Terza Legge (Legge dei periodi, 1619) – Grafico logaritmico del semiasse maggiore (in Unità Astronomiche) in funzione del periodo orbitale (in anni terrestri) per gli otto pianeti del Sistema Solare. Dati da (). La terza legge afferma che:
«I quadrati dei tempi che i pianeti impiegano a percorrere le loro orbite sono proporzionali al cubo del semiasse maggiore.» |
Il rapporto tra il quadrato del periodo di rivoluzione e il cubo del semiasse maggiore dell’orbita è lo stesso per tutti i pianeti. Questa legge può essere espressa in forma matematica nel modo seguente: T 2 = k ⋅ a 3 = \cdot }} dove a è il semiasse maggiore dell’orbita, T il periodo di rivoluzione e K una costante (a volte detta di Keplero), che dipende dal corpo celeste attorno al quale avviene il moto di rivoluzione.
Se si considera il moto di rivoluzione dei pianeti del sistema solare attorno al Sole e si misurano le distanze in e il tempo in (come nella figura qui a fianco) K vale 1. Rimarchiamo il fatto che la terza legge vale anche per i che orbitano intorno ai pianeti: il valore della costante, cambia da pianeta a pianeta mentre per un fissato pianeta, essa è uguale per tutti i satelliti del suddetto pianeta.
Per un’ la formula si riduce a T 2 = K r 3 =K }} dove r è il raggio dell’orbita. Si può dimostrare che K = 4 π 2 μ | k | \mu } }}, con k = G m 1 m 2 m_ } per il caso gravitazionale e μ, La dimostrazione è particolarmente semplice nel caso di orbita circolare di raggio a e nell’approssimazione in cui una massa (per esempio quella del sole) sia molto più grande dell’altra (pianeta), ovvero m 1 ≫ m 2 \gg m_ },
Cosa afferma la legge di Keplero?
Come i pianeti si muovano nel cielo è una questione che affascina l’uomo sin dall’antichità. Molti modelli ne sono stati presentati nel corso della storia. Secondo Aristotele (e Tolomeo), il moto dei pianeti e degli altri satelliti (come la la Luna) avveniva in traiettoria circolare attorno alla Terra, posta al centro dell’universo : i corpi celesti, infatti, erano ritenuti perfetti, ed era quindi conseguenza che le loro orbite fossero descritte da cerchi concentrici, forme perfette, infinite, prive di inizio e fine, immutabili; il moto di ciò che avveniva sulla terra, caduco e corruttibile, obbediva invece a leggi differenti.
Lo scienziato polacco Copernico propose un modello dell’universo in cui al centro era situato il Sole, e attorno ad esso ruotassero, sempre in orbite circolari concentriche, gli altri pianeti, compresa la terra: questo rendeva conto di alcuni fenomeni che si riscontrano sul nostro pianeta, e di molte osservazioni fatte dallo stesso Copernico; tuttavia, anche il modello copernicano non riusciva a render conto di molti altri dati raccolti dalle osservazioni astronomiche.
All’inizio del 1600, lo scienziato tedesco Johannes von Kepler (latinizzato in Giovanni Keplero ) formulò tre leggi, sulla base delle osservazioni del suo maestro danese Tycho Brahe, che prevedevano perfettamente (e lo fanno tutt’ora) il moto dei pianeti all’interno del sistema solare.
“Le orbite descritte dai pianeti attorno al Sole sono ellissi di cui il sole occupa uno dei fuochi”
Ricordiamo che un ellisse è una figura piana, definita come il luogo dei punti del piano la cui somma delle distanze da due punti fissi, detti fuochi, è costante, Con riferimento alla figura sottostante, indichiamo con $a$ la lunghezza del semiasse maggiore dell’ellisse, con $b$ la lunghezza del semiasse minore. Per la prima legge di Keplero, il Sole occupa la posizione di uno dei due fuochi, mentre l’altro fuoco è lasciato libero; il punto in cui un pianeta orbitante attorno al Sole gli è più vicino si chiama perielio, mentre il punto dell’orbita in cui il pianeta è più distante è detto afelio (sono entrambe parole che derivano dal greco antico: infatti, helios vuol dire “sole”, perì significa “accanto”, e apò significa “lontano”).
La prima legge, oltre a regolare la forma dell’orbita, fornisce anche un’informazione in più: essendo un ellisse una figura piana, le orbite avvengono su un unico piano, Seconda Legge La seconda legge di Keplero regola la velocità orbitale di un pianeta: essa non è costante, come in un moto circolare uniforme; la sua magnitudine è infatti determinata dalla sua posizione.
“il raggio vettore che unisce il sole al pianeta orbitante descrive aree uguali in tempi uguali”
Per “raggio vettore” si intende il vettore che possiede per direzione la retta passante per il punto che indica la posizione del pianeta e il punto che indica la posizione del Sole, per verso quello che dal Sole punta al pianeta e per modulo la distanza consistente tra il pianeta stesso e il Sole: in parole povere, una freccia che punta dal Sole al pianeta orbitante,
- Man mano che il pianeta compie la sua orbita, questo vettore descrive un’area, una specie di “settore ellittico”,
- Supponiamo che trascorra un intervallo di tempo di durata $\Delta t$, e che in questo intervallo di tempo il pianeta venga a portarsi dalla posizione iniziale $x_1$ a quella finale $x_2$, compiendo dunque uno spostamento $\Delta \vec = x_2 – x_1$.
La seconda legge asserisce che, fermo restando l’intervallo di tempo $\Delta t$, l’area di questo settore ellittico rimane sempre la stessa, indipendentemente dalla posizione di partenza $x_1$ del pianeta: La velocità del pianeta orbitante non è costante : come si vede dalle immagini, più il pianeta si trova vicino al sole, minore è il raggio, e, di conseguenza, maggiore deve essere la velocità con cui il pianeta si muove. Se la velocità fosse costante, le aree descritte dal raggio pianeta-sole in intervalli di tempo uguali sarebbero differenti.
Possiamo enunciare la seconda legge di Keplero con una formula matematica. Immaginiamo che un pianeta orbiti attorno al Sole per un intervallo di tempo di durata $\Delta t$. Se chiamiamo $\Delta \mathcal $ l’area descritta dal raggio vettore in questo periodo di tempo, la seconda legge di Keplero ci indica che questa quantità rimane costante durante il moto: possiamo dunque asserire che la velocità areolare, ossia il rapporto tra l’area spazzata dal raggio vettore $\Delta \mathcal $ e la durata $\Delta t$ dell’intervallo di tempo impiegato a descriverla, è costante:$$ \frac } = \text $$ Terza Legge La terza e ultima legge di Keplero concerne il periodo impiegato da un pianeta a compiere un’orbita completa.
“il rapporto tra il cubo del semiasse maggiore dell’orbita e il quadrato del periodo di rivoluzione è lo stesso per tutti i pianeti”
Abbiamo introdotto il periodo $T$ per il moto armonico e il moto circolare ; il periodo non è una grandezza tipica solo di quei moti, ma caratterizza un’intera categoria di moti, detti appunto moti periodici : un certo punto materiale si muove di moto periodico se, dopo un certo lasso di tempo, esso ritorna in una posizione precedentemente raggiunta con la medesima velocità,
- Si dice periodo di un moto periodico il più piccolo intervallo di tempo $T$ per cui questo fenomeno si verifica.
- In base alla prima e alla seconda legge di Keplero, il moto dei pianeti nel sistema solare è un moto periodico : essendo l’orbita ellittica (che è una curva chiusa ), il pianeta tornerà sicuramente su posizioni occupate precedentemente; inoltre, data la seconda legge di Keplero, la velocità orbitale posseduta da un pianeta sarà determinata dalla sua posizione nell’orbita, e quindi, passando per lo stesso punto, anche la velocità sarà la medesima.
Ne concludiamo che il moto dei pianeti nel sistema solare è periodico. Per un’orbita chiusa, il periodo è semplicemente la durata di “un giro completo”, Se chiamiamo $T$ il periodo del moto di un pianeta, e $a$ la misura del semiasse maggiore della sua orbita, la terza legge di Keplero può essere riassunta dalla seguente formula matematica:$$ \frac = \text $$La costante venne determinata da Keplero in persona, e per questo viene a volte indicata con la lettera $K$ e prende il nome di “costante di Keplero”.
Questa costante dipende dal corpo celeste attorno a cui viene calcolata l’orbita. Le leggi di Keplero, pur descrivendo perfettamente tutti i fenomeni celesti che si possono osservare nel nostro sistema solare, non spiegano le cause di questi stessi fenomeni: come accennato in principio, esse sono infatti leggi sperimentali, le quali prevedono esattamente, con calcoli matematici, i risultati delle osservazioni scientifiche.
Il motivo per il quale il sistema solare, e in generale un sistema di corpi orbitanti attorno ad uno molto più massivo, aderisca per filo e per segno alle leggi di Keplero venne illustrato da Isaac Newton con la teoria della gravitazione universale : mediante lo sviluppo di nuove discipline matematiche, egli riuscì a mostrare la validità delle leggi di Keplero, assumendo come punto di partenza le leggi della dinamica e la legge di gravitazione universale,
Per la forza gravitazionale, il momento meccanico $\vec $ risulta nullo, poichè la forza è sempre diretta come il braccio : di conseguenza, il momento angolare $\vec $ si conserva, Si può dimostrare come il modulo del momento angolare, in questo caso, sia il doppio della quantità $\frac } $ descritta precedentemente: dunque, anche quest’ultima si conserva. Conservandosi come vettore, il momento angolare definisce anche il piano su cui avviene il moto del pianeta. Sfruttando tecniche matematiche da lui stesso inventate (che oggi vanno sotto il nome di calcolo infinitesimale), Newton riuscì a ricondursi al calcolo della forma dell’orbita, giungendo ai risultati previsti da Keplero: le orbite, sotto precise ipotesi, risultavano ellittiche,
Riconducendo la misura del semiasse maggiore ad altre quantità (precisamente, all’ energia cinetica posseduta dal corpo celeste, al suo momento angolare, alla massa del pianeta in questione e alla costante di gravitazione universale), Newton dimostrò che il quadrato del periodo di rivoluzione di un pianeta doveva essere proporzionale al cubo del semiasse maggiore della sua orbita, in accordo con le leggi di Keplero.
Cosa descrive la prima legge di Keplero?
Prima legge di Keplero – Che cosa tratta la prima legge di Keplero? La prima legge di Keplero, formulata nel 1609, è nota anche come legge delle orbite ellittiche, L’ enunciato della prima legge di Keplero recita: l’orbita descritta da un pianeta intorno al sole è un’ellisse di cui il Sole occupa uno dei due fuochi.
- Cos’è l’orbita? È la traiettoria che viene descritta intorno a un punto da un corpo in movimento nello spazio.
- La novità della prima legge di Keplero è la forma delle orbite, ellittiche invece che circolari e perfette.
- Infatti, le ellissi sono simili a cerchi schiacciati.
- Esse sono figure geometriche a due dimensioni, i cui punti giacciono su un piano.
La somma della distanza dei punti dai fuochi, 2 punti fissi, è costante. Pertanto, la prima legge di Keplero è importante perché:
- supporta la teoria eliocentrica di Copernico contro quella geocentrica di Tolomeo;
- il sole non si trova al centro dell’orbita perché occupa la posizione di uno dei fuochi.
Che cosa dice la terza legge di Keplero?
Terza legge di Keplero – Il quadrato del periodo di rivoluzione (T) di un pianeta è direttamente proporzionale al cubo del semiasse maggiore dell’orbita. Ovvero \( \frac = k = costante \), Ne consegue che maggiore è la distanza dal Sole, maggiore è il tempo necessario per completare una rivoluzione.
- Dati due corpi qualsiasi in orbita intorno al Sole vale la relazione: \( \frac = \frac \) Quindi la terza legge fornisce un modello in scala del Sistema Solare, nota una qualsiasi distanza e i tempi di rivoluzione, si possono ricavare tutte le altre.
- Per i pianeti in orbita intorno al Sole, il valore della “costante” è: \( k=\frac +M_ )G} \) (dove G = 6.67 · 10 -11 m 3 kg -1 s -2 è la Costante di Gravitazione Universale), ma poiché la massa del Sole è molto maggiore di qualsiasi corpo del Sistema Solare, vale l’approssimazione: \( k=\frac G} \) e la Terza Legge di Keplero assume la forma: \( T^2 = \frac G} a^3 \),
In particolare, esprimendo il semiasse maggiore dell’orbita di un corpo in UA (Unità Astronomica = semiasse maggiore dell’orbita della Terra = 149.6 · 10 6 km) e il suo periodo di rivoluzione in anni, la formula precedente si semplifica in: \( a^3 (UA) = T^2 (anni) \),
Quante sono le leggi di Keplero?
Le tre leggi di Keplero Poco più di mezzo secolo dopo la morte di Copernico (tra il 1603 e il 1618), l’astronomo tedesco Giovanni Keplero (1571-1630), basandosi sul modello copernicano e sullo studio accurato dei dati di osservazione raccolti dal suo maestro, il danese Tycho Brahe (1546-1601), formulò tre leggi, note come le tre leggi di Keplero, che descrivono matematicamente il moto dei pianeti attorno al Sole secondo orbite ellittiche.
Keplero non arrivò a spiegare la causa del moto dei pianeti, ma ciò nulla toglie alla sua geniale intuizione, tenuto anche conto che a quei tempi il moto era considerato una caratteristica intrinseca dei corpi, per cui non se ne cercavano la cause, ma ci si limitava alla sua descrizione. Keplero, in altre parole, intuì che il Sole esercitava sui pianeti un’azione che li vincolava alle loro orbite, ma non si chiese di che natura fosse tale forza.
In ogni caso, le tre leggi di Keplero rappresentano un risultato fondamentale per la storia della meccanica celeste e furono la base degli studi successivi di Newton (che pervenne invece alla descrizione delle cause che determinano il moto dei pianeti e riconobbe nella gravitazione universale la legge che regola il moto di tutti i corpi nell’Universo).1.
- La prima legge di Keplero afferma che i pianeti ruotano attorno al Sole seguendo orbite ellittiche, di cui il Sole occupa uno dei fuochi.
- L’ellisse è una figura geometrica bidimensionale, paragonabile a un cerchio schiacciato, formata dai punti di un piano le cui distanze da due punti fissi, detti fuochi, hanno somma costante.
Le orbite ellittiche dei pianeti sono ellissi poco schiacciate, vicine alla circonferenza.2. La seconda legge di Keplero afferma che il raggio vettore che congiunge un pianeta al Sole spazza aree uguali in tempi uguali (v. fig.6.1). I pianeti non si muovono sulla loro orbita con velocità costante; un pianeta è più veloce quanto più è vicino al Sole (al perielio) e più lento quanto più è lontano dal Sole (all’afelio).3.
La terza legge di Keplero afferma che il quadrato del periodo di rivoluzione di un pianeta attorno al Sole è proporzionale al cubo della sua distanza media dal Sole. I pianeti più vicini al Sole hanno periodi di rivoluzione più brevi dei pianeti più esterni. L'”anno” di Giove per esempio, che è più distante della Terra dal Sole, dura 11,862 anni, mentre quello di Venere, più vicina di noi al Sole, è di 0,615 anni.
La terza legge di Keplero (formulata nel 1618, 15 anni dopo le precedenti) si può così esprimere matematicamente ( T è il periodo di rivoluzione e R è la distanza tra il pianeta e il Sole): dove K è una costante, uguale per tutti i pianeti del sistema solare. Nella tabella 6.1 sono riassunti i periodi di rivoluzione e le distanze medie dal Sole dei pianeti del sistema solare. La distanza media dal Sole dei pianeti è espressa in Unità Astronomiche (UA), dove 1 UA = 1496,10 11 m, che è la distanza media della Terra dal Sole. Figura 6.1 Rappresentazione grafica della seconda legge di Keplero: le aree spazzate dal raggio vettore (che congiunge il Sole alla Terra) hanno la stessa superficie e i tratti di orbita corrispondenti sono percorsi dal pianeta nello stesso tempo. : Le tre leggi di Keplero
Come si spiega la seconda legge di Keplero?
La seconda legge di Keplero stabilisce come varia la velocità di un pianeta mentre si sposta lungo la sua orbita. Durante il movimento del pianeta, il raggio che unisce il centro del Sole al centro del pianeta stesso (raggio vettore) descrive aree uguali in tempi uguali.
Quali sono le conseguenze della seconda legge di Keplero?
La seconda legge di Keplero afferma che il raggio vettore che unisce il centro del Sole con il centro del pianeta descrive aree uguali in tempi uguali. Di conseguenza : La velocità orbitale non è costante, ma varia lungo l’orbita.
Che cosa dice la legge di gravitazione universale?
La forza di gravità e la legge di gravitazione universale di Newton La forza di gravità è una forza nota sin dall’antichità. Moltissimi fenomeni cui assistiamo ogni giorno possono essere spiegati grazie a essa: è la causa per cui rimaniamo a contatto col suolo, ci incliniamo verso il centro della curva quando sterziamo in moto e la Terra gira attorno al Sole descrivendo un’orbita ellittica.
- Isaac Newton, scienziato cui si devono le, enunciò la forza di gravità nella sua opera Philosophiae Naturalis Principia Mathematica (1687), in termini coerenti con le osservazioni disponibili a quei tempi, e in accordo con i prinicipi della dinamica da lui stesso enunciati: quest’enunciato è sufficiente a spiegare gran parte dei fenomeni che ci circondano ancora oggi.
- La legge formulata da Newton afferma quanto segue: due corpi dotati di massa si attraggono con una forza che è al prodotto delle masse e inversamente proporzionale al quadrato della distanza che li separa,
- La direzione della forza risulta quindi essere la retta che congiunge i due punti materiali; il verso quello che da un corpo punta verso l’altro; il modulo è definito da $$ \boxed } $$ in cui compaiono due masse $m_1$ e $m_2$, la distanza tra i due punti materiali $r$, e la costante di proporzionalità $G$.
Questa costante è estremamente importante ed è nota come costante di gravitazione universale, Nel, il suo valore è pari a circa $6,67 \ 10^ \text \text ^2 / \text ^2$; questo valore fu ricavato dallo scozzese Henry Cavendish (per questo motivo è anche conosciuta come costante di Cavendish).
- Per sua stessa definizione, la forza di gravità sussiste come interazione tra due corpi : in base al principio di azione-reazione, il modulo della forza esercitata da un corpo sull’altro deve essere uguale.
- Mediante l’applicazione rigorosa dei principi della dinamica e presupponendo che tra due corpi sussistesse solo l’interazione gravitazionale, da lui stesso enunciata, Newton riuscì a dimostrare le tre,
- Esempio: Calcolare l’intensità della forza di gravità che agisce tra due alunni di massa $70 \text $ e $65 \text $ distanti $2,5 \text $ l’uno dall’altro.
- Sostituiamo direttamente nella formula e otteniamo:
- $ F = \frac \cdot (70 \cdot 65) } = 4,8 \cdot 10^ \text $.
Invece il dei due alunni, supponendo che siano sulla superficie terrestre, è pari a $60 \cdot 9,8 = 588 = 5,88 \cdot 10^ \text $ e $ 75 \cdot 9,8 = 735 = 7,35 \cdot 10^ \text $ rispettivamente. Osservando la differenza tra l’ del peso e quello della forza gravitazionale (ben dieci ordini!), non ci si stupisce che i due alunni rimangano dove sono e non volino l’uno contro l’altro.
Cosa vuol dire che il Sole occupa uno dei due fuochi?
Il sistema solare: origini e caratteristiche – EduINAF Aggiornato il 4 Novembre 2020 Per poter comprendere l’origine e l’evoluzione del Sistema Solare è necessario sapere qualcosa sul modo in cui i pianeti si muovono lungo le loro orbite. Le leggi del moto orbitale sono state scoperte agli inizi del Seicento da Johannes Kepler (1571-1630) sulla base di una serie di osservazioni delle posizioni dei pianeti eseguite da Tycho Brahe (1546-1601) per mezzo di strumenti di misura molto precisi.
Forse questo è il primo dei tanti casi in cui un progresso importante nella comprensione della natura è stato reso possibile da uno sviluppo tecnologico: se Keplero non avesse avuto a disposizione osservazioni così precise, non gli sarebbe stato possibile distinguere tra le varie forme di orbita possibile e arrivare alla formulazione delle sue tre leggi.
La prima legge di Keplero descrive la forma dell’orbita dei pianeti, e dice che le orbite dei pianeti sono ellissi, di cui il Sole occupa uno dei fuochi, L’ellisse è la figura ovale che può essere descritta come un cerchio schiacciato (ad esempio un cerchio osservato in direzione obliqua appare come un’ellisse, per effetto della prospettiva); ha due assi di simmetria che si intersecano ad angolo retto nel centro della figura, e corrispondono alle direzioni in cui l’ovale è più lungo ( asse maggiore ) e più corto ( asse minore ).
Il Sole non si trova nel centro dell’ellisse, ma in uno dei fuochi, due punti posti sull’asse maggiore, a uguale distanza dal centro, e che hanno una proprietà geometrica particolare: se si sommano le distanze dai due fuochi di un qualsiasi punto dell’ellisse, si ottiene sempre lo stesso valore (figura 1).
Questo è anche uno dei modi di definire geometricamente l’ellisse e di tracciarla (usando ad esempio due pioli e una corda, la cosiddetta costruzione del giardiniere ). Indirettamente, la prima legge di Keplero dice anche che le orbite si svolgono in un piano (che contiene anche il Sole) e che sono chiuse, cioè ad ogni rivoluzione il pianeta percorre lo stesso percorso della rivoluzione precedente.
- Il fatto che il Sole si trovi in uno dei fuochi e non nel centro comporta che la distanza del pianeta dal Sole varia nel corso della sua rivoluzione, passando da un valore minimo (nel punto dell’orbita chiamato perielio ) a un massimo (all’ afelio ).
- L’allungamento dell’ellisse è misurato da un parametro chiamato eccentricità, che può assumere valori compresi tra zero (i due assi hanno lunghezza uguale e quindi l’ellisse si riduce a un cerchio) e uno (il caso limite in cui l’asse minore ha lunghezza nulla e l’ellisse degenera in un segmento).
È importante notare che quanto maggiore è l’eccentricità di un’ellisse (cioè il suo “schiacciamento”), tanto maggiore è la distanza dei fuochi dal centro, e quindi tanto maggiori saranno le variazioni della distanza del pianeta dal Sole nel corso dell’orbita.
- Al contrario, in un’ellisse di eccentricità nulla (cioè un cerchio) i due fuochi coincidono con il centro, e la distanza del pianeta dal Sole rimane costante (figura 2).
- La seconda legge di Keplero enuncia la legge oraria del moto dei pianeti, cioè descrive quali posizioni un pianeta assume in istanti di tempo successivi; essa afferma che un pianeta si muove lungo la propria orbita in modo che il raggio vettore spazza aree uguali in tempi uguali,
In altre parole: muovendosi lungo l’orbita il pianeta non ha sempre la stessa velocità lineare (distanza percorsa per unità di tempo) e neppure la stessa velocità angolare (angolo percorso per unità di tempo) ma segue una legge più complicata. Il raggio vettore citato nella legge è il segmento immaginario che congiunge il pianeta con il Sole.
- La legge afferma che l’area che tale segmento spazza nel corso del moto è proporzionale al tempo trascorso.
- Ad esempio, facendo riferimento alla figura 3, se l’area del settore di ellisse ASB è uguale a quella del settore CSD, secondo la seconda legge il pianeta impiega lo stesso tempo per percorrere i due tratti di orbita AB e CD.
Una conseguenza della seconda legge è che la velocità orbitale del pianeta è tanto maggiore quanto più il pianeta è vicino al Sole; in particolare, la velocità è massima al perielio e minima all’afelio. Ogni pianeta impiega sempre lo stesso tempo per compiere una rivoluzione completa attorno al Sole.
Questo intervallo di tempo (chiamato periodo orbitale ) è però differente per ogni pianeta. La terza legge di Keplero stabilisce una relazione tra il periodo orbitale e la dimensione dell’orbita, e stabilisce che i quadrati dei periodi orbitali dei pianeti sono proporzionali ai cubi degli assi maggiori delle loro orbite,
In altre parole, se si considera una qualsiasi coppia di pianeti, il rapporto tra i quadrati del loro periodo orbitale è uguale al rapporto tra i cubi dei corrispondenti assi maggiori. Figura 1: (In alto) L’ellisse possiede due assi di sim- metria ortogonali tra di loro: l’asse maggiore (AA’) e l’asse minore (BB’), che si intersecano nel centro della figura (C). I due fuochi F1 ed F2 sono disposti sull’asse maggiore in posizione simmetrica rispetto al centro.
Figura 3: Illustrazione della seconda legge di Keplero (legge delle aree): poiché l’area del triangolo ASB è uguale a quella del triangolo CSD, il pianeta impiega lo stesso tempo per percorrere i tratti dell’orbita AB e CD.
Figura 2: Tre ellissi aventi lo stesso lo stesso semiasse maggiore (a=1) ed eccentricità e crescenti dall’alto verso il basso; i due punti neri sull’asse maggiore individuano le posizioni dei due fuochi. In alto: un’ellisse con eccentricità e=0; i due fuochi sono coincidenti con il centro della figura, che si riduce a un cerchio.
Al centro: un’ellisse con eccentricità e=0.4; la lunghezza del semiasse minore vale b=0.92. In basso: un’ellisse con eccentricità e=0.8 (b=0.6). Le leggi di Keplero sono state un importante progresso non solo perché descrivevano il moto dei pianeti con una precisione molto maggiore di tutte le teorie precedenti, ma anche perché si ponevano da un nuovo punto di vista: il pianeta non era più visto come un punto luminoso sulla superficie della volta celeste, ma come un corpo fisico che si muove nello spazio.
Questo modo di considerare i corpi celesti si era andato affermando progressivamente a partire dalla fine del Medioevo, e Keplero per la prima volta lo pone alle basi di una teoria matematica del moto. Keplero fu anche il primo a cercare una spiegazione fisica delle cause di questi movimenti, sulla base di un’influenza esercitata dal Sole sui pianeti: in questo compito fallì, perché la fisica su cui si basava era ancora quella della tradizione aristotelica e medioevale, ed era pertanto inadeguata.
Agli inizi del Seicento gli studi di Galileo Galilei posero le basi di una nuova comprensione delle leggi che governano il moto degli oggetti materiali; a partire da queste, Isaac Newton elaborò una teoria matematica della dinamica che, se si trascurano le correzioni apportate dalla relatività, rimane valida ancora oggi.
Newton dimostrò che il moto dei pianeti può essere spiegato completamente partendo da due soli postulati: a) tutti i corpi materiali si attraggono con una forza proporzionale alla loro massa e inversamente proporzionale alla loro distanza (la legge di gravitazione universale ) e b) tutte le forze producono un’accelerazione nel moto dei corpi secondo la legge fondamentale della dinamica F = ma, che comprende come caso particolare il principio di inerzia.
Newton dimostrò che le tre leggi di Keplero sono una conseguenza diretta di questi due principi; la catena di deduzioni che dimostra questa connessione richiede un tipo di matematica molto complessa che all’epoca non esisteva, e che Newton e Leibniz svilupparono appositamente per risolvere questo problema: è il ramo della matematica che oggi chiamiamo calcolo differenziale e integrale,
La deduzione di Newton è valida rigorosamente solo nelle condizioni del cosiddetto problema dei due corpi, cioè nel caso in cui il pianeta sia sottoposto all’attrazione gravitazionale di un solo corpo (il Sole). Nel Sistema Solare reale questa condizione si verifica solo in modo approssimato in quanti i pianeti, oltre a essere attratti dal Sole, si attraggono anche tra di loro, anche se questo è un effetto molto più piccolo (il pianeta più grande del Sistema Solare, Giove, ha una massa che è solo un millesimo di quella del Sole).
Se si tiene conto anche di queste perturbazioni la traiettoria dei pianeti non è più esattamente ellittica, anche se può essere descritta come un’ellisse la cui forma cambia progressivamente nel tempo; la soluzione delle equazioni del moto diventa molto più complessa, e diverse generazioni di matematici nel corso del Settecento si sono applicati a trovare metodi di calcolo che potessero fornire previsioni sempre più accurate.
Le leggi della dinamica permettono di prevedere che l’ellisse non è l’unica forma di orbita possibile nel caso del problema dei due corpi: esistono anche traiettorie di forma parabolica e iperbolica. Queste corrispondo a moti non periodici e non legati al corpo perturbatore: sono le traiettorie percorse da un oggetto che si avvicina provenendo dalle profondità dello spazio e ad esse ritorna, dopo un incontro ravvicinato con un oggetto dotato di massa che ne deflette il moto rettilineo uniforme; sono insomma le traiettorie che descrivono gli incontri ravvicinati tra corpi celesti. Figura 4: Modelli presunti della struttura interna dei pianeti interni (in alto) ed esterni o giganti (in basso). Nel Sistema Solare attuale le orbite dei pianeti principali sono ellissi poco allungate (le eccentricità sono inferiori al 10%, tranne per Mercurio, che ha un’eccentricità del 20%), ben spaziate tra di loro e quasi complanari (con inclinazioni reciproche di pochi gradi).
Questa struttura discoidale deriva dal meccanismo con cui il Sistema Solare si è formato e gli garantisce una grande stabilità: nel corso del loro moto orbitale i pianeti non si possono avvicinare troppo tra di loro, condizione questa che produrrebbe forti perturbazioni gravitazionali e causerebbe un veloce cambiamento delle orbite.
Il Sistema Solare può essere suddiviso in senso concentrico in due regioni principali. Il Sistema Solare interno è formato dai pianeti da Mercurio a Marte, che hanno piccole dimensioni (il più grande di essi è la Terra) e composizione essenzialmente rocciosa, dominata dai silicati, e con nuclei composti da ferro: la loro densità media è quindi piuttosto elevata (4-5 g/cm 3 ).
- Il Sistema Solare esterno comprende i pianeti da Giove a Nettuno, chiamati anche pianeti giganti perché sono molto più grandi dei pianeti interni (Giove ha una massa più di 300 volte superiore a quella della Terra).
- I pianeti giganti possiedono un piccolo nucleo roccioso ma sono costituiti per la maggior parte da elementi leggeri (soprattutto idrogeno); per questo la loro densità è molto bassa, attorno a 1 g/cm 3 (figura 4).
Oltre ai pianeti principali il Sistema Solare contiene una grande quantità di corpi minori : i satelliti dei pianeti, che compiono le loro orbite attorno ai pianeti principali, e gli asteroidi o pianetini, piccoli corpi di natura rocciosa che, come i pianeti, si muovono attorno al Sole.
La maggior parte degli asteroidi occupano due regioni relativamente stabili: la fascia principale degli asteroidi, una zona a forma di anello compresa tra le orbite di Marte e di Giove, e il gruppo dei troiani, un insieme di pianetini che percorre la stessa orbita di Giove, mantenendosi però a una distanza di circa 60° davanti o dietro il pianeta gigante ed evitando in questo modo incontri troppo ravvicinati con esso.
Da queste regioni fuoriescono sporadicamente asteroidi che si dispongono su orbite allungate, che incrociano le orbite dei pianeti principali: sono orbite instabili, fortemente perturbate dagli incontri ravvicinati con i pianeti, e che evolvono rapidamente, terminando di solito con l’eliminazione del pianetino, che collide con il Sole o con uno dei pianeti principali oppure è espulso dal Sistema Solare su un’orbita iperbolica.
- Questi sono gli oggetti responsabili della formazione dei crateri da impatto che abbondano sulle superfici di tutti i pianeti interni del Sistema Solare e che sono visibili particolarmente sui corpi privi di atmosfera (come Mercurio e la Luna).
- Tra questi, gli oggetti che hanno orbite che incrociano quella della Terra sono chiamati NEO ( Near Earth Asteroids ).
Agli estremi limiti del Sistema Solare, oltre l’orbita di Nettuno, si trova un’altra regione densamente popolata da piccoli corpi composti in gran parte da ghiaccio d’acqua, misto a piccole quantità di polvere e materiale roccioso (“neve sporca”, secondo l’efficace definizione di un astronomo): è la fascia di Kuiper o degli oggetti trans-nettuniani, che sono i progenitori delle comete. mantenendoFigura 5: Particolare della nube molecolare gigante NGC 6188, nella costellazione australe dell’Ara, che si trova a circa 4000 anni luce dalla Terra.
contraFigura 6: Immagine del disco di polveri attorno alla stella Pictoris, visibile quasi perfettamente di taglio, che si pensa possa essere un sistema planetario in corso di formazione, simile al disco da cui si è formato il nostro Sistema Solare quattro miliardi e mezzo di anni fa.
L’immagine è ripresa con il telescopio spaziale Hubble: la macchia nera a forma di farfalla al centro della fotografia è un diaframma opaco posto sul piano focale del telescopio per nascondere la stella centrale, che con la sua intensa luminosità impedirebbe la visione della debole luminosità del disco.
Il Sistema Solare fa parte della Via Lattea, una galassia che contiene, oltre ad alcune centinaia di miliardi di stelle, una grande quantità di gas e di polveri. Parte di questo materiale è condensato in strutture chiamate nubi molecolari giganti: molecolari perché la loro temperatura estremamente bassa fa sì che il gas in esse contenuto (principalmente idrogeno) sia in forma molecolare (H 2 ); giganti perché la loro massa è molto grande, da parecchie migliaia a milioni di masse solari (figura 5).
Si pensa che il Sistema Solare (e, in generale, le stelle e i sistemi planetari) si sia formato dalla condensazione di una di queste nubi. Una nube molecolare gigante è in una condizione di equilibrio instabile tra due forze contrapposte: la gravità, che tende a far contrarre la nube, e la pressione interna del gas, che tende a farla espandere.
Se, per qualsiasi motivo, la densità del gas supera un certo valore critico, la gravità prende il sopravvento sulla pressione e la nube inizia a contrarsi. Inizialmente la nube ha una velocità di rotazione molto bassa, ereditata dalla rotazione generale della galassia, ma nel corso della contrazione la rotazione diventa sempre più rapida a causa di una legge generale della fisica (la conservazione del momento angolare).
Nel corso della contrazione la nube si suddivide in frazioni più piccole, di massa comparabile a quella di una stella, che continuano a contrarsi e a ruotare sempre più rapidamente, fino a che la forza centrifuga generata dalla rotazione controbilancia la forza di attrazione: al centro della nube si forma una grossa condensazione (la protostella), mentre il resto della materia si dispone in una struttura a forma di disco, in cui ogni particella percorre un’orbita approssimativamente circolare attorno alla massa centrale (figura 6).
La composizione chimica della nube rispecchia la composizione media della materia nell’Universo: essa è formata in massima parte da gas leggeri, soprattutto idrogeno (74%) ed elio (24%); solo una piccola percentuale (meno del 2%) è fatta da elementi più pesanti (carbonio, azoto, ossigeno, ecc.).
Gli elementi non volatili formano anche granelli di polvere, che inizialmente hanno dimensioni molto piccole (dell’ordine del millesimo di millimetro) ma che con il tempo tendono a coagularsi, per effetto di forze di adesione elettro-chimiche, fino a formare corpuscoli sempre più grandi; è lo stesso meccanismo per cui la polvere, sui pavimenti delle nostre case, tende a unirsi in batuffoli.
In questa fase l’accrescimento dei planetesimi (i piccoli corpi solidi che costituiscono i germi dei futuri pianeti) è favorito dal fatto che le orbite all’interno della nube sono molto ordinate (circolari e complanari), per cui le collisioni tra oggetti avvengono a velocità relativa molto modesta.
Quando i planetesimi raggiungono dimensioni dell’ordine del chilometro, la loro attrazione gravitazionale comincia a farsi sentire, ed essi si accrescono più velocemente; si instaura una specie di competizione per cui gli oggetti più grandi tendono a diventare sempre più grandi, a spese di quelli più piccoli.
Le perturbazioni gravitazionali reciproche aumentano anche le eccentricità e le inclinazioni dei planetesimi, e quindi le loro velocità relative: in queste condizioni gli urti diventano molto più energetici, e provocano la frammentazione dei corpi coinvolti invece che l’accrescimento.
Alla fine rimane solo un numero ridotto di corpi di grandi dimensioni: tra questi, quelli che hanno orbite instabili (che incrociano le orbite degli altri pianeti) vengono progressivamente distrutti dalle collisioni o espulsi dal Sistema Solare, per cui gli unici pianeti destinati a sopravvivere sono quelli su orbite stabili, sufficientemente distanziate tra di loro.
Nel frattempo la parte centrale della nube ha continuato a contrarsi in un unico grande corpo di forma sferica. L’aumento della densità e della pressione provocano un aumento della temperatura fino ad alcuni milioni di gradi. In queste condizioni gli urti tra le particelle che costituiscono il gas sono così energetici che si innescano reazioni termonucleari che, fondendo nuclei di idrogeno in nuclei di elio, liberano un’enorme quantità di energia: è nata una nuova stella.
- La pressione di radiazione prodotta dalle reazioni nucleari è così forte da controbilanciare l’attrazione gravitazionale: la stella raggiunge quindi una condizione di equilibrio che manterrà per milioni o miliardi di anni, fino a quando non avrà esaurito la sua dotazione di idrogeno.
- Le fasi iniziali della vita di una stella sono piuttosto turbolente: in questa fase (chiamata T Tauri ) l’astro emette un forte flusso di particelle, che spazzano via dal disco i residui di gas e polveri rimasti dopo l’accrescimento dei pianeti.
Il fatto che le fasi finali dell’accrescimento dei pianeti avvengano quando il Sole ha già cominciato a brillare spiega le differenze di composizione e di dimensioni tra i pianeti interni e quelli esterni. Nelle regioni più vicine al Sole il gas è riscaldato dal calore emesso dal Sole.
- Come è noto, la temperatura di una sostanza è indice dell’agitazione delle molecole che la compongono.
- Nelle regioni prossime al Sole gli atomi degli elementi più leggeri (l’idrogeno e l’elio che, come abbiamo visto, costituiscono il 98% della materia disponibile) hanno velocità così elevate da non poter essere trattenuti dalla gravità dei pianeti che si stanno formando; questi si accrescono utilizzando solo gli elementi più pesanti, e quindi sono densi ma piccoli.
Al contrario, oltre un certo limite di distanza (che si trova approssimativamente tra l’orbita di Marte e quella di Giove) la temperatura è sufficientemente bassa perché i pianeti possano trattenere l’idrogeno e l’elio nella propria atmosfera, dando origine a corpi giganti e gassosi.