Cinquanta (©Picture-Alliance/Dpa/Lapresse) bandiera bianca Rep dice che c’è troppa ansia, troppa competitività e che si basa su criteri di selezione e valutazione oramai desueti. Ecco riaffacciarsi il vecchio luogo comune dei genii che andavano male a scuola Repubblica dice che nella scuola italiana c’è troppa ansia, troppa competitività, una concezione tossica del merito, un’idolatria del mito del successo : per questo gli studenti si agitano, si deprimono, si sentono dei falliti, cambiano scuola da un giorno all’altro alla ricerca di un ricetto dove sentirsi al sicuro.

Dice anche che la scuola italiana si basa su criteri di selezione e valutazione oramai desueti, che non tengono conto delle effettive capacità di ogni singolo alunno quindi, anziché esaltarle, le comprimono e le inaridiscono. È, ricicciata in nuova impaginazione, il vecchio luogo comune dei genii che andavano male a scuola, cui ha dato dignità scientifica James Hillman qualche anno fa: ne “Il codice dell’anima” elenca fra i somari di successo, tanto per gradire, Thomas Mann, Rabindranath Tagore, Mahatma Gandhi, Richard Feynman, Rainer Fassbinder, Jackson Pollock, John Lennon Tutti genii, è indiscutibile.

Però basta un’intelligenza media per capire che il fatto che alcuni genii siano andati male a scuola non esclude che milioni di persone vadano male a scuola senza essere dei genii, Di più su questi argomenti: : La scuola italiana, tra genio e leggenda

Quali sono i principali 4 modelli organizzativi?

1) Struttura organizzativa gerarchica.2) Struttura organizzativa funzionale.3) Struttura organizzativa a matrice.4) Struttura organizzativa divisionale.

Quali sono i modelli organizzativi più diffusi?

I principali modelli organizzativi – I modelli organizzativi che possono essere adottati da un’azienda sono molti, ma ci sono alcuni, i principali che dipendono dalla direzione generale, questi sono tre: la struttura funzionale, la struttura divisionale, la struttura a matrice. La struttura funzionale ha le seguenti caratteristiche:

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-raggruppa le attività e le competenze in base alle funzioni gestionali, quindi produzione, vendita, amministrazione ecc.

-è una struttura di tipo accentrato, infatti il potere è suddiviso tra pochi poiché il decentramento necessario dipende solamente dai problemi relativi alla specifica attività aziendale

-questa organizzazione è adatta ad aziende di dimensioni non grandi, infatti il potere è accentrato

La struttura divisionale ha le seguenti caratteristiche:

-questa organizzazione è adatta alle aziende di grandi dimensioni e con più produzioni

-raggruppa le attività gestionali in base alle divisioni, ovvero in base alle linee di prodotti o in base alle suddivisione geografica

-questa organizzazione è di tipo decentrato perché il potere è suddiviso tra le attività gestionali

La struttura a matrice ha le seguenti caratteristiche:

-questa organizzazione è tipica delle aziende che operano per progetti

-di ha una duplice linea di comando per ogni settore, quella che risponde all’unità organizzativa di progetto e quella che risponde ai soggetti che fanno parte della stessa funzione aziendale (es. progettazione, approvvigionamento, marketing ecc.)

Chi è il direttore di struttura complessa?

La dirigenza sanitaria La dirigenza sanitaria è disciplinata, oltre che dalle disposizioni della CCNL, dalle disposizioni generali di cui al d.lgs.165/2001 e successive modifiche, dal d.lgs.n.502/92, come modificato dal d.lgs.n.229/99, dalla cd. legge Brunetta e dal cd.

  1. Decreto Balduzzi che ha rimesso al legislatore regionale la disciplina dei criteri e delle procedure di nomina dei dirigenti.
  2. La dirigenza sanitaria è articolata in un ruolo unico, distinto per profili professionali.
  3. Le funzioni dirigenziali sono poi graduate dalla contrattazione collettiva, che disciplina altresì i procedimenti di assegnazione, valutazione e verifica degli incarichi e del relativo trattamento economico.

Il dirigente sanitario può avere un incarico di direzione di struttura semplice o di struttura complessa. In ordine al conferimento degli incarichi di struttura semplice, l’art.28 del CCNL della dirigenza medica stabilisce che tali incarichi sono conferiti dall’azienda, su valutazione positiva da parte del collegio tecnico e su proposta del responsabile della struttura di appartenenza.

Nel conferimento degli incarichi e, per il passaggio ad incarichi di funzioni dirigenziali diverse, si deve poi tener conto dei programmi da realizzare, dell’area e della disciplina di appartenenza, delle attitudini personali e delle capacità professionali del singolo dirigente, sia in relazione alle conoscenze specialistiche nella disciplina di competenza, dell’esperienza già acquisita in precedenti incarichi, dei risultati già conseguiti, nonché del criterio di rotazione, ove applicabile.

Nel caso di più candidati, si procede sulla base di una rosa di idonei, selezionati dal direttore del dipartimento o dai responsabili delle articolazioni interne interessate. Gli incarichi di direzione di struttura complessa sono conferiti nei limiti del numero delle strutture complesse previste dall’atto aziendale.

  • La selezione viene effettuata,previo avviso cui l’azienda e’ tenuta a dare adeguata pubblicita’, da una commissione composta dal direttore sanitario dell’azienda interessata e da tre direttori distruttura complessa nella medesima disciplina dell’incarico da conferire, individuati tramite sorteggio da un elenco nazionale nominativo.
  • La commissione riceve dall’azienda il profilo professionale del dirigente da incaricare.
  • Sulla base dell’analisi comparativa dei curricula, dei titoli professionali posseduti, avuto anche riguardo alle necessarie competenze organizzative e gestionali, dei volumi dell’attivita’ svolta, dell’aderenza al profilo ricercato e degli esiti di un colloquio, la commissione presenta al direttore generale una terna di candidati idonei formata sulla base dei migliori punteggi attribuiti.

Il direttore generale individua il candidato da nominare nell’ambito della terna predisposta dalla commissione; ove intenda nominare uno dei due candidati che non hanno conseguito il migliore punteggio, deve motivare analiticamente la scelta., che effettua una valutazione comparativa dei curricula dei titoli professionali, del volume dell’attività svolta e del colloquio, all’esito della quale individua una terna di idonei sulla base dei migliori punteggi attribuiti da sottoporre al direttore generale.

  • La previsione di simili regole per la nomina dei direttori di struttura complessa induce a ritenre che, quantomeno con riferimento alla selezione della terna, si tratti di una procedura di tipo comparativo e dunque concorsuale.
  • Se poi si considera che anche il direttore genrale ove decida di discostarsi delle risultanze della procedura comparativa, debba motivare adeguatamente la propria scelta induce a ritenere che il suo operato non è più ampioamente dicrezioneale ma è comunque vincolato al rispetto dei criteri predeterminati dalla legge.

I dirigenti medici di struttura complessa oltre alle funzioni afferenti le competenze professionali specifiche, svolgono funzioni di direzione e organizzazione della struttura, anche mediante attidi organizzazione del personale necessari per il corretto espletamento del servizio.

  1. L’incarico di responsabile di struttura semplice, intesa come articolazione interna di una struttura complessa, e’ attribuito dal direttore generale, su proposta del direttore della struttura complessa di afferenza, a un dirigente con un’anzianita’ di servizio di almeno cinque anni nella disciplina oggetto dell’incarico.
  2. Gli incarichi hanno durata non inferiore a tre anni e non superiore a cinque anni, con possibilita’ di rinnovo.
  3. L’oggetto, gli obiettivi da conseguire, la durata, salvo i casi di revoca, nonche’ il corrispondente trattamento economico degli incarichi sono definiti dalla contrattazione collettiva nazionale.
  4. Revoca degli incarichi dirigenziali

L’istituto della revoca degli incarichi dirigenziali riguarda i casi in cui il contratto viene posto nel nulla prima della scadenza del termine triennale previsto dalla legge (art.15 ter d.lgs.502/92) come durata minima degli incarichi dirigenziali del personale medico.

La revoca deve avvenire nel rispetto delle procedure previste dalla contrattazione collettiva e deve contenere una congrua motivazione. In particolare, per quel che concerne le strutture semplici, l’art.28 del CCNL prevede che “la revoca dell’incarico affidato avviene con atto scritto e motivato a seguito dell’accertamento della sussistenza di una delle cause di cui all’art.28 ” e cioè nel caso di mancato raggiungimento degli obiettivi, violazione di direttive, risultati negativi, responsabilità grave e reiterata, altre ipotesi previste dal contratto collettivo.

L’accertamento dei risultati negativi di gestione o l’inosservanza delle direttive impartite sono altresì causa di revoca dell’incarico di direzione di struttura complessa, ai sensi dell’art.29 CCNL. Anche in questo caso la revoca deve avvenire con atto scritto e motivato.

Forme di tutela. Il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali, siano essi relativi a strutture semplici ovvero complesse, deve quindi avvenire nel rispetto delle modalità prescritte dalla legge e dalla contrattazione collettiva. E’ evidente che il mancato rispetto delle procedure determina l’illegittimità del provvedimento di nomina.

In questi casi eventuali illegittimità possono essere fatte valere dagli interessati con la proposizione, previo esperimento di un tentativo obbligatorio di conciliazione, di un ricorso al Giudice Ordinario, in funzione di giudice del lavoro. Al Giudice Ordinario, infatti, è rimessa, ai sensi dell’art.63 del d.lgs 165/2001 (T.U.

  1. Sul pubblico impiego), la materia del conferimento e della revoca degli incarichi dirigenziali.
  2. Qualora nelle questioni inerenti conferimento e revoca di incarichi dirigenziali vengano in rilievo provvedimenti amministrativi incidenti sulla stesa struttura organizzativa dell’azienda, cd.
  3. Provvedimenti di macro organizzazione, che siano tali da incidere, ledendole, sulle posizioni soggettive dell’interessato, tali provvedimenti dovranno essere oggetto di impugnativa giurisdizionale innanzi al Giudice Amministrativo.

: La dirigenza sanitaria

Cosa significa UOC e UOS?

Via l’inglese e le sigle difficili La semplificazione degli ospedali

L’INIZIATIVAVia l’inglese e le sigle difficili La semplificazione degli ospedaliDa Firenze a Napoli, così cambiano i cartelli nei repartiE «Day surgery» diventa chirurgia giornaliera

ROMA – La Uoc di cardiologia è al primo piano, accanto all’Uos di diabetologia, davanti al day hospital di medicina. Si trova sullo stesso piano dell’Uosd di chirurgia laparoscopica. Frastornato da inglese e acronomimi che la cartellonistica non sviluppa nella forma completa, il cittadino si disorienta e impiega più tempo del necessario per raggiungere la meta.

Il letto dove dovrà ricoverarsi o l’ambulatorio per il controllo. La Toscana sta per rivoluzionare la segnaletica. Dopo diverse proteste, specie da parte di persone anziane, l’assessore alla Salute Luigi Marroni ha deciso di cambiare la toponomastica: «Togliamo i termini incomprensibili dagli ospedali, bisogna assolutamente semplificare», ha annunciato al Festival della Salute, appena terminato a Viareggio.

Rivisitazione delle parole straniere e abolizione delle sigle in certi casi impronunciabili sono i punti di partenza. Insiste Marroni: «La riforma della sanità cui stiamo lavorando pone al centro dell’attenzione il malato. Dunque abbiamo il dovere di rivolgerci a lui evitando anche per posta un linguaggio burocratico, per addetti ai lavori.

  • Non dovremmo più inviare lettere zeppe di abbreviazioni».
  • L’Uoc è l’unità operativa complessa, il reparto diretto da dirigenti medici che fino alla riforma del 1999 si chiamavano primari.
  • L’Uos è l’unità operativa semplice, dove c’è un viceprimario (il cosiddetto primarietto).
  • Per Uosd si intende unità operativa semplice dipartimentale.

Il dizionario degli acronimi sanitari è ricco di tranelli. Smia, Tsmree, Uompia, Smria che indicano i servizi per l’infanzia e l’adolescenza denominati in modo diverso da, nell’ordine, Toscana, Lazio, Lombardia ed Emilia Romagna. Più conosciuta l’Utic, l’unita terapia intensiva coronarica.

Poi c’è l’inglese: day hospital, day surgery, day service, unit stroke, triage, emergency room, rooming in sono gli esempi più comuni. E’ vero, certe parole sono difficilmente traducibili in italiano. Il day surgery, il reparto dove il paziente operato ad esempio di cataratta, viene dimesso la sera stessa, dovrebbe essere ribattezzato chirurgia giornaliera.

«Però almeno sugli acronimi occorrerebbe intervenire – è d’accordo Massimo Cozza, Cgil medici Funzione pubblica -. E’ ora di uniformare la terminologia a livello nazionale. La gente non ci capisce nulla. L’unica parola che tutti conoscono è ticket. Oltretutto sbagliata.

Si dovrebbe chiamare tassa per non ingannare. La traduzione letterale è biglietto». L’esigenza di semplificare al massimo è avvertita in modo particolare negli ospedali pediatrici. Al Santobono Pausilipon di Napoli sta per partire un progetto di riorganizzazione architettonica. «Spazi più razionali e cartellonistica semplice», informa Annamaria Minicucci, il direttore generale.

Operazione chiarezza che, questo l’obiettivo, dovrebbe essere portata avanti in blocco dai nosocomi pediatrici (Gaslini Genova, Bambino Gesù, Padova, Salesi di Ancona, Burlo Garofalo di Trieste, Regina Margherita di Torino, Meyer di Firenze). Al centro nord sono più avanti.

  • Un fenomeno più volte denunciato dall’associazione Cittadinanzattiva.
  • Antonio Gaudioso, il nuovo segretario nazionale, cita alcuni dati di un’indagine su 465 ospedali di due anni fa.
  • La mancanza di informazione e la difficoltà di orientamento sono problemi diffusi.
  • Il 70% degli ascensori non dispongono di indicazioni sui reparti presenti ad ogni piano.

Quasi il 50% non danno lumi su nomi e qualifica dei medici e del coordinatore infermieristico. Opuscoli informativi? Assenti nel 60% dei casi. : Via l’inglese e le sigle difficili La semplificazione degli ospedali

Cosa si intende per UOC?

Struttura e organizzazione – I servizi essenziali in un o. sono: • Servizi generali: direzione e amministrazione; accettazione e osservazione (cioè pronto soccorso e terapia d’urgenza); poliambulatorio; servizio di indagine diagnostica radiologica e di imaging in genere, laboratori.

  1. In alcuni ospedali sono anche presenti il servizio trasfusionale, la sala anatomica e il servizio di anatomia e istologia patologica.
  2. Reparti di degenza: la normativa, che parte dalla fine del 20° sec., definisce un reparto di degenza ospedaliera come Unità Operativa Complessa (UOC): comprende le stanze con i letti dei pazienti, i servizi infermieristici e le stanze per i medici, per le medicazioni, per la diagnostica da effettuare in reparto.

• Reparti operatori e da parto: a seconda del numero di posti letto dell’o., il complesso operatorio è costituito da uno o più gruppi autonomi o integrati tra loro. Le sale operatorie sono indipendenti e ciascuna è dotata di un locale detto di preanestesia, e di un altro per il risveglio degli operati, nonché di un locale per la preparazione del chirurgo e del personale ausiliario.

Cosa si intende per organizzazione in sanità?

Insieme coordinato di risorse (umane, finanziarie e tecnologiche) organizzato per raggiungere obiettivi di salute.

Cosa si intende con organizzazione?

Attività intesa a organizzare, cioè a costituire in forma sistematica un complesso di organi o di elementi coordinandoli fra loro in rapporto di mutua dipendenza in vista di un fine determinato: o. di uno stato, delle forze armate, di un’amministrazione, di un ufficio; l’o. dei servizî pubblici.

Come può essere l’organizzazione?

Sistemi di gestione – Nell’ambito della normazione ISO e della certificazione dei sistemi di gestione (ad esempio ISO 9000 ) si utilizza il termine organizzazione per significare il soggetto che implementa tali sistemi. Pertanto, l’organizzazione può concretamente essere: impresa, azienda, gruppo societario, società, ente pubblico, divisione, studio professionale, associazione.

Cosa rientra nell’organizzazione aziendale?

organizzazióne aziendale Processo di predisposizione di risorse (umane, fisiche, informative e altre ancora) in una conformazione strutturata, al fine di portare avanti piani e realizzare gli obiettivi dell’ impresa, L’o.a. è, dopo la pianificazione, la seconda tra le principali funzioni gestionali o compiti del management.