Cos’è Il divorzio breve – Il divorzio cosiddetto ‘breve’ è un istituto giuridico, introdotto con la legge 55/2015 approvata in Parlamento il 22 aprile 2015, che permette di ottenere lo scioglimento del matrimonio civile o di quello concordatario dopo che siano trascorsi 6 mesi dalla dichiarazione di separazione consensuale oppure un anno da quello giudiziale.
- Ha ridotto le tempistiche per il divorzio, con l’introduzione del divorzio breve,
- In passato le, decorrenti dal momento della separazione, erano di almeno tre anni.
- Adesso basta aspettare un anno, se la separazione è giudiziale, e 6 mesi, se la separazione è consensuale.
- Il divorzio prevede lo scioglimento del matrimonio e la cessazione dei suoi effetti civili.
Infatti il coniuge non avrà diritto a nessuna ereditarietà, in caso di morte dell’altro coniuge. Inoltre non ci sarà più l’obbligo di versare l’assegno di mantenimento, nei confronti del coniuge con il reddito più basso. Invece ci sarà l’obbligo di pagamento dell’, se quest’ultimo non trova un lavoro e non riesce ad avere un’indipendenza economica.
Quali diritti ha la moglie divorziata?
Continuano a restare determinati diritti, come quello di ottenere una quota del Tfr, la pensione di reversibilità, l’assegno di divorzio e, se accordato dal giudice al momento della separazione, il diritto di abitazione nell’ex casa coniugale.
Quando la moglie ha diritto all assegno divorzile?
La moglie ha diritto all’assegno divorzile anche se rifiuta una proposta di lavoro procuratale dal marito – (A cura dell’Avv. Maria Grazia Di Nella) La Cassazione ancora una volta interviene in tema dell’assegno divorzile ritenendo incolpevole lo stato di disoccupazione di una donna che rifiutava la proposta di lavoro e confermando il di lei diritto all’assegno avendo valorizzato il lungo matrimonio, la nascita di due figli e l’indubbio apporto lavorativo della donna nelle aziende di famiglia (Cass.
Ord.1643 del 19 gennaio 2022) Secondo l’orientamento ormai consolidato della giurisprudenza di legittimità, l’ex coniuge economicamente più debole ha diritto all’assegno divorzile quando l’incapacità di mantenersi da sé sia oggettiva e incolpevole, e dunque lo stato di disoccupazione non dipenda da inerzia, pigrizia o altre forme di cattiva volontà.
Così stabilisce l’art.5 della Legge sul divorzio allorquando prevede che con la sentenza che pronuncia lo scioglimento del matrimonio il Tribunale può prevedere l’obbligo di versare un contributo periodo in favore dell’ex coniuge che «non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive».
In parole povere, per il riconoscimento dell’assegno di divorzio oggi non basta più il semplice stato di disoccupazione: la parte deve provare di versare nell’impossibilità oggettiva di procurarsi adeguati mezzi di sostentamento e se è giovane di età e possiede una formazione o un titolo professionale che potenzialmente potrebbero quindi assicurarle un reddito, secondo la Cassazione – per ritenere colpevole lo stato di incapacità economica – non basta che la richiedente documenti l’iscrizione al centro per l’impiego e la candidatura per qualche posto di lavoro, ma deve dare rigorosa prova di aver proposto la propria candidatura a datori di lavoro privati, di aver sostenuto colloqui ovvero di aver partecipato a bandi di concorso indetti da pubbliche amministrazioni (Trib.
Crotone 1041/2019). Secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità l’incapacità di procurarsi redditi propri è ritenuta incolpevole quando l’ex coniuge:
ha un’età avanzata che gli preclude un efficace inserimento nel mondo del lavoro (è considerata tale un’età maggiore 50 anni);è affetto da gravi malattie invalidanti, o da altre forme di disabilità e inabilità, che impediscono la possibilità di trovare un’occupazione lavorativa remunerata;è privo di titoli di studio o professionali e vive in una zona economicamente depressa, in cui le condizioni occupazionali sono particolarmente sfavorevoli.
Coerentemente a tali principi la Corte di Cassazione con l’ordinanza n.1643 notificata in data 19 gennaio 2022, ha rigettato il ricorso di un uomo avverso la sentenza della Corte d’Appello di Torino che lo aveva condannato a corrispondere all’ex coniuge un assegno divorzile di Euro 1.200,00 mensili.
Secondo l’uomo i Giudici non avevano dato importanza alla circostanza che la ex moglie aveva rifiutato una proposta di lavoro da lui procuratale, ritenendo che la donna non fosse in colpa per non avere trovato un lavoro non potendo ipotizzarsi che la stessa si potesse trasferire lontano dalla propria residenza per svolgere l’attività di addetta alle pulizie procuratagli dall’ex marito.
Inoltre, secondo l’uomo doveva essere valutata anche la circostanza “colpevole” che la donna aveva ceduto ai figli le quote delle società di famiglia abbandonando il lavoro che la stessa per anni aveva svolto in quelle società di famiglia della donna.
Di diverso avviso la Cassazione che confermava l’assegno divorzile in favore della donna nonostante avesse rifiutato un’offerta lavorativa proveniente dall’ex coniuge tenuto conto della lunga durata del matrimonio (28 anni), valorizzando la durata del rapporto matrimoniale di 28 anni, la nascita di due figli e l’attività lavorativa e di coordinamento svolta dalla donna all’interno delle società familiari.
La Corte d’Appello, infatti, aveva ritenuto inadeguati i mezzi della donna che chiedeva l’assegno divorzile avendo appurato che la cessione delle quote delle società di famiglia ai figli era stata concordata con il marito a fronte del riconoscimento dì un contributo al mantenimento in sede di separazione; il rifiuto dell’offerta lavorativa della donna pervenuta dall’ex coniuge, avrebbe comportato un reddito di 600,00 Euro mensili, a fronte del contributo al mantenimento di 1200,00 Euro; il luogo di svolgimento dell’attività lavorativa offertale (di pulizie) era lontano dalla residenza e quindi per poter lavorare la donna avrebbe dovuto trovare una diversa sistemazione abitativa lasciando l’abitazione presso la madre.
Per tutti questi motivi, il ricorso viene dichiarato inammissibile e l’uomo condannato alle spese di lite essendo stata esclusa una inerzia colpevole in capo alla donna. L’incapacità economica e lavorativa è, infatti, avvenuta a causa del sacrificio professionale dell’ex coniuge, che aveva rinunciato ad un’occupazione esterna per dedicarsi alle società di famiglia a casa, alla cura e crescita di due figli, favorendo l’arricchimento del marito.
La citata sentenza di legittimità si pone in evoluzione con quanto deciso sempre dalla Cassazione con ordinanza n.5932 del 4 marzo 2021 che accoglieva il ricorso di un uomo che accusava la Corte di Appello di Trieste di non aver dato valore alla circostanza che la moglie, laureata in lingue, avesse rifiutato molteplici proposte lavorative, confermando un importante assegno di mantenimento a favore della donna.
- La Cassazione, infatti, richiamando i principi di cui all’art.156 c.c.
- Chiariva che il Giudice, nell’accertare l’ “effettiva possibilità di svolgimento di un’attività lavorativa retribuita in considerazione di ogni concreto fattore individuale e ambientale” deve rilevare “la possibilità di acquisire professionalità diverse ed ulteriori rispetto a quelle possedute in precedenza, o la circostanza che il coniuge abbia ricevuto, successivamente alla separazione, effettive offerte di lavoro, ovvero che comunque avrebbe potuto concretamente procurarsi una specifica occupazione (cfr., fra le altre, Cass.19 giugno 2019, n.16405; Cass.9 marzo 2018, n.5817; Cass.13 gennaio 2017, n.789; Cass.13 gennaio 2017, n.789)”.
In definitiva il coniuge che richiede l’assegno deve anche prendere in considerazione proposte di lavoro con professionalità differenti da quelle acquisire prima ma le proposte devono essere oggettivamente possibili e dignitose. È Avvocato Collaborativo del Foro di Milano, componente del Comitato Scientifico della SOS Villaggi dei Bambini Onlus, membro attivo dell’Associazione Camera Minorile di Milano, socia dell’AIAF (Associazione Italiana degli Avvocati per la Famiglia e per i minori), socia dell’AIADC ( Associazione Italiana degli Avvocati di Diritto Collaborativo) nonché delle IACP ( International Academy of Collaborative Professionals), socia dell’Associazione ICALI (International Child Abducion Lawyers Italy) ed iscritta nell’elenco avvocati specializzati all’assistenza legale delle donne vittime di violenza (BURL – Serie ordinaria n.46 17.11.2016).
Quando la moglie non ha diritto al mantenimento?
1. Le condizioni per ottenere il mantenimento – L’assegno di mantenimento, che dopo il divorzio viene chiamato assegno divorzile, è dovuto se esiste disparità economica tra i due ex coniugi e se chi tra i due ha un reddito inferiore non sia in grado di mantenersi in modo autonomo.
- L’assegno di mantenimento non è dovuto quando il coniuge meno abbiente abbia le risorse sufficienti per rendersi autonomo.
- Ad esempio, un’insegnante che riceve mensilmente uno stipendio di 1.500 euro, nonostante l’ex marito sia molto più ricco di lei, non ha diritto al contributo mensile.
- Il divario di reddito tra gli ex coniugi non legittima il riconoscimento dell’assegno di mantenimento,
Il giudice si deve anche accertare se la differenza sia conseguenza di scelte maturate e condivise da entrambi i coniugi durante il matrimonio nella distribuzione dei ruoli. Accade quando il coniuge economicamente più debole, che richiede il mantenimento, rinuncia alle sue aspettative di crescita professionale, per dedicarsi alla famiglia, alla casa e alla gestione dei figli.
Ad esempio, una madre che per fare la casalinga rinuncia a lavorare o si accontenta di un lavoro part-time. Quando uno dei due coniugi è meno forte in senso economico dell’altro non per colpa sua ma a causa del suo contributo dato alla formazione del patrimonio familiare, ha diritto a ricevere l’assegno di mantenimento,
Allo scopo di ottenere l’assegno in questione, si deve verificare se il coniuge che lo richiede abbia un’età giovane che nonostante lo stato di disoccupazione o di difficoltà economica, gli permetta di riuscire a trovare una collocazione nel mondo del lavoro (Trib.
- Castrovillari, sent.17/06/2022 n.139/2022).
- Accade a chi possiede ancora potenzialità lavorative, perché ha un titolo professionale, ha maturato esperienze in ambienti lavorativi, ha una formazione post scolastica e simili.
- Insieme all’età del richiedente, deve essere considerata anche la durata del matrimonio che potrebbe avere determinato un maggiore o minore allontanamento dal mondo del lavoro.
In un matrimonio di non lunga durata, la distanza del coniuge più debole dalle prospettive occupazionali non può avere determinato il distacco incolpevole che è il motivo per ottenere l’assegno di mantenimento, L’ex coniuge ha diritto di riceve l’assegno di mantenimento quando si è dedicato alla famiglia perdendo ogni contatto con il mondo del lavoro e, in seguito alla lontananza che si è prottratta a lungo, non si può più mantenere in modo autonomo.
- Coppie di fatto: in caso si separazione spetta il mantenimento?
- I rimedi civili e penali in caso di mancato pagamento agli ex coniugi del mantenimento o dell’assegno che ha stabilito il giudice
- La sorte dell’assegno di mantenimento se l’ex moglie convive con altro uomo
Come divorziare 2022?
In questo caso ci si può rivolgere direttamente al Comune, per chiedere i documenti da presentare e fissare la data di comparizione dinanzi al sindaco. Occorre inviare al sindaco una lettera in cui i coniugi dichiarano di essere in accordo per la separazione consensuale.
Cosa non possono fare i divorziati?
Quale l’atteggiamento della Chiesa nei riguardi dei separati, dei divorziati e di quanti si trovino in situazioni irregolari? Nei casi in cui non sia possibile il perdono e la riconciliazione tra gli sposi, la Chiesa non può esimersi dall’obbligo di risolvere in qualche modo quelle “situazioni patologiche” che sono ostative alla salvezza delle anime.
Quali, allora, gli aiuti concreti? Unica via per regolarizzare la propria posizione e rientrare nella pienezza della comunione ecclesiale è intraprendere una causa di nullità matrimoniale. Qualora, però, non vi siano i presupposti per avviare tale causa o, perlomeno, richiedere la c.d. separazione canonica (di cui ai cann.1151 e ss.c.j.c.), i pastori di anime aiuteranno i separati e i divorziati a vivere comunque la propria fede, accettando anche quelle necessarie limitazioni che, molto spesso, rimangono incompresi o mal tollerati.
I SEPARATI I separati sono quei cristiani che hanno celebrato il matrimonio in Chiesa e che interrompono la convivenza coniugale, rimanendo però fedeli al vincolo, che resta indissolubile. La Chiesa riconosce la possibilità della separazione fisica degli sposi, da intendersi come periodo di riflessione, finalizzato al perdono e alla risoluzione dei conflitti per ristabilire la vita coniugale.
La condizione dei separati è ancora proclamazione dell’indissolubilità matrimoniale. Pertanto, costoro possono accostarsi ai sacramenti della Confessione e dell’Eucarestia, purché adempiano i doveri generali della vita cristiana, mantengano viva l’esigenza del perdono e s’interroghino sinceramente sulla disponibilità o meno di riprendere la vita coniugale.
Possono fungere da padrino o madrina nei sacramenti del Battesimo e della Cresima. I DIVORZIATI NON RISPOSATI Si tratta di coloro che ottengono dallo Stato la cessazione degli effetti civili del loro matrimonio, celebrato in Chiesa, decorsi i tempi previsti dalla separazione legale.
- Ovviamente il carattere sacramentale non si cancella ma rimane per sempre.
- Bisogna distinguere tra coloro che hanno subìto il divorzio e coloro che lo hanno causato.
- A) La Chiesa esprime piena stima nei confronti di quelle persone che hanno subìto il divorzio, i quali si sono ritrovati a dover accettare tale situazione, voluta o causata dall’altro coniuge, ad esempio quando il divorzio è l’unico modo per assicurare certi legittimi diritti, quali la cura dei figli o la tutela del patrimonio.
Già il fatto stesso di aver ricevuto un’umiliazione nel subire il divorzio rende necessaria e più viva la testimonianza da parte della Chiesa del suo amore materno. Pertanto, queste persone, che non si sono lasciate coinvolgere da una nuova unione, sono ammesse a tutti i sacramenti.
B) Coloro che hanno chiesto o provocato il divorzio con un proprio comportamento moralmente scorretto, i quali non si sono riaccompagnati, possono accostarsi ai sacramenti della Penitenza e dell’Eucarestia solo se sinceramente pentiti, se disponibili a riparare il male compiuto e se si professano davanti al proprio confessore sempre legati davanti a Dio dal proprio vincolo matrimoniale, impossibile ormai ad essere ristabilito per motivi moralmente validi.
I DIVORZIATI RISPOSATI Sono coloro che, dopo aver ottenuto il divorzio, passano ad una nuova unione civile, ponendosi così in una condizione oggettiva irregolare, in contrasto col Vangelo che proclama l’indissolubilità del vincolo matrimoniale. Nel vecchio Codice di Diritto Canonico del 1917, i divorziati, ovverosia i concubini, erano considerati ipso facto infames (can.2356) e publice indigni (can.855 §1), cioè pubblici peccatori, perciò venivano scomunicati ed era loro vietata la sepoltura in terra consacrata al pari delle persone che si suicidavano.
- Con il Concilio Vaticano II la Chiesa ha mitigato la sua posizione: non c’è più l’esclusione dalla comunità, cioè la scomunica. Nella Es. Ap.
- Familiaris Consortio del 1981, il Santo Padre Giovanni Paolo II scrive: ” I divorziati risposati non devono considerarsi fuori dalla Chiesa, perché possono, anzi dovrebbero, in virtù del loro battesimo, partecipare alla vita della chiesa “.
Quindi, con il battesimo si viene incorporati nel Popolo di Dio, tra i christifideles (can.204 c.j.c. ‘83), per cui anche i fedeli divorziati risposati rimangono membri del Popolo di Dio perché hanno ricevuto il battesimo e conservano la fede cristiana e come tali non sono esclusi dalla Chiesa, anche se non sono nella pienezza della stessa comunione ecclesiale.
Per questo motivo queste persone non possono essere ammesse al Sacramento dell’Eucarestia, come ribadisce il can.915 del nuovo Codice del 1983, nella parte in cui si riferisce a coloro che ” ostinatamente perseverano in peccato grave manifesto “, quali i divorziati risposati, i concubini, gli sposati solo civilmente, poiché sono in continuo stato di peccato (cfr.
Giovanni Paolo II, Familiaris Consortio, 1981, Reconciliatio et paenitentia, 1984). Ricevere l’Eucarestia presuppone una vita di piena comunione con Cristo e con la Chiesa. Non possono celebrare il sacramento della Riconciliazione in quanto esso esige che il peccatore non soltanto si penta del peccato ma che sinceramente si proponga di non commetterlo più.
- Il perdurare di una unione che non è nel Signore impedisce ciò.
- La fedeltà al Vangelo è imprescindibile.
- Sono esclusi dai sacramenti anche le persone libere che decidono di avviare una convivenza o un matrimonio civile con una persona separata o divorziata perché sanno che con essa non potranno realizzare un matrimonio cristiano.
La Chiesa deve esercitare un servizio di verità nel richiamare costoro alle conseguenze delle loro scelte. Il Santo Padre nella Familiaris Consortio puntualizza: ” Coloro che soffrono per relazioni familiari difficili hanno bisogno in modo particolare dell’amore pastorale e la Chiesa è chiamata ad essere loro vicina secondo l’esempio di Gesù, che non escludeva nessuno dal suo amore.
- Essa si sforzerà, senza stancarsi, di mettere a loro disposizione i suoi mezzi di salvezza La Chiesa preghi per loro, li incoraggi, si dimostri madre misericordiosa e così li sostenga nella fede e nella speranza “.
- Pertanto, anche a chi vive una situazione matrimoniale irregolare Gesù propone un cammino di conversione, nel quale ha il suo valore un particolare impegno nell’amare le persone vicine, educare i figli nella fede cristiana, partecipare alla vita della comunità, essere attivo nella carità e nell’impegno sociale.
Costoro hanno particolarmente bisogno di porsi all’ascolto della Parola di Dio, partecipare alla Santa Messa, perseverare nella preghiera, fare opere di penitenza per implorare la misericordia divina. Devono, così, sempre sperare nella grazia di Dio, unico giudice delle coscienze.
- Poiché queste persone non vivono pienamente la comunione ecclesiale, non possono svolgere i servizi liturgici, come quelli di lettore, catechista, ministro straordinario della Comunione, membro dei consigli pastorale.
- Non possono fare da padrino o madrina nel Battesimo, in quanto il can.874 c.j.c.
- Prescrive anche che si conduca una vita coerente con la fede e con l’impegno che si sta per accettare.
Non sussistono, invece, ragioni intrinseche per impedire che un divorziato risposato funga da testimone nella celebrazione del matrimonio. Tuttavia, saggezza pastorale richiede di evitarlo, per il chiaro contrasto che esiste tra il matrimonio indissolubile di cui il soggetto si fa testimone e la situazione di violazione della stessa indissolubilità che egli vive personalmente.
Per evitare di indurre i fedeli in errore e confusione sulla dottrina dell’indissolubilità, non solo è negata l’Eucarestia, ma lo stesso Pontefice raccomanda di evitare celebrazioni che potrebbero dare la parvenza di nuove nozze sacramentali, quali la benedizione degli anelli, a favore di queste persone che vivono situazioni irregolari: ” è proibito per qualsiasi motivo o pretesto anche pastorale, porre in atto, a favore dei divorziati che si risposano, cerimonie di qualsiasi genere ” (Es.
Ap. Familiaris Consortio ). Parimenti, per evitare lo scandalo, qualora ricorrano le condizioni per ammettere un divorziato risposato ai sacramenti, bisogna farlo in una chiesa dove non sia conosciuto (Es. Ap. Familiaris Consortio ). Viene meno un impedimento oggettivo per accedere ai sacramenti quando i due decidono di vivere insieme ma astenendosi dai rapporti sessuali, come fratello e sorella per mutuo aiuto e sostegno, a causa dell’età avanzata, della malattia o altri motivi analoghi, se cessa la convivenza, se c’è separazione o divorzio del matrimonio civile o morte del coniuge.
Sulla cura pastorale dei divorziati risposati o conviventi, comunque dei credenti che si trovino in situazioni irregolari, la CEI ha pubblicato una Nota molto esaustiva in materia, dal titolo ” La pastorale dei divorziati risposati e di quanti vivono in situazioni matrimoniali irregolari e difficili “, del 26 novembre 1979, che di seguito si riporta, nella quale si troveranno più puntuali delucidazioni.1.
I divorziati che passano a nuove nozze civili, o si distaccano totalmente dalla Chiesa, o non hanno la piena coscienza che la loro unione sia contro la volontà di Cristo e della Chiesa o, pur consapevoli che il loro stato di vita è in contrasto con il Vangelo, continuano a loro modo la vita cristiana e a volte desiderano accostarsi ai sacramenti.
- In questa ultima ipotesi: a) La loro condizione di vita è in contrasto con il Vangelo, che esige il matrimonio unico e indissolubile; tuttavia essi, in forza del battesimo, sono e rimangono cristiani e membri del popolo di Dio.
- I divorziati risposati civilmente hanno particolarmente bisogno di porsi in ascolto della parola di Dio proclamata dalla Chiesa, non solo per conservare la fede ricevuta col battesimo, ma anche perché, conformandosi ad essa, ritornino a vivere il matrimonio cristiano indissolubile.
E’ quindi auspicabile che prendano parte agli incontri di catechesi, alle celebrazioni penitenziali e alla messa, anche se non possono ricevere la comunione eucaristica perché l’eucaristia significa e realizza la pienezza dell’unione a Cristo e al suo corpo che è la Chiesa, e che i divorziati risposati hanno infranto e non intendono restaurare con una vita moralmente regolare.
- I divorziati risposati non possono svolgere nella comunità ecclesiale quei servizi che esigono una pienezza di testimonianza cristiana, come sono i servizi liturgici e in particolare quello di lettore, di catechista, di padrino per i sacramenti.
- B) I divorziati risposati civilmente non possono celebrare il sacramento della riconciliazione, in quanto il sacramento esige che il peccatore non solo si penta, ma che sinceramente proponga di non più commetterlo.
c) Quando la situazione dei divorziati risposati non presenta una concreta reversibilità per l’età avanzata, o la malattia di uno o di ambedue, la presenza di figli bisognosi di aiuto e di educazione o altri motivi analoghi, la Chiesa li ammette all’assoluzione sacramentale e alla comunione eucaristica in una chiesa dove non siano conosciuti, per evitare lo scandalo, se, sinceramente pentiti, si impegnano a interrompere la loro reciproca vita sessuale e a trasformare il loro vincolo in amicizia e aiuto vicendevole.
d) La celebrazione dei funerali religiosi non è vietata per quei fedeli che, pur trovandosi prima della morte in una situazione di pubblico peccato, hanno conservato il loro attaccamento alla Chiesa e hanno manifestato qualche segno di pentimento, a condizione però che sia evitato il pubblico scandalo per gli altri fedeli (Congregazione per la dottrina della fede, 29 maggio 1973).2.
Quando i cattolici sposati solo civilmente chiedono di regolarizzare la loro situazione, occorre procedere con prudenza pastorale ad accettare i motivi della richiesta, alla luce della scelta precedentemente fatta in contrasto con la legge della Chiesa.
Dovrà constare che i nubendi sono sinceramente pentiti e disposti a rimettersi in piena comunione con la Chiesa, e si dovrà esigere una particolare preparazione anche dal punto di vista della catechesi cristiana del matrimonio. Più delicato è il caso in cui la persona cattolica sposata solo civilmente è separata dal coniuge e, in attesa di ottenere il divorzio, chiede di celebrare il matrimonio solo religioso con una terza persona canonicamente libera.
Anche se il richiedente risulta “libero” di fronte alla Chiesa, si deve procedere con grande equilibrio ed equità verso tutte le persone implicate nella situazione. Normalmente non si concede la celebrazione del matrimonio solamente religioso con una terza persona finché la vicenda del precedente matrimonio civile non sia conclusa con una regolare sentenza di divorzio.
- Nei singoli casi deve essere consultato l’Ordinario del luogo.
- Non è lecito ammettere ai sacramenti della penitenza e della comunione eucaristica i cattolici sposati solo civilmente, sino a quando permangono in questa situazione di vita difforme dal Vangelo.3.
- L’eventuale colpa dei genitori nelle situazioni matrimoniali irregolari non deve coinvolgere i figli, i quali hanno diritto ad una educazione cristiana che i genitori si sono impegnati a dare celebrando il sacramento del matrimonio.
Quando sono gli stessi genitori a chiedere per i figli il battesimo, la comunione eucaristica, la confermazione, debbono garantire che sarà data ai figli una vera ed adeguata educazione cristiana. Se i genitori non offrono sicura garanzia di impegno educativo, deve essere data particolare importanza ai padrini e ai parenti prossimi che siano in grado di aiutare o di sostituire i genitori nel compito educativo.
Nel caso che la richiesta del battesimo per il figlio sia presentata da genitori conviventi o sposati solo civilmente e che potrebbero regolarizzare la loro posizione anche religiosamente, il sacerdote li esorti a farlo prima di procedere al battesimo, per superare la loro situazione irregolare e la domanda di battesimo.
Nella richiesta della comunione eucaristica e della confermazione, il giudizio e la decisione pastorale faranno riferimento non solo alla situazione e alla disponibilità dei genitori, ma anche alla crescente personalità dei figli, alla loro formazione e al loro inserimento in comunità cristiane vive e impegnate.
Quando ci si separa la casa a chi va?
In caso di separazione il Giudice assegna la casa familiare al coniuge a cui sono affidati i figli (minorenni certamente, ma anche maggiorenni non autosufficienti economicamente).
Cosa perde l’ex moglie con il divorzio?
Effetti personali del divorzio – Dal punto di vista personale il divorzio scioglie definitivamente il matrimonio della coppia, Nel caso di matrimonio concordatario o celebrato secondo il rito di una delle religioni riconosciute dallo Stato italiano, il divorzio fa cessare gli effetti civili del matrimonio.
- Con il divorzio i coniugi riacquistano lo stato libero e possono, quindi, celebrare nuove nozze.
- Per l’ex marito e l’ex moglie si interrompono i doveri matrimoniali quali l’assistenza morale e materiale o la collaborazione tra coniugi.
- La moglie, inoltre, perde il diritto di utilizzare il cognome del marito salvo esplicita autorizzazione del Tribunale.
Chi è divorziato prende la reversibilità?
Chi è separato prende la reversibilità? – La separazione non fa venir meno i diritti ereditari dell’ex coniuge il quale è ancora un erede legittimario: non può quindi essere estromesso dalla divisione del patrimonio del defunto, neanche in caso di diversa previsione contenuta nel testamento.
Questo significa che chi è separato prende la reversibilità, In un solo caso, la reversibilità non spetta all’ex coniuge: quanto questi, nel corso della causa di separazione, è stato ritenuto responsabile per la fine del matrimonio, subendo così il cosiddetto addebito, In presenza di addebito, infatti, vengono meno tutti i diritti successori.
In caso di divorzio, all’ex coniuge spetta solo una quota della pensione di reversibilità, da dividere con gli altri eredi, ma solo a patto che sussistano le seguenti condizioni:
il rapporto di lavoro da cui deriva la pensione deve essere precedente alla sentenza di divorzio, Se si tratta di un lavoro svolto dopo il divorzio, la relativa reversibilità non può andare all’ex coniuge;l’ex coniuge superstite ma divorziato, che rivendica la pensione di reversibilità del defunto, non deve essersi risposato;il coniuge divorziato che rivendica la reversibilità dell’ex defunto non deve aver accettato l’assegno di divorzio in un’unica soluzione (la cosiddetta una tantum ).
Come chiarito dalla Cassazione e dall’Inps, ha diritto alla reversibilità anche il coniuge divorziato che non percepiva dall’ex l’ assegno di mantenimento, Si tratta di una novità rispetto alle passate interpretazioni.
Quando il marito deve mantenere la moglie?
La risposta dei legali è che a dovere pagare gli ‘alimenti’ è sempre il coniuge con il reddito più alto e, nelle famiglie italiane, il ‘primato’ del reddito più alto il più delle volte lo detiene il marito e deve mantenere la moglie quando c’è una disparità di reddito.
Quanto costa divorziare nel 2022?
Moneyfarm – società di gestione del risparmio con approccio digitale – torna ad affrontare i risvolti economici degli eventi di vita degli italiani, andando ad indagare cosa significhi separarsi e divorziare nel 2022. Le evidenze emergono da un’indagine svolta da Moneyfarm in collaborazione con smileconomy, società indipendente di consulenza in educazione finanziaria, e con la consulenza tecnica dell’avvocato familiarista Raffaella Pini di Milano.
Vincenzo Cuscito (foto), Head of Investment Consultants Italy Moneyfarm, ha commentato: “Sui giornali sentiamo spesso parlare dei risvolti economici di separazioni e divorzi celebri, ma separarsi ha un impatto finanziario su chiunque e questo impatto merita di essere indagato poiché non è meno rilevante.
Dai dati Moneyfarm emerge che ogni 5 secondi in Italia una coppia decide di separarsi, un imprevisto che si verifica con sempre maggior frequenza. Per fronteggiare questo così come altri imprevisti che possono verificarsi nella vita di tutti noi, il consiglio è di non sottovalutare il ruolo della pianificazione finanziaria, che aiuta a non farsi cogliere completamente impreparati da eventi già sufficientemente gravosi dal punto di vista psicologico.
È fondamentale analizzare in modo adeguato la propria situazione patrimoniale insieme a un consulente finanziario e abituarsi a ragionare con lui su orizzonti temporali medio-lunghi che possono contemplare scenari non sempre rosei”. Le separazioni legali sono l’indicatore più affidabile per misurare il livello di instabilità coniugale del nostro Paese.
Nonostante le semplificazioni sui divorzi apportate nel 2014, infatti, non tutte le separazioni si trasformano poi in divorzi. In Italia avvengono in media 267 richieste di separazione al giorno, ovvero una ogni 5 secondi. Per fare un confronto, i nuovi matrimoni rimangono comunque più alti, con 504 richieste al giorno, una ogni 3 secondi.
- Le separazioni sono aumentate dell’11% tra il 2010 e il 2019 passando da 88.191 nel 2010 a 97.474 del 2019.
- A trainare questo trend è stato il Sud Italia, con gli aumenti maggiori in Calabria (+66%), Abruzzo (+45%) e Molise (+34%).
- Si è assistito a tendenze al ribasso, invece, nel Lazio (-9%), Friuli Venezia Giulia (-7%) e Liguria (-1%).
Contrariamente all’opinione popolare per cui i lockdown dovuti al Covid-19 hanno innescato numerose crisi coniugali, nel 2020 le richieste di separazione sono in realtà diminuite del 18% anche a causa del blocco delle attività amministrative. Come detto, però, non tutte le separazioni si trasformano in divorzi, nonostante la riforma del 2014 abbia reso il processo più agevole.
Tra il 2014 e il 2016 le richieste di divorzio sono cresciute dell’89%, ma una volta esauritasi la spinta propulsiva della nuova normativa, i divorzi hanno cominciato a calare a partire dal 2017. Nel 2019 sono scesi del 14% rispetto al picco post-riforma, attestandosi a 85.549. Come nel caso delle separazioni, anche le richieste di divorzio sono diminuite nel 2020 con la pandemia: -22%, per un totale di richieste scese a 66.662.
Le separazioni possono avvenire in modo consensuale o giudiziale, con notevoli differenze in termini di tempistiche e costi: nel caso giudiziale, la coppia non riesce a trovare un accordo o consenso sulla separazione, e quindi uno dei due coniugi citerà l’altro in giudizio.
Gli argomenti tipici sui quali bisogna trovarsi in accordo sono l’assegno di mantenimento, l’affidamento dei figli e il loro collocamento, nonché altri aspetti patrimoniali. E occorre inoltre considerare i costi legali legati ad avvocati e spese processuali. In Italia, l’85% delle separazioni avvenute nel 2020 sono state consensuali.
In questo caso, i tempi sono solitamente rapidi, con le pratiche che si risolvono nel giro di 3 mesi, e addirittura in soli 5 giorni lavorativi se ci si affida allo strumento della negoziazione assistita prevista dall’ordinamento italiano. In questo modo, i costi per separarsi tramite negoziazione assistita sono abbastanza trascurabili: si tratta di pagare oneri fissi e bolli per una cifra che si aggira attorno a qualche decina di euro.
- Nel caso invece sia previsto il supporto di un avvocato, le cifre possono oscillare tra i 1.000 e i 3.000 euro.
- Storia diversa invece per chi non riesce a trovare un accordo consensuale: è il caso del 15% delle richieste avanzate nel 2020.
- Per chi fa ricorso a un giudice, i tempi si allungano vertiginosamente: ci vogliono, in media, tra i 2 e i 4 anni, ma non sono esclusi prolungamenti fino a 7-8 anni in base alla complessità del caso.
Di conseguenza, anche i costi lievitano: dai 3.000 ai 10.000 euro. Per legge, il divorzio può avvenire una volta trascorsi 6 mesi da una separazione consensuale o 12 mesi da una separazione giudiziale, che decorrono dalla prima udienza di separazione in Tribunale (la cosiddetta udienza Presidenziale).
- In questo caso, oltre ai costi già sostenuti per la separazione (ovvero tra i 1.000 e i 10.000 euro a coniuge), se ne aggiungono altri.
- Nel 2020, il 72% dei divorzi è stato consensuale.
- Questa procedura permette – come con la separazione – di sbrigare le pratiche in 3 mesi attraverso il Tribunale o 5 giorni lavorativi con la negoziazione assistita.
I costi si aggirano tra i 1.500 e i 3.000 euro per ciascun coniuge. Se si ricorre al procedimento giudiziale, i tempi si protraggono oltre i due anni in funzione della litigiosità. La complessità del caso incide anche in maniera gravosa sui costi: la spesa va dai 3.000 fino ai 20.000 per coniuge.
- Il prezzo più alto, però, si paga in caso di disaccordo totale: non solo la causa complessiva (separazione e divorzio) potrebbe arrivare a 10 anni, ma le spese potrebbero aumentare di ulteriori 5-7.000 euro per perizie e investigatori privati.
- Considerando quindi i costi sostenuti dal singolo coniuge indicati in tabella, la separazione e successivo divorzio possono costare da 5.000 euro (il minimo se si opta per la via consensuale senza la negoziazione assistita) a un massimo di 60.000 euro a coppia.
Non entrano in questa casistica, però, i divorzi dei super-ricchi e dei VIPs, dove l’iter arriva a costare anche centinaia di migliaia di euro in base al patrimonio. I dati relativi al 2020 forniscono un quadro interessante anche per quanto riguarda seconde e terze nozze.25.435 divorziati si sono infatti risposati.
- Nel 62% dei casi, si tratta di neo-divorziati sposati con chi, invece, era alle prime nozze.
- Il 32% riguarda divorziati e divorziate risposatesi tra loro e il restante 6% sono divorziati risposati con persone rimaste vedove.
- Dai dati emerge, inoltre, che gli uomini divorziati si risposano con maggior frequenza dopo i 60 anni, mentre per le donne tra i 50 e i 54 anni.
Programmare. Separazioni e divorzi vanno programmati con un po’ di anticipo, soprattutto se si tratta di un soggetto con un reddito esiguo (mentre chi è privo di reddito potrà avvalersi del beneficio del gratuito patrocinio, a spese dello Stato). La programmazione sarà utile per accumulare i risparmi che permettano un’adeguata assistenza legale e la sopravvivenza nel periodo iniziale della frattura coniugale (quello di maggior conflitto), quando di norma la parte economicamente più forte utilizza il proprio potere economico come mezzo di pressione per costringere l’altra parte a chiudere accordi meno convenienti.
- Restare in casa.
- È molto importante non lasciare la casa coniugale prima di aver consultato un legale.
- Infatti, spesso, il semplice allontanamento dalla casa coniugale preclude la possibilità di farvi ritorno e la perdita del diritto di continuare a viverci (in presenza di determinati presupposti).
- Raccogliere le prove del tenore di vita.
Fondamentale nel procedimento di separazione giudiziale è la prova del tenore di vita goduto dalla coppia (o dalla famiglia) in costanza di matrimonio. Si consiglia la raccolta preventiva di prove relative allo stile di vita mediante la conservazione dei giustificativi di spesa, quali vacanze, cene fuori, frequentazione di sport o hobby più o meno costosi, ecc.
Gestire il tradimento. Per chi è stato tradito, è fondamentale arrivare in tribunale con la prova di tale infedeltà. Nonostante la comprensibile difficoltà nel mantenersi lucidi dinanzi alla scoperta di un tradimento, è utile raccogliere e conservare le prove di tale scoperta. In tal modo si risparmierà almeno il costo dell’investigatore privato, altrimenti necessario.
Per chi ha tradito, le cose cambiano se vi siano o meno evidenze del tradimento fino alla prima udienza della separazione, quando sarà il giudice ad autorizzare la parti a vivere separate e, quindi, a poter iniziare a condurre vite autonome senza l’obbligo reciproco di fedeltà.
Quanti soldi ci vogliono per un divorzio?
Quanto costa separarsi o divorziare se l’amore è finito? Quando l’amore finisce i coniugi si trovano di fronte ad una scelta difficile: la separazione, Dopo la rabbia ed il rancore o la delusione, occorre farsi delle domande concrete. Quanto costa divorziare in Italia? Quali i costi per la separazione, l’avvocato e quindi quali sono le spese per il divorzio definitivo? La situazione e le tariffe della separazione cambiano in presenza o meno di figli nel matrimonio? Occorre dire che la procedura di divorzio in Italia prevede che non possa esserci divorzio definitivo senza un periodo di separazione legale,
- Se la separazione è consensuale, bastano 6 mesi dal pronunciamento.
- Se la separazione è giudiziale, il tempo raddoppia (1 anno).
- In generale si può dire che i costi del divorzio variano dai 1000 euro a oltre 5mila euro, ma le leggi attuali prevedono anche la possibilità di divorziare senza avvocato e in questo caso i costi sono pari ad euro 16 euro.
Tra le questioni più dibattute in una separazione abbiamo non solo quella dei costi ma anche la custodia dei figli ed il loro mantenimento, oltre che la divisione del patrimonio. Il modo per ridurre i costi della separazione è quello di procedere con la separazione consensuale, che può avvenire solo quando i due coniugi raggiungono autonomamente un accordo economico sulla separazione e sull’affidamento dei figli.
In questo caso si potrà procedere con la separazione consensuale od il divorzio congiunto con negoziazione assistita, che è il percorso più breve anche in presenza di figli minorenni, oppure con il ricorso davanti al presidente del Tribunale, con o anche senza avvocato a seconda degli interessi che ci sono in gioco.
E’ possibile dare luogo alla separazione o il divorzio senza avvocato nel Comune di residenza di uno dei due coniugi o dove è stato celebrato il matrimonio. Tale procedura di separazione/divorzio costa poco ma non è però possibile in presenza di figli minorenni, portatori di handicap o non autosufficienti economicamente, ovvero in presenza di trasferimenti patrimoniali.
In caso non si trovi un accordo, va ricordato che la separazione o il divorzio giudiziale richiedono obbligatoriamente l’assistenza di un avvocato, I tempi di chiusura della separazione o divorzio non sono prevedibili (almeno 6 mesi/ 1 anno) ed i costi cresceranno di conseguenza. Ma quanto costa un divorzio congiunto od una separazione consensuale? A seconda della procedura prescelta, cambiano i costi e quindi le spese che i futuri ex-coniugi dovranno affrontare per separarsi o divorziare.
Con la negoziazione assistita che in genere esclude la necessità dei coniugi di comparire in Tribunale si fa prima a separarsi o divorziare ( 15 /20 giorni si ottiene la firma del magistrato). Raggiunta l’intesa di separazione o di divorzio, gli avvocati devono redigere un apposito accordo, che verrà firmato dalle parti e inviato al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale competente.
Non è dovuto alcun contributo unificato come invece necessario per la separazione od il divorzio davanti al giudice. Le disposizioni sui beni patrimoniali, in quanto funzionali alla risoluzione della crisi, ovvero della separazione/divorzio, non sono sottoposte a imposta di bollo e di registro presso l’Agenzia delle Entrate.
Le tariffe del divorzio o separazione in genere possono variare dai 1000 ai 3mila euro e ciò dipende dalla complessità o meno del caso, dall’attività che si svolge, ma anche dall’avvocato a cui ci si rivolge, tenuto conto che il sistema tariffario è libero.
- Il nostro studio applica tariffe speciali in base ai diversi casi di separazione o divorzio che si prospettano.
- Seguiamo sia la procedura di separazione tradizionale con ricorso in Tribunale sia e soprattutto la via del divorzio/separazione mediante negoziazione assistita che ci consente ad esempio a Milano di avere il divorzio firmato dal magistrato addirittura in circa 7 giorni,
A Torino i media i tempi sono di circa 15 giorni, Nelle situazioni più semplici laddove i coniugi sono già d’accordo perché ad esempio non ci sono particolari trasferimenti patrimoniali, oppure in quanto c’è già un’intesa congrua sul mantenimento dei figli, le tariffe della separazione consensuale partono da complessivi euro 600,00 più iva, con la possibilità per i coniugi che si separano di dividere a metà tale somma, ovverosia di spendere ciascuno euro 300,00 più iva,
Quanto tempo ci vuole per avere il divorzio?
Un procedimento congiunto di divorzio si esaurisce mediamente in 250 giorni, mentre se si procede con il divorzio giudiziale occorrono in media 508 giorni.
Cosa sapere prima di divorziare?
Come divorziare: la separazione – Per divorziare bisogna prima separarsi. Dalla separazione poi devono passare almeno sei mesi se ci si è separati consensualmente, un anno se ci si è separati facendo una causa perché non si è trovato un accordo. L’anno decorre dalla prima udienza, quella davanti al Presidente del Tribunale. È possibile divorziare senza separarsi nei seguenti casi:
per mancata consumazione del matrimonio;se si verificano determinate situazioni di carattere penale (che a breve vedremo);a seguito di annullamento o scioglimento del matrimonio celebrato all’estero;in caso di rettifica di attribuzione di sesso.
Come funziona il divorzio veloce?
Divorzio breve come funziona – Gli interessati dovranno semplicemente rivolgersi ai rispettivi avvocati di fiducia. Questi procederanno a sottoscrivere e a far sottoscrivere ai coniugi un documento contenente l’impegno a svolgere una trattativa in un tempo determinato.
Cosa succede se uno dei due non vuole divorziare?
Se il coniuge non vuole concedere il divorzio: come comportarsi – La risposta è semplice, bisognerà recarsi in Tribunale e chiedere al Giudice la separazione giudiziale. In altre parole occorrerà fare causa al coniuge se quest’ultimo non vuole concedere il divorzio.
- Leggi Anche: Divorzio dopo un anno di separazione giudiziale Per richiedere il divorzio giudiziale, il coniuge deve avere l’assistenza di un avvocato, per poter spiegare al Giudice le ragioni della sua richiesta e l’eventuale addebito di responsabilità del dissenziente sulla fine del matrimonio.
- Tradimenti, abbandono della casa coniugale ecc.).
Inoltre dovrà dimostrare che le dichiarazioni rilasciate siano vere, attraverso mezzi di prova. Successivamente, l’atto processuale verrà notificato al coniuge, che si è opposto, tramite l’ufficiale giudiziario del Tribunale. La legge prevede che la notifica dell’atto processuale avvenga lo stesso, anche in caso di irreperibilità del soggetto notificato.
Dunque se il coniuge non vuole concedere il divorzio, non succede nulla. In altre parole per procedere, basta solamente che uno dei due presenti faccia la richiesta. Infatti quando la comunione matrimoniale è diventata intollerabile e non può essere mantenuta, si può ottenere lo scioglimento dl matrimonio anche senza il consenso di entrambi i coniugi.
Leggi Anche: Divorzio in un anno o in sei mesi: come richiederlo dopo la separazione Il divorzio congiunto ha dei vantaggi rispetto a quello giudiziale. Infatti quando i due coniugi trovano un accordo sulla cessazione del matrimonio, i costi e e tempi si riducono notevolmente.
- Tuttavia se l’accordo è impossibile o uno dei due coniugi si oppone, tutto ciò diventa complesso e l’unica alternativa è la richiesta al Giudice del divorzio giudiziale.
- Se il coniuge dissenziente cambia idea durante il procedimento giudiziario, sarà possibile passare dall’iter giudiziale a quello congiunto.
Leggi Anche: Legge sul divorzio breve: testo completo della nuova normativa del 2015
Cosa NON fare prima del divorzio?
Come fare per separarsi e come separarsi in poco tempo Come fare per separarsi ? Il primo consiglio è mantenere la calma ed avere uno spirito collaborativo. Come fare per separarsi dal coniuge ? Prima di scendere nei dettagli, un consiglio su tutti : sappiate che la separazione dal coniuge richiede tanto autocontrollo, necessario per evitare reazioni impulsive che potrebbero condurre a una serie di ripicche estenuanti e controproducenti.
- Se il vostro desiderio è quello di arrivare subito al divorzio, il primo passo da compiere è la definizione di un accordo di separazione consensuale.
- A questo proposito la consulenza di un avvocato per redigere l’ accordo di separazione consensuale permette di evidenziare i punti più rilevanti per poter continuare la propria vita con il minimo disagio.
- Rivolgersi a un avvocato mettendo da parte per un attimo i risentimenti che sempre accompagnano una separazione, consente di separarsi velocemente e consensualmente e, infine, di divorziare presto,
- Per di più il costo di un avvocato per una separazione consensuale è sicuramente inferiore al costo per una separazione giudiziale.
- Anche la tempistica per una separazione consensuale è ridotta rispetto ai tempi per una separazione giudiziale.
- Dunque, come fare per separarsi subito ?
- Prima di addentrarci in definizioni e linguaggio tecnico, è opportuno sottolineare alcuni aspetti essenziali.
- Si tratta di cose basate semplicemente sul buon senso ma che è facile dimenticare dato il momento di stress che vive chi affronta una separazione.
- Tenere in grande considerazione questi aspetti può fare una grandissima differenza, soprattutto nel lungo periodo,
Cerca in ogni modo di arrivare ad una separazione consensuale. Serviranno nervi saldi ma ne varrà assolutamente la pena.
- Accetta qualche compromesso, senza cercare vendetta.
- Discuti gli accordi con il coniuge con tutta la calma possibile e successivamente recatevi assieme da un avvocato divorzista per la definizione dei dettagli e la mediazione di eventuali disaccordi.
- Non fissarti troppo sui dettagli: trova con il coniuge un accordo che vi soddisfi entrambi e chiudete velocemente la questione.
- Se hai un patrimonio da tutelare, informa subito l’avvocato.
- Se sostieni spese economiche imputabili al matrimonio, tienine traccia con tutta la documentazione necessaria.
- Se l’altro coniuge tiene comportamenti che violano i doveri matrimoniali cerca di acquisire prove, diventeranno necessarie in fase di giudizio.
- Non fidarti troppo dei consigli degli amici, non sono esperti e sono di parte.
- Non compiere gesti d’impulso, come ad esempio abbandonare il tetto coniugale.
- Non usare i figli contro l’altro coniuge.
- Non lasciarti mai e poi mai andare a gesti violenti nei confronti del coniuge.
- Se hai raggiunto un accordo, evita di cambiare idea in seguito.
- Non soffermarti troppo a “spremere” la legge per ottenere tutto il possibile: accontentati di un accordo che ti soddisfi, in caso contrario preparati ad affrontare tempi lunghi per arrivare ad una soluzione.
Per separarti con consapevolezza devi assolutamente scoprire il significato dei seguenti termini: A questo proposito troverai tutte le risposte da conoscere continuando a leggere questo articolo che ti spiega come fare per separarti. La separazione dei coniugi è un atto formale al quale ricorrono i due consorti nel momento in cui dei problemi interni o esterni alla coppia rendano insopportabile la convivenza o compromettano l’educazione dei figli,
- La convivenza nella stessa casa.
- L’ unione dei ben i di cui i consorti erano già titolari prima del matrimonio e di quelli acquisiti dopo il matrimonio stesso.
- La fedeltà da ambo le parti.
La separazione breve è l’opportunità per i coniugi di separarsi più agevolmente e rapidamente, nonché di spendere meno denaro, infatti non prevede imposte da pagare. La separazione breve si ottiene per mezzo della negoziazione assistita di un avvocato, pertanto senza doversi recare in Tribunale,
- Per poter usufruire di tale possibilità la separazione deve essere consensuale.
- Non costituisce impedimento la presenza di figli minorenni, invalidi oppure maggiorenni non indipendenti a livello economico.
- La separazione ed il divorzio breve sono trattati nel Decreto Legge n.132/14 del 12 settembre 2014.
La lettera di separazione è una comunicazione che deve essere spedita al proprio coniuge per informarlo di volersi separare. Con la lettera di separazione si possono ridurre i tempi e quindi raggiungere un accordo di separazione consensuale più velocemente,
- In particolare la lettera di separazione può avviare un dialogo sulla separazione stessa.
- In seguito all’invio della lettera per la separazione i coniugi potranno cercare di separarsi in modo pacifico, se è possibile trovare un accordo, oppure in maniera conflittuale, se le rispettive posizioni sono troppo distanti.
Nel primo caso si parla di separazione consensuale, mentre nel secondo caso si deve ricorrere alla separazione giudiziale attraverso un processo civile che prevede numerose udienze, maggiori costi oltre al dover accettare le decisioni di un Giudice,
- E’ importante sottolineare che il coniuge destinatario della lettera di separazione consensuale potrebbe non rispondere oppure dichiarare il suo disappunto,
- In questo caso, il coniuge mittente può proporre delle nuove condizioni di separazione per arrivare a un accordo consensuale oppure decidere di depositare, tramite il proprio avvocato, il ricorso di separazione giudiziale,
- Ricordiamo ancora una volta che i tempi per la separazione, consensuale o giudiziale che sia, sono direttamente correlati alla volontà dei coniugi di accordarsi velocemente,
Le condizioni di separazione sono quelle condizioni nel rispetto delle quali i coniugi decidono se accettare o meno l’accordo separazione. In particolare le principali tematiche che vengono valutate per determinare le condizioni ed infine raggiungere un accordo di separazione sono:
- Gli alimenti.
- La custodia dei figli.
- La suddivisione dei beni in comunione come l’auto e il conto corrente.
- L’affidamento dell’abitazione coniugale.
- La separazione consensuale è uno strumento legale creato per i coniugi che desiderano separarsi concordemente e che hanno già deciso le condizioni di separazione (ad esempio l’ammontare dell’ e a chi debba andare la casa coniugale).
- In pratica la separazione consensuale comincia depositando un ricorso presso la Cancelleria del Tribunale del Comune in cui almeno uno dei due coniugi abbia la residenza o il domicilio.
- Quindi viene creato un fascicolo d’ufficio comprensivo di:
- Ricorso
- Estratto per riassunto dell’atto di matrimonio.
- Stato di famiglia.
- Certificato di residenza dei coniugi.
- Fotocopia delle dichiarazione dei redditi dell’ultimo triennio.
- Fotocopia delle carte d’identità e dei codici fiscali.
In seguito ai vari assolvimenti, i due coniugi devono presentarsi davanti al Presidente del Tribunale. Il presidente, nel rispetto degli obblighi di legge, tenterà di riappacificare i consorti ascoltandoli separatamente e poi insieme.
- Qualora i coniugi riaffermino l’intento di volersi separare il Presidente del Tribunale preparerà l’emanazione del decreto di omologazione delle condizioni di separazione specificate nel ricorso.
- Infine, l’accordo di separazione consensuale viene sottoposto al giudizio dei magistrati.
- Nel caso vi siano figli minorenni, l’accordo deve essere visionato anche dal Pubblico Ministero,
- L’ accordo di separazione consensuale è un documento che elenca e descrive le condizioni di separazione,
- In particolare tale accordo viene redatto con l’aiuto di un avvocato, deve essere firmato da entrambi i coniugi e convalidato dal Tribunale perché diventi operativo.
- Infine, l’accordo di separazione consensuale deve essere spedito in copia autenticata dal proprio legale, non oltre 10 giorni dalla sottoscrizione, al Comune dove fu officiato, iscritto o trascritto il matrimonio,
Nel caso i due consorti non si presentino al cospetto del sindaco nel giorno prestabilito, l’accordo di separazione perde di efficacia e bisogna ricominciare tutta la procedura da capo. L’accordo di separazione consensuale, da concretizzare grazie alla negoziazione assistita tramite avvocato, và raggiunto in modalità differenti a seconda che siano o meno presenti dei figli all’interno della coppia:
Chi è divorziato può confessarsi?
Spesso vengono a confessarsi da me persone divorziate; desidero sapere chi posso assolvere e chi no Questo articolo è disponibile anche in: Quesito Buonasera padre Angelo Bellon, sono padre vengo dal, e sono amministratore parrocchiale alla parrocchia,
Ho qualche problema sul sacramento della riconciliazione. Spesso vengono da me i divorziati a confessarsi. Allora voglio sapere chi può confessarsi e chi non può confessarsi. Mi potete fare una lista per favore ? Grazie mille Risposta del sacerdote Carissimo Padre, I. è necessario distinguere tra persone semplicemente divorziate e persone divorziate e risposate o conviventi.
Le persone semplicemente divorziate possono ricevere l’assoluzione, soprattutto se sono vittime del divorzio. II. Se hanno dato il divorzio, se sono pentite ma giudicano che ormai è impossibile riprendere la vita comune, possono ricevere l’assoluzione e fare la Santa Comunione.
- III. Se invece si sono risposate civilmente o convivono vanno trattate secondo i criteri emanati in una lettera del Card.
- Ratzinger, quand’era prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, che porta la data del 14 settembre 1994.
- Questa lettera è di ampio respiro.
- Mentre ricorda l’indissolubilità del matrimonio, nello stesso tempo raccomanda di trattare benignamente queste persone, che rimangono figlie della Chiesa, sebbene in linea generale non possano ricevere l’assoluzione né fare la Santa Comunione.
Ecco in sintesi che cosa dice questa lettera, che è normativa per i credenti e che illumina anche sui criteri da adottare per coloro che sono sposati solo civilmente oppure sono conviventi.1. I fedeli divorziati risposati si trovano in una situazione che contraddice oggettivamente l’indissolubilità del matrimonio,
Per fedeltà all’insegnamento di Gesù la Chiesa è fermamente convinta che il matrimonio è indissolubile. Il Vaticano II insegna: “Questa intima unione, in quanto mutua donazione di due persone, come pure il bene dei figli, esigono la piena fedeltà dei coniugi e ne reclamano l’indissolubile unità” (GS 48).
La Chiesa ritiene anche che nessuno, neppure il Papa, ha il potere di sciogliere un matrimonio sacramentale rato e consumato (cfr. can.1141). Pertanto essa non può “riconoscere come valida una nuova unione, se era valido il precedente matrimonio” (Lettera, 4).
- Sicché è proibito “per qualsiasi motivo o pretesto anche pastorale, porre in atto, a favore dei divorziati che si risposano, cerimonie di qualsiasi genere ” (FC 84).2.
- I fedeli divorziati risposati rimangono membri del Popolo di Dio e pertanto sono chiamati a sperimentare l’amore di Cristo e la vicinanza materna della chiesa,
Sebbene questi fedeli vivano in una situazione che contraddice il messaggio del Vangelo, non sono scomunicati, e cioè esclusi dalla comunione ecclesiale. Essi sono e restano membri della Chiesa, perché hanno ricevuto il battesimo e conservano integra la fede cristiana.
- Il Direttorio di Pastorale familiare della CEI: “Quanti vivono in una situazione irregolare, pur continuando ad appartenere alla Chiesa, non sono in piena comunione con essa.
- Non lo sono perché la loro condizione di vita è in contraddizione con il Vangelo di Gesù, che propone ed esige dai cristiani un matrimonio celebrato nel Signore, indissolubile e fedele” (DPF 197).
Seguendo l’esempio di Gesù che non escludeva nessuno dal suo amore, la Chiesa deve essere loro vicina mettendo a disposizione i suoi mezzi di salvezza (FC 84). I pastori devono discernere le diverse situazioni perché alcuni hanno distrutto l’unione matrimoniale per loro grave colpa, altri sono stati abbandonati dal coniuge; alcuni sono convinti in coscienza della nullità del loro precedente matrimonio, altri si sono risposati prevalentemente per assicurare l’educazione dei figli nati dalla nuova unione; infine vi sono quelli che nella seconda unione hanno riscoperto la fede e già hanno trascorso un lungo cammino di penitenza (cfr.
FC 84). A partire da questo discernimento, che tiene conto della singolarità delle diverse situazioni, i pastori mostreranno ai fedeli interessati vie concrete di conversione e di partecipazione alla vita ecclesiale, In ogni caso “la Chiesa preghi per loro, li incoraggi, si dimostri madre misericordiosa e così li sostenga nella fede e nella speranza” (FC 84).3.
In quanto battezzati, i fedeli divorziati risposati sono chiamati a partecipare attivamente alla vita della chiesa, nella misura in cui questo è compatibile con la loro situazione oggettiva, Come membri della Chiesa, i fedeli divorziati risposati sono esortati: – “ad ascoltare la Parola di Dio, – a frequentare il sacrificio della Messa, – a perseverare nella preghiera, – a dare incremento alle opere di carità e alle iniziative della comunità in favore della giustizia, – a educare i figli nella fede cristiana, – a coltivare lo spirito e le opere di penitenza per implorare così, di giorno in giorno, la grazia di Dio”(FC 84).
- In particolare la Lettera della CDF, a proposito dell’eucaristia, sottolinea il significato della comunione spirituale (n.6) e ricorda che la partecipazione alla vita ecclesiale non può essere ridotta alla questione della ricezione della comunione, come spesso avviene.4.
- A motivo della loro situazione oggettiva i fedeli divorziati risposati non possono essere ammessi alla S.
Comunione e neppure accedere di propria iniziativa alla mensa del Signore, La Chiesa ribadisce “la sua prassi, fondata sulla Sacra Scrittura, di non ammettere alla comunione eucaristica i divorziati risposati” (FC 84). Questa norma non è un regolamento puramente disciplinare, che potrebbe essere cambiato dalla Chiesa, ma deriva da una situazione obiettiva che rende impossibile in sé l’accesso alla S.
- Comunione.
- A dire il vero, non è la Chiesa che esclude tali fedeli, ma “sono essi a non poter esservi ammessi, dal momento che il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quell’unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall’Eucaristia”(FC 84).
- L’Eucaristia infatti è il cibo che aiuta i coniugi ad amarsi e ad immolarsi vicendevolmente come Cristo ha amato la Chiesa e si è immolato per lei.
Nel caso dei divorziati risposati l’immolazione per il vero coniuge viene palesemente contraddetta. A questo motivo primario se ne aggiunge un secondo, di natura più pastorale: “se si ammettessero queste persone all’Eucaristia, i fedeli rimarrebbero indotti in errore e confusione circa la dottrina della Chiesa sull’indissolubilità del matrimonio” (FC 84).
Qualcuno distingue fra ammissione ufficiale alla S. Comunione (che non è possibile) e autorizzazione in taluni casi della propria coscienza ad accedere alla mensa del Signore. Di contro la Lettera della CDF sottolinea: “Il fedele che convive abitualmente more uxorio con una persona che non è la legittima moglie o il legittimo marito, non può accedere alla Comunione eucaristica.
Qualora egli lo giudicasse possibile, i pastori e i confessori, date la gravità della materia e le esigenze del bene spirituale della persona e del bene comune della Chiesa, hanno il grave dovere di ammonirlo che tale giudizio di coscienza è in aperto contrasto con la dottrina della Chiesa.
- Devono anche ricordare questa dottrina nell’insegnamento a tutti i fedeli loro affidati” (n.6).
- Accettando la dottrina e la prassi della Chiesa, i fedeli divorziati risposati a loro modo continuano a testimoniare l’indissolubilità del matrimonio e la loro fedeltà alla Chiesa (cfr.
- Lettera, 9).5.
- A motivo della loro situazione obiettiva i fedeli divorziati risposati non possono ” esercitare certe responsabilità ecclesiali ” (CCC 1650).
Il DPF scrive: “La partecipazione dei divorziati risposati alla vita della Chiesa rimane condizionatadalla loro non piena appartenenza ad essa, È evidente che essi non possono svolgere nella comunità ecclesiale quei servizi che esigono una pienezza di testimonianza cristiana, come sono i servizi liturgici e in particolare quello di lettori, il ministero di catechista, l’ ufficio di padrino per i sacramenti,
Nella stessa prospettiva, è da escludere una loro partecipazione ai consigli pastorali, i cui membri, condividendo in pienezza la vita della comunità cristiana, ne sono in qualche modo i rappresentanti e i delegati. Non sussistono invece ragioni intrinseche per impedire che un divorziato risposato funga da testimone nella celebrazione del matrimonio : tuttavia saggezza pastorale chiederebbe di evitarlo, per il chiaro contrasto che esiste tra il matrimonio indissolubile di cui il soggetto si fa testimone e la situazione di violazione della stessa indissolubilità che egli vive personalmente” (DPF 218).
In particolare per l’ufficio di padrino si richiede “una vita conforme alla fede e all’incarico che assume” (can.874).6. Se i fedeli divorziati risposati si separano o vivono come fratello e sorella, possono essere ammessi ai Sacramenti, Perché i divorziati risposati possano ricevere validamente il sacramento della riconciliazione, che apre l’accesso alla S.
- Comunione, devono essere seriamente disposti a cambiare la loro situazione di vita, in modo che non sia più in contrasto con l’indissolubilità del matrimonio.
- Questo significa concretamente che essi si devono pentire di aver infranto il vincolo sacramentale matrimoniale, che è immagine dell’unione sponsale fra Cristo e la sua Chiesa, e che si separino da chi non è il loro legittimo coniuge.
Se questo per motivi seri, ad esempio l’educazione dei figli, non è possibile, essi si devono proporre di vivere in piena continenza (FC 84). Con l’aiuto della grazia che tutto supera e col loro deciso impegno, la loro relazione deve trasformarsi sempre più in un legame di amicizia, di stima e di aiuto reciproco.
Rimane tuttavia l’obbligo di ” evitare lo scandalo ” (n.4) presso i fedeli che li conoscono come irregolari. Sicché potranno ricevere l’assoluzione dei peccati e la S. Comunione pubblicamente là dove non sono conosciuti come tali.7. I fedeli divorziati risposati, soggettivamente convinti della invalidità del loro matrimonio precedente, devono regolarizzare la loro situazione in foro esterno,
Il matrimonio, dal momento che crea per ciascun partner una specifica situazione ecclesiale e sociale, ha essenzialmente carattere pubblico. Pertanto non compete in ultima istanza alla coscienza personale degli interessati decidere, sul fondamento della propria convinzione, della sussistenza o meno di un matrimonio precedente e del valore della nuova relazione(cfr.
- Lettera, 7-8).
- Il CJC conferma la competenza esclusiva dei tribunali ecclesiastici circa l’esame della validità del matrimonio dei cattolici.
- Pertanto chi è convinto in coscienza dell’invalidità del precedente matrimonio deve rivolgersi al tribunale ecclesiastico, al quale compete di esaminare, con un procedimento di foro esterno, l’eventuale obiettiva invalidità.
Il CJC offre anche nuove vie per dimostrare la nullità di un matrimonio perché ha stabilito norme per le quali (cfr. can.1536 § 2 e can.1679) le sole dichiarazioni delle parti possono costituire prova sufficiente di nullità, naturalmente ove tali dichiarazioni offrano garanzia di piena credibilità.
- D’altra parte, poiché il matrimonio ha essenzialmente un carattere pubblico-ecclesiale, e poiché anche qui vale il principio fondamentale nemo iudex in propria causa (nessuno è giudice nella propria causa), le questioni matrimoniali vanno risolte in foro esterno.8.
- I fedeli divorziati risposati non devono mai perdere la speranza di raggiungere la salvezza,
“La Chiesa con ferma fiducia crede che anche quanti si sono allontanati dal comandamento del Signore ed in tale stato tuttora vivono potranno ottenere da Dio la grazia della conversione e della salvezza, se avranno perseverato nella preghiera, nella penitenza e nella carità” (FC 84).
Anche se la Chiesa non può mai approvare una prassi che si oppone alle esigenze della verità e al bene comune della famiglia e della società, nondimeno non smette di amare i suoi figli in difficili situazioni matrimoniali, di portare insieme con loro le difficoltà e sofferenze, di accompagnarli con cuore materno e di confermarli nella fede che essi non sono esclusi da quella corrente di grazia, che purifica, illumina, trasforma e conduce alla salvezza eterna.
Pertanto “la chiesa invita i suoi figli, che si trovano in quelle situazioni dolorose, ad avvicinarsi alla misericordia divina per altre vie, non però per quella dei sacramenti della penitenza e dell’eucaristia, finché non abbiano raggiunto le disposizioni richieste” (RP 34).
Che differenza ce tra separati e divorziati?
Qual è la differenza tra separati e divorziati? – La differenza sostanziale tra separazione e divorzio è che con la separazione le due persone coinvolte sono ancora considerate coniugi, mentre con il divorzio questo legame si scioglie definitivamente. Photo by lilartsy on Unsplash La differenza tra separazione e divorzio comporta anche una diversa gestione per quanto riguarda gli assegni di manteniment o e nel caso ci siano bambini in famiglia anche per quanto riguarda l’affidamento, Cambiano ovviamente anche i costi quando si tratta di separazione o di divorzio.
La separazione consensuale ha costi minor i rispetto alla separazione giudiziale, che è una vera e propria causa. Anche per quanto riguarda il divorzio i costi sono diversi, sia che si tratti di divorzio congiunto che giudiziale. Tutte queste differenze ci fanno capire come in realtà non si possa rispondere in modo chiaro alla domanda se conviene la separazione o il divorzio,
Ogni caso è a sé stante, le variabili sono tantissime, sia con i figli che senza, il consiglio è quello di affidarsi a professionisti competenti in grado di dare la giusta consulenza su cosa sia meglio fare caso per caso.
Chi tradisce deve lasciare la casa?
Mio marito mi tradisce: lo posso cacciare di casa? – Se il marito traditore è proprietario della casa non può mai essere cacciato fuori dall’abitazione dalla moglie; il suo comportamento infatti non può essere considerato pericoloso, per quanto contrario ai doveri del matrimonio.
- Se la moglie dovesse mandare via di casa il marito infedele commetterebbe reato e potrebbe essere citata in un giudizio civile.
- Se il marito traditore non è proprietario della casa la moglie dovrà attendere la sentenza di separazione per mandarlo via di casa, perché è solo da questo momento che cessa la comunione e l’obbligo della convivenza.
: Se il coniuge tradisce può essere cacciato di casa?
Chi paga l’affitto in caso di divorzio?
Casa coniugale in affitto – Se la casa coniugale è in affitto, in caso di separazione continuerà a pagare il canone di locazione solo il coniuge che rimarrà ad abitare nella casa; potrebbe eventualmente essere necessario fare una variazione al contratto di affitto segnalando all’Agenzia delle Entrate che l’appartamento è occupato da una sola persona.
Quando la moglie perde la casa coniugale?
Presupposti per la revoca – Il coniuge assegnatario perde il diritto all’assegnazione stessa quando vengono meno i presupposti che hanno generato il provvedimento:
i figli non convivono con il genitore I figli convivono con il genitore ma sono economicamente autosufficienti l’immobile non viene adibito o cessa di esser adibito a casa familiare il coniuge assegnatario contrae nuove nozze o instaura una convivenza more uxorio.
In questi casi la revoca è subordinata ad un ricorso al giudice che valuterà la sussistenza delle condizioni per il provvedimento di revoca, che dovrà essere trascritto per l’opponibilità ai terzi. Annalisa Crisci
Cosa aspetta ad una donna separata?
Diritto alla casa coniugale – Alla donna spetta vivere nella casa coniugale, anche se intestata interamente al coniuge, se il Giudice ha deciso la collocazione dei figli presso di lei, perfino se le è stata addebitata la separazione. In questo caso infatti la legge tutela prima di tutto i minori.
Chi è divorziato prende la reversibilità?
Chi è separato prende la reversibilità? – La separazione non fa venir meno i diritti ereditari dell’ex coniuge il quale è ancora un erede legittimario: non può quindi essere estromesso dalla divisione del patrimonio del defunto, neanche in caso di diversa previsione contenuta nel testamento.
Questo significa che chi è separato prende la reversibilità, In un solo caso, la reversibilità non spetta all’ex coniuge: quanto questi, nel corso della causa di separazione, è stato ritenuto responsabile per la fine del matrimonio, subendo così il cosiddetto addebito, In presenza di addebito, infatti, vengono meno tutti i diritti successori.
In caso di divorzio, all’ex coniuge spetta solo una quota della pensione di reversibilità, da dividere con gli altri eredi, ma solo a patto che sussistano le seguenti condizioni:
il rapporto di lavoro da cui deriva la pensione deve essere precedente alla sentenza di divorzio, Se si tratta di un lavoro svolto dopo il divorzio, la relativa reversibilità non può andare all’ex coniuge;l’ex coniuge superstite ma divorziato, che rivendica la pensione di reversibilità del defunto, non deve essersi risposato;il coniuge divorziato che rivendica la reversibilità dell’ex defunto non deve aver accettato l’assegno di divorzio in un’unica soluzione (la cosiddetta una tantum ).
Come chiarito dalla Cassazione e dall’Inps, ha diritto alla reversibilità anche il coniuge divorziato che non percepiva dall’ex l’ assegno di mantenimento, Si tratta di una novità rispetto alle passate interpretazioni.
Quanti anni mantenimento moglie?
INDICE DEL CAPITOLO COS’È LA SEPARAZIONE DEI CONIUGI – LA CASA FAMILIARE – IL DIRITTO DI ASSEGNAZIONE – L’AFFIDAMENTO DEI FIGLI – L’ASSEGNO DI MANTENIMENTO – L’ASSEGNO PER IL CONCORSO AL MANTENIMENTO DEI FIGLI – SEPARAZIONE CON ADDEBITO – SEPARAZIONE DEI BENI E REGIME PATRIMONIALE DELLA FAMIGLIA – RIMBORSI E RESTITUZIONI – DIRITTI SUCCESSORI NELLA SEPARAZIONE – LA RICONCILIAZIONE – LE TASSE E LE AGEVOLAZIONI FISCALI – MODIFICA DELLE CONDIZIONI DI SEPARAZIONE _ QUANDO HO DIRITTO AGLI ALIMENTI? Gli “alimenti” e “l’assegno di mantenimento” vengono spesso confusi, ma si tratta di due istituti completamente differenti.
L’assegno alimentare (detto in gergo “gli alimenti”) è una corresponsione periodica in denaro che spetta ad alcune categorie di parenti elencate nell’articolo 433 c.c.: fratelli, generi, nuore, suoceri oltre a coniuge, figli etc., qualora cadano in stato di indigenza ed è posto a carico di altri parenti identificati nello stesso articolo.
L’assegno alimentare è di bassa entità e serve a consentire la sola sussistenza in vita del parente indigente. Esso è disciplinato dal XIII titolo del primo libro del Codice Civile, non dalla legge sulla separazione non avendo alcuna inerenza con essa.
- L’assegno di mantenimento, previsto dalla legge sulla separazione, spetta invece al coniuge separato ed ai figli non indipendenti economicamente, per consentire la conservazione del tenore di vita goduto durante la convivenza matrimoniale, qualora non abbiano adeguati redditi propri.
- L ‘assegno di mantenimento pertanto, ha un’altra entità rispetto all’assegno alimentare (vedi di seguito), ha altri scopi ed è dovuto sulla base di differenti presupposti.
(La Legge sulla separazione fa un solo riferimento all’assegno alimentare prevedendo l’ipotesi di un coniuge separato con addebito e pertanto privo del diritto all’assegno di mantenimento, che versi in stato di indigenza, al quale sono dovuti gli alimenti) art.156 c.c.coma III,
QUANDO HO DIRITTO AD UN ASSEGNO DI MANTENIMENTO PER ME ? Nella separazione la corresponsione dell’assegno di mantenimento spetta al coniuge meno abbiente qualora non abbia adeguati redditi propri art.156 c.c. ( Nel divorzio la corresponsione di un assegno, che si chiama “divorzile”, spetta al coniuge meno abbiente quando questi non abbia né adeguati redditi propri, né possa procurarseli per ragioni oggettive art.5 L 898/70 ).
A QUANTO AMMONTA L’ASSEGNO DI MANTENIMENTO PER ME? Lo scopo dell’istituto dell’assegno di mantenimento è quello di consentire al coniuge meno abbiente di conservare il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio “nei limiti che derivano dal fatto della separazione”.
(Con la separazione infatti non aumentano i redditi ma raddoppiano quasi le spese: prima bastava un appartamento per l’intera famiglia, poi ne servono due, prima bastava una linea telefonica, poi due, prima bastava un allaccio alla rete del gas, poi ne servono due, un allaccio alla rete elettrica, poi ne servono 2 etc.
L’assegno di mantenimento pertanto non consentirà di conservare esattamente il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio). La Legge non determina specificamente l’ammontare dell’assegno di mantenimento, cioè non stabilisce che esso debba ad es. essere pari ai 2 terzi o alla metà dello stipendio del coniuge più abbiente o ad un terzo etc.
Sarebbe infatti impossibile realizzare la conservazione delle condizioni patrimoniali del matrimonio (seppur nei limiti detti) perequando le risorse dei coniugi, con dei calcoli aritmetici predeterminati. Per perequare le risorse della famiglia e consentire al coniuge meno abbiente di conservare il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio è infatti necessario prendere in considerazione la ricchezza complessiva della coppia.
Se ad es. la moglie è casalinga ma ha 10 milioni in banca e il marito guadagna 1000 € al mese e ha 100 € e sul proprio conto bancario, è la moglie a dover pagare un assegno al marito avendo la stessa più risorse del marito, anche se non percepisce uno stipendio.
E’ inoltre previsto che debba essere computata anche la cosiddetta “ricchezza potenziale” cioè quella che anche solo potenzialmente è nella disponibilità dei coniugi. Ad es. se il marito è disoccupato ma proprietario di 10 appartamenti che tiene sfitti e la moglie è disoccupata nullatenente, il marito non può presentarsi dal giudice e dire che ha sì 10 appartamenti ma siccome li tiene sfitti allora non può pagare un assegno alla moglie perché non ha redditi.
In questo caso il giudice incaricherebbe un perito di valutare a che prezzo potrebbero essere locati tutti gli appartamenti e condannerebbe poi il marito a pagare un assegno sulla base di tale determinazione, cioè sulla base della cosiddetta ricchezza potenziale, a nulla rilevando la circostanza che gli appartamenti non sono in quel momento effettivamente messi a frutto.
Se il proprietario non corre a locare i propri appartamenti per ricavare quanto occorre per pagare gli assegni, la legge prevede che, su istanza della moglie creditrice, tali appartamenti vengano venuti dal tribunale alle aste pubbliche, trasformati in denaro e il denaro così ottenuto versato al coniuge beneficiario, nell’esempio la moglie, nella misura degli assegni dovuti.
(Vedi prossimi paragrafi ). L’assegno di mantenimento per il coniuge meno abbiente, a differenza di quello per il mantenimento dei figli, non è obbligatorio e può essere rinunciato dall’avente diritto. Nella separazione consensuale pertanto il coniuge meno abbiente, che per questo in astratto ha diritto di ricevere un assegno, può scegliere di non prevedere un assegno per se nelle pattuizioni convenute con l’altro coniuge che regolano i propri rapporti patrimoniali.
Nella separazione giudiziale il coniuge meno abbiente può scegliere di non chiedere al giudice di disporre un assegno di mantenimento per se. Essendo l’assegno di mantenimento del coniuge un diritto disponibile e rinunciabile, il coniuge meno abbiente può scegliere di non averlo, oppure di averne uno di misura inferiore a quella che gli spetterebbe.
Per contro il coniuge più abbiente è libero di offrire un assegno generoso superiore a quello che spetterebbe all’altro in base alla legge, cioè in misura tale da consentirgli i conservare il tenore di vita goduto in constanza di matrimonio, seppur nei limiti che derivano dal fatto della separazione (vedi inizio del presente paragrafo).
Tali regole infatti sono previste per il caso di una mancanza di accordo dei coniugi sulla misura dell’assegno, che in caso di accordo può essere fissato dai coniugi stessi in una misura di una qualunque entità. CHE SUCCEDE SE L’OBBLIGATO (COLUI CHE È TENUTO A PAGARE UN ASSEGNO DI MANTENIMENTO) NON PAGA L’ASSEGNO STABILITO? Non pagare un assegno di mantenimento integra fattispecie di reati penali e illeciti civili.
Per quanto riguarda il diritto civile, se un coniuge obbligato al pagamento rimane inadempiente, l’altro può pignorare tutti i suoi beni presenti e futuri, farli vendere alle aste pubbliche, sotto il controllo del tribunale e soddisfare così il suo credito.
Se l’obbligato alla corresponsione dell’assegno ha uno stipendio può essere chiesta la c.d. “distrazione alla fonte” cioè un ordine dato dal giudice al datore di lavoro dell’obbligato di pagare immediatamente al coniuge beneficiario dell’assegno la somma dovuta. Vedi più estesamente QUI CHE SUCCEDE SE L’OBBLIGATO NON HA PAGATO L’ASSEGNO DI MANTENIMENTO PER MOLTO TEMPO? POSSO CHIEDERGLI IL PAGAMENTO DEGLI ARRETRATI OGGI? L’assegno di mantenimento è soggetto a prescrizione come qualunque diritto di credito.
“Soggetto a prescrizione” significa che non può essere più preteso se è scaduto uno specifico termine previsto dalla legge. Detti termini previsti dalla legge sono i seguenti: 1, I diritti di credito ordinari fondati su sentenza si prescrivono in 10 anni (art.2946 c.c.) dal momento in cui sono sorti.2,
- I diritti che prevedono un pagamento periodico si prescrivono in 5 anni (art.2948 c.c.) dal momento in cui sono sorti.
- Il diritto a ricevere un assegno di mantenimento ha entrambe queste caratteristiche: esso è infatti sia fondato su sentenza, sia consistente nel diritto a ricevere un pagamento periodico.
In passato la Suprema Corte aveva stabilito la prescrizione decennale del diritto a ricevere un assegno di mantenimento considerando prevalente la caratteristica dell’essere tale diritto fondato su sentenza e ritenendo irrilevanti le specifiche modalità di pagamento stabilite in essa.
- In pronunciamenti successivi, mutando il proprio orientamento, la stessa Corte ha ritenuto invece prevalente la caratteristica della periodicità del pagamento degli assegni di mantenimento, con conseguente applicazione della prescrizione quinquennale.
- Pur non essendo i giudici tenuti a sposare l’orientamento della Suprema Corte ( vedi qui perché ), la maggioranza di essi ne segue le indicazioni.
Pertanto se, come è probabile, il giudice di merito al quale viene chiesto di disporre il pagamento coattivo degli assegni “arretrati” non corrisposti, nei modi indicati nel paragrafo precedente, segue l’attuale orientamento interpretativo della Suprema Corte, si può ottenere il pagamento coattivo di detti assegni, solo se risalenti a non più di 5 anni.
- Ad es. avanzando domanda nel mese di febbraio 2015 si può ottenere il pagamento coattivo degli assegni dovuti e non pagati dal febbraio 2010, ma non quelli precedenti.
- Quelli procedenti sono considerati prescritti).
- Naturalmente si può ottenere il pagamento coattivo di un assegno risalente anche ad es.
a 9 anni se il giudice adito sposa invece l’orientamento previgente della Suprema Corte o se la parte contro la quale la domanda di pagamento viene avanzata non eccepisce la prescrizione di tale credito in prima udienza. Pertanto è sempre consigliabile domandare al giudice di disporre il pagamento coattivo degli assegni non pagati risalenti anche a 10 anni prima.
COME FACCIO A NON PERDERE PER PRESCRIZIONE IL DIRITTO AGLI ASSEGNI ARRETRATI NON PAGATI SE AL MOMENTO NON HO I SOLDI PER INIZIARE UNA PROCEDURA GIUDIZIALE? Anche in assenza di azione giudiziale è possibile interrompere il decorso del termine prescrizionale semplicemente chiedendo per iscritto il pagamento degli assegni arretrati.
Una richiesta di pagamento (nella quale devono essere specificati gli assegni arretrati non pagati) fatta per iscritto, ad es. con raccomandata, ha l’effetto giuridico di interrompere la prescrizione (art.1219 c.c.). Dal momento della ricezione della lettera da parte dell’obbligato, comincia a decorrere un nuovo termine prescrizionale della stessa misura (art.2943 c.c.).
- Pertanto ad es.
- Se la beneficiaria si ricorda di mandare detta raccomandata ogni 4 anni e 11 mesi (conservando la ricevuta di ritorno), può mantenere il diritto a ricevere gli assegni arretrati non pagati sine die.
- QUANDO L’ASSEGNO DI MANTENIMENTO È SOGGETTO ALL’AUMENTO ISTAT? La legge sulla separazione non prevede espressamente l’obbligo dell’applicazione dell’aumento ISTAT agli assegni di mantenimento del coniuge separato.
L’ art.156 c.c. che definisce l’istituto dell’assegno di mantenimento non fa infatti menzione di tale obbligo. Ciò differenzia l’assegno di mantenimento del coniuge separato sia dall’ assegno divorzile (l’ art.5, comma 7 della legge 898/1970 sul divorzio stabilisce espressamente l’obbligo della previsione in sentenza dell’adeguamento dell’assegno divorzile al costo della vita) sia dalla legge sul mantenimento della prole che prevede espressamente ( Art.337 Ter ) che detto assegno “è automaticamente adeguato agli indici ISTAT in difetto di altro parametro indicato dalle parti o dal giudice”,
La descritta differenza è dalla pratica giurisprudenziale sostanzialmente annullata: i giudici prevedono sempre in sentenza l’obbligatorietà dell’aggiornamento ISTAT anche dell’assegno di mantenimento del coniuge separato, per adeguarlo al costo della vita. Se così non facessero, dopo alcuni anni la svalutazione monetaria creerebbe uno sbilanciamento dei rapporti patrimoniali regolati dall’assegno che legittimerebbe la parte beneficiaria della corresponsione dello stesso a chiedere una modificazione dell’entità dell’assegno anche solo per questo motivo.
SE NON HO CHIESTO L’AUMENTO ISTAT DELL’ASSEGNO, L’AUMENTO NON MI È DOVUTO? L’aumento ISTAT dell’assegno è sempre dovuto anche se non richiesto. È l’obbligato alla corresponsione dell’assegno che deve autonomamente provvedere ad aggiornarlo. Se non viene richiesto l’aggiornamento ISTAT dal coniuge beneficiario e l’assegno non viene aggiornato da anni, egli può sempre chiedere gli arretrati, con il limite prescrizionale indicato nei paragrafi precedenti.
PER QUANTO TEMPO L’ASSEGNO DI MANTENIMENTO PER IL CONIUGE DEVE ESSERE PAGATO? L’assegno di mantenimento è un diritto di credito riconosciuto al coniuge beneficiario da un provvedimento giurisdizionale e deve essere pagato finché quel provvedimento non viene rimosso da un altro provvedimento giurisdizionale.
Il cittadino non può smettere di pagare l’assegno con propria spontanea decisione ma può domandare al giudice la rimozione dell’obbligo quando sorgono le condizioni previste dalla legge che consentono di ottenere detta rimozione. Per il tempo nel quale perdurano le condizioni che ne hanno fondato e giustificato la disposizione da parte del giudice o da parte dei coniugi stessi nelle pattuizioni scritte con le quali hanno regolato i propri rapporti patrimoniali in una procedura di separazione consensuale, l’assegno di mantenimento deve essere pagato.
- Esso, pertanto, potenzialmente, deve essere pagato anche per tutta la vita del coniuge beneficiario.
- La Legge prevede che l’assegno non debba essere più pagato se successivamente all’emissione del provvedimento che dispone l’assegno si verificano le seguenti circostanze: 1.
- Il beneficiario consegue adeguati redditi propri o un’adeguata ricchezza propria, come nel caso riceva un’eredità di tal misura da assicurargli la possibilità di conservare autonomamente il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio.
(Come detto, occorre sempre un provvedimento del tribunale per essere sollevati dall’obbligo di corresponsione. Quando il beneficiario consegue adeguati redditi propri o un adeguata ricchezza propria, l’obbligato può chiedere al tribunale la rimozione dell’obbligo di pagare l’assegno).2.
- L’obbligato perde i propri redditi non per fatto proprio, (cioè ad es.
- Se viene licenziato non per sua colpa, mentre si conserva l’obbligo di corresponsione dell’assegno se l’obbligato si licenzia volontariamente).
- Anche in questo caso occorre una decisione del tribunale per rimuovere il titolo che è fonte dell’obbligo di pagare l’assegno.3.
La coppia separata divorzia. (in questo caso l’obbligo di corrispondere l’ assegno di mantenimento cessa, ma può sorgere l’obbligo di pagare l’ assegno divorzile, Il riconoscimento del diritto ad un assegno divorzile è subordinato alla presenza di presupposti diversi e più stringenti rispetto a quelli che giustificano l’obbligo di pagare l’assegno di mantenimento nella separazione.
Inoltre nel divorzio, ma non nella separazione, l’assegno periodico può essere sostituito con l’ assegno divorzile pagato in un unica soluzione, L’assegno divorzile non è più dovuto se il coniuge divorziato si risposa.4. La/il beneficiaria/o (cioè il coniuge che ha diritto di ricevere l’assegno), inizia una stabile convivenza more uxorio con altra persona.
(ciò sulla base di un orientamento giurisprudenziale dominante ).5. Il coniuge più abbiente fa annullare presso la Sacra Rota il proprio matrimonio e poi fa delibare la sentenza di annullamento del proprio matrimonio da un tribunale italiano. In questo caso il matrimonio viene annullato ab origine ed è come se non fosse mai avvenuto, pertanto una volta recepita da un tribunale italiano la sentenza di annullamento emessa dal tribunale ecclesiastico, non può più essere applicata la disciplina che obbliga il coniuge (cioè colui che è sposato) o l’ex coniuge ( cioè colui che è stato sposato ) a pagare un assegno di mantenimento (se ancora separato) o divorzile (se divorziato) all’altro coniuge.
In questo caso infatti, come appena detto, il matrimonio annullato ab origine si considera come mai avvenuto mentre la disciplina della separazione e quella del divorzio poggiano entrambe sul presupposto che ci sia o ci sia stato un matrimonio. E’ salvo, anche nel caso di cui al presente punto 6, ovviamente, l’obbligo di pagare assegni per concorrere al mantenimento dei figli.
Tale obbligo infatti non trova fonte nel fatto del matrimonio ma nel fatto della genitorialità Art.li 337 bis e seguenti,6. L’obbligato chiede ed ottiene una sentenza che statuisce l’invalidità del matrimonio secondo il diritto italiano, ricorrendone i presupposti: per impedimenti (cioè il matrimonio è stato celebrato in mancanza dei requisiti richiesti dalla Legge per la sua celebrazione (artt.li 84-89 c.c.); consenso estorto con violenza (art.122 c.c.); errore sulla persona o sulla qualità della persona (art.122 c.c.); matrimonio simulato (art.123 c.c.).
- In questo caso se la sentenza accerta l’invalidità del matrimonio, il matrimonio si considera come mai celebrato.
- Non essendoci mai stato un matrimonio valido non ci sono nemmeno i presupposti per la conservazione dell’obbligo di pagare un assegno di mantenimento.
- Tale obbligo può sorgere infatti solo a seguito di un matrimonio valido.
Una volta dichiarato invalido il matrimonio, l’obbligato viene per l’effetto immediatamente sollevato da qualunque obbligo di pagare un assegno di mantenimento. E’ salvo, anche nel caso di cui al predente punto 7, ovviamente, l’obbligo di pagare assegni per concorrere al mantenimento dei figli.
- Tale obbligo infatti non trova fonte nel fatto del matrimonio ma nel fatto della genitorialità Art.li 337 bis e seguenti,7.
- Muore il coniuge beneficiario, non essendo ereditabile dai suoi congiunti il diritto a ricevere l’assegno di mantenimento del de cuius.8.
- Muore il coniuge obbligato (Se muore l’obbligato al pagamento dell’assegno, questo non è più dovuto dagli altri eredi del coniuge obbligato al coniuge beneficiario.
Avendo il coniuge beneficiario separato senza addebito la qualità di erede legittimario, egli eredita necessariamente parte delle sostanze del de cuius. Se invece il coniuge era separato con addebito e pertanto non ha ereditato alcunché, né poteva ricevere un assegno di mantenimento, con la morte dell’altro coniuge, qualora il separato con addebito si trovava in stato di indigenza e riceveva un assegno alimentare, può continuare a godere di tale assegno che assume il nome di “assegno vitalizio” a carico dell’eredità art.548 c.c.
POSSO CHIEDERE LA MODIFICA DELL’ASSEGNO DI MANTENIMENTO? Bisogna distinguere a seconda che: 1, l’assegno di mantenimento sia stato disposto da una sentenza in un giudizio di separazione giudiziale o 2, l’assegno di mantenimento sia stato disposto da un decreto di omologa o altro provvedimento equivalente all’esito di una procedura di separazione consensuale,1) Se l’assegno di mantenimento è stato disposto da un giudice in un giudizio contenzioso (cioè di separazione giudiziale) di primo grado e dunque in Tribunale, si può chiedere alla Corte di Appello (giudizio di secondo grado) di modificarlo, entro i termini previsti dalla legge (30 gg.
se la sentenza del tribunale viene notificata dalla controparte o 6 mesi se non viene notificata), dimostrando che i giudici del primo grado ne hanno erroneamente determinato l’entità. Si può anche chiedere, rincorrendone i presupposti, nei termini di legge (venti giorni dalla notificazione della sentenza della Corte di Appello), alla Corte di Cassazione di cassare cioè annullare la decisione della Corte di Appello e di disporre un nuovo giudizio.
Quando tutte queste procedure sono state esperite, oppure sono decorsi i termini per impugnare la sentenza (del Tribunale o della Corte di Appello) senza che questa sia stata impugnata, non si può più chiedere ad alcun organo giurisdizionale di modificare tale decisione. Si dice allora che la sentenza (l’ultima) è passata in giudicato,
L’ordinamento prevede questo limite per evitare la cosiddetta “incertezza del diritto”, cioè una condizione nella quale pendono per un tempo infinito giudizi per la determinazione dell’assegno senza che questo sia mai definitivamente determinato. Una volta che la sentenza, che determina l’assegno, è passata in giudicato, è ancora possibile chiedere al Tribunale che l’assegno sia modificato (e ciò un numero illimitato di volte), ma solo se successivamente all’ultimo provvedimento che lo determina, siano intervenute modificazioni dei rapporti patrimoniali, (ad es.
Un coniuge ha ricevuto una promozione e guadagna molto più di prima, o ha perso il lavoro non per sua colpa e guadagna molto meno di prima). Una volta che la sentenza è passata in giudicato non è invece possibile, come detto, chiedere l’aumento o la diminuzione dell’assegno in assenza di modificazioni di rapporti patrimoniali intervenute successivamente all’ultimo provvedimento.
Inoltre, se le modificazioni intervenute sono peggiorative per l’obbligato alla corresponsione dell’assegno, (ad es. ha perso il lavoro), egli può chiedere la riduzione della misura dell’assegno o la completa rimozione dell’obbligo di pagarlo solo se dette modificazioni sono avvenute in modo indipendente dalla propria volontà.
- Non è invece possibile provocare una diminuzione dei propri redditi per fatto proprio e su questa base chiedere la diminuzione degli assegni: (ad es.
- Se si è obbligati a pagare l’assegno non è possibile licenziarsi e chiedere su questa base la riduzione o l’eliminazione dell’assegno, magari per fare un dispetto all’altro coniuge.
In questo caso infatti l’obbligo di corresponsione si conserverebbe e l’obbligato ne risponderebbe con tutti i suoi beni presenti e futuri, cioè si indebiterebbe nei confronti del coniuge beneficiario (cioè colui che riceve l’assegno), che potrebbe soddisfare il proprio credito facendo vendere alle aste pubbliche tutti i beni presenti e futuri (art.2740 c.c.) dell’ obbligato (cioè colui che è obbligato a pagare l’assegno) e farsi assegnare il ricavato.
Se invece la modificazione in peius delle condizioni economiche dell’obbligato al pagamento dell’assegno di mantenimento è avvenuta per cause a lui non imputabili (ad es. è stato licenziato non per sua colpa) allora può chiedere la riduzione dell’assegno che è obbligato a pagare, o di essere sollevato del tutto dall’obbligo di pagamento dell’assegno di mantenimento all’altro coniuge.
Se chi ha perso il lavoro non è in grado di assicurare il sostentamento ai propri figli, il giudice può vincolare gli ascendenti al pagamento degli assegni di mantenimento (art.316 bis.c.c.).2) Se l’assegno di mantenimento è stato determinato dalla coppia stessa in una procedura di separazione consensuale ormai conclusa, non può essere impugnato in corte di Appello il provvedimento che lo dispone, né in Corte di Cassazione, né può essere chiesto da uno dei coniugi, successivamente, al giudice di disporre d’imperio, contro la volontà dell’altro coniuge, una modificazione dell’assegno semplicemente perché ci ha ripensato o lamenta un’inadeguatezza dell’assegno deciso di comune accordo.
L’ordinamento stabilisce che se un coniuge chiede in accordo con l’altro, nell’ambito di una procedura di separazione consensuale, uno specifico provvedimento, (ad. es. di pagare un assegno di mantenimento pari ad € x), poi non può agire in giudizio contro se stesso lamentando che è stato recepito, nel provvedimento del tribunale, proprio ciò che egli aveva chiesto.
E’ sempre possibile invece per un coniuge chiedere una modificazione dell’assegno anche contro la volontà dell’altro, introducendo un giudizio di modifica delle condizioni di separazione contenzioso, se, successivamente alla conclusione della procedura di separazione sono intervenute modificazioni dei rapporti patrimoniali a carico della coppia.
- Tale possibilità è soggetta alle stesse regole e agli stessi limiti sopra indicati nell’ultimo capoverso del punto 1 del presente paragrafo.
- Se la coppia si accorda per modificare l’assegno, ricorrendone i presupposti sopra indicati, è possibile introdurre una procedura consensuale a domanda congiunta di modificazione delle condizioni di separazione, domandando entrambi i coniugi al giudice di emettere un provvedimento avente ad oggetto le modificazioni dagli stessi convenute.
Il giudice accoglierà la domanda di modifica, qualunque essa sia, se riguarda l’assegno per il coniuge, mentre se la domanda riguarda l’assegno per i figli la accoglierà solo se ritiene tale modificazione necessaria, congrua e corrispondente agli interessi della prole. © Copyright, Studio Legale Cunico. Tutti i diritti riservati. E’ vietata la riproduzione anche parziale senza il consenso dell’autore. Il presente sito è sottoposto a monitoraggio antiplagio. Verrà perseguito ai sensi di Legge chi mostra copia anche parziale non autorizzata.
Che diritti ha la moglie?
Fedeltà, assistenza, coabitazione. Ma anche diritto a non essere maltrattata, a lavorare, a vedere chi vuole, a decidere per i figli insieme al marito.