Cosa Prevede La Legge Del Rio?

Cosa Prevede La Legge Del Rio
La legge 7 aprile 2014, n.56 (cd. ‘ legge Delrio ‘) ha dettato un’ampia riforma in materia di enti locali, prevedendo l’istituzione e la disciplina delle città metropolitane e la ridefinizione del sistema delle province, oltre ad una nuova disciplina in materia di unioni e fusioni di comuni.

Perché sono state abolite le province?

Sabato 18 dicembre 65mila tra sindaci e consiglieri comunali voteranno per eleggere 72 consigli provinciali e 31 presidenti di provincia. I presidenti sono meno perché rimangono in carica quattro anni, mentre i consiglieri due. Alle province al voto si aggiungono le amministrazioni di cinque cosiddette città metropolitane, gli enti locali che dal 2014 hanno sostituito alcune province: a Bologna si è votato il 28 novembre, a Roma, Milano e Torino i seggi saranno aperti domenica 19 dicembre, a Napoli il voto si terrà entro febbraio.

Negli ultimi anni le elezioni provinciali sono state ai margini del dibattito politico, ma ci sono sempre state: le province infatti hanno continuato a esistere con i loro presidenti e consiglieri, nonostante per anni si sia discusso di una loro possibile abolizione, una parola usata più volte a sproposito da politici e media per descrivere quanto successo con la riforma approvata nell’aprile del 2014 dalla Camera, la legge Delrio.

La legge prevedeva una riformulazione delle province trasformate in enti di secondo livello, per i quali non sono cioè più previste elezioni dirette. Le province sono state così sostituite da assemblee formate dai sindaci dei Comuni del territorio e da un presidente: è previsto anche un terzo organo, il consiglio provinciale, formato dal presidente della provincia e da un gruppo di 10-16 membri – in base al numero degli abitanti della provincia – eletti tra gli amministratori dei comuni.

La riforma Delrio era stata pensata come una legge transitoria in attesa del referendum costituzionale del 4 dicembre 2016, promosso dal governo guidato da Matteo Renzi per chiedere tra le altre cose di eliminare la parola “province” dalla Costituzione: un passaggio formale e obbligato per il compimento della riforma, che però non si verificò per la vittoria dei “no”.

La mancata approvazione della proposta lasciò quindi incompleta la riorganizzazione che avrebbe dovuto perfezionarsi con una nuova riforma per definire meglio le competenze delle province depotenziate. Rimase soltanto la legge Delrio che, insieme ai drastici tagli ai trasferimenti decisi dai governi, causò notevoli difficoltà nella gestione di settori importanti rimasti di competenza delle province, come l’edilizia scolastica, l’ambiente, i trasporti, la manutenzione delle strade, e che soprattutto creò una certa confusione su chi avesse responsabilità su cosa,

Le conseguenze di quelle scelte, dicono politici e addetti ai lavori, sono molto evidenti ancora oggi e hanno effetti negativi anche sulla programmazione del PNRR, il piano nazionale di ripresa e resilienza che organizzerà gli investimenti nell’ambito del Recovery Fund europeo. Achille Variati, sottosegretario al ministero dell’Interno durante il secondo governo guidato da Giuseppe Conte, è stato presidente della provincia di Vicenza e presidente dell’Unione delle province italiane fino al 2018, nei primi e confusi anni della riforma.

Come già faceva allora, oggi sostiene che il più grande errore della riorganizzazione sia stato il passaggio di funzioni e dipendenti dalle province alle Regioni. «Le Regioni sono nate per programmare e legiferare, non per gestire il potere amministrativo», dice.

«Le province sono state “rapinate” di molte funzioni dalle Regioni e tutti vediamo come è finita: in alcuni settori, penso alla tutela dell’ambiente, c’è una tale confusione che si sono creati dei grandi buchi decisionali e di responsabilità». L’attribuzione incerta delle funzioni tra gli enti locali esisteva in realtà anche prima.

Tanto che aveva rappresentato uno dei principali motivi che a partire dal 2010 aveva convinto i governi a proporre l’abolizione delle province. La gestione, in effetti, era abbastanza caotica e spesso inefficiente per via delle competenze spartite a metà con altri enti: la gestione delle strade, ma solo quelle provinciali e non le statali, più importanti e trafficate; le scuole, ma solo le superiori e non elementari e medie; l’ambiente e il turismo, ma senza la possibilità di incidere per davvero.

Sulla base di questi limiti strutturali, molti politici e commentatori sostenevano che non valesse la pena pagare indennità a presidenti e consiglieri. L’urgenza percepita di ridurre i costi della politica, per motivi prevalentemente di consenso elettorale legati a un contesto molto ostile verso quella che era spesso definita una “casta”, fu un altro dei motivi che spinsero i governi a tentare di abolire le province.

In quel periodo, Renzi ne fece un tema ricorrente della sua comunicazione. Variati protestò contro la riforma Delrio insieme a molti altri presidenti di provincia che nel giro di pochi mesi si videro togliere funzioni e ridurre drasticamente le risorse economiche.

Dal 2015, infatti, la legge di bilancio impose tagli per tre miliardi di euro in tre anni. Una riforma monca causò un risultato distorto rispetto alle aspettative. Vennero ridimensionati i trasferimenti statali come se la riforma Delrio fosse compiuta: i fondi per i dipendenti, per esempio, venivano fissati per meno di 30mila tra tecnici e funzionari quando le persone in organico erano ancora 48mila, perché il passaggio previsto ai comuni e alle Regioni non era ancora stato avviato.

«Sbagliarono i conti: in quel periodo non avevamo i soldi nemmeno per sistemare le strade e le scuole, e interi uffici vennero smantellati», spiega Variati. Non si riuscì nemmeno a risparmiare una quantità significativa di fondi pubblici, come era stato promesso da partiti di destra e di sinistra con una lunga ed efficace campagna di stampa contro i costi della politica.

  • Secondo Variati era «pura demagogia», secondo cui «non erano quei quattro soldi dati agli organi politici a fare la differenza».
  • C’erano cose che non funzionavano, ammette, ed erano necessari dei tagli: «ma all’epoca il legislatore fece un errore considerando le province il peggio del peggio».
  • Uno degli effetti non considerati dal governo risultò perfino paradossale: nonostante l’obiettivo dei tagli fosse ottenere un risparmio, infatti, ci fu un aumento dei costi del personale, perché molti dipendenti pubblici ottennero un contratto più vantaggioso nel passaggio dalle province alle Regioni.

Nel febbraio del 2017 anche la Corte dei Conti si espresse contro i tagli, definendoli irragionevoli. «La forte riduzione delle risorse destinate in settori di notevole rilevanza sociale risulta manifestamente irragionevole per l’assenza di proporzionate misure che ne possano in qualche modo giustificare il dimensionamento» dice il testo dell’audizione sulla finanza delle province alla commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale. Cosa Prevede La Legge Del Rio Nel 2014 a Napoli un trombettista suona il “Silenzio” durante una protesta di alcuni consiglieri provinciali contro la riforma delle province (ANSA / CIRO FUSCO) Negli ultimi anni sono cambiate molte cose: i finanziamenti sono stati in parte ripristinati e dopo anni le province hanno cominciato ad assumere nuovo personale.

  1. Inoltre, da un anno ai presidenti delle province viene riconosciuta un’indennità che è equiparata a quella del sindaco del Comune capoluogo, e che viene erogata in parte dal comune dove il presidente esercita le funzioni di sindaco e in parte dall’ente provinciale.
  2. Le conseguenze della confusione e dei tagli, però, si vedono ancora.

L’assenza di un ente intermedio tra i comuni e le Regioni ha compromesso varie procedure di pianificazione degli investimenti sul territorio, e in particolare lo studio delle opere troppo grandi per essere considerate comunali, e troppo piccole se valutate in un ambito regionale: strade, tangenziali, ponti, linee del tram, collegamenti tra punti di interesse come gli ospedali, le stazioni, i grandi parcheggi.

  • Gli uffici che si occupavano di valutare i piani provinciali delle infrastrutture sono stati svuotati, i dipendenti sono stati trasferiti o sono andati in pensione e non sono stati sostituiti, quelli rimasti sono invecchiati.
  • La mancanza di una forte guida politica, limitata dalle condizioni precarie delle province, ha causato anche un’insipienza generale di visione strategica in settori come la pianificazione urbanistica del territorio e dei trasporti.

A essere penalizzati sono stati soprattutto i territori molto vasti e quelli lontani dalle città più grandi. Questi limiti di programmazione sono stati evidenti anche nella preparazione delle opere degli obiettivi legati al PNRR. I tempi ristretti e la carenza di professionisti come ingegneri, architetti e tecnici hanno portato molte province e comuni a recuperare progetti del passato, su cui erano già stati fatti studi e valutazioni, senza usare nuove ambizioni che sarebbero state forse possibili vista l’entità dei fondi a disposizione.

Una scelta per certi versi conservativa applicata a un piano enorme che dovrebbe essere di rilancio. «I soldi per gli investimenti, quindi per le opere, sono stati ripristinati quasi del tutto», spiega Michele De Pascale, presidente della provincia di Ravenna e dell’Unione province italiane. Per esempio, il ministero dell’Istruzione ha promosso diversi bandi per la manutenzione e la costruzione di nuove scuole, palestre e mense.

Con la prossima legge di Bilancio, inoltre, verranno stanziati più soldi per la cosiddetta spesa corrente delle province, cioè per pagare gli stipendi dei dipendenti e assumerne di nuovi. De Pascale dice che negli ultimi anni, grazie al ripensamento dei governi sui tagli, le province sono riuscite ad aumentare gli investimenti del 15 per cento.

Con il PNRR arriveranno molte risorse in più, non semplici da gestire. «Se si vuole continuare a trasformare i trasferimenti in opere pubbliche, come è avvenuto finora, vanno potenziati anche gli organici dei dipendenti: servono tecnici, ingegneri, architetti e giuristi. Chiediamo la possibilità di assumere profili mirati».

«Siamo pieni di soldi, ma non riusciamo a spenderli» ha detto in un’intervista al Corriere del Veneto Fabio Bui, presidente della provincia di Padova. Prima della riforma Delrio, l’ente aveva 500 dipendenti, oggi ne ha 215. «Ho 17 milioni per le scuole, ma ho problemi a chiudere i progetti entro marzo 2026 e con le forze che abbiamo rischiamo di perdere tutto», spiega Bui.

  1. «Da tempo dico di dare poteri commissariali ai presidenti e ai sindaci: visto che i soldi ci sono fate esercitare questa responsabilità a noi amministratori».
  2. Secondo Bui, per ridare dignità al ruolo degli amministratori provinciali e delle province stesse serve tornare all’elezione diretta.
  3. Il governo Draghi ha ridato i soldi alle province, dice, ma secondo lui è sostenuto da parlamentari «figli della rottamazione e dello schieramento anti-casta», per cui sarà molto difficile tornare indietro.

In realtà negli ultimi mesi negli uffici del Parlamento si è discusso di come correggere la riforma Delrio, dopo che tutti i partiti hanno riconosciuto gli effetti negativi della sua applicazione parziale e lacunosa. È stata ipotizzata anche la reintroduzione dell’elezione diretta: la vorrebbe la Lega, mentre il Partito Democratico e il Movimento 5 Stelle sono contrari.

Le modifiche, di fatto una controriforma della legge Delrio, saranno contenute in un disegno di legge (Ddl) collegato alla legge di Bilancio di cui il Sole 24 Ore ha anticipato qualche contenuto centrale: Il Ddl in arrivo oltre ad aggiungere la pianificazione delle attività attuali incentrate soprattutto su trasporti e scuola rimodella le funzioni fondamentali delle province sulla base di quelle già svolte dalle Città metropolitane: l’adozione e aggiornamento annuale di un piano strategico triennale del territorio provinciale, dell’organizzazione dei servizi pubblici di interesse generale di ambito provinciale, della promozione e del coordinamento tanto dello sviluppo economico e sociale quanto dei sistemi di informatizzazione e di digitalizzazione sempre in ambito locale.

Degne di nota sono infine altre due modifiche previste dal Ddl governativo. Vale a dire la coincidenza della durata del mandato in 5 anni sia per i presidenti che per i Consigli di Province e Città metropolitane e il ripristino della Giunta in entrambe.

Gli assessori saranno 3 (o 4 nei territori con oltre un milione di abitanti), potranno essere esterni e saranno pagati. Con un’indennità pari al 50% dei loro omologhi comunali. Di questi tempi un incentivo non da poco. Mario Gorlani, avvocato e docente di Diritto Pubblico all’università di Brescia, è stato tra i componenti della commissione istituita a luglio 2021 dalla ministra degli Affari regionali Maria Stella Gelmini per una revisione complessiva del sistema delle province: «avevamo chiesto a gran voce un intervento coraggioso per ripristinare l’elezione diretta, ma è stato scelto di lavorare su obiettivi di immediata applicazione e più facili da gestire nel percorso parlamentare», dice.

È stato scelto insomma un approccio politico più pragmatico in un Parlamento in cui ha ancora un discreto peso politico il Movimento 5 Stelle, da sempre a favore dell’abolizione delle province, anche se alcuni suoi consiglieri sono candidati alle elezioni del 18 dicembre.

Quali sono le competenze della Provincia dopo la riforma del Rio?

La difficoltà di riassegnare le competenze – Questa riforma, nata nel 2013 come transitoria, approvata con modifiche nel 2014, è la legge che – a distanza di 6 anni – regola gli enti intermedi in Italia. Una delle sfide più importanti era quali funzioni lasciare agli enti intermedi,

  • E quali invece riassegnare agli altri livelli di governo : i comuni, le regioni e le neoistituite città metropolitane.
  • La scelta della legge Delrio è stata lasciare alle province poche funzioni fondamentali : edilizia e rete scolastica, strade provinciali, alcune competenze sull’ambiente, controllo delle discriminazioni nel mondo del lavoro.

Oltre alla possibilità di fornire assistenza tecnica ai comuni, ad esempio come stazione appaltante. Alle città metropolitane sono state assegnate le stesse competenze, con maggiori poteri di programmazione nell’ambito della mobilità, della pianificazione territoriale, della strutturazione dei servizi pubblici e nello sviluppo economico.

  • Tutte le altre funzioni delle vecchie province dovevano essere riassegnate dalla regione ai vari enti locali,
  • Parliamo di materie come l’organizzazione dello smaltimento dei rifiuti, la valorizzazione dei beni culturali, la protezione dell’ ambiente, e la formazione professionale,
  • Si è così aperto il percorso di riassegnazione, con forti differenze tra le regioni.

Solo le 15 ordinarie avevano dei termini perentori per riassegnare le funzioni (6 mesi dall’approvazione). In Sicilia, Sardegna e Friuli Venezia Giulia le previsioni della Delrio invece non si sono applicate direttamente. Queste regioni erano tenute ad adeguarsi ai principi (ma non alle disposizioni) della legge.

  • In Valle d’Aosta e Trentino Alto Adige il tema non si è proprio posto,
  • Nella prima, la regione assorbe già il ruolo delle provincia; nella seconda, le province hanno un’autonomia (riconosciuta in costituzione) che le rende assimilabili a delle regioni.3 effetti diversi della riforma delle province sulle regioni italiane.

Tra le regioni ordinarie, i tempi per riallocare le funzioni si sono rivelati molto più lunghi di quanto previsto inizialmente, La legge Delrio aveva previsto due passaggi: entro 3 mesi dall’approvazione, stato e regioni (sentite le organizzazioni sindacali) avrebbero dovuto trovare un accordo per definire in modo puntuale quali funzioni andavano riassegnate.

  1. Entro 6 mesi, le 15 regioni sarebbero state tenute ad attuare questo accordo con proprie leggi,
  2. Ma il percorso è stato molto più accidentato del cronoprogramma previsto dalla legge,
  3. GRAFICO FONTE: elaborazione openpolis su report Uvi e su analisi delle leggi regionali (ultimo aggiornamento: mercoledì 5 Febbraio 2020) L’ accordo stato-regioni è stato raggiunto l’11 settembre 2014, con due mesi di ritardo sulla scadenza.
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Nel frattempo, 4 regioni avevano presentato alla corte costituzionale un ricorso su oltre un terzo dei commi della legge Delrio, Il contenzioso si è risolto dopo quasi un anno (marzo 2015), quando la consulta ne ha confermato la legittimità, Nel mentre la stragrande maggioranza delle regioni non aveva ancora proceduto al riordino,

Fino a tale data appare comprensibile un atteggiamento di cautela da parte delle regioni, anche di quelle che non avevano promosso il ricorso. Ma anche dopo la risoluzione del contenzioso, restavano poche le leggi regionali di riordino approvate, Segno della difficoltà di riattribuire le competenze delle vecchie province,

La corte dei conti, nel corso di una relazione al parlamento, indicò una “diffusa ritrosia delle regioni a legiferare sul riassetto delle funzioni”. Come sottolineato dalle analisi Uvi-senato, solo l’introduzione di sanzioni ha costretto alla velocizzazione del processo,

  • GRAFICO FONTE: elaborazione openpolis su analisi leggi regionali (ultimo aggiornamento: mercoledì 5 Febbraio 2020) A giugno del 2015, un decreto stabilì che se il riordino non fosse avvenuto entro il 31 ottobre, sarebbero state le regioni a farsi carico delle funzioni non fondamentali,
  • La successiva legge di stabilità ha previsto la nomina di un commissario ad acta per le regioni inadempienti al 31 gennaio 2016.

Dopo quasi due anni (20 mesi) tutte le regioni si sono adeguate,

Che differenza c’è tra città metropolitana e provincia?

Le Città metropolitane e la loro effettiva istituzione – Nella storia della mancata attuazione delle norme costituzionali un ruolo significativo è giocato dalla questione dell’istituzione delle Città metropolitane. All’affermazione indiscussa di una regolamentazione internazionale, o globale, dei sistemi economici si contrappone il radicamento dell’attività economica e finanziaria a livello delle grandi città, fenomeno che ha spinto la dottrina più sensibile non solo a rievocare la necessità di una disciplina del mercato in ambito locale, ma anche ad intravedere un “diritto alla città” non ancora esplicitamente codificato, quale somma di una serie di prestazioni (qualità dei servizi pubblici, livelli adeguati di urbanizzazione, salubrità dell’ambiente urbano) che dovrebbero essere garantite agli abitanti delle città (Auby, J.B., Droit de la Ville, Du fonctionnement juridique des villes au droit à la Ville, Paris, 2013, 276 ss.).

Sotto l’influenza di altri Stati europei nei quali già esisteva da tempo una disciplina differenziata ed evoluta delle città – caratterizzate da specifiche esigenze di coordinamento dei servizî e dei trasporti, di pianificazione ed uso del territorio – anche il nostro legislatore nazionale aveva previsto con la l.n.142/1990 la figura delle aree metropolitane: queste ultime, disciplinate all’art.19, venivano individuate in alcuni Comuni di maggiori dimensioni (Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Bari, Napoli), unitamente ad altri Comuni i cui insediamenti presentassero con i primi rapporti di stretta integrazione in ordine alle attività economiche, ai servizî essenziali alla vita sociale, nonché alle relazioni culturali ed alle caratteristiche territoriali.

L’insuccesso delle aree metropolitane sembrerebbe imputabile ai contenuti della disciplina di cui al citato art.19 della l.n.142/1990, che affidava alle Regioni, sentiti i Comuni e le Province interessate, il compito di procedere alla delimitazione territoriale di ciascuna area metropolitana.

  1. Alla mancata effettiva istituzione delle città metropolitane fa da pendant la loro costante menzione, sia nei successivi interventi legislativi (si v.
  2. Gli artt.22 e 23, t.u.e.l., ovvero la normativa in materia di federalismo fiscale) che nel testo costituzionale novellato del 2001: l’art.114 Cost., aggiunge all’elenco degli enti territoriali che costituiscono la Repubblica anche le Città metropolitane.

Tuttavia, le potenzialità prescrittive insite nella previsione costituzionale sono rimaste a tutt’oggi lettera morta (Pizzetti, F., La nuova normativa in materia di enti territoriali : una grande riforma, cit., 34 ss.). Una prima disciplina più puntuale delle Città metropolitane era stata introdotta dall’art.18 d.l.n.95/2012, poi dichiarato anch’esso incostituzionale dalla citata sentenza della C.

  1. Cost.n.220/2013, alla quale si rinvia per i medesimi profili di illegittimità già esaminati per le Province in relazione all’art.17 del medesimo decreto legge.
  2. Il merito della riforma risiedeva essenzialmente nell’aver previsto una più stringente disciplina, secondo modalità che affidavano non più alla Regione bensì alla legge dello Stato l’identificazione territoriale delle Province e delle Città metropolitane; in base allo stesso articolo 18 doveva essere la legge stessa a prevedere il “trapasso” dalla Provincia alla Città metropolitana.

Veniva così ad instaurarsi una correlazione necessaria tra trasformazione/eliminazione delle Province e assunzione delle nuove funzioni di governo dell’area metropolitana da parte delle Città metropolitane, qualificate anch’esse come enti di secondo livello, con funzioni di coordinamento delle attività economiche, sociali e produttive svolte dai Comuni che ne fanno parte, ma anche con delicate funzioni gestorie (Pizzetti, F., La nuova normativa in materia di enti territoriali: una grande riforma, cit., 40 ss.).

Nella medesima direzione dell’art.18, d.l.n.95/2012 si colloca la disciplina contenuta nella l.n.56/2014 che, tuttavia, avrebbe l’ambizione di regolare in modo più esplicito alcuni profili disciplinari funzionali ad agevolare la prossima riforma costituzionale del titolo V. Alla conferma della qualificazione delle Città metropolitane (Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli, Reggio Calabria) come enti territoriali di area vasta segue una più incisiva precisazione delle loro funzioni, in un’ottica di più chiara distinzione rispetto a quelle che resterebbero in capo alle nuove Province.

La Città metropolitana si caratterizza dunque come ente di governo metropolitano, che non si limita, a differenza delle Province, a svolgere funzioni di prevalente coordinamento, ma del quale vengono potenziate le funzioni di cura dello sviluppo strategico del territorio metropolitano, con il riconoscimento di compiti di promozione e gestione integrata dei servizî, delle infrastrutture e delle reti di comunicazione; alla Città metropolitana viene inoltre attribuita la cura delle relazioni istituzionali afferenti al proprio livello, con l’obiettivo di inserirla nella rete delle aree metropolitane europee.

Non sono mancati, tuttavia, rilievi critici soprattutto in ordine ai criteri di individuazione del territorio della Città metropolitana, che – già secondo la disciplina dell’art.17 del decreto legge n.95/2012, così come nel testo della legge n.56 del 2014 – si fondano sulla automatica coincidenza con il territorio della Provincia omonima.

Coincidenza che tuttavia non sembrerebbe del tutto rispettosa dell’esigenza – evidenziata anche in studi accurati sulle caratteristiche della conurbazione sul territorio nazionale (cfr. Studio dell’Istituto Censis del novembre 2013; Castelnovi, M., a cura di, Il riordino territoriale dello Stato, riflessioni e proposte della geografia italiana, Roma, 2013) – di determinare il territorio della Città metropolitana non già secondo aprioristici automatismi, bensì in applicazione di canoni fondati sull’oggettiva identificabilità di realtà socio-economico-culturali omogenee.

  1. La questione della coincidenza, anche quale risposta ai profili di maggiore perplessità evidenziati dalla sentenza della C.
  2. Cost.n.220/2013 in ordine alla perimetrazione dall’alto delle nuove geometrie istituzionali, viene in parte risolta dalla possibilità riconosciuta ai comuni, compresi i comuni capoluoghi delle province limitrofe, ai sensi dell’articolo 133, I comma, Cost., di prendere iniziativa per la modifica delle circoscrizioni provinciali limitrofe e per l’adesione alla città metropolitana.

Proposta di modifica subordinata al parere positivo della Regione interessata e a un procedimento di intesa, promosso dal Governo, tra i comuni interessati e la Regione, nelle ipotesi in cui quest’ultima abbia espresso parere contrario (art.1, co.6, l.n.56/2014).

Aspetto quest’ultimo che risulterebbe più rispettoso del legame tra popolazione e territorio, nonché dello spirito della riforma, in linea con il sistema francese delle autonomie locali fondato su di una rete istituzionale intercomunale (Auby, J.B.-Auby, J.F.-Rozen, N., Droit des collectivités locales, Paris, 2009, 174 ss.).

Incertezze residuano anche relativamente alle modalità di elezione degli organi della Città metropolitana, che, ferme restando le competenze della legge statale in materia elettorale, risultano espressione del carattere anfibio del prototipo: da un lato, infatti, la fisionomia associativa (dei comuni dell’area urbana) risulterebbe maggiormente coerente con l’elezione indiretta degli organi, mentre dall’altro alla funzione di organo di governo autonomo sarebbe più confacente l’elezione a suffragio universale del sindaco e del consiglio metropolitano (che possono essere previste dallo Statuto a condizione di aver previamente articolato il comune capoluogo in più Comuni distinti).

Ragioni di incertezza che deriverebbero anche dallo scarto tra le fattezze giuridiche che le Città metropolitane dovrebbero assumere in sintonia con il quadro europeo e la configurazione che sembrerebbe loro derivare dall’attuale disciplina legislativa (e dalla futura riforma costituzionale), non sempre compatibile con i tratti distintivi di un ente politico.

La l.n.56/2014 individua nel 1.1.2015 la data nella quale le città metropolitane subentreranno alle province omonime, succedendo ad esse in tutti i rapporti attivi e passivi, e ne eserciteranno le funzioni; alla predetta data il sindaco del comune capoluogo assumerà le funzioni di sindaco metropolitano e la città metropolitana opererà con proprio statuto e propri organi, così iniziando ad esercitare le sue nuove funzioni.

Quali sono le competenze delle province?

Lgs.31 marzo 1998, n.112) Sono attribuite alle Province le funzioni di progettazione, costruzione e manutenzione della rete stradale regionale e provinciale, ivi compresi gli interventi di nuova costruzione e miglioramento, nonché i compiti di vigilanza.

Quale Regione ha solo due province?

Trentino-Alto Adige Regione a statuto speciale dell’Italia nord-orientale (13.605 km 2 con 1.078.069 ab. nel 2020, ripartiti in 291 Comuni; densità 79 ab./km 2 ), che comprende le due province autonome di Trento (Trentino) e Bolzano (Alto Adige).

Quale Regione ha una sola Provincia?

Regioni italiane per numero di province

Regione Densità abitanti/km²
1. Lombardia 418
2. Toscana 160
3. Emilia-Romagna 197
4. Sicilia 186

Quali province sono state abolite?

Province d’Italia soppresse –

  • L’antica provincia di Terra di Lavoro, soppressa nel 1927 e suddivisa tra le allora province di Roma, Napoli, Campobasso e Benevento e la neocostituita provincia di Frosinone. La provincia di Terra di Lavoro, istituita nel 1861 in seguito all’annessione dal Regno delle Due Sicilie, comprendeva buona parte dell’attuale Lazio meridionale (storicamente territorio campano, con il Circondario di Sora, Cassino, Pontecorvo e il Circondario di Gaeta ), nonché tutta l’attuale provincia di Caserta, alcuni comuni oggi in provincia di Avellino e nella città metropolitana di Napoli (con la città di Nola ), più parte delle province di Isernia e Benevento, Il capoluogo di provincia era Caserta,
  • La provincia di Aosta (1927-1945) è stata una provincia del Piemonte, comprendente i circondari di Aosta e Ivrea; nel 1948 la parte corrispondente al circondario di Aosta è stata trasformata nella Regione Autonoma della Valle d’Aosta, che svolge anche le funzioni provinciali.

La Terra di Lavoro nel 1905

  • Le province di Genova, Torino, Milano, Venezia, Bologna, Firenze, Roma, Bari, Napoli, Reggio Calabria, Messina, Catania, Palermo e Cagliari sono state sostituite nel 2015 dalle città metropolitane omonime.
  • Le province siciliane di Agrigento, Caltanissetta, Enna, Ragusa, Siracusa e Trapani sono state sostituite nel 2015 con gli omonimi liberi consorzi comunali,
  • Le province sarde di Carbonia-Iglesias, Medio Campidano, Ogliastra e Olbia-Tempio sono state abrogate nel 2016 in attuazione della riforma degli enti locali scaturita dai risultati dei referendum sardi del 2012, I territori delle prime due sono divenuti parte della nuova provincia del Sud Sardegna insieme ai comuni della provincia di Cagliari esterni alla omonima città metropolitana e al comune di Genoni proveniente dalla provincia di Oristano; quelli dell’Ogliastra sono stati inglobati nella provincia di Nuoro (tranne Seui che è andato al Sud Sardegna), così come quelli di Olbia-Tempio in quella di Sassari, Negli ambiti delle preesistenti province – ridenominate Zone Omogenee – è comunque garantito l’esercizio autonomo delle funzioni provinciali e l’erogazione dei relativi servizi, sia pure formalmente nell’ambito delle nuove suddivisioni provinciali, fino alla definitiva soppressione di tutte le province,
  • Le province di Trieste, Gorizia e Pordenone, ai sensi della L.R.26/2014 e successive modifiche, sono state messe in liquidazione dal 1º gennaio 2017 e definitivamente cancellate il 30 settembre 2017, La provincia di Udine è rimasta attiva fino al 22 aprile 2018, Le competenze provinciali sono state distribuite tra la Regione e le 18 Unioni Territoriali Intercomunali (UTI). I comuni di Trieste, Udine, Pordenone e Gorizia mantengono comunque le prerogative connesse alla qualificazione di “capoluogo di provincia” previste dalla normativa statale e regionale,

Su cosa possono legiferare le Regioni?

Competenza residuale esclusiva delle Regioni – Spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato; per questa fattispecie si parla di competenza residuale delle Regioni come dispone l’art.117 comma 4 della Costituzione.

La competenza legislativa residuale ed esclusiva delle Regioni italiane va intesa alla luce del fatto che tra le materie formalmente attribuite dall’art 117 co.2 Cost. alla competenza legislativa esclusiva dello Stato vi sono delle “competenze finalistiche” (in particolare quelle di cui alle lettere m) e s) dell’art 117 co.2 Cost), e in questo caso la disposizione costituzionale più che una materia individua un “fine”, per il perseguimento del quale lo Stato è legittimato anche a invadere con sue norme le materie di competenza residuale regionale.

Si pensi alla materia “tutela della concorrenza” ai sensi della lettera e) del comma 2 dell’art 117 Cost. che ha legittimato l’annullamento di norme regionali reputate incostituzionali laddove imponevano di preferire prodotti alimentari “a chilometro zero” nei servizi di ristorazione scolastica,

  1. Si pensi alla “tutela dell’ambiente e dell’ecosistema” di cui alla lettera s) del comma 2 dell’art.117 Cost.
  2. La cui nozione è stata, nella pratica e nella giurisprudenza, interpretata così ampiamente da consentire allo Stato di disciplinare con sue leggi la gestione dei corpi idrici, la difesa del suolo, la biodiversità, lo sviluppo rurale, la tutela della salubrità degli alimenti, tanto che appare risibile scorgere nelle materie implicitamente ricomprese nella potestà legislativa residuale ed esclusiva delle regioni l’ “agricoltura” (se nei fatti le Regioni continuano a esercitare funzioni amministrative e ad emanare norme in materia di agricoltura ciò non significa che esse siano pienamente titolari della competenza legislativa in tale materia, perché l’esercizio di quelle funzioni ben può avvenire a titolo di “delega” da parte dello Stato o a titolo di “attribuzione” con legge dello Stato di definite competenze “amministrative”: con la riforma costituzionale del 2001 si è infatti superato il principio di “parallelismo” tra competenze legislative e amministrative regionali).
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Va soprattutto chiarito che dal punto di vista giuridico, (contrariamente ad un’impostazione economicistica diffusa che confonde l’insieme dei “carichi di lavoro” affidati ad un Ente territoriale con l’autonomia dell’Ente territoriale), i procedimenti amministrativi o gli atti amministrativi attribuiti con legge dello Stato alle Regioni, non integrano assolutamente una autonomia normativa regionale.

Emblematico in questo senso è il sistema di gestione delle risorse idriche e delle concessioni idriche in agricoltura che rientra pienamente nella competenza legislativa dello Stato ai sensi della lettera s) del comma 2 dell’art.117 Cost. tanto da essere tuttora disciplinato dal testo unico sulle acque pubbliche e sulle reti elettriche di cui al Regio decreto n.1775 del 1933 e da diversi decreti ministeriali del Ministero dell’ambiente e delle politiche agricole alimentari e forestali recanti linee guida alle Regioni.

Oltretutto in materia di agricoltura la competenza legislativa delle Regioni subisce attualmente una pesante limitazione da parte del diritto comunitario che sostanzialmente riserva alle Regioni italiane alcuni procedimenti amministrativi e alcuni atti politici di indirizzo, senza una sostanziale possibilità di autonoma produzione legislativa regionale.

Basti pensare che i Programmi di sviluppo rurale delle Regioni italiane (che riassumono la maggior parte dell’azione regionale in materia di agricoltura) sono degli atti amministrativi generali (e quindi non sono espressione di potestà legislativa) sono sottoposti all’approvazione della Commissione europea e devono disporre solo all’interno di un catalogo di misure fissato da una fonte comunitaria subordinata costituita da un regolamento esecutivo della Commissione europea,

(In effetti la subordinazione di un ente politico inferiore a fonti normative di dettaglio, ad esempio regolamenti esecutivi, emanate da un’istituzione superiore è di per sé sintomatica di scarsa autonomia dell’ente inferiore).

Quali sono le competenze di un Comune?

Spettano al Comune tutte le funzioni amministrative che riguardano la popolazione ed il territorio comunale; il Comune gestisce i servizi elettorali, di stato civile, di anagrafe, di leva militare e di statistica.

Quante sono le province italiane 2022?

Il territorio italiano è suddiviso in 107 aree territoriali: 100 enti amministrativi di secondo livello (80 province, 14 città metropolitane e 6 liberi consorzi comunali in Sicilia)

Chi governa la città metropolitana?

Nell’ordinamento giuridico italiano il sindaco metropolitano è l’organo monocratico a capo del governo di una città metropolitana, ente territoriale entrato in vigore in Italia il 1º gennaio 2015.

Quali sono le 8 competenze?

1) competenza alfabetica funzionale; 2) competenza multilinguistica; 3) competenza matematica e competenza in scienze, tecnologie e ingegneria; 4) competenza digitale; 5) competenza personale, sociale e capacità di imparare ad imparare; 6) competenza in materia di cittadinanza; 7) competenza imprenditoriale; 8 )

Perché la Regione non è un ente locale?

La Classificazione degli Enti Locali – Secondo la disciplina di settore, basata sul Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali (d.lgs.267/2000), per Enti Locali si intendono :

  • i Comuni;
  • le Province;
  • le Città metropolitane;
  • le Comunità montane;
  • le Comunità isolane;
  • le Unioni di Comuni.

Non sono enti locali le Regioni, alle quali è attribuita, oltre che la potestà regolamentare, anche la potestà legislativa. Le regioni italiane, così come lo Stato, condividono tuttavia con gli enti locali il carattere di enti territoriali della Repubblica.

  • gli ulteriori enti territoriali elencati nell’art.2 del D.Lgs.267/2000 e disciplinati dallo stesso decreto legislativo, ossia le comunità montane, le comunità isolane, le unioni di comuni e i consorzi fra enti territoriali;
  • gli enti locali, ma non territoriali, previsti da altre leggi statali, tra i quali si possono annoverare le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, le aziende sanitarie locali, gli ordini professionali ed altri;
  • gli enti locali previsti da leggi regionali.

Non si possono, invece, considerare enti locali le circoscrizioni di decentramento comunale poiché non sono dotate di personalità giuridica e, quindi, non sono enti pubblici ma organi del comune, seppur complessi e dotati di autonomia.

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Qual è la più piccola regione d’Italia?

Superfici delle unità amministrative a fini statistici L’estensione totale del territorio nazionale (ovvero la somma delle superfici degli 8.092 comuni italiani al 9 ottobre 2011) ammonta a 302.070,8 kmq. È questo il valore che emerge ai fini statistici dagli archivi cartografici a disposizione dell’Istat (le Basi Territoriali) aggiornati – in stretta collaborazione con i comuni – in occasione dei censimenti generali del 2011 e calcolato mediante strumenti GIS.

  • Tra le ripartizioni geografiche, il Mezzogiorno è quella con la maggiore estensione territoriale, rappresenta, infatti, il 41% della superficie nazionale.
  • La ripartizione del Nord-ovest e quella del Centro hanno all’incirca la stessa estensione (19,2% della superficie nazionale), mentre il Nord-est risulta leggermente più esteso (20,6% del totale).

La Sicilia, con una superficie di 25.832,4 kmq (pari all’8,6% del totale nazionale), è la più grande regione italiana, seguita dal Piemonte (25.387,1 kmq, 8,4% del totale) e dalla Sardegna (24.100,0 kmq, 8%). Le regioni di minore dimensione sono la Valle d’Aosta (3.260,9 kmq, 1,1% del totale), il Molise (4.460,6 kmq, 1,5%) e la Liguria (5.416,2 kmq, 1,8%).

La provincia più estesa è quella di Bolzano/ Bozen con quasi 7.400 kmq (2,4% del totale nazionale), seguita a breve distanza da quelle di Foggia (poco più di 7.000 kmq, pari al 2,32% del totale) e Cuneo (6.894,9 kmq, 2,28%). La provincia più piccola è quella di Trieste con appena 212,5 kmq; che è preceduta dalle province di Prato (365,7 kmq), Monza e della Brianza (405,4 kmq) e Gorizia (467,1 kmq).

Sono 11 le province con oltre 5.000 kmq di estensione territoriale e rappresentano il 23% del territorio nazionale; 11 risultano anche quelle con meno di 1.000 kmq. Con 1.287,4 kmq, il comune di Roma risulta il più esteso d’Italia e rappresenta ben lo 0,4% dell’intero territorio nazionale.

  1. Seguono, in ordine decrescente di estensione, i comuni di Ravenna (RA), Cerignola (FG), Noto (SR), Sassari (SS), Monreale (PA), Gubbio (PG) e Foggia (FG), con valori compresi tra 653,8 e 509,3 kmq.
  2. I comuni con un’estensione superiore ai 250 kmq sono soltanto 67, ma interessano l’8,1% della superficie complessiva nazionale.

Per informazioni Orietta Gargano tel.06 4673.4424 : Superfici delle unità amministrative a fini statistici

Qual è la regione più lunga d’Italia?

Regioni italiane per superficie

Regione Superficie km²
1. Sicilia 25.832,55
2. Piemonte 25.386,70
3. Sardegna 24.099,45
4. Lombardia 23.863,10

Qual è la regione più felice d’Italia?

1º – Puglia Ad occupare il primo posto, per ora, è la Puglia! Uno scrigno d’arte, storia e natura, la regione è considerata da moltissimi come la terra del sole e dell’ospitalità.

Qual è la città più grande in Italia?

Città italiane con più di 60.000 abitanti

Città Superficie km²
1. ROMA 1.287,24
2. MILANO 181,68
3. NAPOLI 118,94
4. TORINO 130,06

Qual è la regione più bella del mondo?

Per il secondo anno consecutivo la Puglia si conferma la regione più bella del mondo. Il National Geographic ha assegnato al tacco d’Italia il ‘Best Value Travel Destination In The World Prize’.

Che fine hanno fatto le province?

Riforma Delrio – Con la legge nº 56 del 7 aprile 2014, le province delle regioni ordinarie sono state trasformate in enti amministrativi di secondo livello con elezione dei propri organi a suffragio ristretto, ed è stata prevista la trasformazione di dieci province in città metropolitane,

La legge in oggetto ha abolito la Giunta provinciale, redistribuendo le deleghe di governo all’interno del Consiglio provinciale, molto ridimensionato nel numero dei suoi membri, e introducendo così un’inedita forma di governo presidenziale pura, del tutto nuova alla vita politica italiana repubblicana.

Un nuovo organo, l’ Assemblea dei sindaci, assume il compito di deliberare il bilancio ed eventuali modifiche statutarie. Sono previste inoltre forme particolari di autonomia per le province montane, individuate con legge regionale, In Sicilia le province sono state commissariate da due anni, in attesa di un progetto di riforma, così come accaduto con le nuove province sarde, abolite per referendum popolare.

Nel 2015 vengono istituiti sei liberi consorzi comunali e le città metropolitane di Palermo, Catania e Messina, senza peraltro staccarsi dalla normativa nazionale e limitandosi a puri mutamenti lessicali. Solo in Sardegna la creazione della città metropolitana di Cagliari fu un atto di autentica riforma, applicando il nuovo ente alla sola conurbazione del capoluogo così come concepito dal legislatore del 1990.

Norme del tutto diverse invece regolano la vita istituzionale nelle comunità autonome di Aosta, Bolzano e Trento, In Friuli-Venezia Giulia, a seguito di una modifica dello statuto speciale della regione, venne votata una riforma che prevedeva l’abolizione delle province man mano che sarebbero giunti a scadenza i rispettivi consigli provinciali.

Quali province sono state abolite?

Province d’Italia soppresse –

  • L’antica provincia di Terra di Lavoro, soppressa nel 1927 e suddivisa tra le allora province di Roma, Napoli, Campobasso e Benevento e la neocostituita provincia di Frosinone. La provincia di Terra di Lavoro, istituita nel 1861 in seguito all’annessione dal Regno delle Due Sicilie, comprendeva buona parte dell’attuale Lazio meridionale (storicamente territorio campano, con il Circondario di Sora, Cassino, Pontecorvo e il Circondario di Gaeta ), nonché tutta l’attuale provincia di Caserta, alcuni comuni oggi in provincia di Avellino e nella città metropolitana di Napoli (con la città di Nola ), più parte delle province di Isernia e Benevento, Il capoluogo di provincia era Caserta,
  • La provincia di Aosta (1927-1945) è stata una provincia del Piemonte, comprendente i circondari di Aosta e Ivrea; nel 1948 la parte corrispondente al circondario di Aosta è stata trasformata nella Regione Autonoma della Valle d’Aosta, che svolge anche le funzioni provinciali.

La Terra di Lavoro nel 1905

  • Le province di Genova, Torino, Milano, Venezia, Bologna, Firenze, Roma, Bari, Napoli, Reggio Calabria, Messina, Catania, Palermo e Cagliari sono state sostituite nel 2015 dalle città metropolitane omonime.
  • Le province siciliane di Agrigento, Caltanissetta, Enna, Ragusa, Siracusa e Trapani sono state sostituite nel 2015 con gli omonimi liberi consorzi comunali,
  • Le province sarde di Carbonia-Iglesias, Medio Campidano, Ogliastra e Olbia-Tempio sono state abrogate nel 2016 in attuazione della riforma degli enti locali scaturita dai risultati dei referendum sardi del 2012, I territori delle prime due sono divenuti parte della nuova provincia del Sud Sardegna insieme ai comuni della provincia di Cagliari esterni alla omonima città metropolitana e al comune di Genoni proveniente dalla provincia di Oristano; quelli dell’Ogliastra sono stati inglobati nella provincia di Nuoro (tranne Seui che è andato al Sud Sardegna), così come quelli di Olbia-Tempio in quella di Sassari, Negli ambiti delle preesistenti province – ridenominate Zone Omogenee – è comunque garantito l’esercizio autonomo delle funzioni provinciali e l’erogazione dei relativi servizi, sia pure formalmente nell’ambito delle nuove suddivisioni provinciali, fino alla definitiva soppressione di tutte le province,
  • Le province di Trieste, Gorizia e Pordenone, ai sensi della L.R.26/2014 e successive modifiche, sono state messe in liquidazione dal 1º gennaio 2017 e definitivamente cancellate il 30 settembre 2017, La provincia di Udine è rimasta attiva fino al 22 aprile 2018, Le competenze provinciali sono state distribuite tra la Regione e le 18 Unioni Territoriali Intercomunali (UTI). I comuni di Trieste, Udine, Pordenone e Gorizia mantengono comunque le prerogative connesse alla qualificazione di “capoluogo di provincia” previste dalla normativa statale e regionale,

Chi ha sostituito le province?

Le città metropolitane sono quattordici “enti territoriali di area vasta” che hanno sostituito le province omonime. La Legge 7 aprile 2014 n.56 ( Legge Delrio ) disciplina le dieci città metropolitane delle regioni a statuto ordinario, i cui territori coincidono con quelli delle preesistenti province: Roma Capitale, Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria.

A queste si aggiungono le quattro città metropolitane delle regioni a statuto speciale: Cagliari, Catania, Messina, Palermo. Le città metropolitane, come le Province italiane, sono enti di secondo livello governati da organi eletti tra i sindaci ed i consiglieri dei comuni ricompresi nella città metropolitana stessa.

: clicca sull’intestazione per cambiare l’ordinamento

Città Metropolitana Popolazione residenti al 01/01/2022 Superficie km² Densità abitanti/km² Numero Comuni
Denominazione Comune capoluogo
1. Città Metropolitana di BARI Bari (316.140 ab.) 1.224.756 3.863 317 41
2. Città Metropolitana di BOLOGNA Bologna (392.203 ab.) 1.015.701 3.702 274 55
3. Città Metropolitana di CAGLIARI Cagliari (148.881 ab.) 419.770 1.249 336 17
4. Città Metropolitana di CATANIA Catania (298.324 ab.) 1.068.835 3.574 299 58
5. Città Metropolitana di FIRENZE Firenze (367.150 ab.) 994.717 3.514 283 41
6. Città Metropolitana di GENOVA Genova (560.688 ab.) 816.250 1.834 445 67
7. Città Metropolitana di MESSINA Messina (220.094 ab.) 599.990 3.266 184 108
8. Città Metropolitana di MILANO Milano (1.371.498 ab.) 3.237.101 1.575 2.055 133
9. Città Metropolitana di NAPOLI Napoli (914.758 ab.) 2.967.117 1.179 2.517 92
10. Città Metropolitana di PALERMO Palermo (630.828 ab.) 1.199.626 5.009 239 82
11. Città Metropolitana di REGGIO CALABRIA Reggio Calabria (171.800 ab.) 518.978 3.210 162 97
12. Città Metropolitana di ROMA CAPITALE Roma (2.761.632 ab.) 4.222.631 5.363 787 121
13. Città Metropolitana di TORINO Torino (848.885 ab.) 2.205.104 6.827 323 312
14. Città Metropolitana di VENEZIA Venezia (254.661 ab.) 839.396 2.473 339 44
Città Metropolitane 21.329.972 46.638 457 1.268
% su Italia 36,2% 15,4% 16,0%
Italia 58.983.122 302.068 195 7.904

Gli organi delle Città Metropolitane sono il sindaco, il consiglio e la conferenza. Il sindaco metropolitano è di diritto il sindaco del comune capoluogo.

Quando sono state istituite le province?

Storia La storia delle Province affonda le sue origini negli anni immediatamente precedenti all’Unità d’Italia. Infatti, la loro istituzione risale al Regno Sabaudo quando correva l’anno 1859 e Urbano Rattazzi propose il nuovo ordinamento amministrativo con i comuni e le province.

Nel 1946, con il passaggio dalla Monarchia alla Repubblica, i Padri Costituenti le confermarono inserendole nella Carta Costituzionale e per un’altra ventina di anni nessuno ha più messo in discussione la loro ragione di esistere fino a quando nel 1970 il parlamento italiano ha deciso di dare alla luce una nuova istituzione e cioè le Regioni a statuto ordinario.

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Improvvisamente si cominciò a parlare della possibilità di sopprimerle e il primo a farlo fu Ugo La Malfa, sostenendo in un editoriale sul quotidiano di partito La Voce Repubblicana che il loro costo “diventa sempre più alto, mentre le funzioni sempre più prive di contenuto”.

  1. In effetti, nel corso degli anni, il loro ruolo burocratico si è ridotto drasticamente (scuole, strade e poco altro), mentre in maniera inversamente proporzionale è aumentato a dismisura il loro costo.
  2. Nel 1950 gravavano sullo Stato per 86 miliardi di lire; oggi, secondo l’ultimo dato fornito da Enrico Bondi, il manager chiamato dal premier Monti per cercare di tagliare il più possibile gli sprechi, le Province costerebbero allo Stato ben 2,3 miliardi di euro l’anno.

Alla stessa maniera è aumentato anche il numero dei dipendenti pubblici: nel 1971 erano quasi 54mila, nel 1988 erano aumentati di ventimila unità arrivando a 74 mila persone e oggi superano i cento mila. La seconda volta che si parlò di una probabile loro abolizione fu tra il 1989 e il 1990 quando in Parlamento si discuteva del disegno di legge sul nuovo Ordinamento delle autonomie locali.

Il risultato finale fu l’abolizione del limite minimo di 200 mila abitanti e la costituzione di nuove province e, addirittura, alcune anche a tre teste (Barletta – Andria – Trani) proprio per non scontentare nessuno. Ma quelli erano gli anni della spesa facile. Oggi questa elefantiaca macchina, è costituita da ben 107 enti e, particolare non di poco conto, è che di queste, 24 fanno parte delle cinque Regioni a statuto speciale (17 si trovano in Sardegna e Sicilia) e che guarda caso non possono essere colpite dalla scure della spending review,

Le Province e l’istruzione. L’edilizia scolastica – Il ruolo e le funzioni dal punto di vista legislativo 1. A partire dal 1996, a seguito della Legge 23 “Norme sull’edilizia scolastica”, alle Province sono assegnate le funzioni di:

manutenzione ordinaria e straordinaria degli edifici: messa in sicurezza degli edifici, messa a norma degli impianti; costruzione di nuove scuole; spese per le utenze elettriche e telefoniche, per la provvista dell’acqua e del gas, per il riscaldamento ed per i relativi impianti; spese varie di ufficio e per l’arredamento delle aule: banchi, sedie, aule multimediali, laboratori, etc.

In sostanza, secondo tale legge per gli edifici scolastici ed il diritto allo studio, i Comuni hanno competenza nei settori della scuola dell’infanzia, della scuola primaria e della scuola secondaria di I grado; le Province hanno competenza per gli istituti di istruzione secondaria di II grado.2.

l’istituzione, l’aggregazione, la fusione e la soppressione di scuole; i servizi di supporto organizzativo per gli alunni con handicap o in situazione di svantaggio (trasporto disabili); il piano di utilizzazione degli edifici e di uso delle attrezzature; la sospensione delle lezioni in casi gravi e urgenti,

3. Accanto alle funzioni assegnate dalle Leggi, le Province hanno – negli anni – assunto un ruolo determinante nel garantire uno sviluppo qualitativo degli edifici, modernizzando il patrimonio scolastico. In particolare sono stati realizzati importanti interventi in materia di efficientamento energetico, installazione di impianti fotovoltaici e introduzione del Wi-fi nelle scuole.4.

La riforma della Costituzione del 2001 ha ridefinito i livelli istituzionali di competenza, attribuendo allo Stato il potere di definire le norme generali del sistema di istruzione e alle Regioni e agli Enti territoriali la competenza di organizzare il servizio d’istruzione e formazione sul territorio.

Stato e Regioni devono comunque concorrere a definire insieme molte funzioni inerenti al sistema di istruzione ed all’istruzione e formazione professionale. Tutte le scuole, per quanto riguarda obiettivi formativi e di apprendimento, contenuti dell’insegnamento e ordinamenti scolastici, sono vincolate alle norme generali definite dallo Stato.

  1. Anche il Ministero dell’Istruzione, come gli altri ministeri, agli inizi del duemila è stato riformato, e ha trasferito poteri e competenze in sede regionale e territoriale.
  2. In tutte le regioni sono nati gli Uffici scolastici regionali statali, alle dipendenze di un direttore generale per l’istruzione.

Contemporaneamente, sempre nella logica del decentramento e del rafforzamento dell’autonomia territoriale, talune funzioni e competenze amministrative già del ministero dell’istruzione sono state trasferite alle Regioni, ai Comuni e alle Province (ad esempio: calendario scolastico, programmazione dell’offerta formativa integrata di istruzione e formazione, distribuzione della rete scolastica sul territorio, istituzioni e chiusura di scuole, diritto allo studio, borse di studio ecc.).

Fino a poco più di un decennio fa, Comuni e Province avevano nei confronti della scuola statale un prevalente ruolo di servizio. Fornivano i locali, l’illuminazione, il riscaldamento, l’approvvigionamento idrico, i servizi telefonici. Per gli edifici scolastici, di cui normalmente Comuni e Province sono anche proprietari, avevano l’obbligo di sostenere le spese per la manutenzione ordinaria e straordinaria.

Tutti questi servizi sono rimasti, ma una norma sul decentramento amministrativo e sul trasferimento di funzioni dallo Stato agli enti territoriali (cfr. decreto legislativo 112/1998) ha assegnato a Comuni e Province competenze amministrative anche in campo scolastico, in precedenza a carico dello Stato.

l’istituzione, l’aggregazione, la fusione e la soppressione di scuole in attuazione degli strumenti di programmazione; la redazione dei piani di organizzazione della rete delle istituzioni scolastiche; i servizi di supporto organizzativo del servizio di istruzione per gli alunni con handicap o in situazione di svantaggio; il piano di utilizzazione degli edifici e di uso delle attrezzature, d’intesa con le istituzioni scolastiche; la sospensione delle lezioni in casi gravi e urgenti; le iniziative e le attività di promozione relative all’ambito delle funzioni conferite; la costituzione, i controlli e la vigilanza, ivi compreso lo scioglimento, sugli organi collegiali scolastici a livello territoriale.

Inoltre i Comuni, anche in collaborazione con le Comunità montane e le Province, ciascuno in relazione ai gradi di istruzione di propria competenza (v. sotto), esercitano, anche d’intesa con le istituzioni scolastiche, iniziative relative a:

educazione degli adulti; interventi integrati di orientamento scolastico e professionale; azioni tese a realizzare le pari opportunità di istruzione; azioni di supporto tese a promuovere e sostenere la coerenza e la continuità in verticale e orizzontale tra i diversi gradi e ordini di scuola; interventi perequativi; interventi integrati di prevenzione della dispersione scolastica e di educazione alla salute,

La riforma del Titolo V, parte seconda, della Costituzione ha confermato le competenze già attribuite, ma per altro verso ne ha allargato l’ambito. Le Province, oltre a detenere il potere di chiusura e istituzione di scuole come sopra indicato alla lettera a), insieme a tutti i Comuni della provincia hanno anche il compito, periodicamente, di formalizzare le proposte di dimensionamento delle istituzioni scolastiche secondo i criteri stabiliti dalla Regione.

Legge DELRIO n.56 del 2014 La questione della soppressione delle Province italiane – che il Senato ha votato per decretarne la progressiva cancellazione con 166 sì e 133 no – è l’ennesimo caso che si aggiunge a tutti gli innumerevoli e spesso vani tentativi di modificare l’architettura dello Stato e della macchina burocratica.

Come sempre ci sono i favorevoli e i contrari, i costituzionalisti che sostengono la teoria della cancellazione e coloro che, invece, affermano l’importanza dell’ente. Il Presidente del Censis a novembre 2013, quando il ministro Del Rio del governo Letta incoraggiava una simile riforma, dichiarava che ” la dimensione territoriale provinciale rimarrà centrale nei destini del nostro Paese.

E questo vale a maggior ragione oggi, nell’attuale fase di crisi economica e finanziaria e di grande difficoltà della società civile “. Con la legge 7 aprile 2014 n°56 le province delle regioni ordinarie sono state trasformate in enti amministrativi di secondo livello con elezione dei propri organi a suffragio ristretto, mentre contestualmente è stata prevista la trasformazione di dieci province in città metropolitane,

La legge in oggetto ha abolito la Giunta provinciale, redistribuendo le deleghe di governo all’interno del Consiglio provinciale, molto ridimensionato nel numero dei suoi membri, e introducendo così un’inedita forma di governo presidenziale pura, del tutto nuova alla vita politica italiana repubblicana.

  • Un nuovo organo, l’Assemblea dei sindaci, assume il compito di deliberare il bilancio ed eventuali modifiche statutarie.
  • In Friuli-Venezia Giulia è stata votata una riforma simile, che differisce però per il mantenimento della Giunta, una maggiore numerosità dei consigli, e soprattutto il ritorno ad una forma di governo parlamentare con un Presidente cambiabile dal Consiglio tramite una sfiducia costruttiva,

In Sicilia le province sono state commissariate da due anni, in attesa di un progetto di riforma, così come accaduto con le nuove province sarde, Norme del tutto diverse invece regolano la vita istituzionale nelle comunità autonome di Aosta, Bolzano e Trento,

Più dettagliatamente: Il MAXIEMENDAMENTO Le città metropolitane sono nove: Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Napoli, Bari, Reggio Calabria, alle quali si aggiunge Roma Capitale a cui è dedicato un capitolo a parte del provvedimento visto il suo status di capitale. A queste si aggiungono le città metropolitane istituite conformemente alla loro autonomia speciale dalle regioni Friuli – Venezia Giulia, Sicilia, Sardegna ossia Trieste, Palermo, Catania, Messina, Cagliari,

Il territorio delle città metropolitane coincide con quello della omonima provincia. Per quanto riguarda gli organi della città metropolitana, il disegno di legge indica: un sindaco metropolitano (il cui incarico è esercitato a titolo gratuito); due assemblee (presiedute dal medesimo sindaco), il consiglio metropolitano e la conferenza metropolitana.

  • Il consiglio metropolitano è l’organo di indirizzo e di controllo: approva regolamenti, piani, programmi, nonché ogni altro atto sottopostogli dal sindaco.
  • È il titolare dell’iniziativa circa l’elaborazione dello statuto e le sue modifiche, approva il bilancio (propostogli dal sindaco).
  • La conferenza metropolitana è organo deliberativo dello statuto e delle modifiche.

Ha inoltre funzione consultiva sul bilancio. La prima istituzione delle città metropolitane è stata prevista entro il 1° gennaio 2015. Il sindaco metropolitano è di diritto il sindaco del comune capoluogo. Il consiglio metropolitano è composto da 24 consiglieri nelle città con popolazione superiore ai 3 milioni di abitanti e da 18 consiglieri in quelle con popolazione superiore agli 800mila abitanti, 14 nelle altre.

  1. Il consiglio metropolitano è eletto dai sindaci e dai consiglieri comunali dei comuni della città metropolitana.
  2. Può nominare un vicesindaco (e delegargli stabilmente funzioni), scelto tra i consiglieri metropolitani, dandone immediata comunicazione al consiglio.
  3. Non è prevista l’istituzione di una giunta metropolitana – ma il sindaco metropolitano può assegnare, nel rispetto del principio di collegialità, deleghe a consiglieri metropolitani (consiglieri delegati) secondo le modalità e nei limiti stabiliti dallo statuto.

Le città metropolitane di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli sono costituite alla data di entrata in vigore della legge, a eccezione di Reggio Calabria che invece andrà alla scadenza naturale degli organi della provincia.

Di conseguenza i presidenti di provincia e le giunte provinciali restano in carica fino al 31 dicembre a titolo gratuito. Questa precisazione è stata introdotta dal governo nel maxiemendamento su cui è stata posta la fiducia su richiesta della commissione bilancio per una questione di copertura finanziaria della legge.

Le funzioni delle città metropolitane sono quelle fondamentali delle province e quelle delle città metropolitane attribuite entro il processo di riordino delle funzioni delle province; adozione e aggiornamento annuale del piano strategico triennale del territorio metropolitano (atto di indirizzo per gli enti del territorio metropolitano), nel rispetto delle leggi regionali nelle materie di loro competenza; pianificazione territoriale generale comprese le strutture di comunicazione, le reti di servizi e delle infrastrutture “appartenenti alla competenza” della città metropolitana; strutturazione di sistemi coordinati di gestione dei servizi pubblici, nonché organizzazione dei servizi pubblici di interesse generale di ambito metropolitano (per questo riguardo, la città metropolitana altresì può, d’intesa con i comuni interessati, predisporre documenti di gara, di stazione appaltante, di monitoraggio dei contratti di servizio e di organizzazione di concorsi e procedure selettive); mobilità e viabilità; promozione e coordinamento dello sviluppo economico e sociale; promozione e coordinamento dei sistemi di informatizzazione e di digitalizzazione.

  1. Infine ciascuna città metropolitana succede a titolo universale in tutti i rapporti attivi e passivi della provincia cui subentra.
  2. Le risorse della città metropolitana sono date dal patrimonio, dal personale e dalle risorse strumentali della provincia medesima.
  3. Le nuove province,
  4. Nelle nuove province il presidente è eletto dai sindaci e dai consiglieri comunali della provincia, dura in carica 4 anni, e deve essere un sindaco.

Sotto di lui ci sono il consiglio provinciale e l’assemblea dei sindaci, tutti ricoprono l’incarico a titolo gratuito. Per il consiglio provinciale hanno diritto di elettorato attivo e passivo i sindaci e i consiglieri dei comuni della provincia. La cessazione dalla carica comunale comporta la decadenza da consigliere provinciale.

Il voto anche in questo caso è ponderato. Il consiglio provinciale è l’organo di indirizzo e controllo, approva regolamenti, piani, programmi e approva o adotta ogni altro atto ad esso sottoposto dal presidente della provincia; ha altresì potere di proposta dello statuto e poteri decisori finali per l’approvazione del bilancio.

Alle province spettano le funzioni in ambito di: pianificazione territoriale provinciale di coordinamento, nonché tutela e valorizzazione dell’ambiente, per gli aspetti di competenza; pianificazione dei servizi di trasporto in ambito provinciale, autorizzazione e controllo in materia di trasporto privato, in coerenza con la programmazione regionale, nonché costruzione e gestione delle strade provinciali e regolazione della circolazione stradale ad esse inerente; programmazione provinciale della rete scolastica, nel rispetto della programmazione regionale; raccolta ed elaborazione dati ed assistenza tecnico-amministrativa agli enti locali; gestione dell’edilizia scolastica ; il ‘controllo’ dei fenomeni discriminatori in ambito occupazionale e promozione delle pari opportunità nel territorio provinciale.

Le funzioni trasferite dalla province continuano ad essere da loro esercitate, fino a quando un altro ente, regione o comune non subentreranno, questo avverrà con un decreto del Presidente del Consiglio Dei Ministri entro tre mesi dall’entrata in vigore della legge (se si tratti di competenza statale) o dalle Regioni entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge.

Infine per le province interessate dai commissariamenti e per quelle in cui i mandati elettorali scadono tra il 1° gennaio e il 30 giugno 2014, la legge di stabilità, in considerazione dell’assetto transitorio delle province, aveva già previsto che non si procedesse alle elezioni per il rinnovo ma si nominasse un commissario.

Risulta perciò superato il problema della “finestra elettorale” che stabilisce l’obbligo di svolgere le elezioni per il rinnovo degli organi provinciali esclusivamente nel periodo 15 aprile -15 giugno e di conseguenza anche senza la presente legge le province in questione non sarebbero state rinnovate.

Lì, 10.05.2015 L’ESTENSORE IL PRESIDENTE Giuseppina Filippelli Giorgio Germani Fonti :

Siti Internet: www.wikipedia.it ; www.tuttoscuola.com ; www.panorama.it Banca dati Ministero Istruzione