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Di Cosa Parla La Legge Basaglia?

Di Cosa Parla La Legge Basaglia
Descrizione – La norma in sé venne applicata solo pochi mesi dopo, ossia fino all’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale (23 dicembre 1978). Il 23 dicembre 1978 fu approvata la legge, n.833, che istituiva il Servizio Sanitario Nazionale e conteneva al suo interno (con alcune modifiche) quasi gli stessi articoli della legge 13 maggio 1978, n.180.

«Non è importante tanto il fatto che in futuro ci siano o meno manicomi e cliniche chiuse, è importante che noi adesso abbiamo provato che si può fare diversamente, ora sappiamo che c’è un altro modo di affrontare la questione; anche senza la costrizione.»
( Franco Basaglia )

La Legge 180 è la prima e unica legge quadro che impose la chiusura dei manicomi e regolamentò il trattamento sanitario obbligatorio, istituendo i servizi di igiene mentale pubblici. Ciò ha fatto dell’Italia il primo paese al mondo (e al 2019, finora l’unico) ad abolire gli ospedali psichiatrici.

Prima della riforma dell’organizzazione dei servizi psichiatrici legata alla legge n.180/1978, i manicomi erano spesso significativamente connotati anche come luoghi di contenimento sociale, e dove l’intervento terapeutico e riabilitativo scontava frequentemente le limitazioni di un’impostazione clinica che si apriva poco ai contributi della psichiatria sociale, delle forme di supporto territoriale, delle potenzialità delle strutture intermedie, e della diffusione della psicoterapia nei servizi pubblici.

La legge voleva anche essere un modo per modernizzare l’impostazione clinica dell’assistenza psichiatrica, instaurando rapporti umani rinnovati con il personale e la società, riconoscendo appieno i diritti e la necessità di una vita di qualità dei pazienti, seguiti e curati anche da strutture territoriali.

La legge stessa, nell’articolo 11 (“Norme finali”), prevedeva che la stragrande maggioranza degli articoli (articoli 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8 e 9) restassero in vigore solo fino alla data di entrata in vigore della legge istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale, condizione poi verificatasi con la legge n.833 del 23 dicembre 1978.

La legge n.180/1978 demandò l’attuazione alle Regioni, le quali legiferarono in maniera eterogenea, producendo risultati diversificati nel territorio. Nel 1978 solo nel 55% delle province italiane vi era un ospedale psichiatrico pubblico (solitamente complessi molto estesi, oggi perlopiù lasciati abbandonati), mentre nel resto del Paese ci si avvaleva di strutture private per il 18%, o delle strutture di altre province per il 27%.

Che cosa prevede la legge Basaglia?

Rosy Bindi La tragedia di Ardea non è conseguenza della legge che ha permesso la chiusura dei manicomi. L’alternativa alla costrizione è la cura, il ragazzo che ha sparato invece è stato abbandonato La tragedia di Ardea avrà sicuramente molte spiegazioni, non è possibile affrontare la questione in modo semplicistico.

Tuttavia il dibattito si è subito concentrato sulla legge Basaglia e sul modo in cui viene oggi trattata la malattia mentale, Su questo è bene essere chiari: la tragedia di Ardea non è responsabilità della legge voluta dallo psichiatra Franco Basaglia, ma di chi quella legge non l’ha applicata o, se l’ha applicata, l’ha fatto per un breve periodo.

La legge 180 del 1978, nota come legge Basaglia, non prevedeva di “lasciare liberi i matti”. Ha consentito la chiusura dei manicomi e l’abbattimento di qualunque “muro”, segregazione e istituzionalizzazione della salute mentale, ma non prevedeva affatto l’abbandono della persona con problemi di salute mentale.

  1. Piuttosto ne prevedeva l’accompagnamento, la presa in carico, e, da quel punto di vista, la legge è un prototipo di Servizio sanitario nazionale.
  2. Dico di più, è il prototipo addirittura della società, di quella società che dovrebbe prendere in carico ogni forma di fragilità e disabilità,
  3. Ciò che non funziona oggi è che dopo un Trattamento sanitario obbligatorio (Tso), le persone con problemi psichiatrici vengono restituite alla famiglia, senza che venga valutato se questa ha realmente la capacità e possibilità di accompagnare adeguatamente il malato.

L’alternativa alla costrizione non è l’abbandono, ma l’accompagnamento attraverso un processo di autonomia, verso un uso responsabile della libertà. Ognuno è un caso a sé ed è per questo che oggi si parla di Bilancio della salute individuale, che per essere riscattata – sia che si tratti di salute mentale, tossicodipendenza, marginalità, disabilità – necessita però di un contesto abitativo, familiare, comunitario, lavorativo e di un accompagnamento che aumenta in base al grado di autonomia reale del paziente psichiatrico.

  • Purtroppo in questi ultimi anni abbiamo trasformato il servizio sanitario in una sequela di prestazioni.
  • I matti, i tossicodipendenti, i disabili e gli anziani non possono essere curati così.
  • La tragedia del Covid che si è consumata nelle Rsa insegna che neanche la vecchiaia può essere istituzionalizzata e che il domicilio e le piccole comunità sono lo strumento migliore per aiutare le persone.

Se vogliamo che non si ripeta la tragedia di Ardea, che poi purtroppo è simile a tante altre, dobbiamo cambiare modello di società in quello suggerito nella “Fratelli tutti” di Papa Francesco, in cui si chiede di mettere al centro della nostra società i fragili: se sapremo prenderci cura del non autosufficiente, saremo in grado di prenderci cura di tutti.

  • Solo se sapremo prenderci cura del non autosufficiente saremo in grado di prenderci cura di tutti Certamente servono dei fondi.
  • Il Pnrr ha previsto uno stanziamento di 20 miliardi per la sanità, consistente ma non sufficiente.
  • Il Recovery plan contiene una buona notizia, perché sono previste case della salute di comunità.

Anche il linguaggio sta cambiando: non si dovranno solo comprare macchinari, ma investire anche in formazione del personale. Solo così si possono abbattere veramente i muri e non crearne di nuovi. Ciò che è successo con i “matti” accade con ogni presunto “diverso” : tossicodipendenti, malati di Aids, anziani, immigrati.

Il muro è una scorciatoia, ma ogni muro abbattuto dovrebbe essere la condizione per non crearne altri e affrontare le diversità con cura. Né contenzione né abbandono alla irresponsabilità. Il ragazzo che ha sparato è stato abbandonato. Non è questa la legge Basaglia, non sono queste le nuove conquiste che si sono fatte negli anni per trasformare la psichiatria in salute mentale.

Vedi anche: Coronavirus, la strage nelle comunità psichiatriche Bindi: “Chi ha paura di rilanciare il Servizio sanitario nazionale?” I cattivi effetti collaterali del covid sulla mente Pandemia, l’emergenza nella testa Nerina Dirindin: intervista Fonte: lavialibera

Perché legge Basaglia?

Chiusura dei manicomi e nascita dei CSM. – Per effetto della Legge venne predisposta la chiusura definitiva dei manicomi, stabilendo il graduale superamento degli ospedali psichiatrici e aprendo così la via alla rivoluzione in campo della salute mentale: non più contenitiva ma integrativa rispetto la società e riabilitativa verso la persona malata.

Altra grande novità riguarda lo spostamento, extra ospedaliero, della centralità funzionale del servizio: nell’articolo 6 del testo normativo è infatti palesemente indicato che ” gli interventi di prevenzione, cura e riabilitazione relativi alle malattie mentali sono attuati di norma dai servizi e presìdi psichiatrici extra ospedalieri “.

Questo genera quindi l’antefatto normativo utile alla creazione dei Centri di Salute Mentale (CSM).

Chi ha fatto la legge Basaglia?

di Manuela Correra “La cosa importante è che abbiamo dimostrato che l’impossibile diventa possibile”. Sta, forse, tutto in questa frase il senso della legge rivoluzionaria che 40 anni fa segnò la fine dell’era degli ospedali psichiatrici in Italia, ovvero la chiusura dei manicomi.

  • A pronunciarla il ‘padre’ di quella legge – la 180 del 13 maggio 1978 – lo psichiatra Franco Basaglia, che diede vita al Movimento per il superamento degli istituti psichiatrici.
  • Da allora è cambiato il volto della malattia psichiatrica nel nostro Paese, ma restano tuttavia molte le criticità da affrontare, a partire da un sistema di assistenza per il quale i finanziamenti sono ancora insufficienti.

Nell’ex manicomio del Santa Maria della Pietà a Roma FOTO Di Cosa Parla La Legge Basaglia Basaglia e i manicomi LE FOTO in BIANCO e NERO La 180, sottolinea lo psichiatra Massimo Cozza, coordinatore del Dipartimento salute mentale (Dsm) ASL Roma 2 (il più grande d’Italia con circa 1,3 mln di abitanti), “ha restituito dignità ai malati e ha indicato nei servizi territoriali i luoghi di cura. Di Cosa Parla La Legge Basaglia Prima della 180 era vigente la legge 36 del 1904, per la quale venivano internate nei manicomi le persone ” affette per qualunque causa da alienazione mentale”, Dopo un periodo di osservazione, i pazienti potevano essere ricoverati definitivamente, perdevano i diritti civili ed erano iscritti nel casellario penale.

Nei fatti, afferma Cozza, ” i manicomi svolgevano un ruolo di controllo sociale dei supposti ‘devianti’, dove si ritrovava chi era ai margini della società, dai malati di mente ai piccoli delinquenti alle prostitute, e dove si praticavano elettroshock e contenzioni. Tra i ricoverati vi erano anche gli omosessuali.

Come vivevano gli internati al manicomio Santa Maria della Pietà VIDEO Ascanio Celestini: Il manicomio e’ nella testa di chi ha potere VIDEO “Negli ospedali psichiatrici ci sedano, non ci curano” VIDEO Nel periodo fascista, poi, i ricoverati aumentarono, con un’utilizzazione di tali istituti anche per i dissidenti, e dal 1926 al 1941 passarono da 60 mila a 96 mila”. Di Cosa Parla La Legge Basaglia In cura per problemi mentali 807.000 italiani LEGGI Poi la svolta, ed a completamento del percorso anche le leggi 9 del 2012 e 81 del 2014 che hanno decretato il superamento pure degli ospedali psichiatrici giudiziari (Opg ), dopo la denuncia delle loro drammatiche condizioni. Di Cosa Parla La Legge Basaglia Il panorama dell’assistenza si è dunque completamente trasformato, ma anche oggi non mancano le criticità. La situazione attuale è infatti, denuncia Cozza, “a macchia di leopardo con grandi differenze regionali. Uno dei problemi resta la carenza di personale: quello dei Dsm è di 29.260 unità, sotto lo standard di 1/1500 abitanti indicato dal Progetto obiettivo salute mentale 1998-2000, secondo il quale gli operatori dipendenti dovrebbero essere circa 40mila. Di Cosa Parla La Legge Basaglia Lo psichiatra Renzo De Stefani, luci e ombre della Legge Basaglia LEGGI Un dato allarmante riguarda anche l’assistenza ai più giovani: “In Italia ci sono solo 325 posti letto di neuropsichiatria infantile “, afferma Antonella Costantino, presidente della Società italiana di neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza (Sinpia).

Cosa prevede la Legge 180 del 78?

Prima della Legge 180/1978 i malati con disturbi psichici erano considerati irrecuperabili e pericolosi socialmente, pertanto venivano allontanati dalla società, emarginati e rinchiusi nei manicomi. Il primo successo della Legge 180 risiede nella chiusura dei manicomi che ha permesso di restituire dignità e valore ai malati in essi reclusi.

Ecco dunque il secondo significato fondamentale della legge Basaglia: centralità della persona Il significato della legge è dunque direttamente legato a quanto sopra: dare dignità ai malati psichici ha contribuito a riconoscerli come persona a tutti gli effetti. In quanto persone, il riconoscimento dei loro diritti è stata una conquista di civiltà,

Tale considerazione ha determinato la fine dei metodi custodialistici, riconoscendo invece la necessità di una presa in carico della persona, Ecco dunque il secondo significato fondamentale della legge Basaglia: centralità della persona, Lo spostamento da strategie di tipo custodialistico a presa in carico della persona, ha comportato la valorizzazione di tutti gli aspetti ad essa legati, sia di tipo biologico che di tipo psicologico e sociale.

Quest’ultimo aspetto in quell’epoca, risultava prevalente per le evidenti caratteristiche di esclusione e di emarginazione a cui erano sottoposti “i malati”. Questo approccio ha comportato anche un grosso sforzo, nonché l’assunzione di una importante componente di rischio da parte dei professionisti che hanno contribuito a realizzare la chiusura dei manicomi.

Essi hanno necessariamente messo in discussione il proprio sapere e il proprio modo di essere. Mettere tra parentesi il pregiudizio diagnostico e i ruoli precostituiti, significava in quel momento dare senso al non apparente senso della sofferenza psichiatrica,

Come si chiamano oggi i manicomi?

Mentre si celebrano i 40 anni della legge Basaglia, vediamo come sta andando una riforma più recente: la legge 81 del 2014, che ha stabilito la chiusura dei “manicomi giudiziari” e la loro sostituzione con strutture residenziali, le Rems. La legge 81 del 2014 ha stabilito la chiusura degli Ospedali psichiatrici giudiziari (gli Opg, che l’ex Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano aveva definito “estremo orrore”): da allora ogni regione deve impegnarsi a prendersi carico dei propri pazienti psichiatrico-forensi.

Cosa si faceva prima della legge Basaglia?

«Mio padre suonava il contrabbasso, mia madre il pianoforte, i miei fratelli e le mie sorelle erano impegnati tutti nel campo artistico, chi flauto chi direttore d’orchestra, chi insegnante di musica. Io suonavo il violino da quando avevo sette anni e a diciotto avevo iniziato a lavorare in orchestra.

  1. Una vita disordinata, commentavano i medici, causa delle mie tendenze teatrali tramutatisi in manie di persecuzione e psicosi.
  2. Non contenta avevo anche sposato un musicista, insomma, possedevo quel tanto che bastava per farmi dichiarare pazza da manicomio ».
  3. Enrica Rogliano, violinista, nata nel 1904, ammessa nel 1940.

«Fui misurato come un mobile in falegnameria, dalla testa ai piedi passando per il naso, le orecchie, il cranio, le braccia, le spalle, il torace, lo scheletro, le ossa. Le misurazioni esterne diedero il responso sulla mia situazione psichica: indole degenerabile e patologica – lo dimostrava anche il mio mancinismo».

  • Emilio Caporali era nato nel 1869, nel 1890 è entrato in ospedale psichiatrico.
  • Quello di Caporali è un nome famoso, accusato di «mancato assassinio per premeditazione in persona di Sua Eccellenza Cavalier Francesco Crispi Presidente dei Ministri del Regno d’Italia».
  • Enrica Rogliano non è salita alle cronache, ma con Caporali condivide l’esperienza tragica dell’ospedale psichiatrico, il manicomio.

Le loro storie, insieme ad altre undici sono raccontate, in forma di romanzo, ma partendo dalle cartelle cliniche, in I tredici canti di Anna Marchitelli, edito da Neri Pozza. «Lettere che i ricoverati scrivevano e non venivano inviate, i diari clinici che medici e infermieri tenevano, ma il 40% di ogni biografia è documento storico che arriva dalle cartelle» spiega l’autrice.

LEGGI ANCHE Anna Foglietta: «Alda Merini e quella lezione del dolore» A leggere con occhi contemporanei questa platea di « folli », la follia non sembra esserci davvero nella maggior parte dei casi. A far guardare con occhi diversi a quella platea è stato, 40 anni fa, lo psichiatra Franco Basaglia, il padre di quella legge, la 180 del 13 maggio 1978, che diede vita al Movimento per il superamento degli istituti psichiatrici.

Non tutti chiusero subito, anche perché non c’erano strutture alternative e alcuni pazienti non avevano parenti a cui poter essere affidati. La dismissione è andata avanti fino agli anni 2000. La legge però è stata unanimemente definita «una legge di civiltà».

Prima della 180 era c’era la legge 36 del 1904, per la quale venivano internate nei manicomi le persone «affette per qualunque causa da alienazione mentale ». Erano i deviati, quanti non rientravano nei canoni, per motivi che non erano sempre legati alla malattia mentale, spesso non lo erano per nulla.

In manicomio finiva chi era ai margini della società, ma anche gli omosessuali e tante donne. Nel periodo fascista i ricoveri aumentarono. Finirono dentro i dissidenti e le madri snaturate. Annacarla Valeriano che lavora all’Archivio della Memoria della Fondazione Università degli Studi di Teramo ha studiato dal 2009 le cartelle cliniche dell’ex manicomio Sant’Antonio Abate di Teremo e si è dedicato in particolare negli ultimi anni ai casi al femminile (dal suo libro, Malacarne.

  • Donne e manicomio nell’Italia fascista, edito da Donzelli sono tratte le immagini della gallery in alto).
  • «La devianza femminile era sempre legata alla sessualità, all’incapacità di assolvere ai ruoli canonici in particolare negli anni del regime in cui la donna aveva il ruolo di docile, materna e prolifica, una mistica del sacrificio».

Al reale problema psichico si aggiungeva l’ambiente sociale degradato, traumi non superati, il « danno emotivo » e spesso la medicalizzazione del sentimento e delle emozioni. «Ci sono casi di giovani donne in cui il manicomio è correttivo e loro sono ribelli, i parenti utilizzano il manicomio perché la ragazza è ostile all’ambiente familiare» dice la dottoressa Valeriano.

LEGGI ANCHE 0:03 / 0:10 11 «Mio padre, l’uomo che eliminò i manicomi» Era un’istituzione strumentale per gestire la diversità, Sia che la si leggesse nei volti, con un’idea lombrosiana, sia che la si cercasse nelle anomalie del corpo: dal mancino al dislessico, dal troppo sensibile al contestatore. L’omosessualità era classificata come degenerazione.

Le persone attratte dallo stesso sesso erano i pazzi morali, avevano un pervertimento degli istinti morali da sanare in manicomio. C’erano anche casi di donne che si ribellavano alla violenza dei mariti e che venivano fatte dichiarare pazze. Era un’emarginazione istituzionalizzata.

  • Soprattutto, il 90% dell’utenza era fatta di poveri, di persone le cui famiglie non potevano avere il peso di un «imperfetto» in casa.
  • «La gran parte dei reclusi non erano folli, erano persone che volevano esprimere qualcosa e cadevano nella follia quando questo veniva loro impedito» spiega Anna Marchitelli che ha studiato le cartelle cliniche dell’ex ospedale psichiatrico Leonardo Bianchi di Napoli, uno dei più grandi d’Italia in cui arrivano persone da altre regioni.

«I medici» aggiunge «non toccavano nemmeno i pazienti, li analizzavano da lontano toccandoli con una penna o con le chiavi». Queste persone erano « storte e difettate », è la definizione che uno dei personaggi del libro ha di sé, per i canoni dell’epoca in cui vivevano.

Cosa si faceva nei manicomi?

Le condizioni di vita, in un manicomio, erano ben peggiori di quelle di un qualsiasi penitenziario. Le terapie applicate erano la segregazione nei letti di contenzione, la camicia di forza, l’elettroshock praticato in maniera selvaggia, le docce fredde, l’insulino-terapia, la lobotomia.

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Chi ha aperto i manicomi?

Il 13 maggio 1978, quarant’anni fa, il Parlamento italiano approvò la cosiddetta ” legge Basaglia “, che abolì i manicomi, cioè gli ospedali psichiatrici in cui venivano rinchiuse contro la loro volontà le persone con disturbi mentali, e restituì loro il diritto di cittadinanza.

  • La legge Basaglia fu la prima legge al mondo ad abolire gli ospedali psichiatrici: a scriverla e promuoverla fu il deputato della Democrazia Cristiana e psichiatra Bruno Orsini.
  • Il suo nome, però, è dovuto a Franco Basaglia, uno psichiatra che con il suo lavoro fece cambiare il modo di pensare alla “salute mentale”, non solo in Italia.

Ancora oggi, e specialmente in occasione del suo anniversario, si parla spesso degli importanti cambiamenti introdotti dalla legge Basaglia. Secondo molti psichiatri lo spirito con cui fu scritta dovrebbe essere in un certo senso ripreso, per discutere nuove riforme nei metodi usati per assistere le persone con problemi psichiatrici, per esempio vietando la contenzione meccanica, cioè la pratica di legare i pazienti ai letti.

Prima della legge Basaglia Nel 1978 in Italia c’erano 98 ospedali psichiatrici che ospitavano più di 89mila persone ed erano regolati dalla legge 36 del 1904, proposta dall’allora presidente del Consiglio Giovanni Giolitti: fu quella che istituì ufficialmente i manicomi (esistevano anche prima, ma non erano regolamentati) e diede ai loro direttori la responsabilità civile e penale delle persone dimesse.

Il primo articolo diceva: «Debbono essere custodite e curate nei manicomi le persone affette per qualunque causa da alienazione mentale, quando siano pericolose a sé o agli altri e riescano di pubblico scandalo e non siano e non possano essere convenientemente custodite e curate fuorché nei manicomi».

  • Per decenni moltissime persone furono rinchiuse nei manicomi perché ritenute “devianti”.
  • Tra queste c’erano anche omosessuali e prostitute.
  • Il passaggio sul «pubblico scandalo» contenuto nella legge del 1904 giustificava l’internamento di chi era considerata inadatta al ruolo di moglie e madre, richiesto alle donne dalla società del tempo: per questo finivano in manicomio donne considerate “ninfomani”, “indemoniate” o “malinconiche”, cioè probabilmente affette da depressione clinica.

I ricoveri avvenivano in modo coatto, su richiesta di chiunque segnalasse la presunta pericolosità della persona in questione. Dopo un primo periodo di internamento provvisorio, i ricoveri potevano diventare definitivi. Dall’introduzione del cosiddetto codice Rocco, il codice penale fascista entrato in vigore nel 1931, e fino al 1968, gli internati cominciarono a essere iscritti nel casellario giudiziario.

Durante il regime fascista i manicomi furono usati anche per imprigionare dissidenti politici: dal 1926 al 1941 gli internati passarono da 60mila a 96mila. Tra le cose che oggi sembrano più incomprensibili riguardo ai manicomi c’è il trattamento che subivano i bambini. Come racconta il webdoc Matti per sempre, realizzato dalle giornaliste Maria Gabriella Lanza e Daniela Sala, non esistevano limiti di età per il ricovero: bastava un certificato medico che dichiarasse il bambino pericoloso per sé o per gli altri, e per questo spesso venivano internati anche bambini piccolissimi solo perché le famiglie non potevano o non volevano prendersene cura.

Alcuni, per esempio, avevano semplicemente dei disturbi dell’apprendimento, oppure erano iperattivi. Dal 1913 al 1974 nel manicomio Santa Maria della Pietà di Roma furono internati 293 bambini con meno di 4 anni, e 2.468 tra i 5 e i 14 anni. Sia i bambini sia gli adulti ricoverati in manicomio erano più prigionieri che pazienti: spesso soffrivano il freddo, erano tenuti in condizioni di scarsa igiene e malnutrizione dovute anche al sovraffollamento delle strutture, subivano trattamenti con le camicie di forza e l’elettroshock, che si supponeva avessero funzioni terapeutiche in quanto stordivano e rendevano passivi gli internati.

  • Soprattutto nei primi decenni dall’istituzione dei manicomi si sapeva ancora pochissimo di molte patologie psichiatriche: per questo più che curare i pazienti si tendeva a sedarli e “contenerli”.
  • Una serie di leggi, poi, privava in molti casi le persone considerate “alienate” della cittadinanza, e in particolare del diritto di voto.

I manicomi cominciarono a cambiare nel 1968, grazie a una legge proposta dal ministro della Sanità socialista Luigi Mariotti, che nel 1965 aveva paragonato i manicomi ai campi di concentramento nazisti. La legge, la numero 132 del 12 febbraio, fissò un massimo di 500 posti letto per i manicomi, al fine di evitare il sovraffollamento, abolì l’iscrizione al casellario giudiziario degli internati e introdusse il ricovero volontario con la speranza che nel tempo sarebbe diventato la modalità principale di ricovero. Di Cosa Parla La Legge Basaglia Lo psichiatra Franco Basaglia, che morì il 29 agosto 1980 per un tumore al cervello; da circa un anno era coordinatore dei servizi psichiatrici della Regione Lazio (ANSA) Proprio all’inizio del 1968, anno dell’introduzione della legge Mariotti, Basaglia pubblicò il saggio L’istituzione negata, in cui raccontò in modo divulgativo la sua esperienza di direttore dell’ospedale psichiatrico di Gorizia.

  • Il libro ebbe molto successo e Basaglia divenne noto in tutta Italia e poi nel mondo.
  • Dopo il manicomio di Gorizia, dal 1969 al 1971 Basaglia diresse quello di Colorno, in provincia di Parma, che nel 1968 era stato occupato da un gruppo di studenti che voleva una riforma dei manicomi; poi passò a quello di Trieste.

Nel 1973 la città fu scelta dall’ Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) per sperimentare nuove forme di cura per le persone con problemi di salute mentale e nello stesso anno Basaglia fondò il movimento Psichiatria Democratica, un gruppo di psichiatri attivisti intenzionati a cambiare il proprio mestiere e a far chiudere i manicomi.

La questione dei manicomi fu messa al centro di un esteso dibattito anche grazie al documentario Matti da slegare, realizzato da Silvano Agosti, Marco Bellocchio, Sandro Petraglia e Stefano Rulli nel manicomio di Colorno. Vinse il Gran premio della giuria al festival del cinema di Berlino del 1976. L’impegno di Basaglia ispirò la legge che porta il suo nome e che, oltre ad abolire i manicomi e a restituire la cittadinanza alle persone con problemi di salute mentale, eliminò la pericolosità dai criteri per cui una persona deve essere curata e istituì gli ospedali psichiatrici giudiziari (OPG) al posto dei manicomi criminali.

Inoltre introdusse il trattamento sanitario obbligatorio (TSO) nel caso di pazienti con «alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici, se gli stessi non vengano accettati dall’infermo e se non vi siano le condizioni e le circostanze che consentano di adottare tempestive ed idonee misure sanitarie extra ospedaliere», sempre «nel rispetto della dignità della persona e dei diritti civili e politici garantiti dalla Costituzione».

Dopo la legge Basaglia Formalmente la legge Basaglia ebbe una vita molto breve, dato che a pochi mesi dall’approvazione fu sostituita dalla legge numero 833 del 23 dicembre 1978, che istituì il Servizio Sanitario Nazionale, comprendente quasi gli stessi articoli per quanto riguarda la cura dei malati mentali.

La loro applicazione richiese però molto tempo, e avvenne con tempistiche diverse a seconda delle regioni, visto che la legge Basaglia aveva affidato agli enti locali il rimpiazzo dei manicomi. Ci vollero circa vent’anni perché fosse completato, e gli ospedali psichiatrici fossero sostituti da centri di salute mentale (CSM), centri diurni (CD) per chi dorme a casa, strutture residenziali per chi ha bisogno di assistenza per lunghi periodi e servizi psichiatrici di diagnosi e cura (SPDC), cioè i reparti psichiatrici degli ospedali in cui avvengono ricoveri volontari e obbligatori 24 ore al giorno.

In un certo senso, però, si può dire che la rivoluzione cominciata con la legge Basaglia è continuata fino ad anni molto recenti, e secondo molti non ancora finita. Solo con la legge 9 del 2012 e la legge 81 del 2014 è stata stabilita anche la chiusura dei sei ospedali psichiatrici giudiziari (OPG), le cui condizioni erano ancora troppo simili a quelle dei vecchi manicomi.

La chiusura effettiva di queste strutture è stata completata nel 2017; ora al loro posto ci sono le residenze per le misure di sicurezza (REMS), strutture sanitarie residenziali con non più di 20 posti letto, che comunque continuano a presentare aspetti problematici e suscitare critiche,

Anche gli SPDC e i CSM sono comunque spesso oggetto di critiche da alcuni psichiatri. In un’ intervista all’ ANSA lo psichiatra Massimo Cozza, coordinatore del Dipartimento salute mentale (DSM) ASL Roma 2, ha spiegato che tra regione e regione ci sono molte differenze nei servizi di cura alle persone con disturbi mentali e ha segnalato il grosso problema della carenza di personale: «Quello dei DSM è di 29.260 unità, sotto lo standard di 1 su 1.500 abitanti indicato dal Progetto obiettivo salute mentale 1998-2000, secondo il quale gli operatori dipendenti dovrebbero essere circa 40mila.

Inoltre i fondi sono insufficienti». Oggi un aspetto spesso criticato delle cure alle persone con disturbi psichiatrici è il TSO, che talvolta viene praticato in maniera violenta e che in alcuni casi, come quello del torinese Andrea Soldi, ha portato alla morte dei pazienti.

Critiche simili sono spesso state rivolte alla contenzione meccanica, cioè la pratica di legare ai letti i pazienti difficili da controllare. Viene giustificata usando l’articolo 54 del codice penale che stabilisce che non sia punibile chi lega una persona «per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave».

Una ricerca del 2004 finanziata dal ministero della Salute – la più recente fonte di dati su questo aspetto – aveva stimato che la contenzione meccanica venisse praticata nel 60 per cento degli SPDC, su undici pazienti su cento. Non si sa con certezza in quale misura la contenzione meccanica sia usata oggi, anche se dal 2006 esiste un’associazione, il Club di SPDC no restraint, i cui membri dichiarano di non usare la contenzione meccanica nei propri reparti: ne fanno parte gli psichiatri di 21 dei 329 SPDC italiani.

Chi va al manicomio?

I primi 40 anni della 180. Dalla chiusura dei manicomi alla fine degli Ospedali psichiatrici giudiziari. È il momento di una seconda Conferenza Nazionale per la Salute Mentale Quotidiano on line di informazione sanitaria Lunedì 12 DICEMBRE 2022 Studi e Analisi segui quotidiano sanita,it di Massimo Cozza 08 APR – Il 13 maggio 2018 la legge 180 compirà il suo quarantesimo anno di vita.

Ogni legislatura, compresa quella attuale, vengono presentate diverse proposte di legge per cambiarla, ma nessuna è poi stata approvata, a conferma della riconosciuta validità dei suoi principi. Alla base, un concetto all’epoca rivoluzionario, racchiuso in una domanda e in una risposta nello storico documentario della Rai “I giardini di Abele” del 1968.

Il giornalista Sergio Zavoli chiede: “E’ interessato più al malato o alla malattia?”; lo psichiatra Franco Basaglia risponde: “Decisamente al malato”. La legge 180, infatti, ha dato dignità e diritti a chi soffre di gravi disturbi psichiatrici. Da oggetto pericoloso, incurabile, da allontanare dalla società, a soggetto attore della propria vita con i diritti di cittadinanza, compreso il diritto alla cura, con la quale si può anche guarire.

Il risultato della legge 180, che possiamo definire il più eclatante, è comunque rappresentato dall’abolizione del manicomio, istituzionale totale che annullava la persona, con l’individuazione del territorio quale luogo di intervento per la tutela della salute mentale partendo dalla storia di ciascuno.

Studiamo Insieme OSS:⚖ Legge Basaglia 180/78

Nei manicomi si ritrovavano rinchiusi insieme non solo i malati mente, ma anche coloro che erano ai margini della società, dai barboni ai piccoli delinquenti, dalle prostitute agli insufficienti mentali, dagli omosessuali agli alcolisti. Vi si praticavano elettroshock e contenzioni, e perfino la lobotomia frontale che rendeva “tranquilli” i degenti più agitati (l’ideatore Egas Moniz ricevette il premio Nobel nel 1949).

Luoghi segreganti che arrivavano ad ospitare migliaia di internati, numeri non persone. Basti pensare in Italia al manicomio di Volterra che arrivò fino a 5mila degenti, e al Santa Maria della Pietà di Roma circa 3mila. Sempre Basaglia nel libro Conferenze Brasiliane: “La cosa importante che abbiamo dimostrato che l’impossibile diventa possibile.

Dieci, quindici, vent’anni fa era impensabile che un manicomio potesse essere distrutto.” L’abolizione dei manicomi è stata ulteriormente completata dalla recente chiusura anche degli ospedali psichiatrici giudiziari. L’Italia, oggi, è l’unico paese al mondo senza più manicomi.

  1. Fondamentale è stata l’affermazione della volontarietà del trattamento, dopo decenni di internamenti obbligatori negli ospedali psichiatrici.
  2. Con la legge 180 i ricoveri obbligatori sono passati dalla norma ad una minoranza; durano di media pochi giorni e non più tutta la vita e, quando necessità il ricovero ospedaliero, sono effettuati nei servizi psichiatrici all’interno degli ospedali generali, prevedendo una serie di garanzie.

Il progetto obbiettivo 1998 – 2000 ha successivamente definito l’articolazione e le modalità di funzionamento dei dipartimenti di salute mentale, compito che la Costituzione assegna alle Regioni. Centri di salute mentale, centri diurni, strutture residenziali psichiatriche con non più di 20 posti letto, servizi psichiatrici di diagnosi e cura (Spdc), residenze per le misure di sicurezza (Rems), articolazioni per la salute mentale nelle carceri, appartamenti assistiti, progetti di sostegno alla persona e assistenza domiciliare, progetti di integrazione sociali, in stretto rapporto con la cooperazione sociale, il volontariato e le associazioni dei familiari, rappresentano una vera e propria ricchezza e varietà di presidi, di servizi e di attività, a tutela della salute mentale, presenti più o meno in tutte le nostre Regioni.

La pericolosità e lo stigma Le risorse in salute mentale Socialità e affettività Il lavoro e la cooperazione sociale Controllo sociale e posizione di garanzia Conclusioni Massimo Cozza Psichiatra, Coordinatore del Dsm ASL Roma 2 08 aprile 2018

Con la legge 180 è stata abolita la normativa manicomiale del 1904, risalente ad una concezione della psichiatria lombrosiana, per la quale il malato di mente lo era per caratteristiche fisiche, biologiche e genetiche, con intrinseca pericolosità. Si veniva, infatti, ricoverati perché giudicati pericolosi per sè e per gli altri, oppure perchè si dava pubblico scandalo.

  • Con l’internamento nel manicomio, si perdevano i diritti civili e si veniva iscritti nel casellario giudiziale, quindi automaticamente la fedina penale diventava “sporca”.
  • Ma, a 40 anni dalla legge 180, che ha eliminato dalla normativa sanitaria la parola pericolosità, la convinzione nell’opinione pubblica che chi soffre di gravi disturbi psichiatrici sia comunque sempre pericoloso, ancora sussiste.

Nel mantenimento di questa errata convinzione, un ruolo negativo l’hanno giocato e lo continuano a giocare i mass media, con una particolare enfasi nel raccontare i delitti commessi dai cosiddetti “folli” o attribuendo comunque subito alla follia la causa degli omicidi più efferati.A tutt’oggi rimane invece nel codice penale, risalente all’epoca fascista, il concetto di pericolosità sociale anche per la cosidetta “infermità psichica”.

Una contraddizione irrisolta con i principi della legge 180. I Presidenti delle Regioni nel 2001 approvarono un documento nel quale assumevano l’impegno a destinare almeno il 5% dei fondi sanitari regionali per le attività di promozione e tutela della salute mentale. Dai dati dell’ultima rilevazione del Ministero della Salute risulta invece una media nazionale del 3,4%, seppure con rilevanti differenze regionali.

Questo dato si accompagna alla carenza di personale rispetto allo standard individuato nel Progetto Obbiettivo 1998 – 2000 di almeno un operatore ogni 1500 abitanti. L’ultima rilevazione del Ministero della Salute ha registrato circa 30mila operatori invece dei 40mila previsti.

  • E se pensiamo che il fattore umano rappresenta la principale risorsa in salute mentale, dove il rapporto operatore – paziente è fondamentale, appaiono condivisibili le preoccupazioni manifestate in primo luogo dai familiari.
  • A volte l’estrema medicalizzazione dei disturbi psichiatrici, insieme alle risorse limitate, portano a risposte terapeutiche che si esauriscono, anche nei casi più complessi che avrebbero bisogno di una vera a propria presa in carico, solo nel binomio psicofarmaci/ricoveri, e più raramente psicoterapia.

Dobbiamo invece tenere presente che i bisogni di chi soffre di gravi disturbi psichiatrici sono gli stessi delle cosidette persone “normali”. E’ quindi fondamentale l’aspetto sociale – relazionale. Promuovere occasioni di incontro con gli altri, di normale vita sociale, dallo sport al cinema, dalla musica al teatro, sapere usare in modo appropriato il web e i social, insieme alla formazione e pre-formazione al lavoro, rientrano a pieno titolo nel percorso terapeutico-riabilitativo.

Quaranta anni fa queste attività si svolgevano solo all’interno delle cittadelle manicomiali tra internati. Oggi abbiamo la possibilità di farle fuori. E questo, se le condizioni cliniche lo consentono, si può attuare più in appartamenti assistiti all’interno del tessuto cittadino e inseriti in una rete territoriale, piuttosto che in strutture residenziali isolate.

“La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto ” (art.4 Costituzione Italiana). Ma una delle maggiori problematiche aperte in salute mentale è rappresentata dalle difficoltà che gli utenti, le famiglie e i servizi hanno nel portare avanti percorsi di inserimento lavorativo.

Ai sensi della legge 68/1999 le aziende hanno l’obbligo di assumere persone rientranti nelle categorie protette in relazione al numero dei propri dipendenti, e le cooperative sociali rappresentano una reale possibilità di lavoro di chi soffre anche di gravi disturbi psichiatrici. Si tratta, però, di due possibilità ancora troppo poco utilizzate.

C’è quindi bisogno di una maggiore attenzione su questa tematica, anche se estremamente difficoltosa, per la quale un importante ruolo di promozione lo possono giocare i centri di salute mentale, e soprattutto i centri diurni. “Anche al di fuori del ricovero coatto lo psichiatra è titolare di una posizione di garanzia, sullo stesso gravando doveri di protezione e di sorveglianza del paziente in relazione al pericolo di condotte autolesive e, naturalmente, eterolesive” (Cass.Pen.

Sez. IV, 27.11.2008 n.48292). Ma quali possono essere la cautele possibili da mettere in atto ? Cosa è prevedibile e cosa è prevenibile ? Ogni persona ha la sua storia, e suoi determinanti comportamentali, che può essere difficile conoscere e sopratutto modificare. Così, sopratutto nell’ultimo decennio, la cosiddetta posizione di garanzia in capo allo psichiatra, ma ormai anche agli altri operatori, rischia di diventare non più il dovere di assicurare le migliori cure possibili in modo appropriato, ma di esercitare veri e propri compiti di custodia.

Oggi gli operatori della salute mentale si trovano sempre più stretti tra il dovere di cura e il dovere di controllo. Con la consapevolezza che i comportamenti autolesivi o eterolesivi hanno molteplici cause, spesso non dipendenti dalla patologia psichiatrica, e non esiste una cura certa che li possa prevenire.

  • Rischia di tornare l’affidamento agli stessi servizi dipartimentali di salute mentale di un ruolo sociale di sorveglianza, prima assegnato dalla società all’istituzione manicomiale.
  • Una delle critiche maggiori alle legge 180 è quella di aver chiuso i manicomi abbandonando i malati mente e le loro famiglie.
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Si tratta di una affermazione che nasce dalle criticità esistenti, alle quali si deve avere la lucidità e la consapevolezza di rispondere affrontandole, senza pericolose scorciatoie verso un ritorno alla logica manicomiale. L’ultima rilevazione del Ministero della Salute ha registrato circa 800mila cittadini che hanno avuto almeno una prestazione nei DSM.

  • Un grande risultato rispetto a 40 anni fa, con circa 100mila internati nei manicomi.
  • Ma quanti sono i cittadini che avrebbero bisogno di essere presi in carico e non lo sono? Quanti sono i persi di vista? C’è bisogno di diffondere una maggiore cognizione sulla curabilità dei gravi disturbi psichiatrici, dai quali si può guarire, avendo ben presente che, secondo le attuali conoscenze scientifiche, sono da considerarsi multifattoriali con componenti psicologiche, biologiche e sociali.

Prevenire, curare e riabilitare, si dovrebbero coniugare con abitare, socializzare, lavorare, con la tessitura di una vera e propria rete promossa dai DSM. E’ venuto il momento, cogliendo l’occasione del quarantennale delle legge 180, di riunire tutti gli attori, istituzionali e non, per un confronto vero dal quale uscire con un rinnovato impegno ad attuare i principi della legge 180, a partire dal diritto alla tutela della salute mentale e dai diritti di cittadinanza, così come indicato dall’articolo 32 della Costituzione.

  1. Per questo il nuovo Governo e le Regioni dovrebbero promuovere la seconda Conferenza Nazionale per la Salute Mentale, a distanza di circa 17 anni dalla prima, dalla quale far scaturire precisi impegni, con le necessarie risorse.
  2. Un obbiettivo per il quale dovrebbero unirsi tutti coloro che hanno a cuore la tutela della salute mentale nel nostro paese.

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  3. I primi 40 anni della 180.
  4. Dalla chiusura dei manicomi alla fine degli Ospedali psichiatrici giudiziari.

È il momento di una seconda Conferenza Nazionale per la Salute Mentale

Come si chiamava Basaglia?

C’erano una volta i manicomi: Legge Basaglia, quarant’anni dopo – Your browser does not support the video tag. Prima c’erano i manicomi, con tutto il carico dei loro terribili orpelli: fili spinati, cinghie di cuoio, camicie di forza, carcerieri, whisky, cloroformio e paraldeide.

  1. Botte e acqua fresca.
  2. Fetori nauseanti e strutture fatiscenti.
  3. Prima c’erano i matti, gli alienati, con la loro follia da confinare, da tenere lontana dalla collettività, da,
  4. C’erano celle di isolamento, occultamento e cronicizzazione di quello che era – e, forse, continua ad essere ancora oggi – uno scandalo sociale: la malattia mentale.

Prima c’erano in base alle doti fisiche piuttosto che intellettive e c’erano cose, non persone. Cose da lavare e vestire, legare e fustigare. Prima, però, c’era anche chi si sentiva divorare da tutto questo e sognava una rivoluzione del sistema, una rivoluzione culturale esplosa il 13 maggio 1978, culminando nell’approvazione della Legge Basaglia,

  • Da sempre, però, viene associata al nome dello psichiatra veneziano Franco Basaglia, principale esponente del movimento che il 13 maggio 1978 culminò nell’approvazione di quella legge che ha avviato la rivoluzione degli istituti psichiatrici italiani, stabilendo la chiusura dei manicomi,
  • Considerata dai critici una legge incompleta ed incompiuta, la legge 180 fu una legge quadro che, effettivamente, presentava il limite della mancata definizione dei servizi e presidi alternativi all’Ospedale Psichiatrico e delle conseguenti linee guida.
  • Tra le critiche più aspre, ci fu quella dell’aver lasciato che i pazienti psichiatrici venissero scaricati sulle famiglie.

Cos’è il TSO in Italia?

Trattamento sanitario obbligatorio – TSO – per sottoporre a cure urgenti la persona con disturbo mentale Se una persona presenta alterazioni psichiche tali da richiedere interventi terapeutici urgenti, ma rifiuta le cure proposte, può essere effettuato il TSO (trattamento sanitario obbligatorio) per un periodo di sette giorni rinnovabili.Il TSO può essere effettuato senza ricorrere al ricovero: presso il Centro di salute mentale, l’ambulatorio, il domicilio del paziente, il pronto soccorso.

Se è necessario il ricovero ospedaliero, il TSO può essere effettuato esclusivamente presso il Servizio psichiatrico di diagnosi e cura dell’Azienda sanitaria. Il TSO è disposto con un’ordinanza del Sindaco, convalidata dal Giudice tutelare, su proposta motivata di un medico, preferibilmente approvata da un medico del Dipartimento di salute mentale o da altro medico della struttura pubblica.

Punto di riferimento per la persona e i suoi famigliari è il Centro di salute mentale dell’Azienda Usl. Il Centro di salute mentale è presente in ogni Distretto e nella quasi totalità dei casi resta aperto per 12 ore nei giorni feriali. Collabora con il medico di famiglia della persona interessata e rappresenta il punto di riferimento per la persona assistita e la sua famiglia.

Le particolari procedure amministrative inerenti il TSO sono svolte direttamente dai servizi competenti. Il trattamento obbligatorio ospedaliero si effettua non solo sulla base della gravità del caso (per il quale si effettua un ricovero volontario), ma quando oltre alla gravità sussiste il rifiuto alle cure e non vi è possibilità di attuarle in ambito extra ospedaliero.

A tutela della persona il TSO non può essere superiore a sette giorni. Se si deve prolungare, è necessario acquisire nuovamente la convalida del Giudice Tutelare (a cura del Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura). Se durante la degenza, come generalmente avviene, il paziente accetta le cure, il TSO viene trasformato in ricovero volontario.

Cosa vuol dire Neomesia?

È uno stato di benessere emotivo, psicologico e neurobiologico che è parte integrante della salute generale.

Quando si può fare un TSO?

TSO, come funziona il trattamento sanitario obbligatorio Con il termine Trattamento Sanitario Obbligatorio si intendono una serie di interventi sanitari che possono essere applicati in caso di motivata necessità ed urgenza, e qualora sussista il rifiuto al trattamento da parte del soggetto che deve ricevere assistenza. Di Cosa Parla La Legge Basaglia Correva l’anno 1978. Negli USA era stato da poco lanciato il primo episodio di Dallas che avrebbe fatto la storia delle fiction, gli israeliani invadevano il Libano e in Italia il sistema sanitario, che sarebbe stato istituito pochi mesi dopo, stava già avviando la sua prima rivoluzione.

  • Con il termine Trattamento sanitario obbligatorio si intendono una serie di interventi sanitari che possono essere applicati in caso di motivata necessità ed urgenza e qualora sussista il rifiuto al trattamento da parte del soggetto che deve ricevere assistenza.
  • Spesso si associano erroneamente i TSO alle sole patologie psichiatriche; in realtà i TSO possono essere disposti per qualsiasi causa sanitaria, come ad esempio per le malattie infettive dove il rifiuto di un trattamento potrebbe rappresentare una minaccia per la salute pubblica.
  • Il TSO è disposto con provvedimento del Sindaco, in qualità di massima autorità sanitaria del Comune di residenza o del Comune dove la persona si trova momentaneamente, dietro proposta motivata di due medici (di cui almeno uno appartenente alla Asl di competenza territoriale).

L’ordinanza di TSO può essere emanata solo se sussistono contemporaneamente tre condizioni:

  • Necessità e urgenza non differibile
  • L’intervento dei sanitari viene rifiutato dal soggetto
  • Non è possibile adottare tempestive misure extra-ospedaliere.
  1. Il trasporto del paziente in struttura ospedaliera, nei Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura ( Spdc ), deve essere operato dal servizio di emergenza extra-ospedaliero in collaborazione con l’organo di polizia locale del comune di riferimento.
  2. La procedura termina con la convalida del provvedimento del sindaco da parte del giudice tutelare di competenza che, attraverso il messo comunale, riceverà gli atti entro 48 ore dalla loro emanazione.
  3. Qualora delle tre condizioni viste in precedenza ne sussistano solo le prime due, e quindi il trattamento sanitario possa essere adoperato al di fuori del contesto ospedaliero (ad esempio a domicilio con attivazione di visite domiciliari), il sindaco può optare per il TSO extra-ospedaliero, il cui scopo è quello di incidere meno negativamente sulla vita del paziente.

Che cosa è una sir?

Dott. Francesco Gucci La Struttura Intermedia Residenziale (S.I.R.) è dedicata al trattamento di pazienti affetti da disturbi psichiatrici che necessitano di interventi terapeutico-riabilitativi o di interventi di supporto sociosanitario, effettuabili in regime residenziale (h/24) e/o semiresidenziale (diurno).

Il regime diurno prevede cicli programmati di accessi di durata variabile in funzione del programma terapeutico individuale.Il paziente può accedere al ricovero di Riabilitazione Psichiatrica previa verifica della disponibilità di posto letto e/o posto cura (diurno), contattando l’ufficio Prenotazione/Accettazione.In caso di esito positivo al momento dell’ingresso nella Casa di Cura è necessario presentare: Per il ricovero di tipo residenziale (h/24):

Piano Terapeutico Individuale (PTI) rilasciato, su richiesta dell’interessato, dal Centro di salute Mentale (CSM) competente con l’indicazione del setting assistenziale richiesto (SRP1,SRP2,SRP3) Autorizzazione al trattamento dei dati personali ad uso statistico-epidemiologico (Regolamento Europeo 2016/679) Presentazione di valido documento di riconoscimento, tessera sanitaria, codice fiscale ed, eventuale, documento di interdizione Registrazione amministrativa, all’atto del ricovero, presso il Servizio accettazione Presa visione e accettazione del regolamento interno della Casa di Cura, Presa visione ed accettazione del “Consenso Informato”

Per il ricovero semiresidenziale (diurno):

Prenotazione (tel.081 5879141) ovvero a mezzo e – mail all’indirizzo: Piano Terapeutico Individuale (PTI) rilasciato, su richiesta dell’interessato, dal Centro di salute Mentale (CSM) competente con l’indicazione del setting assistenziale semiresidenziale (Day Hospital) Autorizzazione al trattamento dei dati personali ad uso statistico-epidemiologico (Regolamento Europeo 2016/679) Presentazione di valido documento di riconoscimento, tessera sanitaria, codice fiscale ed, eventuale, documento di interdizione Presa visione del regolamento interno della Casa di Cura, Presa visione ed accettazione del “Consenso Informato”

: Dott. Francesco Gucci

Come venivano curati i pazienti nei manicomi?

La vita all’interno dei manicomi: il raccapricciante destino dei pazienti psichiatrici | EBRT Dalla nascita dei manicomi alla legge Basaglia La parola “manicomio” deriva dal greco “manìa”, ovvero “pazzia”, e “komìon”, cioè “ospedale”. Questo termine è utilizzato soprattutto per indicare, più che un luogo di cura, un ambiente in cui venivano internati e segregati i malati di mente.

  • Nell’antichità la malattia mentale era ricondotta all’intervento di forze soprannaturali e divine e, per questa ragione, veniva “curata” attraverso riti mistici-religiosi.
  • Nel Medioevo le persone che manifestavano comportamenti bizzarri erano considerate possedute dal demonio e venivano condannate al rogo.

In tal modo l’anima, una volta liberata dal possesso demoniaco, poteva risalire in cielo. Nell’età Classica, il concetto di follia subì un cambiamento: erano considerati “folli” coloro che rappresentavano una minaccia per la società e che perciò dovevano essere allontanati.

Fu proprio in quel periodo che sorsero moltissime case di internamento, volte a rinchiudere persone con malattie mentali, poveri, vagabondi, mendicanti, criminali, nulla facenti. (Tripputi, 2016) Una delle prime case sorte allo scopo fu l’Hospital General di Parigi, fondato nel 1656. Qui le persone non venivano rinchiuse per essere curate, ma per finire i propri giorni lontano dalla società.

Una volta entrate in questi luoghi, i pazienti venivano spogliati della loro dignità e trattati senza rispetto. Vivevano in condizioni disumane ed erano costretti a subire punizioni corporali. Ben presto, i manicomi si diffusero in tutta Europa e divennero uno strumento di potere enorme, attraverso il quale si decideva, senza utilizzare alcun criterio logico, sulla vita delle persone e su chi dovesse essere rinchiuso.

  1. Tripputi, 2016) Solo a partire dagli anni Cinquanta del XX secolo l’affermazione di una nuova concezione della psichiatria portò all’abolizione dell’istituto manicomiale in molti paesi.
  2. In Italia l’esperienza di Franco Basaglia sfociò nell’approvazione della legge n.180 del 1978 che stabiliva l’abolizione del manicomio.

Avvenne, quindi, la creazione di nuove strutture intermedie dislocate nel territorio, i centri di salute mentale, con funzione di consulenza, programmazione delle terapie, informazione e assistenza. Tale legge, inoltre, imponeva di effettuare i ricoveri volontari o obbligatori solo negli ospedali generali e affermava il principio di “continuità terapeutica “, con équipe incaricate di seguire il malato prima, durante e dopo eventuali ricoveri.

  • Parlare Civile”) I reparti dei manicomi Nel ricordare la disposizione dei reparti all’interno dei manicomi, Luigi Attenasio, psichiatra basagliano, afferma: ” Bisogna partire dal luogo in cui nascono i manicomi, lontano dalla città.
  • I primi manicomi sono i lebbrosari, in quanto, con l’atto di separazione di Pinel, i matti sono considerati malati e non possono stare insieme ai delinquenti.

Dunque, Pinel sottrae i “pazzi” dalle catene della delinquenza, ma li consegna ad altre catene, quelle più simboliche della psichiatria che nasce in quel momento “. Questa tendenza all’isolamento degli spazi dove vengono messi i “matti”, trionferà anche in Italia dopo legge del 1904, quando alcuni manicomi verranno costruiti sulle isole, ad esempio a Venezia nei casi di San Servolo e San Clemente.

Per quanto riguarda la strutturazione dell’ambiente interno dei manicomi, i nomi dei reparti prendevano origine dal comportamento manifestato dai pazienti; nelle prime aree, più vicine all’ingresso, si trovavano i reparti per “tranquilli, laboriosi e ordinati”. In questi spazi si svolgeva la famosa “ergoterapia”, un metodo terapeutico delle malattie mentali consistente nello svolgimento di un’attività lavorativa.

Tuttavia, i pazienti venivano sfruttati ed il lavoro svolto confermava la custodia all’interno dell’istituzione. (Blog “Parlare Civile”) C’erano, inoltre, i reparti di “osservazione”: il paziente che arrivava in manicomio era tenuto sotto osservazione per quindici giorni o un mese; in seguito veniva deciso se ricoverarlo definitivamente o dimetterlo.

Seguiva poi il reparto “agitati e inquieti”, per coloro che erano in preda ad agitazione psicomotoria. Se un paziente all’interno del manicomio si ammalava, veniva mandato al reparto di infermeria; di solito, chi finiva in tale reparto non veniva curato, ma si allettava e si ammalava sempre di più. In seguito, c’era solo la camera mortuaria.

” I manicomi, come le prigioni, non sono non luoghi, ma controluoghi, quelli che Foucault chiama eterotopie di deviazione – continua Attenasio – identificabili per il comportamento di chi dentro vi è collocato, deviante la norma e per il diverso funzionamento rispetto alla propria cultura, per l’eterocronia, ossia la rottura assoluta con il tempo tradizionale, per il particolare sistema di apertura e chiusura che li isola e li rende penetrabili.

  • Basaglia capisce subito che il primo atto di salute mentale è la distruzione dei manicomi, che non si può fare psichiatria se esiste il manicomio”,
  • Blog “Parlare Civile”) Le torture all’interno dei manicomi Prima della legge 180, vigeva la legge 36 del 1904, per cui venivano internate nei manicomi le persone «affette per qualunque causa da alienazione mentale».

Erano i deviati, coloro che non rientravano nei canoni, per motivi che non erano sempre legati alla malattia mentale. In manicomio finiva chi era ai margini della società, ma anche gli omosessuali e tante donne. “La gran parte dei reclusi non erano folli, erano persone che volevano esprimere qualcosa e cadevano nella follia quando questo veniva loro impedito” spiega Anna Marchitelli, che ha studiato le cartelle cliniche dell’ex ospedale psichiatrico Leonardo Bianchi di Napoli.

  • I medici – aggiunge – non toccavano nemmeno i pazienti, li analizzavano da lontano toccandoli con una penna o con le chiavi”,
  • Pizzimenti, 2018) Le persone all’interno dei manicomi perdevano la propria identità; essi non erano più degli esseri umani, ma dei numeri, costretti a vivere in condizioni pietose e disumane.

All’interno degli istituti manicomiali regnava la scarsa igiene; i malcapitati che venivano internati iniziavano ad avere comportamenti che non erano propri della loro malattia. Si può parlare, infatti, di “sindrome dell’allontanamento sociale”: la persona deprivata della sua capacità di stare con gli altri assumeva degli atteggiamenti che diventavano dei veri e propri sintomi.

Avveniva il deterioramento delle abilità sociali, interpersonali e comportamentali dovuto all’effetto dell’istituzionalizzazione a lungo termine e non al disturbo mentale in sé. (Blog “Parlare Civile”) All’interno dei manicomi, inoltre, erano messe in atto delle pratiche raccapriccianti, come l’elettroshock, una tecnica terapeutica usata in psichiatria e basata sull’induzione di convulsioni nel paziente mediante passaggio di una corrente elettrica attraverso il cervello.

La poetessa Alda Merini riporta con tali parole l’atroce ricordo di questa pratica: ” In quel manicomio esistevano gli orrori degli elettroshock La stanzetta degli elettroshock era una stanzetta quanto mai angusta e terribile Ci facevano una premorfina, e poi ci davano del curaro perché gli arti non prendessero ad agitarsi in modo sproporzionato durante la scarica elettrica.

  1. L’attesa era angosciosa.
  2. Molte piangevano.
  3. Qualcuna orinava per terra.
  4. Una volta arrivai a prendere la caposala per la gola, a nome di tutte le mie compagne.
  5. Il risultato fu che fui sottoposta all’elettroshock per prima, e senza anestesia preliminare, di modo che sentii ogni cosa.
  6. E ancora ne conservo l’atroce ricordo”,
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( De Carolis, 2017) Un’altra raccapricciante pratica era la lobotomia: un intervento neurochirurgico di interruzione delle fibre nervose che collegano un lobo cerebrale con gli altri. Moniz e Freeman, due medici esperti in lobotomia, sostenevano che questa procedura potesse eliminare i forti stress dei pazienti legati alle emozioni.

  • La paziente Rosemary Kennedy fu solo una delle tante persone ad essere lobotomizzata e la cui “cura” equivalse più ad una “zombificazione” che alla liberazione dalla malattia mentale.
  • Blog “Il post”, 2011) Riferimenti bibliografici Blog “Il post”- ” La triste storia della lobotomia “.
  • 12-12-2018) Blog “Parlare Civile”- ” Salute mentale.

Manicomio “. (12-12-2018) De Carolis, F. (2017). ” Elettroshock, se non è una tortura è disumanità “. https://www.remocontro.it/ (14-12-2018) Pizzimenti, C. (2018). ” Storie dal manicomio prima della legge Basaglia “. https://www.vanityfair.it/ ( 13-12-2018) Tripputi, F.

Dove finiscono i malati mentali?

Oggi, tutti gli interventi fanno capo ai Dipartimenti di salute mentale delle Asl, che sono dotati di un Centro di salute mentale (Csm), di centri diurni, di comunità terapeutiche e di Servizi psichiatrici di diagnosi e cura (Spdc), cioè i reparti psichiatrici degli ospedali.

Perché hanno chiuso i manicomi in Italia?

La ”fine” dei manicomi e la Legge Basaglia – Neanche con la caduta del Fascismo e il termine della Seconda guerra mondiale gli orrori commessi nei manicomi non ebbero fine, anzi. L’utilizzo ”errato” di queste strutture continuò fino all’inizio degli anni ’80 con la Legge Basaglia, che si tradusse nella chiusura di tutti gli ospedali psichiatrici sul territorio nazionale. Di Cosa Parla La Legge Basaglia ​Alcuni pazienti dell’ospedale psichiatrico Materdomini, al confine tra Nocera Superiore e Roccapiemonte (Salerno), prima di essere convertito in casa-famiglia dal direttore Pasquale Palumbo (Foto Ansa) La norma prevedeva diversi punti, dall’eliminazione del concetto di pericolosità per sé e gli altri come requisito per il Tso, al rispetto dei diritti umani, fino alla chiusura di tutti gli ospedali psichiatrici.

Con la Legge Basaglia l’Italia è diventata il primo Paese al mondo ad affrontare in maniera così drastica la questione, mettendo in atto un processo radicale di de-istituzionalizzazione. Un passo seguito poi anche da altre nazioni, come Regno Unito, Spagna, Portogallo e Grecia, mentre in altri Paesi, come ad esempio quelli dell’Europa dell’Est, il processo di chiusura dei manicomi non è ancora stato avviato.

Eppure, nonostante il modello italiano sia stato ben accolto dall’Europa, che ha consigliato anche agli altri membri dell’Ue di percorrere la medesima strada, la Legge Basaglia e l’attuale sistema utilizzato nel nostro Paese nasconde profonde lacune, figlie di una norma ”tronca e incompiuta”, come più volte è stata definita nel corso degli anni.

Infatti, se da un lato la nuova gestione è economicamente più sostenibile e prevede un maggior rispetto dei diritti umani, dall’altro è praticamente assente un piano alternativo per la gestione dei pazienti degli ex manicomi. Una carenza che di fatto abbandona le persone con disturbi psichiatrici nelle mani delle famiglie, che spesso non sono in grado, per competenze mediche o per disponibilità economiche, di gestire e aiutare il paziente in maniera efficace, così da evitare che diventi un pericolo per sé o per gli altri.

La chiusura dei manicomi ha segnato la fine di un orrore durato quasi un secolo, un incubo senza risveglio che per decenni è rimasto lì, in silenzio, sotto gli occhi di tutti. Ma chiudere i cancelli e buttare la chiave non basta, senza delle linee guida e un piano alternativo, avremo soltanto migliaia di persone sole con i loro problemi, che in alcuni si trasformano in atti imprevedibili e folli, come la strage di Ardea.

Come venivano trattati i pazienti nei manicomi?

Le condizioni di vita, in un manicomio, erano ben peggiori di quelle di un qualsiasi penitenziario. Le terapie applicate erano la segregazione nei letti di contenzione, la camicia di forza, l’elettroshock praticato in maniera selvaggia, le docce fredde, l’insulino-terapia, la lobotomia.

Cosa vuol dire Neomesia?

È uno stato di benessere emotivo, psicologico e neurobiologico che è parte integrante della salute generale.

Quando si può fare un TSO?

TSO, come funziona il trattamento sanitario obbligatorio Con il termine Trattamento Sanitario Obbligatorio si intendono una serie di interventi sanitari che possono essere applicati in caso di motivata necessità ed urgenza, e qualora sussista il rifiuto al trattamento da parte del soggetto che deve ricevere assistenza. Di Cosa Parla La Legge Basaglia Correva l’anno 1978. Negli USA era stato da poco lanciato il primo episodio di Dallas che avrebbe fatto la storia delle fiction, gli israeliani invadevano il Libano e in Italia il sistema sanitario, che sarebbe stato istituito pochi mesi dopo, stava già avviando la sua prima rivoluzione.

  • Con il termine Trattamento sanitario obbligatorio si intendono una serie di interventi sanitari che possono essere applicati in caso di motivata necessità ed urgenza e qualora sussista il rifiuto al trattamento da parte del soggetto che deve ricevere assistenza.
  • Spesso si associano erroneamente i TSO alle sole patologie psichiatriche; in realtà i TSO possono essere disposti per qualsiasi causa sanitaria, come ad esempio per le malattie infettive dove il rifiuto di un trattamento potrebbe rappresentare una minaccia per la salute pubblica.
  • Il TSO è disposto con provvedimento del Sindaco, in qualità di massima autorità sanitaria del Comune di residenza o del Comune dove la persona si trova momentaneamente, dietro proposta motivata di due medici (di cui almeno uno appartenente alla Asl di competenza territoriale).

L’ordinanza di TSO può essere emanata solo se sussistono contemporaneamente tre condizioni:

  • Necessità e urgenza non differibile
  • L’intervento dei sanitari viene rifiutato dal soggetto
  • Non è possibile adottare tempestive misure extra-ospedaliere.
  1. Il trasporto del paziente in struttura ospedaliera, nei Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura ( Spdc ), deve essere operato dal servizio di emergenza extra-ospedaliero in collaborazione con l’organo di polizia locale del comune di riferimento.
  2. La procedura termina con la convalida del provvedimento del sindaco da parte del giudice tutelare di competenza che, attraverso il messo comunale, riceverà gli atti entro 48 ore dalla loro emanazione.
  3. Qualora delle tre condizioni viste in precedenza ne sussistano solo le prime due, e quindi il trattamento sanitario possa essere adoperato al di fuori del contesto ospedaliero (ad esempio a domicilio con attivazione di visite domiciliari), il sindaco può optare per il TSO extra-ospedaliero, il cui scopo è quello di incidere meno negativamente sulla vita del paziente.

Quanti manicomi ci sono in Italia?

I primi 40 anni della 180. Dalla chiusura dei manicomi alla fine degli Ospedali psichiatrici giudiziari. È il momento di una seconda Conferenza Nazionale per la Salute Mentale Quotidiano on line di informazione sanitaria Lunedì 12 DICEMBRE 2022 Studi e Analisi segui quotidiano sanita,it di Massimo Cozza 08 APR – Il 13 maggio 2018 la legge 180 compirà il suo quarantesimo anno di vita.

  1. Ogni legislatura, compresa quella attuale, vengono presentate diverse proposte di legge per cambiarla, ma nessuna è poi stata approvata, a conferma della riconosciuta validità dei suoi principi.
  2. Alla base, un concetto all’epoca rivoluzionario, racchiuso in una domanda e in una risposta nello storico documentario della Rai “I giardini di Abele” del 1968.

Il giornalista Sergio Zavoli chiede: “E’ interessato più al malato o alla malattia?”; lo psichiatra Franco Basaglia risponde: “Decisamente al malato”. La legge 180, infatti, ha dato dignità e diritti a chi soffre di gravi disturbi psichiatrici. Da oggetto pericoloso, incurabile, da allontanare dalla società, a soggetto attore della propria vita con i diritti di cittadinanza, compreso il diritto alla cura, con la quale si può anche guarire.

Il risultato della legge 180, che possiamo definire il più eclatante, è comunque rappresentato dall’abolizione del manicomio, istituzionale totale che annullava la persona, con l’individuazione del territorio quale luogo di intervento per la tutela della salute mentale partendo dalla storia di ciascuno.

Nei manicomi si ritrovavano rinchiusi insieme non solo i malati mente, ma anche coloro che erano ai margini della società, dai barboni ai piccoli delinquenti, dalle prostitute agli insufficienti mentali, dagli omosessuali agli alcolisti. Vi si praticavano elettroshock e contenzioni, e perfino la lobotomia frontale che rendeva “tranquilli” i degenti più agitati (l’ideatore Egas Moniz ricevette il premio Nobel nel 1949).

  1. Luoghi segreganti che arrivavano ad ospitare migliaia di internati, numeri non persone.
  2. Basti pensare in Italia al manicomio di Volterra che arrivò fino a 5mila degenti, e al Santa Maria della Pietà di Roma circa 3mila.
  3. Sempre Basaglia nel libro Conferenze Brasiliane: “La cosa importante che abbiamo dimostrato che l’impossibile diventa possibile.

Dieci, quindici, vent’anni fa era impensabile che un manicomio potesse essere distrutto.” L’abolizione dei manicomi è stata ulteriormente completata dalla recente chiusura anche degli ospedali psichiatrici giudiziari. L’Italia, oggi, è l’unico paese al mondo senza più manicomi.

Fondamentale è stata l’affermazione della volontarietà del trattamento, dopo decenni di internamenti obbligatori negli ospedali psichiatrici. Con la legge 180 i ricoveri obbligatori sono passati dalla norma ad una minoranza; durano di media pochi giorni e non più tutta la vita e, quando necessità il ricovero ospedaliero, sono effettuati nei servizi psichiatrici all’interno degli ospedali generali, prevedendo una serie di garanzie.

Il progetto obbiettivo 1998 – 2000 ha successivamente definito l’articolazione e le modalità di funzionamento dei dipartimenti di salute mentale, compito che la Costituzione assegna alle Regioni. Centri di salute mentale, centri diurni, strutture residenziali psichiatriche con non più di 20 posti letto, servizi psichiatrici di diagnosi e cura (Spdc), residenze per le misure di sicurezza (Rems), articolazioni per la salute mentale nelle carceri, appartamenti assistiti, progetti di sostegno alla persona e assistenza domiciliare, progetti di integrazione sociali, in stretto rapporto con la cooperazione sociale, il volontariato e le associazioni dei familiari, rappresentano una vera e propria ricchezza e varietà di presidi, di servizi e di attività, a tutela della salute mentale, presenti più o meno in tutte le nostre Regioni.

La pericolosità e lo stigma Le risorse in salute mentale Socialità e affettività Il lavoro e la cooperazione sociale Controllo sociale e posizione di garanzia Conclusioni Massimo Cozza Psichiatra, Coordinatore del Dsm ASL Roma 2 08 aprile 2018

Con la legge 180 è stata abolita la normativa manicomiale del 1904, risalente ad una concezione della psichiatria lombrosiana, per la quale il malato di mente lo era per caratteristiche fisiche, biologiche e genetiche, con intrinseca pericolosità. Si veniva, infatti, ricoverati perché giudicati pericolosi per sè e per gli altri, oppure perchè si dava pubblico scandalo.

  1. Con l’internamento nel manicomio, si perdevano i diritti civili e si veniva iscritti nel casellario giudiziale, quindi automaticamente la fedina penale diventava “sporca”.
  2. Ma, a 40 anni dalla legge 180, che ha eliminato dalla normativa sanitaria la parola pericolosità, la convinzione nell’opinione pubblica che chi soffre di gravi disturbi psichiatrici sia comunque sempre pericoloso, ancora sussiste.

Nel mantenimento di questa errata convinzione, un ruolo negativo l’hanno giocato e lo continuano a giocare i mass media, con una particolare enfasi nel raccontare i delitti commessi dai cosiddetti “folli” o attribuendo comunque subito alla follia la causa degli omicidi più efferati.A tutt’oggi rimane invece nel codice penale, risalente all’epoca fascista, il concetto di pericolosità sociale anche per la cosidetta “infermità psichica”.

  1. Una contraddizione irrisolta con i principi della legge 180.
  2. I Presidenti delle Regioni nel 2001 approvarono un documento nel quale assumevano l’impegno a destinare almeno il 5% dei fondi sanitari regionali per le attività di promozione e tutela della salute mentale.
  3. Dai dati dell’ultima rilevazione del Ministero della Salute risulta invece una media nazionale del 3,4%, seppure con rilevanti differenze regionali.

Questo dato si accompagna alla carenza di personale rispetto allo standard individuato nel Progetto Obbiettivo 1998 – 2000 di almeno un operatore ogni 1500 abitanti. L’ultima rilevazione del Ministero della Salute ha registrato circa 30mila operatori invece dei 40mila previsti.

  1. E se pensiamo che il fattore umano rappresenta la principale risorsa in salute mentale, dove il rapporto operatore – paziente è fondamentale, appaiono condivisibili le preoccupazioni manifestate in primo luogo dai familiari.
  2. A volte l’estrema medicalizzazione dei disturbi psichiatrici, insieme alle risorse limitate, portano a risposte terapeutiche che si esauriscono, anche nei casi più complessi che avrebbero bisogno di una vera a propria presa in carico, solo nel binomio psicofarmaci/ricoveri, e più raramente psicoterapia.

Dobbiamo invece tenere presente che i bisogni di chi soffre di gravi disturbi psichiatrici sono gli stessi delle cosidette persone “normali”. E’ quindi fondamentale l’aspetto sociale – relazionale. Promuovere occasioni di incontro con gli altri, di normale vita sociale, dallo sport al cinema, dalla musica al teatro, sapere usare in modo appropriato il web e i social, insieme alla formazione e pre-formazione al lavoro, rientrano a pieno titolo nel percorso terapeutico-riabilitativo.

Quaranta anni fa queste attività si svolgevano solo all’interno delle cittadelle manicomiali tra internati. Oggi abbiamo la possibilità di farle fuori. E questo, se le condizioni cliniche lo consentono, si può attuare più in appartamenti assistiti all’interno del tessuto cittadino e inseriti in una rete territoriale, piuttosto che in strutture residenziali isolate.

“La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto ” (art.4 Costituzione Italiana). Ma una delle maggiori problematiche aperte in salute mentale è rappresentata dalle difficoltà che gli utenti, le famiglie e i servizi hanno nel portare avanti percorsi di inserimento lavorativo.

  • Ai sensi della legge 68/1999 le aziende hanno l’obbligo di assumere persone rientranti nelle categorie protette in relazione al numero dei propri dipendenti, e le cooperative sociali rappresentano una reale possibilità di lavoro di chi soffre anche di gravi disturbi psichiatrici.
  • Si tratta, però, di due possibilità ancora troppo poco utilizzate.

C’è quindi bisogno di una maggiore attenzione su questa tematica, anche se estremamente difficoltosa, per la quale un importante ruolo di promozione lo possono giocare i centri di salute mentale, e soprattutto i centri diurni. “Anche al di fuori del ricovero coatto lo psichiatra è titolare di una posizione di garanzia, sullo stesso gravando doveri di protezione e di sorveglianza del paziente in relazione al pericolo di condotte autolesive e, naturalmente, eterolesive” (Cass.Pen.

Sez. IV, 27.11.2008 n.48292). Ma quali possono essere la cautele possibili da mettere in atto ? Cosa è prevedibile e cosa è prevenibile ? Ogni persona ha la sua storia, e suoi determinanti comportamentali, che può essere difficile conoscere e sopratutto modificare. Così, sopratutto nell’ultimo decennio, la cosiddetta posizione di garanzia in capo allo psichiatra, ma ormai anche agli altri operatori, rischia di diventare non più il dovere di assicurare le migliori cure possibili in modo appropriato, ma di esercitare veri e propri compiti di custodia.

Oggi gli operatori della salute mentale si trovano sempre più stretti tra il dovere di cura e il dovere di controllo. Con la consapevolezza che i comportamenti autolesivi o eterolesivi hanno molteplici cause, spesso non dipendenti dalla patologia psichiatrica, e non esiste una cura certa che li possa prevenire.

Rischia di tornare l’affidamento agli stessi servizi dipartimentali di salute mentale di un ruolo sociale di sorveglianza, prima assegnato dalla società all’istituzione manicomiale. Una delle critiche maggiori alle legge 180 è quella di aver chiuso i manicomi abbandonando i malati mente e le loro famiglie.

Si tratta di una affermazione che nasce dalle criticità esistenti, alle quali si deve avere la lucidità e la consapevolezza di rispondere affrontandole, senza pericolose scorciatoie verso un ritorno alla logica manicomiale. L’ultima rilevazione del Ministero della Salute ha registrato circa 800mila cittadini che hanno avuto almeno una prestazione nei DSM.

  1. Un grande risultato rispetto a 40 anni fa, con circa 100mila internati nei manicomi.
  2. Ma quanti sono i cittadini che avrebbero bisogno di essere presi in carico e non lo sono? Quanti sono i persi di vista? C’è bisogno di diffondere una maggiore cognizione sulla curabilità dei gravi disturbi psichiatrici, dai quali si può guarire, avendo ben presente che, secondo le attuali conoscenze scientifiche, sono da considerarsi multifattoriali con componenti psicologiche, biologiche e sociali.

Prevenire, curare e riabilitare, si dovrebbero coniugare con abitare, socializzare, lavorare, con la tessitura di una vera e propria rete promossa dai DSM. E’ venuto il momento, cogliendo l’occasione del quarantennale delle legge 180, di riunire tutti gli attori, istituzionali e non, per un confronto vero dal quale uscire con un rinnovato impegno ad attuare i principi della legge 180, a partire dal diritto alla tutela della salute mentale e dai diritti di cittadinanza, così come indicato dall’articolo 32 della Costituzione.

Per questo il nuovo Governo e le Regioni dovrebbero promuovere la seconda Conferenza Nazionale per la Salute Mentale, a distanza di circa 17 anni dalla prima, dalla quale far scaturire precisi impegni, con le necessarie risorse. Un obbiettivo per il quale dovrebbero unirsi tutti coloro che hanno a cuore la tutela della salute mentale nel nostro paese.

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  • I primi 40 anni della 180.
  • Dalla chiusura dei manicomi alla fine degli Ospedali psichiatrici giudiziari.

È il momento di una seconda Conferenza Nazionale per la Salute Mentale