Cosa Succede Se Una Legge È Incostituzionale?

Cosa Succede Se Una Legge È Incostituzionale
GIUDIZIO -> COSTITUZIONALITÀ -> EFFETTI DELLA DICHIARAZIONE DI INCOSTITUZIONALITÀ La L.11 marzo 1953, n.87, art.30 stabilendo che “le norme dichiarate incostituzionali non possono avere applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione”, va interpretato nel senso che la decisione dichiarativa di incostituzionalità ha efficacia anche relativamente ai rapporti giuridici sorti anteriormente, purché ancora pendenti e cioè non esauriti, per tali dovendosi intendere quei rapporti nell’ambito dei quali non siano decorsi i termini di prescrizione o decadenza per l’esercizio dei relativi diritti e per i quali non si sia formato il giudicato. In tema di effetti della sopravvenuta declaratoria d’incostituzionalità su un giudizio in corso, un rapporto giuridico può definirsi “esaurito” soltanto se: – discende da un giudicato formatosi nell’applicazione della disciplina precedente alla pronuncia, _OMISSIS_,alità e che, pertanto, sopravvive alla sentenza ad efficacia retroattiva poiché fa ormai stato tra le parti, i loro eredi e gli aventi causa (art.2909 cod. civ.); – si connota per inoppugnabilità derivante dall’intervenuta prescrizione o decadenza della relativa situazione giuridica soggettiva. La dichiarazione d’illegittimità costituzionale di una norma rileva anche nei processi in corso, ma non incide sugli effetti irreversibili già prodottisi. Ciò perché la retroattività degli effetti della dichiarazione d’incostituzionalità incontra un limite negli effetti che la stessa, ancorché successivamente rimossa dall’ordinamento, abbia irrevocabilmente prodotto qualora resi intangibili dalla preclusione nascente o dall’esaurimento dello specifico rapporto giuridico disciplinato dalla norma espunta dall’ordinamento giuridico oppure dal maturare di prescrizioni e decadenze ovvero, ancora, dalla formazione del giudicato. La L.11 marzo 1953,, _OMISSIS_, stabilendo che “le norme dichiarate incostituzionali non possono avere applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione”, va interpretato nel senso che la decisione dichiarativa d’incostituzionalità ha efficacia anche relativamente ai rapporti giuridici sorti anteriormente, purché ancora pendenti e cioè non esauriti, per tali dovendosi intendere quei rapporti nell’ambito dei quali non siano decorsi i termini di prescrizione o decadenza per l’esercizio dei relativi diritti e per i quali non si sia formato il giudicato. Per rapporti esauriti si deve intendere quelle situazioni giuridiche consolidate ed intangibili, dove i rapporti tra le parti sono stati definiti anteriormente alla pronuncia d’illegittimità costituzionale per effetto di giudicato, d’intervenuta prescrizione o decadenza, di atti amministrativi non più impugnabili o di atti negoziali rilevanti sul piano sostanziale o processuale, nonostante l’inefficacia della n. _OMISSIS_, incostituzionale. Laddove infatti, anche tali rapporti ultimati e conclusi, venissero travolti dalla retroattività della pronuncia d’incostituzionalità, risulterebbe compromessa la certezza del diritto e dei rapporti giuridici, con violazione di uno dei principi cardine del nostro ordinamento. Come noto, in base al combinato disposto dell’art.136 Cost. e dell’art.30 L.11 marzo 1953 n.87, la pronuncia d’illegittimità costituzionale di una norma di legge determina la cessazione della sua efficacia erga omnes ed impedisce, dopo la pubblicazione della sentenza del Giudice delle leggi, che essa possa più essere comunque applicata ai rapporti giuridici in relazione ai quali risulti rilevante. I mutamenti normativi prodotti da pronunce d’illegittimità costituzionale, configurandosi come jus superveniens, impongono – in ogni stato e grado e quindi anche nella fase di cassazione – la disapplicazione della norma dichiarata illegittima e l’applica. _OMISSIS_,ula juris risultante dalle decisioni anzidette. Le pronunce di accoglimento del giudice delle leggi – dichiarative d’illegittimità costituzionale – eliminano la norma con effetto “ex tunc”, con la conseguenza che essa non è più applicabile, indipendentemente dalla circostanza che la fattispecie sia sorta in epoca anteriore alla pubblicazione della decisione, perché l’illegittimità costituzionale ha per presupposto l’invalidità originaria della legge – sia essa di natura sostanziale, procedimentale o processuale – per contrasto con un precetto costituzionale, fermo restando il principio che gli effetti dell’incostituzionalità non si estendono esclusivamente ai rapporti ormai esauriti in modo definitivo. E’ noto che le sentenze di accoglimento pronunciate dalla Corte costituzionale producono l’annullamento delle norme di legge dichiarate incostituzionali, con effetti erga omnes, non solo ex nunc, ma anche ex tunc, con il solo l. _OMISSIS_, rapporti esauriti. L’efficacia retroattiva delle pronunce d’illegittimità costituzionale, prevista in via generale dalla L.11 marzo 1953, n.87, art.30, comma 3 incontra un limite nell’eventuale consolidamento delle situazioni giuridiche nascenti dall’applicazione della norma dichiarata incostituzionale, in conseguenza dell’avvenuto esaurimento del relativo rapporto, potendosi legittimamente considerare esauriti, peraltro, i soli rapporti rispetto ai quali si sia formato il giudicato o si sia verificato un altro evento cui l’ordinamento collega la definizione del rapporto medesimo, ovvero si siano verificate preclusioni processuali o decadenze e prescrizioni non direttamente investite, nei loro presupposti normativi, dalla pronuncia d’incostituzionalità. Le sentenze di accoglimento di una questione di legittimità costituzionale pronunciate dalla Corte costituzionale hanno effetto retroattivo, in quanto connesse a una dichiarazione d’ille. _OMISSIS_,nficia fin dall’origine la disposizione colpita, con l’unico limite delle situazioni già consolidate. La sentenza dichiarativa dell’illegittimità costituzionale si traduce in un ordine rivolto, tra l’altro, ai giudici di non applicare più la norma illegittima: ciò significa che gli effetti della sentenza di accoglimento non riguardano soltanto i rapporti che sorgeranno in futuro, ma anche quelli che sono sorti in passato, purché non si tratti di rapporti esauriti. Per costante giurisprudenza, le sentenze di accoglimento di una questione di legittimità costituzionale pronunciate dalla Corte costituzionale hanno effetto retroattivo, in quanto connesse a una dichiarazione d’illegittimità che inficia fin dall’origine la dichiarazione colpita, con l’unico limite delle situazioni già consolidate, attraverso quegli eventi che l’ordinamento riconosce idonei a produrre tale effetto, tra i quali si collocano non solo la sentenza passata in giudicato (. _OMISSIS_,strativo non più impugnabile), ma anche altri fatti rilevanti sul piano sostanziale o processuale, quali, ad esempio, la prescrizione e la decadenza. Gli effetti della dichiarazione d’illegittimità costituzionale di una norma non si estendono ai rapporti già esauriti. Per rapporti già esauriti debbono intendersi non solo quelli coperti da giudicato, ma anche quelli rispetto ai quali o si è verificato altro evento cui l’ordinamento ricollega il definitivo consolidamento del rapporto medesimo o sono intervenute preclusioni processuali, decadenze o prescrizioni, non direttamente investite, nei loro presupposti normativi, dalla pronuncia d’incostituzionalità. Per costante giurisprudenza le sentenze di accoglimento di una questione di legittimità costituzionale pronunciate dalla Corte costituzionale hanno effetto retroattivo, in quanto connesse a una dichiarazione d’illegittimità che inficia fin dall’origine la dichiarazione colpita, con l’unico, _OMISSIS_,tuazioni già consolidate, attraverso quegli eventi che l’ordinamento riconosce idonei a produrre tale effetto, tra i quali si collocano non solo la sentenza passata in giudicato (e l’atto amministrativo non più impugnabile), ma anche altri fatti rilevanti sul piano sostanziale o processuale, quali, ad esempio, la prescrizione e la decadenza. GIUDIZIO -> COSTITUZIONALITÀ -> EFFETTI DELLA DICHIARAZIONE DI INCOSTITUZIONALITÀ -> SUL PROVVEDIMENTO E’ pacifico che i provvedimenti amministrativi, in ragione delle notorie esigenze di certezza dell’ordinamento, sono assistiti da una presunzione di validità superabile solo ove la contestazione intervenga nei ristretti termini decadenziali previsti dalla legge, ed il giudice, in accoglimento della domanda pronunci sentenza demolitoria. In tal senso, il provvedimento amministrativo non impugnato ben può considerarsi atto di definitiva regolazione del rapporto, non più controvertibile financ. _OMISSIS_,i sopravvenuta invalidità della legge che ne abbia fondato o disciplinato l’emanazione. I provvedimenti amministrativi, in ragione delle evidenti esigenze di certezza dell’ordinamento, sono assistiti da una presunzione di validità, superabile solo ove la contestazione intervenga nei ristretti termini decadenziali previsti dalla legge, ed il giudice, in accoglimento della domanda pronunci sentenza demolitoria. La sopravvenuta caducazione della legge non vale dunque ad invalidare anche i provvedimenti amministrativi non impugnati che ne abbiano fatto incontestata applicazione. Diverso è il caso in cui il provvedimento amministrativo sia stato tempestivamente impugnato, e proprio in ragione dell’incostituzionalità derivata che lo vizia. Può ammettersi che i vizi d’incostituzionalità vengano dedotti dal ricorrente nel corso del giudizio amministrativo, a seguito ed in ragione del sopravvenire dell’intervento caducatorio del G. _OMISSIS_,ggi. Dal punto di vista dogmatico questo non dovrebbe porre problemi poiché se la retroattività degli effetti demolitori è consentita dall’ordinamento nel giudizio amministrativo a quo (ossia nel giudizio in cui è sollevata questione di legittimità costituzionale), la prevalenza delle esigenze di effettività della tutela giurisdizionale non può essere esclusa negli altri giudizi in cui il vizio di costituzionalità possa essere ancora ritualmente introdotto. GIUDIZIO -> COSTITUZIONALITÀ -> EFFETTI DELLA DICHIARAZIONE DI INCOSTITUZIONALITÀ -> SUL PROVVEDIMENTO -> ILLEGITTIMITÀ Secondo l’orientamento della giurisprudenza amministrativa l’annullamento della legge non travolge, nel senso di farne cessare direttamente l’efficacia, l’atto amministrativo che ha fatto applicazione di essa, con l’ulteriore precisazione che, in linea di principio, la dichiarazione d’incostituzionalità della legge attributiva, _OMISSIS_,ministrativo non rende di per sé nulli i provvedimenti che ne hanno fatto applicazione, dovendo invece detti provvedimenti essere considerati affetti da illegittimità derivata, anche se parrebbe più appropriato affermare che l’atto, come nel caso di legge retroattiva, sia affetto da illegittimità sopravvenuta. La sopravvenuta dichiarazione d’illegittimità costituzionale della norma disciplinante il potere di adozione di un provvedimento oggetto di gravame giurisdizionale, comporta l’illegittimità derivata dell’atto stesso lì dove l’interessato abbia censurato la norma di che trattasi ancorché non sotto il profilo della poi dichiarata incostituzionalità. Si esclude che le sentenze di accoglimento della Corte Costituzionale possano incidere sulle situazioni giuridiche che, per ragioni diverse, non siano più suscettibili di essere dedotte in giudizio ai fini della loro tutela, come ad esempio, quando il provvedime. _OMISSIS_,ivo che incide sulla situazione giuridica del privato sia divenuto inoppugnabile per decorso del termine di proposizione del gravame. Il provvedimento amministrativo emanato in forza di una legge successivamente dichiarata incostituzionale va, pertanto, sottoposto alla disciplina dell’annullabilità: l’atto è efficace, ma può essere rimosso dal giudice amministrativo a seguito di impugnazione proposta entro i termini decadenziali previsti dalla legge. GIUDIZIO -> COSTITUZIONALITÀ -> EFFETTI DELLA DICHIARAZIONE DI INCOSTITUZIONALITÀ -> SUL PROVVEDIMENTO -> ILLEGITTIMITÀ -> RILEVABILITÀ D’UFFICIO La nullità è vizio che inficia radicalmente l’atto e per tale ragione, accanto ad un’azione di accertamento sottoposta a regime decadenziale dilatato, il codice del processo amministrativo ha previsto, all’art.31, comma 4, che la nullità dell’atto possa “sempre essere rilevata d’ufficio d. _OMISSIS_,o;. Il giudice deve applica.

Chi annulla le leggi incostituzionali?

Questo è il caso dell’ordinamento italiano, nel quale le norme di legge, statali e regionali, e di atti aventi forza di legge (decreti legislativi e decreti- legge ) possono essere annullate dalla Corte costituzionale.

Chi può dichiarare una legge incostituzionale?

Le decisioni della Corte – Quando è sollevata una questione di costituzionalità di una norma di legge, la Corte conclude il suo giudizio, se la questione è ritenuta fondata, con una pronuncia di accoglimento, che dichiara l’illegittimità costituzionale della norma, oppure con una pronuncia di rigetto, che dichiara la questione non fondata.

La questione può essere ritenuta invece non ammissibile, quando mancano i requisiti necessari per sollevarla (per esempio, perché il giudice non ha indicato il motivo per cui abbia rilevanza nel giudizio davanti a lui, o l’ha proposta in modo contraddittorio, o perché non riguarda una norma di legge; oppure, nel caso di ricorso diretto nelle controversie fra Stato e Regione, perché non è stato rispettato il termine per ricorrere, o anche perché mancano le indicazioni essenziali per individuare l’oggetto del ricorso).

Questo tipo di pronunce non è raro, specie nei giudizi incidentali, stante il grande numero di questioni sollevate dai giudici e la tendenza di questi, talora, a far ricorso alla Corte costituzionale per prospettare problemi che non sono propriamente di costituzionalità, ma di semplice interpretazione della legge.

Che cosa succede quando la Corte costituzionale dichiara l illegittimità costituzionale di una norma di legge?

Art.136 Art.136 (Opinioni dissenzienti ed effetti delle pronunce)

Le decisioni della Corte costituzionale sono pubblicate con le eventuali opinioni in dissenso dei giudici. Quando la Corte dichiara l’illegittimità costituzionale di una norma di legge, di un atto avente forza di legge o di un regolamento, la norma cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione, salvo che la Corte non stabilisca un termine diverso, comunque non superiore ad un anno. La sentenza è comunicata alle Camere, al Governo ed alle Assemblee regionali interessate affinché, ove lo ritengano necessario, provvedano nelle forme costituzionali.

Contenuto Pubblicazione delle decisioni della Corte con l’indicazione delle opinioni dissenzienti (comma primo) Viene introdotta la possibilità, non prevista dall’attuale testo costituzionale, della indicazione delle opinioni dissenzienti dei giudici rispetto alle decisioni adottate dalla maggioranza del collegio.

Efficacia delle sentenze e comunicazione alle Camere (commi secondo e terzo) Rispetto all’attuale articolo 136 della Costituzione, il testo approvato introduce la possibilità per la Corte di modulare l’incidenza temporale delle proprie pronunce posticipando gli effetti caducatori delle sentenze per un termine massimo di un anno dalla pubblicazione delle decisioni, con l’intento di permettere al Governo ed al Parlamento, soprattutto per le sentenze che comportino effetti finanziari, di provvedere nel frattempo alla copertura dei maggiori oneri comportati dalla pronuncia.

Infine, il successivo terzo comma, annovera anche il Governo tra i soggetti destinatari della comunicazione della sentenza: tale innovazione è da collegarsi a quella introdotta dalla lettera b) dellarticolo 134, in cui si estende la competenza dei giudici della Corte anche ai regolamenti del Governo che disciplinano lorganizzazione dellamministrazione statale.

Dibattito in Commissione Per quanto riguarda l’introduzione della dissenting opinion, il dibattito si è svolto integralmente durante la fase di elaborazione del testo di giugno. Nell’ambito del Comitato Garanzie, gli orientamenti erano sostanzialmente due. L’orientamento favorevole alla unitarietà formale delle decisioni della Corte ha motivato la propria posizione ricollegandola strettamente alla garanzia della indipendenza di giudizio dei componenti della Corte rispetto alle forze politiche e costituzionali che li hanno nominati e ha proposto di affidare tale istituto all’autonomia regolamentare della Corte (Comitato Garanzie, Folena, 645).

L’altro orientamento, risultato poi prevalente, volto appunto alla introduzione dell’opinione dissenziente (Comitato Garanzie, Pera, 648), ha evidenziato l’opportunità di una maggiore responsabilizzazione dei giudici costituzionali ed ha sottolineato la maggiore chiarezza delle motivazioni delle sentenze e la possibilità di un controllo diffuso da parte dell’opinione pubblica a questa conseguenti ( cfr,

relazione dell’on. Boato al testo del 30 giugno, 107). In Commissione, nella fase antecedente la presentazione del testo del 30 giugno, il dibattito si è concentrato invece sul tema della possibilità della Corte di dilazionare il termine di efficacia delle pronunce che comportano nuove o maggiori spese.

Si è infatti ritenuto che l’innovazione introdotta non fosse sufficiente a dare completa risoluzione al problema degli effetti finanziari delle sentenze della Corte e si è proposto di prevedere un termine temporale per dare esecuzione alle sentenze della Corte che modificassero decisioni complessive di spesa definite con la legge di autorizzazione (Villone, 2063; tale proposta è però stata respinta dalla Commissione, 2066) ovvero di stabilire che gli eventuali effetti delle pronunce in termini di maggiori spese risultassero comunque proporzionalmente ridotti entro i termini del preventivo (Vegas, 2064; proposta ritirata dopo un ampio dibattito, 2070).

Sempre in tema di efficacia delle sentenze, il testo proposto dal relatore prevedeva la possibilità per la Corte di escludere l’efficacia retroattiva della decisione salvo che in materia penale e per le questioni che avessero provocato il giudizio. Tale previsione registrava il consenso dell’on. Pera in quanto volta a costituzionalizzare un principio già contenuto nellordinamento (2071).

Tuttavia, accogliendo un subemendamento dell’on. Folena tendente a sopprimere tale disposizione, il relatore ha ritirato il comma relativo (2075).

Art.136

Da quando decorrono gli effetti della dichiarazione di incostituzionalità?

Cenni sugli effetti temporali della dichiarazione di incostituzionalità in un’innovativa pronuncia della Corte costituzionale 1. Con la sentenza n.10 del 2015 la Corte costituzionale, nel dichiarare gravante su produttori e distributori di greggio (cd.

  1. Robin tax ), ha stabilito che gli effetti di tale declaratoria decorrono dal giorno successivo alla pubblicazione della pronuncia in gazzetta ufficiale.
  2. Essi, pertanto, non agiscono direttamente nei giudizi a quibus, ove la domanda proposta aveva ad oggetto, nella sostanza, l’istanza di rimborso del tributo corrisposto dai soggetti passivi, in applicazione di una norma reputata (evidentemente, con ragione) incostituzionale.

Benché la Corte abbia cura di precisare che i ricorrenti del processo principale comunque trarranno beneficio dalla cessazione di efficacia del tributo per gli anni a venire, è dunque piuttosto chiaro, proprio alla luce del petitum formulato in tale giudizio con riguardo ai pagamenti già eseguiti, che sia stato spezzato il nesso che rende l’incidente di legittimità costituzionale una fase pregiudiziale, finalizzata a decidere la controversia da cui esso ha tratto origine.

L’utilità conseguita per mezzo della decisione della Corte, infatti, non solo non produce effetti giuridici nel giudizio a quo (se non, volendo, sul piano della regolazione delle spese processuali, il che è cosa decisamente modesta), ma pone sul medesimo piano coloro che hanno adito la giurisdizione per tutelare i propri diritti, e chi, invece, è rimasto inerte e usufruisce ora dei vantaggi connessi all’iniziativa altrui, esattamente nella medesima misura.

Ove la questione fosse stata risolta secondo abitudine (art.30 l.n.87 del 1953), viceversa, l’illegittimità costituzionale avrebbe precluso a chiunque, ed anzitutto ai rimettenti, l’applicazione della disposizione da essa colpita. Il processo principale si sarebbe concluso con l’accoglimento della domanda ed il rimborso dell’indebito, mentre, per il passato, a chi non avesse agito in giudizio sarebbe stato eventualmente opponibile il limite del rapporto esaurito (il termine di maturazione di esso è affare che qui non interessa, poiché si ragiona in astratto).

  • In tal modo, tuttavia, si sarebbe aperto un ragguardevole buco di bilancio, la cui copertura, secondo la Corte, avrebbe imposto manovre a danno dei più deboli, e a tutto vantaggio dei petrolieri.
  • Ciò, nonostante questi ultimi, in violazione della legge, fossero verosimilmente riusciti a traslare sul consumatore il costo economico del tributo.

Ad altra sede va riservata un’analisi più profonda delle implicazioni recate dalla decisione della Corte. Qui basteranno alcuni spunti iniziali di riflessione.2. Come è noto, il Costituente non aveva affatto le idee chiare su come avrebbe dovuto funzionare il processo costituzionale, ché, anzi, era quest’ultima nozione ad apparire a quei tempi assai vaga, se non quasi di scarna utilità.

  • Tutto stava nel dar vita al giudice, e poi si sarebbe visto come la Corte avrebbe in concreto operato.
  • L’art.136 Cost.
  • Si limitò, in coerenza con tale impostazione, a prevedere che le leggi dichiarate incostituzionali cessano di ” avere efficacia ” dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione.

L’efficacia di un atto normativo non necessariamente coincide con l’applicabilità: si può ben immaginare che la legge non regoli ulteriormente una fattispecie per l’innanzi, ma che continui a trovare applicazione per le ipotesi temporalmente manifestatesi quando, invece, essa era ancora “efficace”.

Tuttavia, fu la legge costituzionale n.1 del 1948 ad imprimere al nostro controllo di costituzionalità un carattere incidentale, stabilendo che esso sorge nel corso di un giudizio, e, dunque al fine, anzitutto, di risolvere quest’ultimo, quando a ciò osta la sussistenza di una norma di legge che il giudice comune non ha il potere di disapplicare.

A quel punto, fu abbastanza naturale concludere che l’art.30 della legge n.87 del 1953, con il quale si vieta l'” applicazione” delle disposizioni dichiarate incostituzionali, fosse il dovuto e necessario svolgimento del precetto costituzionale, e con esso facesse indissolubilmente corpo.

  • Se, infatti, la questione di costituzionalità è proposta a partire da un giudizio, e allo scopo di definirlo, non avrebbe avuto senso privare proprio quest’ultimo degli effetti connessi all’eventuale accoglimento.
  • Su questo aspetto, pur con qualche distinguo, i costituzionalisti non hanno avuto grandi dubbi, ed il sistema ha funzionato in tal modo per almeno trent’anni.
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Qui, al di là delle considerazioni in punto di diritto, è bene aggiungere che si va a toccare l’anima della giustizia costituzionale. È ampiamente conosciuta la dicotomia, che risale fino ad Hobbes, tra lex e iura. Ovvero, il diritto nella dimensione obiettiva di strumento per la conformazione del consorzio civile secondo i bisogni dell’imperante interesse pubblico ( lex), oppure il diritto nella prospettiva soggettiva di garanzia dei diritti dell’individuo, a fronte della compressione imposta dal Potere ( iura ).

La Corte costituzionale non sfugge all’alternanza di due concezioni della legalità che cooperano alla costruzione dell’ordinamento democratico; anzi, essa si trova spesso nella necessità di trovare un punto di equilibrio, che non ne sacrifichi alcuna definitivamente. In quest’ottica, il giudizio costituzionale, pur potendosi sfociare in una pronuncia aventi effetti erga omnes ( lex ), resta pur sempre il mezzo con cui la persona reagisce a fronte di offese recate ai diritti dal legislatore ( iura ); anzi, in tali casi, l’ unico mezzo attribuito dalla Costituzione ai fini dell’esercizio di quei diritti conculcati.

È piuttosto evidente che ragionare sulla rilevanza e sugli effetti temporali delle dichiarazioni di illegittimità costituzionale significa non soltanto affrontare un problema di mera “tecnica” giuridica, ma anche prendere posizione su quale sia ritenuto il giusto mix tra lex e iura compatibile con il nostro sistema costituzionale.

  1. Se la Corte si spinge troppo in là verso una direzione o verso quella opposta, qualche difficoltà può nascere.
  2. Rescindere la dichiarazione di incostituzionalità dalla sfera propria del processo principale, in particolare, comporta, naturalmente a seconda delle circostanze, l’eventualità (a rischio di attrito con l’imperativo categorico kantiano!) di assegnare alle parti di quest’ultimo giudizio la funzione di strumento necessario a rimuovere, nell’interesse obiettivo dell’ordinamento, una disposizione illegittima, e non di fine verso cui indirizzare l’azione di tutela dei diritti propria del giudice costituzionale.

Il processo a quo diviene per tale via una mera occasione da cogliere per porre, nell’interesse della collettività, un dubbio di costituzionalità, che altrimenti non sarebbe stato possibile affrontare. La Corte, perciò, dovrà prestare in futuro grande attenzione, affinché la novità di cui oggi si è dotata, per rispondere ad una fattispecie del tutto peculiare, non imbocchi una via troppo scoscesa.3.

  • Si diceva che per circa un trentennio non si è mai posto il problema di modulare gli effetti nel tempo delle dichiarazioni di illegittimità costituzionale.
  • Alla fine degli anni 80′ uscirono, invece, alcune decisioni della Corte che suscitarono scalpore.
  • Con esse il giudice costituzionale, anziché limitarsi a pronunciare l’incostituzionalità di una legge ed affidarsi all’art.30 della l.n.87 del 1953 quanto agli effetti temporali di simile pronuncia, venne invece a specificarli, spesso nel dispositivo stesso.

Non mancò allora chi ritenne (M. D’Amico) che, a ben vedere, la Corte in tutte quelle occasioni si fosse limitata ad esplicitare in tal modo il limite dei rapporti esauriti, che avrebbe già dovuto ricavarsi dalle singole discipline di settore (si sarebbe trattato, in altri termini, solo di chiarire che gli effetti dell’incostituzionalità, come di consueto, non raggiungono la fattispecie che l’ordinamento non permette più di porre in discussione, ed alla quale la norma dichiarata incostituzionale non avrebbe pertanto comunque potuto applicarsi).

  • Ma, anche a ragionare diversamente come fecero i più, siamo in ogni caso ben lontani dalla portata della sentenza n.10 del 2015.
  • In quei casi, la Corte si trovò a rilevare, infatti, ipotesi del tutto particolari di incostituzionalità sopravvenuta, ovvero maturata nel corso del tempo, e venuta a concretizzarsi solo in coincidenza con il giudizio costituzionale, ovvero con una sopravvenienza normativa, tale da indicare a rime obbligate una data certa di decorrenza degli effetti della declaratoria di illegittimità costituzionale.

Il principio di indipendenza dei Tribunali militari ha richiesto tempo per trovare completa attuazione, e ” ciò che non può essere tollerato è la protrazione ulteriore dell’inerzia del legislatore ” (sentenza n.266 del 1988), sicché i provvedimenti di nomina dei magistrati militari non possono ” ulteriormente ” essere adottati, fermi gli atti posti in essere in precedenza (sentenza n.266 del 1988).

  1. Per la stessa ragione, il principio di pubblicità dell’udienza innanzi alle Commissioni tributarie si impone dal giorno successivo alla sentenza della Corte, giacché ” soltanto ora può considerarsi realmente verificata la sopravvenuta illegittimità costituzionale ” (sentenza n.50 del 1989).
  2. La riliquidazione della pensione dei magistrati ordinari decorre dal 1° gennaio 1988, posto che solo il 31 dicembre 1987 ha cessato di avere efficacia una norma che svolgeva in precedenza una funzione perequatrice, e non la rendeva pertanto costituzionalmente dovuta (sentenza n.501 del 1988; per casi analoghi, sentenze nn.124 del 1991 e 416 del 1992).

Non vi è dubbio che la Corte si trovò anche allora a valutare l’impatto che l’effetto retroattivo della incostituzionalità avrebbe potuto produrre, sia sulla funzionalità della giustizia con riguardo alle attività processuali già svoltesi (il caso dei magistrati militari e delle commissioni tributarie; l’intervento obbligatorio del PM nei procedimenti di modifica delle condizioni di separazione: sentenza n.416 del 1992), sia sul bilancio dello Stato, a fronte dell’obbligo di corrispondere arretrati per un lungo arco di tempo (le pensioni dei magistrati).

Furono quindi esigenze concrete che incentivarono la fantasia della Corte, proprio come oggi si è temuto di dover imporre allo Stato una manovra aggiuntiva stimabile fino a 7 miliardi di euro circa, al fine di reperire la provvista necessaria a restituire il tributo indebito, ma già corrisposto. Tuttavia, dal punto di vista tecnico, la soluzione fu rinvenuta, in modo più o meno plausibile, attraverso la figura dell’illegittimità costituzionale sopravvenuta.

In tali ipotesi, specificare in dispositivo la data a partire dalla quale la norma cessa di avere applicazione significa in realtà adottare una doppia pronuncia sulla costituzionalità di essa: che è esplicitamente di accoglimento a partire da quella data, ed occultamente di rigetto con riguardo al periodo antecedente.

Qui, persino la mancata produzione di effetti nel giudizio a quo, per quanto fin da allora severamente criticata da molti, trova una sua spiegazione logica: la Corte esclude che la disposizione sia incostituzionale, con riferimento al tempo in cui essa ha prodotto effetti sulla posizione giuridica delle parti.

La dimensione della lex prevale sugli iura, ma non li cancella, posto che essi (magari grazie ad un’accorta finzione giuridica) non si erano in precedenza materializzati. Non si può ignorare quanto lontana da questo terreno sia la sentenza n.10 del 2015.

Con essa la Corte non esita a ritenere incostituzionale la Robin tax fin da quando essa è sorta, e tollera che una tale illegittimità produca i suoi effetti, anche in danno delle parti del processo principale, in virtù della compensazione operato con gli interessi di bilancio presidiati dall’art.81 Cost.

Anche qui bisogna prestare attenzione a non confondere i piani. Le esigenze connesse alla spesa pubblica spesso compaiono nella giurisprudenza costituzionale, per giustificare manovre, volte al reperimento di fondi, ai limiti della tollerabilità, ad esempio perché è di dubbia ragionevolezza l’indice di capacità contributiva (basti pensare al prelievo del 6 per mille sui depositi bancari, miracolosamente salvificato dalla sentenza n.143 del 1995).

Ma l’esito del bilanciamento è comunque diretto ad escludere l’incostituzionalità della manovra, e quindi si pone tutto all’interno del percorso logico con cui la Corte assolve alla funzione, che le è propria, di valutare se una certa legge ha valicato i limiti segnati dalla Costituzione. Nel nostro caso, viceversa, il bilanciamento agisce interamente all’esterno del giudizio di costituzionalità in senso proprio, poiché l’illegittimità si è in effetti verificata, ed è questione di limitarne gli effetti.

Naturalmente, mentre nessuno potrebbe contestare che il primo compito appartenga istituzionalmente alla Corte, si potrebbe invece dubitare che il secondo le competa, posto che non le è stato espressamente conferito, diversamente da quanto accade altrove.

  1. Se gli effetti della illegittimità costituzionale sono governati dall’art.136 Cost.
  2. E dall’art.30 della l.n.87 del 1953, essi potrebbero venire decisi, caso per caso, dai giudici comuni in applicazione di tali regole, in quanto estranee al giudizio di costituzionalità e sottratte al monopolio della giurisdizione costituzionale.

È un modo di ragionare, ma, secondo chi scrive, non certamente il migliore, se non altro per l’elevato grado diconflittualità che porta con sé, e che potrebbe persino indurre la Corte all’arma estrema del conflitto di attribuzione nei confronti del giudice comune dissenziente.

  • Resta allora per acquisita la novità: una norma incostituzionale ha prodotto effetti, e l’azione giudiziaria contro di essa è stata vana, non perché priva di fondamento, ma perché così la Corte ha ritenuto opportuno per salvaguardare la Costituzione nella sua integrità.
  • Ma, in fondo, il recentissimo passato ha già offerto un precedente nella sostanza non così lontano dall’attuale decisione.

Ancora ci si può domandare, infatti, per quale ragione l’incostituzionalità della legge elettorale acclarata dalla sentenza n.1 del 2014 non abbia travolto il Parlamento in carica, benché il giudizio di convalida degli eletti non si fosse ancora concluso.

  1. In quell’occasione, la Corte ha richiamato il principio di continuità dello Stato, e ha aggiunto che elezioni già celebrate costituivano un fatto compiuto.
  2. Formule differenti dall’incisione diretta sugli effetti temporali della decisione, che il ben più modesto caso della Robin tax non permetteva di recuperare.

Tuttavia, il medesimo effetto: una retroattività normativamente sancita, ma compromessa dalla discrezionalità della giurisdizione costituzionale nel trovare la via per difendere la Costituzione ” come un tutto unitario ” (sentenza n.10 del 2015).4. In questo sta il tradizionale dilemma di chi si occupa di questi argomenti: quanto è auspicabile il potere nudo del giudice costituzionale di decidere quel che è bene, senza avvertire la cogenza di un processo le cui regole sono state scritte altrove? Esiste davvero un processo costituzionale, anche se esso può venir fatto e disfatto in base all’apprezzamento dell’organo chiamato a celebrarlo? Fino ad oggi sono dubbi che non hanno trovato risposta certa.

Un po’ perché la Corte è tutt’altro che arbitraria quando si risolve per un certo verso, per quanto controvertibile, e magari, caso per caso, decisione per decisione, ci si accorge che in definitiva si è trovato il modo migliore di risolvere un problema; un po’, perché un giudice le cui sentenze sono sottratte ad alcuna forma di impugnazione, governa il “suo” processo con un certo grado di libertà.

Non è detto, tuttavia, che queste premesse siano sufficienti, a fronte dello sviluppo della dimensione internazionale dei diritti dell’uomo, ed in particolare dell’intervento di altri Corti, che non avvertono soggezione rispetto al primato attribuito dalla nostra Costituzione al giudice delle leggi.

  • Il caso oggi deciso attiene alla materia fiscale, e si mostra perciò scarsamente penetrabile dalla CEDU (tra le altre, Corte EDU, sentenza Ferrazzini contro Italia).
  • Un domani, tuttavia, potrebbe trattarsi d’altro.
  • Non più l’astuto petroliere che trasla sul consumatore il peso di un tributo, e poi ne pretende il rimborso; ma, ad esempio, il lavoratore cui sia stato illegittimamente negato un diritto patrimoniale, e che si trova innanzi al rifiuto di corrispondere gli arretrati, pena l’esplosione dell’equilibrio di bilancio.

Certo, è ragionevole pensare che la Corte, in quest’ultimo caso, esiterebbe ad impiegare la tecnica di modulazione degli effetti temporali innestata oramai nel processo costituzionale. Tuttavia, se ciò dovesse accadere, potrebbe esservi un giudice a Strasburgo.

  1. È infatti lecito interrogarsi sulla conformità agli artt.6 e 13 della Convenzione di un processo cui è precluso di soddisfare integralmente il bene della vita, nonostante sia riconosciuta la fondatezza della pretesa.
  2. Quando è direttamente la legge ad incidere su una posizione giuridica, mentre gli atti secondari hanno natura meramente applicativa, pare ovvio che il solo strumento di tutela sia costituito dalla reazione contro l’atto legislativo, nelle forme disciplinate da ciascun ordinamento nazionale.

Nella prospettiva della Corte europea, l’intervento della Corte costituzionale ha appunto una tale funzione, esso è cioè parte incidentale del procedimento giurisdizionale volto a valutare la fondatezza della domanda di giustizia. Verrebbe il dubbio che impedire a tale fase di conseguire gli effetti che le sono propri, per ragioni che non attengono alla posizione delle parti, privi di effettività il giudizio principale (art.13) e lo renda, in definitiva, ingiusto (art.6).

  • Si tratterebbe di un conflitto tra Corti di gravissima virulenza, poiché porrebbe in discussione la prerogativa del nostro giudice costituzionale di governare il proprio processo, ed interrogherebbe il giudice comune circa il dovere di prestare obbedienza all’uno o all’altro dei contendenti.
  • Anche per prevenire questa ipotesi, la Corte potrebbe in futuro valutare l’opportunità, ove intendesse tornare a limitare gli effetti temporali delle pronunce di accoglimento, di far salvo perlomeno il giudizio a quo, secondo il ben noto temperamento al modello di giustizia costituzionale a “legislazione negativa” (Kelsen).

Né si dovrebbe temere di favorire indiscriminatamente chi ha agito in giudizio, rispetto a chi ha subito l’azione della norma senza reagire, ma sarebbe ancora in tempo per usufruire dei vantaggi derivanti dal successo dell’iniziativa altrui. Difatti, proprio la circostanza di avere, o no, radicato un processo è un elemento ragionevole di differenziazione, specie alla luce del carattere incidentale del nostro controllo di costituzionalità.5.

Resta un’ultima considerazione. Ancora una volta l’art.81 Cost. è stato protagonista di una decisione costituzionale. Capita con sempre maggiore frequenza, da quando l’obbligo di assicurare l’equilibrio di bilancio ha ristrutturato profondamente la nostra società, fiaccando il Welfare, oscurando obiettivi di ridistribuzione della ricchezza, e persino annichilendo l’autonomia regionale verso un modello di mero decentramento amministrativo.

Nel nostro caso, la Corte ci rammenta che non vi sono valori costituzionali tiranni, e che la Costituzione si tiene tutta insieme, in costante equilibrio tra interessi talvolta divergenti. Resta il fatto che si è visto flettere il nesso incidentale proprio del controllo di costituzionalità, ed i diritti che erano stati azionati nel processo principale, proprio a fronte dell’esigenza di tenere in ordine i conti pubblici, piuttosto che innanzi a contrapposti diritti fondamentali.

Vi è però uno spunto nella motivazione della sentenza n.10 del 2015 che rassicura: la decisione risparmia alla collettività una manovra correttiva, la cui adozione comprometterebbe le condizioni dei meno abbienti, con ” irrimediabile pregiudizio delle esigenze di solidarietà sociale” tutelate dagli artt.2 e 3 della Costituzione.

Dunque, non un mero calcolo contabile, ma lo scopo ultimo di salvaguardare chi è indifeso dinanzi alla crisi, e ha perso sovranità in ragione dell’impellente bisogno economico. In questo passo la Corte ci rammenta di non aver affatto dimenticato il suo ruolo di custode dei diritti, e ci richiama a confrontare tutta la nostra teoria con l’evidenza dei fatti, per come si erano svolti nel caso di specie.

Proviamo però ora ad allontanarci dalla sentenza n.10 del 2015, e a trarne spunto per porre un quesito che la trascende, e la risposta al quale certamente non è imputabile al giudice costituzionale, visto che quest’ultimo si è limitato realisticamente a prendere atto di come si è svolta la politica economica italiana perlomeno nell’ultimo decennio.

Per quale ragione la paventata manovra avrebbe dovuto abbattersi orizzontalmente, e con cieca indifferenza, sui più deboli, come se vi fosse un obbligo costituzionale di spartire con esattezza matematica il costo della sentenza, anziché, semmai, il contrario? Certo, se si ragiona in chiave di redditi, non vi sarebbe stato modo alcuno di recuperare l’ingente somma dalle tasche di quella esigua minoranza di benestanti, che si mostra fedele al fisco.

Ma, se dobbiamo dar retta a Piketty, l’Italia, in buona compagnia nel mondo occidentale, è il paese del capitale ferocemente accumulato in danno dei redditi da lavoro, con un’accelerazione che non ha fine dagli anni 80′ in avanti. È allora il caso di ricordare che trovare le risorse economiche di cui vive una democrazia non è l’opera di anonimi ragionieri mascherati dietro libri contabili, ma il frutto di decisioni politiche su chi deve pagare, e chi no.

Ma forse il problema qui messo a nudo, e al quale non può certo essere la Corte a dare una risposta, è proprio questo: ridestare la Repubblica dal lungo, lungo sonno della politica.18/02/2015 : Cenni sugli effetti temporali della dichiarazione di incostituzionalità in un’innovativa pronuncia della Corte costituzionale

Come si solleva l’eccezione di incostituzionalità?

La QLC può essere sollevata, di ufficio o su istanza di parte, dall’autorità giurisdizionale davanti alla quale verte il giudizio con ordinanza contenente le indicazioni sopra precisate.

Cosa è la legge anticostituzionale?

– Che si oppone alla costituzione, e più in partic. che contrasta con i principî generali sanciti dalla costituzione dello stato: norma, legge, provvedimento, procedura anticostituzionale. anticostituzionale /antikostitutsjo’nale/ agg. [comp.

Chi può sollevare la questione di legittimità costituzionale di una legge davanti alla Corte costituzionale?

Nel corso di qualunque processo,sia le parti sia il giudice (giudice a quo) possono sollevare questione di legittimità costituzionale.

Che valore hanno le sentenze della Corte costituzionale?

Le sentenze della Corte Costituzionale possono essere di diverso tipo e contenuto: – sentenze di accoglimento con le quali la Corte Costituzionale, dopo aver compiuto una valutazione sulla questione di costituzionalità, la accoglie, dichiarando pertanto incostituzionale la legge in esame.

Queste sentenze hanno efficacia erga omnes, ovvero nei confronti di tutti dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza sulla Gazzetta Ufficiale. Ciò implica che qualunque altro giudice che si trovi ad applicare quella norma per decidere una controversia non potrà più utilizzarla, essendo stata ritenuta incostituzionale.

Di regola l’efficacia delle sentenze di accoglimento è irretroattiva, ossia incide solo sui rapporti che nasceranno da quel momento in poi. Esistono tuttavia delle eccezioni, in quanto le sentenze della Corte che invece retroagiscono ed esplicano i loro effetti su situazioni ancora pendenti (si pensi ai giudizi in corso ossia a quelli chiusi con sentenza non ancora passata in giudicato) oppure quando si tratti di giudizi conclusi con sentenza di condanna penale irrevocabile, sulla base della legge che viene dichiarata incostituzionale.

Sentenze di rigetto con le quali la Corte Costituzionale, dopo aver effettuato il giudizio sulla questione di costituzionalità della legge, ritiene il problema non fondato e pertanto riconosce che la legge rispetta la Costituzione. Queste sentenze non hanno un’efficacia erga omnes, ma solo tra le parti interessate dal giudizio di costituzionalità; quindi la legge potrà essere applicata in altri giudizi e potrà altresì essere promosso davanti alla Corte un altro giudizio di costituzionalità sulla stessa legge, purché fondato su motivazioni diverse.

– sentenze interpretative, che hanno ad oggetto l’interpretazione data ad una legge. Possono essere di accoglimento, quando la Corte dichiara l’incostituzionalità di una determinata interpretazione della legge e ne impone una conforme alla Costituzione; di rigetto quando dichiara la legge costituzionalmente legittima purché interpretata in un certo modo.

Queste sentenze hanno efficacia erga omnes, – sentenze c.d. manipolative di accoglimento, con le quali la Corte rivede (“manipola”) il contenuto di una legge, per evitare di dichiararla incostituzionale ed impedire così la formazione di un vuoto normativo nel sistema. Esse hanno efficacia erga omnes e si distinguono in base al tipo di intervento operato dalla Corte in: additive, con le quali la Corte dichiara l’incostituzionalità della disposizione impugnata “nella parte in cui non prevede” un qualcosa che invece dovrebbe prevedere; ablative, con le quali la Corte dichiara incostituzionale la disposizione impugnata “nella parte in cui prevede” qualcosa che non avrebbe dovuto prevedere; sostitutive, con le quali la Corte dichiara incostituzionale una disposizione nella parte in cui prevede un qualcosa anziché prevedere un’altra cosa.

– sentenze di incostituzionalità parziale, con le quali la Corte elimina solo quella parte della legge considerata incostituzionale. Queste sentenze hanno efficacia erga omnes,

See also:  Cosa Dice La Legge Bossi Fini?

Quante leggi sono state dichiarate incostituzionali?

14.710 pronunce hanno avuto ad oggetto disposizioni legislative statali.n.2.102 sentenze (pari al 14,29% del totale delle pronunce) contengono almeno una declaratoria di illegittimità costituzionale di una disposizione legislativa statale.

Come si può abolire una legge?

La legge determina le modalità di attuazione del referendum. –

Il referendum abrogativo previsto dall’art.75 Cost. stabilisce che 500.000 cittadini o 5 Consigli regionali, possono proporre all’intero corpo elettorale ” l’abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge”, Per legge si intende una legge in senso formale, cioè approvata dal Parlamento secondo il procedimento ordinario; per “atto avente valore di legge” si intendono i decreti legge e i decreti legislativi (adottati dal Governo su legge delega del Parlamento).

  1. La Corte Costituzionale si pronuncia sull’ammissibilità del referendum.
  2. Sono escluse dal referendum abrogativo le leggi tributarie, di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali.
  3. Non è possibile abrogare disposizioni di rango costituzionale, gerarchicamente sovraordinate alla legge ordinaria.

La Corte costituzionale ha esplicitato ulteriori criteri di ammissibilità dei referendum con una copiosa giurisprudenza. Perché il referendum sia valido deve essere raggiunto il quorum di validità e cioè devono partecipare alla votazione la maggioranza degli aventi diritto al voto.

  1. Perché la norma oggetto del referendum stesso sia abrogata deve essere raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi.
  2. Hanno diritto a partecipare al referendum tutti cittadini chiamati ad eleggere la Camera dei deputati.
  3. La legge 25 maggio 1970, n.352 “Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo” dispone le modalità di attuazione della procedura referendaria.

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Quanto tempo ci mette il giudice a depositare una sentenza?

Art.430 codice di procedura civile – Deposito della sentenza Brocardi.it – L’avvocato in un click! Tu sei qui: > > > > > >

Spiegazione

La norma in esame dovrebbe trovare applicazione, almeno in linea teorica, nei soli casi in cui il giudice non dia contestuale lettura del e della della sentenza, ossia qualora, per la particolare complessità della controversia, il giudice decida di limitarsi alla lettura del dispositivo (così comma 1).

Viene qui stabilito che entro il termine di 15 giorni dalla pronuncia la sentenza deve essere depositata in, Il termine di 15 giorni qui previsto (molto più breve rispetto a quello di 30 o 60 giorni previsto nel rito ordinario, a seconda che la sentenza venga pronunciata dal giudice monocratico o dal ) risponde alle esigenze di certezza e celerità che devono essere soddisfatte nel rito del lavoro. Deve comunque precisarsi che si tratta di un, dalla cui inosservanza non si può far derivare della sentenza. Per quanto concerne la decorrenza dei termini di, si ritiene preferibile la tesi secondo cui essi devono farsi decorrere dal momento del deposito della sentenza completa in tutti i suoi elementi costitutivi e non dalla mera lettura del dispositivo.

Dal momento del deposito il cancelliere è tenuto a darne immediata comunicazione alle parti. La sua inosservanza potrebbe avere soltanto rilievo ai fini della configurabilità di una o civile del giudice ex art.3 della Legge n.117/1988. Infatti, è al deposito della motivazione e non alla pronuncia del dispositivo che si applicano le norme che presuppongono la, tra cui l’.

Massime

Cass. civ.n.5277/2012 Nel rito del lavoro, qualora il giudice di primo grado che abbia letto in udienza il dispositivo della sentenza non possa redigerne la motivazione per sopravvenuto impedimento, non si ha inesistenza della sentenza, ma nullità per mancanza di motivazione, vizio che, ai sensi dell’art.161, primo comma, cod.

Proc. civ., può essere fatto valere soltanto nei limiti e secondo le regole dei mezzi di impugnazione. Ne consegue che il giudice d’appello, ove abbia rilevato dette nullità a seguito di gravame, non può rimettere la causa al primo giudice, non ricorrendo alcuna ipotesi di rimessione fra quelle tassativamente previste dagli artt.353 e 354 cod.

proc. civ., nè limitarsi a dichiarare la nullità medesima, ma deve decidere le cause nel merito. () Cass. civ.n.11630/2004 Il termine annuale di impugnazione della sentenza, previsto dall’art.327 c.p.c., decorre dalla pubblicazione della sentenza stessa, e cioè nel rito del lavoro non dalla data di lettura del dispositivo in udienza, ma da quella del deposito in cancelleria del testo completo della sentenza, a seguito del quale soltanto può proporsi l’impugnazione, salvo il caso particolare dell’appello con riserva di motivi, di cui all’art.433, secondo comma, c.p.c.

Cass. civ.n.14194/2002 Per effetto dell’abrogazione dell’art.120 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, ad opera dell’art.129 D.L.vo n.51 del 1998, non sussiste più un termine procedurale per il deposito della sentenza nel giudizio ordinario, né è in proposito analogicamente applicabile l’art.430 c.p.c., che (così come già il citato art.120 att.c.p.c.) pone peraltro un termine meramente ordinatorio, la cui inosservanza non determina alcuna ragione di nullità del provvedimento.

() Cass. civ.n.792/1983 Nel rito del lavoro, l’inosservanza del termine stabilito per il deposito della sentenza non dà luogo a nullità della sentenza stessa, in quanto mentre questa viene a giuridica esistenza con la lettura del dispositivo, il detto termine incide unicamente sul momento in cui può essere proposta l’impugnazione (salva l’ipotesi dell’appello contro il dispositivo ex art.433, secondo comma, c.p.c.).

Consulenza

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del, Si precisa che l’elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

  • Flavio chiede domenica 21/11/2010 “Buonasera, vorrei riportare un caso pratico che penso sia di estremo interesse giuridico ed al quale non riesco a trovare una soluzione.
  • Il Guidice di Pace dà lettura del dispositivo in udienza ma successivamente (prima di depositarla), accortosi di un’irregolarità nella notificazione dell’atto di citazione, fissa una nuova udienza con ordinanza.

La nuova udienza tuttavia non si tiene per decesso del Giudice stesso ed il nuovo Giudice designato, appartenente allo stesso ufficio, fissa una nuova udienza. Al termine di quest’ultima, il Giudice emette sentenza di segno contrario rispetto al dispositivo adottato dal Giudice di prime cure.

Ora: 1) qual è la diciplina applicabile nelle ipotesi in cui il primo Giudice, dopo aver dato lettura del dispositivo in udienza, deceda nelle more della pubblicazione della sentenza? 2) il secondo Giudice è obbligato ad attenersi al dispositivo precedente ovverosia, qual è la forza vincolante del dispositivo in questione? Grazie.” L’art.63 dis.

att.c.p.c. richiama l’applicabilità dell’ anche in caso di sostituzione del Giudice di Pace. Questo articolo stabilisce che il giudice istruttore può essere sostituito con decreto del presidente soltanto in caso di assoluto impedimento (ad es., morte del magistrato) o di gravi esigenze di servizio.

  • Nell’ipotesi in cui l’impossibilità sia sopravvenuta dopo la lettura del dispositivo e la consegna della minuta al cancelliere (v. disp.
  • Att.119), sono state prospettate due diverse soluzioni: o il dispositivo acquista natura di sentenza, ancorché nulla per carenza di motivazione; oppure il dirigente dell’ufficio designa un nuovo giudice, dinanzi al quale si terrà una nuova udienza di discussione per la pronuncia di un nuovo dispositivo, come è avvenuto nel caso di specie.

Se, invece, l’impossibilità fosse sopravvenuta dopo che il cancelliere avesse consegnato al giudice la sentenza dattiloscritta perché questi la sottoscriva, si ritiene applicabile estensivamente l’, secondo comma, per il quale il giudice può essere sostituito solo nella sottoscrizione della sentenza.

Nel caso di specie è necessario comprendere, quindi, quali siano i limiti dell’avvenuta sostituzione: se, come appare probabile, il nuovo giudice è stato sostituito al precedente anche ai fini della decisione, egli può liberamente apprezzare i fatti e le deduzioni delle parti, senza vincolo di attenersi al precedente dispositivo.

Si ricorda in ogni caso che il provvedimento di sostituzione non va motivato e non deve essere né comunicato né notificato alle parti. L’inosservanza delle condizioni stabilite dall’art.174 c.p.c. viene considerata come causa di irregolarità puramente interna e tale da non incidere sulla costituzione del giudice.

Cosa significa illegittimità costituzionale?

Questa voce è stata curata da Isabella Digiesi Per “legittimità costituzionale” si intende la conformità alla Costituzione delle leggi e degli atti, aventi forza di legge, dello Stato e delle Regioni. Il controllo di legittimità costituzionale è effettuato dalla Corte Costituzionale.

  1. Tale tipo di controllo presuppone la presenza di un ordinamento giuridico a costituzione rigida, che pone la Costituzione su un grado superiore alle leggi nel sistema delle fonti del diritto.
  2. Infatti, se la Costituzione fosse flessibile, ossia posta allo stesso livello delle leggi, un atto avente forza di legge in contrasto con essa si limiterebbe ad abrogarne le parti contrastanti, secondo il meccanismo generale della successione delle leggi nel tempo (lex posterior derogat priori: la legge successiva abroga la precedente).

Invece, in presenza di una Costituzione rigida, la legge (o l’atto avente forza di legge) in contrasto con una norma costituzionale si considera essere invalida, più precisamente affetta da illegittimità costituzionale o incostituzionalità sotto il profilo formale o sotto il profilo sostanziale.

Art.134 della Costituzione Art.1 delle Disposizioni sulla legge in generale Art.23 § II Legge 11 marzo 1953 n° 87

La legittimità costituzionale è la conformità ai principi costituzionali delle leggi e degli atti, aventi forza di legge, dello Stato e delle Regioni. Il controllo di legittimità costituzionale può essere organizzato secondo due modelli: diffuso e accentrato,

  1. Il modello diffuso è un modello in cui non esiste un organo centrale che decide sulla costituzionalità delle norme bensì sono i giudici comuni a sindacarne la costituzionalità.
  2. Il sistema diffuso per eccellenza è il sistema statunitense nel quale ai giudici comuni è riconosciuto il potere di disapplicare una norma in quanto giudicata contraria ai principi costituzionali.

Il modello accentrato invece, prevede l’esistenza di un tribunale costituzionale centrale che decide della costituzionalità delle norme, negando al giudice ordinario un qualsivoglia potere di decisione della legittimità costituzionale sulla quale solo l’organo centrale è deputato a decidere.

  • La declaratoria di illegittimità costituzionale porterà all’ annullamento della norma in questione che quindi non potrà più essere applicata dal giudice comune.
  • Il sistema italiano di Giustizia Costituzionale è un sistema tendenzialmente accentrato.
  • Infatti, la Costituzione ha previsto la Corte Costituzionale come organo di giustizia costituzionale, negando ai giudici comuni qualsiasi potere in ordine al sindacato di legittimità costituzionale.

In particolare, il sindacato della Corte Costituzionale si esercita:

sulle leggi costituzionali e di revisione costituzionale, censurabili solo per vizi formali relativi al procedimento di adozione e sotto il profilo della conformità ai principi supremi dell’ordinamento; sulle leggi ordinarie dello Stato, sindacabili senza alcuna limitazione; sugli atti aventi forza di legge, ovvero decreti legislativi e decreti-legge emanati dal Governo ex artt.76 e 77 Cost.; sui decreti del Presidente della Repubblica contenenti norme di attuazione degli statuti delle Regioni ad autonomia speciale; sulle leggi regionali e sulle leggi delle province di Trento e di Bolzano, se eccedono la loro competenza (art.127 Cost.); sugli statuti regionali, essendo questi approvati con legge regionale; sulla deliberazione abrogativa di una legge, risultante da referendum.

Il giudice ordinario, nonostante non vanti alcun potere in merito al sindacato di legittimità costituzionale, può attivare il sindacato di legittimità costituzionale mediante il procedimento in via incidentale. L’accesso incidentale alla Corte Costituzionale presuppone che sia in corso un processo innanzi ad un giudice e questo, per risolvere il caso concreto, debba applicare una legge (o atto avente forza di legge) che ritiene incostituzionale: il giudice, su richiesta delle parti o d’ufficio, ravvisata la rilevanza ai fini della decisione della causa e la non manifesta infondatezza della questione di costituzionalità di una legge ovvero di un atto avente valore di legge, sospende il processo e rimette la decisione alla Corte Costituzionale (art.23 § II legge 11 marzo 1953 n°87).

Quale organo può far eventualmente decadere una legge per incostituzionalità?

Giur., 1988. legge abbia vigore non c’è bisogno che la Corte la dichiari costituzionale. Il giudizio della Corte ha un valore in quanto afferma la incostituzionalità della norma (). La Corte in tanto esplica il suo potere in quanto dichiara la incostituzionalità della norma’.

Quando in applicazione della norma dichiarata incostituzionale?

Sentenza di incostituzionalit emessa dalla Corte Costituzionale e conseguenze, Ius et Norma Sentenza di incostituzionalità emessa dalla Corte Costituzionale e conseguenze. Problematica relativa a rapporti costituitisi in base ad una norma dichiarata successivamente incostituzionale.

Le conseguenze dell’illegittimità costituzionale della circostanza aggravante. Qui di seguito verrà effettuata un’ampia disamina sulle più importanti sentenze della Cassazione, della Corte Costituzionale, del Consiglio di Stato e dei Tribunali di merito sulla problematica relativa a rapporti costituitisi in base ad una norma dichiarata successivamente incostituzionale.”La pronuncia di illegittimità costituzionale di una norma di legge comporta non già l’abrogazione, o la declaratoria di inesistenza o di nullità, o l’annullamento della norma dichiarata contraria alla costituzione, bensì la disapplicazione della stessa, dando luogo ad un fenomeno che si colloca, sul piano effettuale, in una posizione intermedia tra l’abrogazione, avente di regola efficacia ex nunc, e l’annullamento che, normalmente, produce effetti ex tunc.

Pertanto, la norma dichiarata costituzionalmente illegittima deve essere disapplicata con effetti ex nunc o con efficacia ex tunc, a seconda che tale diversa efficacia nel tempo della dichiarazione di incostituzionalità discenda dalla natura o dal contenuto della norma illegittima, oppure dalla portata del precetto costituzionale violato o dal diverso grado di contrasto tra quest’ultimo e la norma di legge, ovvero, infine dalla natura del rapporto sorto nel vigore statuisce soltanto per il futuro e non per il passato facendo quindi salvi i diritti acquisiti.Dello stesso avviso sono numerosissime altre sentenze sia della Corte di Cassazione che del Consiglio di Stato nonché della Corte Costituzionale, laddove si afferma che ” mentre l’efficacia retroattiva della dichiarazione di illegittimità costituzionale è giustificata dalla stessa eliminazione della norma che non può più regolare alcun rapporto giuridico salvo che si siano determinate situazioni giuridiche ormai esaurite, in ipotesi di successione di legge – dal momento che la norma anteriore è pienamente valida ed efficace fino al momento in cui non è sostituita – la nuova legge non può che regolare i rapporti futuri e non anche quelli pregressi, per i quali vale il principio che la disciplina applicabile è quella vigente al momento in cui si p realizzata la situazione della norma successivamente dichiarata incostituzionale.

Fuori delle ipotesi, aventi carattere di eccezionalità, in cui essa travolge tutti gli effetti degli atti compiuti in base alla norma illegittima, la dichiarazione di incostituzionalità (avuto riguardo al precetto costituzionale violato, alla disciplina dettata dalla norma riconosciuta costituzionalmente illegittima e alla natura del rapporto disciplinato da quest’ultima) comporta la caducazione dei soli effetti non definitivi e, nei rapporti ancora in corso di svolgimento, anche degli effetti successivi alla pubblicazione della sentenza della corte costituzionale, restando quindi fermi quegli effetti anteriori che, pur essendo riconducibili allo stesso rapporto non ancora esaurito, abbiano definitivamente conseguito, in tutto o in parte, la loro funzione costitutiva, estintiva, modificativa o traslativa di situazioni giuridicamente rilevanti (Cass.

Civile, sez. III, 11-04-1975, n.1384)”.E’ notorio, infatti, che una sentenza della Corte Costituzionale giuridica il fatto generatore del diritto. (Cass. civile, sez.28 maggio 1979, n.311 in giustizia civile mass 1979 fasc.5)”.”L’efficacia retroattiva della sentenza dichiarativa dell’illegittimità costituzionale di norma di legge non si estende ai rapporti esauriti, ossia a quei rapporti che, sorti precedentemente alla pronuncia della Corte, abbiano dato luogo a situazioni giuridiche ormai consolidate ed intangibili in virtù del passaggio in giudicato di decisioni giudiziali, della definitività di provvedimenti amministrativi non più impugnabili, del completo esaurimento degli effetti di atti negoziali, del decorso dei termini di prescrizione o decadenza, ovvero del compimento di altri atti o fatti rilevanti sul piano sostanziale o processuale.

Trib. Roma 14 febbraio 1995)”.”Le pronunce di accoglimento della Corte Costituzionale hanno effetto retroattivo, inficiando fin dall’origine la validità e l’efficacia della norma dichiarata contraria alla Costituzione, salvo il limite delle situazioni giuridiche “consolidate” per effetto di eventi che l’ordinamento giuridico riconosce idonei a produrre tale effetto, quali le sentenze passate in giudica, l’atto amministrativo non più impugnabile, la prescrizione e la decadenza.

(Cass. civ. sez. III 28 luglio 1997 n.7057).””La retroattività delle sentenze interpretative additive, pronunciate dalla Corte costituzionale, trova il suo naturale limite nella intangibilità delle situazioni e dei rapporti giuridici ormai esauriti in epoca precedente alla decisione della Corte ( Fattispecie nella quale il provvedimento di esclusione dai corsi speciali I.S.E.F.

  • È stato impugnato in sede giurisdizionale e in quella sede è stato riconosciuto legittimo con sentenza passata in giudicato, con conseguente intangibilità del relativo rapporto) (Con. giust. amm.
  • Sicilia 24 settembre 1993, n.319).””Sebbene la legge non penale possa avere efficacia retroattiva, tale retroattività, specialmente nel settore della c.d.

interpretazione legislativa autentica, incontra limiti nelle singole disposizioni costituzionali e nei fondamentali principi dell’ordinamento, tra i quali va annoverata l’intangibilità del giudicato, nella specie giudicato amministrativo, in quanto il suo contenuto precettivo costituisce un modo di essere non più mutabile della realtà giuridica; pertanto, l’amministrazione non può più esimersi ancorché sia intervenuta una nuova legge (nella specie, la l.23 dicembre 1992 n.498 art.13) dall’ottemperare al giudicato, dovendosi anzi ritenere, onde il legislatore, adottando la norma d’interpretazione autentica, abbia comunque inteso escludere dalla sua applicazione le situazioni coperte dal giudicato.

  • Consiglio di Stato a.
  • Plen., 21 febbraio 1994, n.4).””Il principio secondo il quale l’efficacia retroattiva delle pronunce della Corte Costituzionale recanti dichiarazione di illegittimità costituzionale incontra il limite della irrevocabilità degli effetti prodotti dalla norma invalidata nell’ambito dei rapporti esauriti, è applicabile alle sentenze così dette additive.

(Consiglio di Stato sez. VI, 20 novembre 1995, n.1312)”.Pertanto quando un ente o un’amministrazione dello Stato revoca un atto ormai perfetto valido ed efficace basandosi sull’assunto che l’atto risulta essere in vigore in base ad una norma incostituzionale, nonostante che l’atto stesso risulti avere tali requisiti sin dall’inizio o li abbia acquisiti nel corso del tempo e, comunque, prima della sentenza d’incostituzionalità ovvero, in caso di vizi, quest’ultimi non siano stati fatti valere nella sede opportuna rispettando i modi e i tempi dell’impugnazione, è possibile ricorrere ai T.A.R.

  • Per l’annullamento del provvedimento.
  • In realtà una norma dichiarata incostituzionale rimane in vigore fino a quando non venga abrogata da una norma di pari grado o di grado superiore ovvero da una sentenza della Corte Costituzionale che in casi eccezionali può disporre per il passato a patto che, naturalmente, ne faccia espressa menzione e che tale retroattività sia debitamente motivata.In verità, “Il principio d’irretroattività costituisce regola generale dell’ordinamento giuridico, assumendo però rango costituzionale solo in riferimento alle norme penali incriminatrici ed alle altre norme di carattere afflittivo.
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Ne consegue che anche gli atti amministrativi non possono avere, a livello tendenziale ed in applicazione del principio di legalità, forza retroattiva, salva espressa previsione di legge derogatoria; in tale eccezionale ipotesi tuttavia vanno preservati: a) le posizioni soggettive dei terzi; b) la preesistenza dei presupposti di fatto e di diritto richiesti per l’emanazione dell’atto fin dalla data alla quale si vogliono far risalire gli effetti; c) i fatti già avvenuti in epoca anteriore” (Consiglio di Stato sez.

IV, 30 marzo 1998, n.502). Questo significa che una legge, anche se dichiarata incostituzionale, continua ad esplicare i suoi effetti per quei rapporti costituitisi prima della sentenza della Corte Costituzionale per un principio che può definirsi “di legalità”. La stessa legge dovrà comunque essere disapplicata per i rapporti non ancora costituiti o in corso di perfezionamento.

Per cui non si può certo dire che la sentenza della Corte Costituzionale abroghi la legge. E’ noto, infatti, che una norma può essere abrogata da un’altra norma che sia di pari grado o di grado superiore e di emanazione legislativa. In ogni caso si avrà come risultato di ritenere, comunque, abrogata la norma incostituzionale nei confronti di eventuali nuovi rapporti o nei confronti di quelli in corso di costituzione e non ancora perfetti; sarà valida ed efficace per quelli perfezionatisi in momenti precedenti al giudizio della Corte Costituzionale.

  1. Le conseguenze dell’illegittimità costituzionale della circostanza aggravante.
  2. Il corretto inquadramento della questione presuppone brevi cenni sullefficacia temporale delle pronunce della Corte Costituzionale la quale, qualora accerti il contrasto con la Carta Fondamentale di una norma, ne dichiara lillegittimità costituzionale, eliminandola dallordinamento con la conseguenza che essa non potrà trovare applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione.Gli effetti della dichiarazione di illegittimità costituzionale contrariamente alla funzione svolta dallabrogazione normativa avente efficacia ex nunc, colpiscono la norma sin dallorigine, vale a dire ex tunc, non estendosi di regola ai rapporti esauriti.

Tuttavia, rispetto alle norme penali incriminatrici lart.30, comma 4, L.87 del 1953 dispone che quando in applicazione della norma dichiarata incostituzionale è stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna ne cessano lesecuzione e gli effetti penali.

Lart.673 c.p.p, fornisce poi sul piano processuale lo strumento della revoca delle sentenze penali di condanna, emesse sulla base di norme dichiarate costituzionalmente illegittime o abrogate.Tale quadro normativo, in adesione al principio fondamentale di legalità, posto a fondamentale garanzia dellindividuo che non può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso, (salvo il principio della retroattività in melius) impone di ritenere non suscettibile di incriminazione il soggetto che abbia violato un precetto penale dichiarato incostituzionale, travolgendo anche leventuale giudicato della sentenza di condanna.Tuttavia quanto innanzi necessita di un maggiore approfondimento considerando, come richiesto dalla traccia, di esaminare le conseguenze di illegittimità costituzionale di una circostanza aggravante, anche qualora sulla base della stessa sia stata emanata una condanna passata in giudicato.

Posto che il criterio discretivo tra circostanze ed elemento costitutivo del reato risiede, secondo lorientamento maggioritario in dottrina ed in giurisprudenza, non solo nel differente nomen iuris, ma nel fatto che le prime sono elementi specializzanti che lungi dal comporre la struttura del reato, ineriscono ad essa in via eventuale ed accidentale, si potrebbe sostenere secondo un interpretazione tesa a circoscrivere in maglie quanto piu strette possibili le eccezioni al principio dellintangibilità del giudicato -presidio inevitabile di certezza dei rapporti giuridici- solo lillegittimità costituzionale di una norma che incrimina un dato comportamento stabilendo la relativa sanzione può avere lefficacia ex tunc sopra sottolineata, e quindi travolgere il giudicato, mentre la rimozione in via di legittimità dell’aggravante non potrebbe sortire gli stessi effetti.

Ma sussistono indubbi profili di diritto che convergono al contrario nel ritenere che anche laccertamento dellillegittimità costituzionale di una circostanza che incida solo sul quantum della pena possa produrre invalidanti ex tunc, colpendo quindi anche una condanna passata in giudicato.In primo luogo depongono il tal senso il tenore strettamente letterale dell’art.30 comma 4 che non circoscrive in alcun modo né direttamente né indirettamente il divieto di dare esecuzione alla condanna pronunziata in applicazione di una norma penale dichiarata incostituzionale, nonché dell’art.136 Cost che non pone alcun limite all’effetto retroattivo della pronuncia di incostituzionalità.Ma è soprattutto ladesione ai precetti costituzionali della responsabilità penale personale e della funzione rieducativa della sanzione penale ad imporre di non ritenere conforme alla Carta, rectius di eseguire una qualsiasi frazione di pena comminata sulla base dell’applicazione di un’aggravante costituzionalmente illegittima.

In questa prospettiva si muove la Corte Costituzionale che, sancendo l’illegittimità costituzionale dell’aggravante della clandestinità di cui all’art.61, n.11 bis c.p. -lesiva di plurimi principi costituzionali tra cui spicca quello di uguaglianza-ragionevolezza- pare attestare l’incompatibilità a Costituzione di una sopravvivenza della pena o della parte di pena- relativa ad un’aggravante dichiarata costituzionalmente illegittima.Né potrebbe in senso contrario valere l’accennato richiamo al principio dell’intangibilità del giudicato atteso che questo già eroso dal comma 3 dellart.2 c.p.

(se vi è stata condanna a pena detentiva e la legge posteriore prevede esclusivamente la pena pecuniaria, la pena detentiva infilitta si converte immediatamente nella corrispondente pena pecuniaria, può essere a fortiori essere limitato dal caso della cancellazione di una disposizione che prevede un aumento di pena per il caso dellaggravante illegittima.Inoltre, occorre tuttavia considerare che il divieto di dare applicazione anche nella fase di esecuzione della pena ad una norma dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale è, come detto, principio di rango costituzionale o avente chiari riferimenti costituzionali sopra menzionati e quindi è necessariamente sovraordinato dal punto di vista della gerarchia delle fonti rispetto al fascio di interessi sottesi all’intangibilità del giudicato (certezza dei rapporti giuridici, economia processuale, etc.), la cui copertura costituzionale è assai meno evidente.In questo senso l’interprete apporrebbe sì una ulteriore deroga (tra le molte già previste dall’ordinamento) al principio dell’intangibilità del giudicato, in omaggio però ad un altro principio di carattere generale e di inequivoco rango costituzionale, quale quello che impone la rimozione ex tunc, ogniqualvolta ciò sia possibile, degli effetti di una norma di legge emanata in contrasto con la Costituzione.

Non a caso, del resto, la Cassazione ha recentemente fatto ricorso all’applicazione analogica del ricorso straordinario previsto dalla disposizione (pure usualmente riconosciuta come eccezionale) dell’art.625-bis c.p.p. contro sentenze già passate in giudicato, al fine di assicurare tutela a diritti fondamentali del condannato (così come riconosciuti dagli artt.6 e 7 CEDU), violati secondo l’apprezzamento della Corte europea dei diritti dell’uomo nei rispettivi processi penali, già conclusisi con sentenza di condanna definitiva Considerato quindi che è conforme a Costituzione affermare che la sentenza di illegittimità costituzionale di una circostanza aggravante produce effetti demolitori anche del giudicato, si tratta di individuare lo strumento processuale atto a produrre tali effetti.A tal riguardo, anche se l’art.673 c.p.

sembra riferirsi espressamente solo alla revoca di sentenze emesse in base a norme riguardanti fatti-reato, nulla vieta, applicando l’analogia in bonam partem di estendere tale previsione anche alla dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’aggravante, purchè si precisi che non si tratta propriamente di revoca della sentenza, quanto di rideterminazione della pena, espunta al netto dell’aggravante dichiarata costituzionalmente illegittima.

Riteniamo, a questo punto, rchiamare l’attenzione del lettore sulla sentenza della Suprema Corte di Cassazione, prima sezione penale, del 13 gennaio 2012 n 977 (riportata sia in “massimario” che in “sentenze penali”. La suprema Corte che chiarito che nell’ipotesi di declaratoria di illegittimità costituzionale di una circostanza aggravante non può darsi esecuzione alla sentenza di condanna per la parte di pena relativa all’aumento scaturito dalla circostanza medesima.

Come le sentenze non conclusive?

Sommario – Inquadramento | «Fenomenologia» (situazioni da cui può scaturire la sentenza non definitiva) | Quali «questioni» possono decidersi con sentenza non definitiva | Sentenza parziale e sentenza (definitiva) su causa separata | Impugnazione delle sentenze non definitive (rinvio) | Il giudicato sulle sentenze non definitive | Decisioni non definitive nei procedimenti speciali | Riferimenti | La sentenza non definitiva è, secondo il lessico corrente, quella che non pone fine al processo, ma ha l’effetto più limitato di decidere specifiche questioni o singole domande e di rimandare a una sentenza successiva la pronuncia sulle restanti questioni o domande.

  • In un’accezione più rigorosa bisogna però distinguere.
  • La «sentenza non definitiva» ha per oggetto specifiche questioni.
  • È detta invece «sentenza parziale» quella che decide una o più domande senza definire il giudizio.
  • La nozione di sentenza non definitiva si ricava dall’art.279 c.p.c., che disciplina la forma dei provvedimenti «del collegio» ma che si applica anche ai processi davanti al giudice monocratico.

Il suo comma 2, n.4, assegna forma di sentenza anche ai provvedimenti che decidono particolari questioni senza definire il giudizio. Le «particolari questioni» da decidere con sentenza sono quelle indicate nei precedenti nn.1, 2, 3 stesso comma, tutte accomunate dalla loro idoneità a definire il giudizio; nel senso che, se fondate, determinano la chiusura del processo davanti al giudice adìto – o, quanto meno, il rigetto di una singola domanda.

Quale referendum permette di annullare le leggi?

La legge determina le modalità di attuazione del referendum. –

Il referendum abrogativo previsto dall’art.75 Cost. stabilisce che 500.000 cittadini o 5 Consigli regionali, possono proporre all’intero corpo elettorale ” l’abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge”, Per legge si intende una legge in senso formale, cioè approvata dal Parlamento secondo il procedimento ordinario; per “atto avente valore di legge” si intendono i decreti legge e i decreti legislativi (adottati dal Governo su legge delega del Parlamento).

  1. La Corte Costituzionale si pronuncia sull’ammissibilità del referendum.
  2. Sono escluse dal referendum abrogativo le leggi tributarie, di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali.
  3. Non è possibile abrogare disposizioni di rango costituzionale, gerarchicamente sovraordinate alla legge ordinaria.

La Corte costituzionale ha esplicitato ulteriori criteri di ammissibilità dei referendum con una copiosa giurisprudenza. Perché il referendum sia valido deve essere raggiunto il quorum di validità e cioè devono partecipare alla votazione la maggioranza degli aventi diritto al voto.

  1. Perché la norma oggetto del referendum stesso sia abrogata deve essere raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi.
  2. Hanno diritto a partecipare al referendum tutti cittadini chiamati ad eleggere la Camera dei deputati.
  3. La legge 25 maggio 1970, n.352 “Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo” dispone le modalità di attuazione della procedura referendaria.

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Chi è il giudice a quo?

Atto censurato o impugnato: è l’atto sottoposto al giudizio della Corte. Nei giudizi di legittimità costituzionale delle leggi, in via incidentale e in via principale, è una disposizione o norma di legge statale o regionale. Nei giudizi per conflitto di attribuzione tra Stato e Regioni e tra poteri dello Stato consiste, di regola, in un qualunque atto non legislativo, inclusa un’azione omissiva.

  1. Atto di promovimento : è l’atto che introduce un giudizio davanti alla Corte.
  2. Assume la forma dell’ordinanza di rimessione nei giudizi di legittimità costituzionale delle leggi in via incidentale, e la forma del ricorso nei giudizi di legittimità costituzionale delle leggi in via principale e nei giudizi per conflitto di attribuzione tra Stato e Regioni e tra poteri dello Stato.

Nei giudizi di ammissibilità di referendum abrogativo il potere-dovere della Corte di pronunciarsi sorge a seguito dell’ordinanza dell’Ufficio centrale per il referendum costituito presso la Corte di cassazione, che dichiara la legittimità della richiesta referendaria.

  1. Infine, il giudizio di accusa contro il Presidente della Repubblica è introdotto dalla deliberazione di messa in stato di accusa adottata dal Parlamento in seduta comune.
  2. Autorità ricorrente: è lo Stato, la Regione o Provincia autonoma, o il potere dello Stato che introduce un giudizio di legittimità costituzionale delle leggi in via principale, ovvero un giudizio per conflitto di attribuzione tra Stato e Regioni, o tra poteri dello Stato.

Autorità rimettente o giudice a quo: è l’autorità giudiziaria che introduce un giudizio di legittimità costituzionale delle leggi in via incidentale, sospendendo il processo davanti a sé pendente. Camera di consiglio: sede in cui la Corte esamina le questioni non trattate in udienza pubblica e delibera tutte le decisioni.

Decisione o pronuncia: è l’atto che conclude il procedimento costituzionale. Consta dell’epigrafe, del fatto, della motivazione e del dispositivo. Può assumere la forma della sentenza o dell?ordinanza. Dispositivo: è la parte conclusiva della sentenza o dell’ordinanza che contiene la determinazione della Corte (ad esempio, “dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art.”; “dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale della legge,”).

Epigrafe: è la parte iniziale della pronuncia recante l’indicazione dei componenti il collegio, degli estremi dell’atto di promovimento, dell’udienza o camera di consiglio nella quale è stata trattata la questione, del giudice relatore e degli avvocati ascoltati dalla Corte.

  1. Fonte del diritto: è l’atto o il fatto produttivo di norme giuridiche.
  2. Le principali fonti di produzione di diritto interno sono la Costituzione e le leggi costituzionali, le leggi dello Stato e delle Regioni, gli atti dello Stato aventi forza di legge (decreti legislativi e decreti-legge), i regolamenti e le consuetudini.

Giudizi pendenti: giudizi su atti di promovimento pervenuti alla Corte e in attesa di decisione. Giudizio di legittimità costituzionale delle leggi in via incidentale: è il giudizio di costituzionalità promosso, nel corso di un processo, da un giudice che chiede alla Corte di vagliare la legittimità costituzionale di una norma di legge di cui deve fare applicazione.

Giudizio di legittimità costituzionale delle leggi in via principale: è il giudizio di costituzionalità promosso dallo Stato avverso una legge regionale ovvero da una Regione avverso una legge dello Stato o di altra Regione. Giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato (conflitto tra poteri): è il giudizio promosso da un potere dello Stato affinché la Corte tuteli la sua sfera di attribuzioni costituzionalmente garantita contro gli atti invasivi, di regola non legislativi, di altro potere.

Il procedimento è articolato in due fasi. Nella prima la Corte adotta in camera di consiglio un’ordinanza con cui valuta l’ammissibilità del conflitto proposto dall’Autorità ricorrente. Nella seconda, concernente il merito della controversia, la Corte stabilisce con sentenza a quale potere spetti l’attribuzione in contestazione.

Giudizio per conflitto di attribuzione tra Stato e Regioni o tra Regioni (conflitto tra enti): è il giudizio promosso dallo Stato (o da una Regione) affinché la Corte tuteli la sua sfera di attribuzioni costituzionalmente garantita contro gli atti invasivi (non legislativi) posti in essere da una Regione (o dallo Stato o da un’altra Regione).

Giudizio sull’ammissibilità di referendum abrogativo: è il giudizio con cui la Corte dichiara ammissibile o inammissibile un quesito referendario, già ritenuto regolare dall’Ufficio centrale presso la Corte di cassazione, volto ad abrogare in tutto o in parte una legge statale.

Giudizio sulle accuse promosse contro il Presidente della Repubblica: è il giudizio penale, deliberato dal Parlamento in seduta comune, in cui la Corte giudica il Presidente della Repubblica per i reati di alto tradimento e attentato alla Costituzione. Massime : elaborazione in forma sintetica della motivazione e del dispositivo delle pronunce della Corte.

Motivazione: è la parte della sentenza o dell’ordinanza in cui la Corte espone le ragioni poste a fondamento della sua decisione. Ordinanza: è una delle due forme che assumono le pronunce della Corte. E’ succintamente motivata e il suo contenuto può essere decisorio o interlocutorio.

  • Ordinanza di rimessione: è l’atto di promovimento dei giudizi di legittimità costituzionale delle leggi in via incidentale.
  • Ordinanza istruttoria: è l’atto con cui formalmente la Corte dispone i mezzi di prova ritenuti opportuni per poter decidere in relazione a determinate questioni.
  • Ordinanza sospensiva: è l’atto con cui formalmente la Corte sospende gli effetti delle norme e degli atti impugnati rispettivamente in via principale e nei conflitti di attribuzione tra enti.

Parametri costituzionali: disposizioni della Costituzione o di leggi costituzionali, ovvero di altre fonti da esse richiamate o che in esse trovano fondamento, che si suppongono violate. Pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana: è la forma di pubblicità legale degli atti di promovimento e delle decisioni della Corte.

  • Questione: è un quesito sottoposto alla Corte.
  • Un quesito è esattamente definito in relazione alle norme o agli atti censurati ed ai parametri costituzionali asseritamente violati.
  • Registro dei conflitti tra enti : elenco, consultabile sul sito, dei ricorsi per conflitto di attribuzione tra enti pervenuti alla Corte e in attesa di decisione.

Registro dei conflitti tra poteri : elenco, consultabile sul sito, dei ricorsi per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato pervenuti alla Corte e in attesa di decisione. Registro dei giudizi sull’ammissibilità di referendum abrogativo : elenco, consultabile sul sito, delle istanze referendarie sottoposte al vaglio della Corte e in attesa di decisione.

Registro dei giudizi sulle accuse promosse contro il Presidente della Repubblica : elenco, consultabile sul sito, dei procedimenti penali pendenti. Registro dei ricorsi : elenco, consultabile sul sito, dei ricorsi in via principale pervenuti alla Corte e in attesa di decisione. Registro delle ordinanze : elenco, consultabile sul sito, delle ordinanze di rimessione pervenute alla Corte e in attesa di decisione.

Ricorso: è l’atto di promovimento dei giudizi di legittimità costituzionale delle leggi in via principale e dei giudizi per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato e tra enti. Ruolo delle cause: è l’atto del Presidente della Corte che individua le cause da trattarsi in ciascuna udienza pubblica o camera di consiglio, con indicazione del giudice relatore.

Sentenza: è una delle due forme che assumono le pronunce della Corte. Ha contenuto decisorio. Titolo degli atti di promovimento: formulazione concisa, articolata in più passaggi, dei termini della questione e delle censure prospettate dall’autorità ricorrente o rimettente. Titolo delle decisioni: formulazione concisa, articolata in più passaggi, dei termini della questione e dell’esito della decisione adottata dalla Corte.

Udienza pubblica : sede in cui la Corte esamina alla presenza del pubblico le questioni, ascoltando la relazione del giudice designato e gli interventi degli avvocati delle parti e del foro erariale o regionale.