La 328 / 2000 legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali, delinea le azioni di intervento nei servizi sociali, ricercando il benessere, promuovendo autonomia e solidarietà, attraverso l’offerta e il coordinamento di servizi, risorse e prestazioni.
Chi sono i soggetti destinatari della legge 328?
L.328/2000 Legge 8 novembre 2000, n.328 “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali” pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n.265 del 13 novembre 2000 – Supplemento ordinario n.186
- Capo I
- PRINCÌPI GENERALI DEL SISTEMA INTEGRATO DI INTERVENTI E
- SERVIZI SOCIALI
Art.1. (Princìpi generali e finalità) 1. La Repubblica assicura alle persone e alle famiglie un sistema integrato di interventi e servizi sociali, promuove interventi per garantire la qualità della vita, pari opportunità, non discriminazione e diritti di cittadinanza, previene, elimina o riduce le condizioni di disabilità, di bisogno e di disagio individuale e familiare, derivanti da inadeguatezza di reddito, difficoltà sociali e condizioni di non autonomia, in coerenza con gli articoli 2, 3 e 38 della Costituzione.2.
- Ai sensi della presente legge, per “interventi e servizi sociali” si intendono tutte le attività previste dall’articolo 128 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n.112.3.
- La programmazione e l’organizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali compete agli enti locali, alle regioni ed allo Stato ai sensi del decreto legislativo 31 marzo 1998, n.112, e della presente legge, secondo i principi di sussidiarietà, cooperazione, efficacia, efficienza ed economicità, omogeneità, copertura finanziaria e patrimoniale, responsabilità ed unicità dell’amministrazione, autonomia organizzativa e regolamentare degli enti locali.4.
Gli enti locali, le regioni e lo Stato, nell’ambito delle rispettive competenze, riconoscono e agevolano il ruolo degli organismi non lucrativi di utilità sociale, degli organismi della cooperazione, delle associazioni e degli enti di promozione sociale, delle fondazioni e degli enti di patronato, delle organizzazioni di volontariato, degli enti riconosciuti delle confessioni religiose con le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese operanti nel settore nella programmazione, nella organizzazione e nella gestione del sistema integrato di interventi e servizi sociali.5.
Alla gestione ed all’offerta dei servizi provvedono soggetti pubblici nonché, in qualità di soggetti attivi nella progettazione e nella realizzazione concertata degli interventi, organismi non lucrativi di utilità sociale, organismi della cooperazione, organizzazioni di volontariato, associazioni ed enti di promozione sociale, fondazioni, enti di patronato e altri soggetti privati.
Il sistema integrato di interventi e servizi sociali ha tra gli scopi anche la promozione della solidarietà sociale, con la valorizzazione delle iniziative delle persone, dei nuclei familiari, delle forme di auto-aiuto e di reciprocità e della solidarietà organizzata.6.
- La presente legge promuove la partecipazione attiva dei cittadini, il contributo delle organizzazioni sindacali, delle associazioni sociali e di tutela degli utenti per il raggiungimento dei fini istituzionali di cui al comma 1.7.
- Le disposizioni della presente legge costituiscono principi fondamentali ai sensi dell’articolo 117 della Costituzione.
Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano provvedono, nell’ambito delle competenze loro attribuite, ad adeguare i propri ordinamenti alle disposizioni contenute nella presente legge, secondo quanto previsto dai rispettivi statuti.
Art.2. (Diritto alle prestazioni),1. Hanno diritto di usufruire delle prestazioni e dei servizi del sistema integrato di interventi e servizi sociali i cittadini italiani e, nel rispetto degli accordi internazionali, con le modalità e nei limiti definiti dalle leggi regionali, anche i cittadini di Stati appartenenti all’Unione europea ed i loro familiari, nonchè gli stranieri, individuati ai sensi dell’articolo 41 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n.286.
Ai profughi, agli stranieri ed agli apolidi sono garantite le misure di prima assistenza, di cui all’articolo 129, comma 1, lettera h), del decreto legislativo 31 marzo 1998, n.112.2. Il sistema integrato di interventi e servizi sociali ha carattere di universalità.
I soggetti di cui all’articolo 1, comma 3, sono tenuti a realizzare il sistema di cui alla presente legge che garantisce i livelli essenziali di prestazioni, ai sensi dell’articolo 22, e a consentire l’esercizio del diritto soggettivo a beneficiare delle prestazioni economiche di cui all’articolo 24 della presente legge, nonchè delle pensioni sociali di cui all’articolo 26 della legge 30 aprile 1969, n.153, e successive modificazioni, e degli assegni erogati ai sensi dell’articolo 3, comma 6, della legge 8 agosto 1995, n.335.3.
I soggetti in condizioni di povertà o con limitato reddito o con incapacità totale o parziale di provvedere alle proprie esigenze per inabilità di ordine fisico e psichico, con difficoltà di inserimento nella vita sociale attiva e nel mercato del lavoro, nonchè i soggetti sottoposti a provvedimenti dell’autorità giudiziaria che rendono necessari interventi assistenziali, accedono prioritariamente ai servizi e alle prestazioni erogati dal sistema integrato di interventi e servizi sociali.4.
- I parametri per la valutazione delle condizioni di cui al comma 3 sono definiti dai comuni, sulla base dei criteri generali stabiliti dal Piano nazionale di cui all’articolo 18.5.
- Gli erogatori dei servizi e delle prestazioni sono tenuti, ai sensi dell’articolo 8, comma 3, della legge 7 agosto 1990, n.241, ad informare i destinatari degli stessi sulle diverse prestazioni di cui possono usufruire, sui requisiti per l’accesso e sulle modalità di erogazione per effettuare le scelte più appropriate.
Art.3. (Princìpi per la programmazione degli interventi e delle risorse del sistema integrato di interventi e servizi sociali).1. Per la realizzazione degli interventi e dei servizi sociali, in forma unitaria ed integrata, è adottato il metodo della programmazione degli interventi e delle risorse, dell’operatività per progetti, della verifica sistematica dei risultati in termini di qualità e di efficacia delle prestazioni, nonchè della valutazione di impatto di genere.
- 2. I soggetti di cui all’articolo 1, comma 3, provvedono, nell’ambito delle rispettive competenze, alla programmazione degli interventi e delle risorse del sistema integrato di interventi e servizi sociali secondo i seguenti principi:
- a) coordinamento ed integrazione con gli interventi sanitari e dell’istruzione nonchè con le politiche attive di formazione, di avviamento e di reinserimento al lavoro;
- b) concertazione e cooperazione tra i diversi livelli istituzionali, tra questi ed i soggetti di cui all’articolo 1, comma 4, che partecipano con proprie risorse alla realizzazione della rete, le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello nazionale nonchè le aziende unità sanitarie locali per le prestazioni socio- sanitarie ad elevata integrazione sanitaria comprese nei livelli essenziali del Servizio sanitario nazionale.
3. I soggetti di cui all’articolo 1, comma 3, per le finalità della presente legge, possono avvalersi degli accordi previsti dall’articolo 2, comma 203, della legge 23 dicembre 1996, n.662, anche al fine di garantire un’adeguata partecipazione alle iniziative ed ai finanziamenti dell’Unione europea.4. I comuni, le regioni e lo Stato promuovono azioni per favorire la pluralità di offerta dei servizi garantendo il diritto di scelta fra gli stessi servizi e per consentire, in via sperimentale, su richiesta degli interessati, l’eventuale scelta di servizi sociali in alternativa alle prestazioni economiche, ad esclusione di quelle di cui all’articolo 24, comma 1, lettera a), numeri 1) e 2), della presente legge, nonchè delle pensioni sociali di cui all’articolo 26 della legge 30 aprile 1969, n.153, e successive modificazioni, e degli assegni erogati ai sensi dell’articolo 3, comma 6, della legge 8 agosto 1995, n.335. Art.4. (Sistema di finanziamento delle politiche sociali).1. La realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali si avvale di un finanziamento plurimo a cui concorrono, secondo competenze differenziate e con dotazioni finanziarie afferenti ai rispettivi bilanci, i soggetti di cui all’articolo 1, comma 3.2. Sono a carico dei comuni, singoli e associati, le spese di attivazione degli interventi e dei servizi sociali a favore della persona e della comunità, fatto salvo quanto previsto ai commi 3 e 5.3. Le regioni, secondo le competenze trasferite ai sensi dell’articolo 132 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n.112, nonchè in attuazione della presente legge, provvedono alla ripartizione dei finanziamenti assegnati dallo Stato per obiettivi ed interventi di settore, nonchè, in forma sussidiaria, a cofinanziare interventi e servizi sociali derivanti dai provvedimenti regionali di trasferimento agli enti locali delle materie individuate dal citato articolo 132.4. Le spese da sostenere da parte dei comuni e delle regioni sono a carico, sulla base dei piani di cui agli articoli 18 e 19, delle risorse loro assegnate del Fondo nazionale per le politiche sociali di cui all’articolo 59, comma 44, della legge 27 dicembre 1997, n.449, e successive modificazioni, nonchè degli autonomi stanziamenti a carico dei propri bilanci.5. Ai sensi dell’articolo 129 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n.112, competono allo Stato la definizione e la ripartizione del Fondo nazionale per le politiche sociali, la spesa per pensioni, assegni e indennità considerati a carico del comparto assistenziale quali le indennità spettanti agli invalidi civili, l’assegno sociale di cui all’articolo 3, comma 6, della legge 8 agosto 1995, n.335, il reddito minimo di inserimento di cui all’articolo 59, comma 47, della legge 27 dicembre 1997, n.449, nonchè eventuali progetti di settore individuati ai sensi del Piano nazionale di cui all’articolo 18 della presente legge. Art.5. (Ruolo del terzo settore).1. Per favorire l’attuazione del principio di sussidiarietà, gli enti locali, le regioni e lo Stato, nell’ambito delle risorse disponibili in base ai piani di cui agli articoli 18 e 19, promuovono azioni per il sostegno e la qualificazione dei soggetti operanti nel terzo settore anche attraverso politiche formative ed interventi per l’accesso agevolato al credito ed ai fondi dell’Unione europea. >tj;2> 2. Ai fini dell’affidamento dei servizi previsti dalla presente legge, gli enti pubblici, fermo restando quanto stabilito dall’articolo 11, promuovono azioni per favorire la trasparenza e la semplificazione amministrativa nonchè il ricorso a forme di aggiudicazione o negoziali che consentano ai soggetti operanti nel terzo settore la piena espressione della propria progettualità, avvalendosi di analisi e di verifiche che tengano conto della qualità e delle caratteristiche delle prestazioni offerte e della qualificazione del personale.3. Le regioni, secondo quanto previsto dall’articolo 3, comma 4, e sulla base di un atto di indirizzo e coordinamento del Governo, ai sensi dell’articolo 8 della legge 15 marzo 1997, n.59, da emanare entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, con le modalità previste dall’articolo 8, comma 2, della presente legge, adottano specifici indirizzi per regolamentare i rapporti tra enti locali e terzo settore, con particolare riferimento ai sistemi di affidamento dei servizi alla persona.4. Le regioni disciplinano altresì, sulla base dei principi della presente legge e degli indirizzi assunti con le modalità previste al comma 3, le modalità per valorizzare l’apporto del volontariato nell’erogazione dei servizi.
- Capo II
- ASSETTO ISTITUZIONALE E ORGANIZZAZIONE DEL SISTEMA INTEGRATO DI INTERVENTI E SERVIZI SOCIALI
Art.6. (Funzioni dei comuni) 1. I comuni sono titolari delle funzioni amministrative concernenti gli interventi sociali svolti a livello locale e concorrono alla programmazione regionale. Tali funzioni sono esercitate dai comuni adottando sul piano territoriale gli assetti più funzionali alla gestione, alla spesa ed al rapporto con i cittadini, secondo le modalità stabilite dalla legge 8 giugno 1990, n.142, come da ultimo modificata dalla legge 3 agosto 1999, n.265.2.
- a) programmazione, progettazione, realizzazione del sistema locale dei servizi sociali a rete, indicazione delle priorità e dei settori di innovazione attraverso la concertazione delle risorse umane e finanziarie locali, con il coinvolgimento dei soggetti di cui all’articolo 1, comma 5;
- b) erogazione dei servizi, delle prestazioni economiche diverse da quelle disciplinate dall’articolo 22, e dei titoli di cui all’articolo 17, nonché delle attività assistenziali già di competenza delle province, con le modalità stabilite dalla legge regionale di cui all’articolo 8, comma 5;
- c) autorizzazione, accreditamento e vigilanza dei servizi sociali e delle strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale a gestione pubblica o dei soggetti di cui all’articolo 1, comma 5, secondo quanto stabilito ai sensi degli articoli 8, comma 3, lettera f), e 9, comma 1, lettera c) ;
- d) partecipazione al procedimento per l’individuazione degli ambiti territoriali, di cui all’articolo 8, comma 3, lettera a) ;
- e) definizione dei parametri di valutazione delle condizioni di cui all’articolo 2, comma 3, ai fini della determinazione dell’accesso prioritario alle prestazioni e ai servizi.
- 3. Nell’esercizio delle funzioni di cui ai commi 1 e 2 i comuni provvedono a:
- a) promuovere, nell’ambito del sistema locale dei servizi sociali a rete, risorse delle collettività locali tramite forme innovative di collaborazione per lo sviluppo di interventi di auto-aiuto e per favorire la reciprocità tra cittadini nell’ambito della vita comunitaria;
- b) coordinare programmi e attività degli enti che operano nell’ambito di competenza, secondo le modalità fissate dalla regione, tramite collegamenti operativi tra i servizi che realizzano attività volte all’integrazione sociale ed intese con le aziende unità sanitarie locali per le attività socio-sanitarie e per i piani di zona;
- c) adottare strumenti per la semplificazione amministrativa e per il controllo di gestione atti a valutare l’efficienza, l’efficacia ed i risultati delle prestazioni, in base alla programmazione di cui al comma 2, lettera a);
- d) effettuare forme di consultazione dei soggetti di cui all’articolo 1, commi 5 e 6, per valutare la qualità e l’efficacia dei servizi e formulare proposte ai fini della predisposizione dei programmi;
- e) garantire ai cittadini i diritti di partecipazione al controllo di qualità dei servizi, secondo le modalità previste dagli statuti comunali.
4. Per i soggetti per i quali si renda necessario il ricovero stabile presso strutture residenziali, il comune nel quale essi hanno la residenza prima del ricovero, previamente informato, assume gli obblighi connessi all’eventuale integrazione economica.
- a) alla raccolta delle conoscenze e dei dati sui bisogni e sulle risorse rese disponibili dai comuni e da altri soggetti istituzionali presenti in ambito provinciale per concorrere all’attuazione del sistema informativo dei servizi sociali;
- b) all’analisi dell’offerta assistenziale per promuovere approfondimenti mirati sui fenomeni sociali più rilevanti in ambito provinciale fornendo, su richiesta dei comuni e degli enti locali interessati, il supporto necessario per il coordinamento degli interventi territoriali;
- c) alla promozione, d’intesa con i comuni, di iniziative di formazione, con particolare riguardo alla formazione professionale di base e all’aggiornamento;
- d) alla partecipazione alla definizione e all’attuazione dei piani di zona.
Art.8. (Funzioni delle regioni) 1. Le regioni esercitano le funzioni di programmazione, coordinamento e indirizzo degli interventi sociali nonché di verifica della rispettiva attuazione a livello territoriale e disciplinano l’integrazione degli interventi stessi, con particolare riferimento all’attività sanitaria e socio-sanitaria ad elevata integrazione sanitaria di cui all’articolo 2, comma 1, lettera n), della legge 30 novembre 1998, n.419.2.
Allo scopo di garantire il costante adeguamento alle esigenze delle comunità locali, le regioni programmano gli interventi sociali secondo le indicazioni di cui all’articolo 3, commi 2 e 5, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n.112, promuovendo, nell’ambito delle rispettive competenze, modalità di collaborazione e azioni coordinate con gli enti locali, adottando strumenti e procedure di raccordo e di concertazione, anche permanenti, per dare luogo a forme di cooperazione.
Le regioni provvedono altresì alla consultazione dei soggetti di cui agli articoli 1, commi 5 e 6, e 10 della presente legge.3. Alle regioni, nel rispetto di quanto previsto dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n.112, spetta in particolare l’esercizio delle seguenti funzioni:
- a) determinazione, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, tramite le forme di concertazione con gli enti locali interessati, degli ambiti territoriali, delle modalità e degli strumenti per la gestione unitaria del sistema locale dei servizi sociali a rete. Nella determinazione degli ambiti territoriali, le regioni prevedono incentivi a favore dell’esercizio associato delle funzioni sociali in ambiti territoriali di norma coincidenti con i distretti sanitari già operanti per le prestazioni sanitarie, destinando allo scopo una quota delle complessive risorse regionali destinate agli interventi previsti dalla presente legge;
- b) definizione di politiche integrate in materia di interventi sociali, ambiente, sanità, istituzioni scolastiche, avviamento al lavoro e reinserimento nelle attività lavorative, servizi del tempo libero, trasporti e comunicazioni;
- c) promozione e coordinamento delle azioni di assistenza tecnica per la istituzione e la gestione degli interventi sociali da parte degli enti locali;
- d) promozione della sperimentazione di modelli innovativi di servizi in grado di coordinare le risorse umane e finanziarie presenti a livello locale e di collegarsi altresì alle esperienze effettuate a livello europeo;
- e) promozione di metodi e strumenti per il controllo di gestione atti a valutare l’efficacia e l’efficienza dei servizi ed i risultati delle azioni previste;
- f) definizione, sulla base dei requisiti minimi fissati dallo Stato, dei criteri per l’autorizzazione, l’accreditamento e la vigilanza delle strutture e dei servizi a gestione pubblica o dei soggetti di cui all’articolo 1, commi 4 e 5;
- g) istituzione, secondo le modalità definite con legge regionale, sulla base di indicatori oggettivi di qualità, di registri dei soggetti autorizzati all’esercizio delle attività disciplinate dalla presente legge;
- h) definizione dei requisiti di qualità per la gestione dei servizi e per la erogazione delle prestazioni;
- i) definizione dei criteri per la concessione dei titoli di cui all’articolo 17 da parte dei comuni, secondo i criteri generali adottati in sede nazionale;
- l) definizione dei criteri per la determinazione del concorso da parte degli utenti al costo delle prestazioni, sulla base dei criteri determinati ai sensi dell’articolo 18, comma 3, lettera g) ;
- m) predisposizione e finanziamento dei piani per la formazione e l’aggiornamento del personale addetto alle attività sociali;
- n) determinazione dei criteri per la definizione delle tariffe che i comuni sono tenuti a corrispondere ai soggetti accreditati;
o) esercizio dei poteri sostitutivi, secondo le modalità indicate dalla legge regionale di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n.112, nei confronti degli enti locali inadempienti rispetto a quanto stabilito dagli articoli 6, comma 2, lettere a), b) e c), e 19.4.
Fermi restando i principi di cui alla legge 7 agosto 1990, n.241, le regioni disciplinano le procedure amministrative, le modalità per la presentazione dei reclami da parte degli utenti delle prestazioni sociali e l’eventuale istituzione di uffici di tutela degli utenti stessi che assicurino adeguate forme di indipendenza nei confronti degli enti erogatori.5.
La legge regionale di cui all’articolo 132 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n.112, disciplina il trasferimento ai comuni o agli enti locali delle funzioni indicate dal regio decreto – legge 8 maggio 1927, n.798, convertito dalla legge 6 dicembre 1928, n.2838, e dal decreto-legge 18 gennaio 1993, n.9, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 marzo 1993, n.67.
Con la medesima legge, le regioni disciplinano, con le modalità stabilite dall’articolo 3 del citato decreto legislativo n.112 del 1998, il trasferimento ai comuni e agli enti locali delle risorse umane, finanziarie e patrimoniali per assicurare la copertura degli oneri derivanti dall’esercizio delle funzioni sociali trasferite utilizzate alla data di entrata in vigore della presente legge per l’esercizio delle funzioni stesse.
Art.9. (Funzioni dello Stato) 1. Allo Stato spetta l’esercizio delle funzioni di cui all’articolo 129 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n.112, nonché dei poteri di indirizzo e coordinamento e di regolazione delle politiche sociali per i seguenti aspetti:
- a) determinazione dei principi e degli obiettivi della politica sociale attraverso il Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali di cui all’articolo 18;
- b) individuazione dei livelli essenziali ed uniformi delle prestazioni, comprese le funzioni in materia assistenziale, svolte per minori ed adulti dal Ministero della giustizia, all’interno del settore penale;
- c) fissazione dei requisiti minimi strutturali e organizzativi per l’autorizzazione all’esercizio dei servizi e delle strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale; previsione di requisiti specifici per le comunità di tipo familiare con sede nelle civili abitazioni;
- d) determinazione dei requisiti e dei profili professionali in materia di professioni sociali, nonché dei requisiti di accesso e di durata dei percorsi formativi;
e) esercizio dei poteri sostitutivi in caso di riscontrata inadempienza delle regioni, ai sensi dell’articolo 8 della legge 15 marzo 1997, n.59, e dell’articolo 5 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n.112; f) ripartizione delle risorse del Fondo nazionale per le politiche sociali secondo i criteri stabiliti dall’articolo 20, comma 7.2.
Le competenze statali di cui al comma 1, lettere b) e c), del presente articolo sono esercitate sentita la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n.281; le restanti competenze sono esercitate secondo i criteri stabiliti dall’articolo 129, comma 2, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n.112.
Art.10. (Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza) 1. Il Governo è delegato ad emanare, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, un decreto legislativo recante una nuova disciplina delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza (IPAB) di cui alla legge 17 luglio 1890, n.6972, e successive modificazioni, sulla base dei seguenti principi e criteri direttivi: a) definire l’inserimento delle IPAB che operano in campo socio-assistenziale nella programmazione regionale del sistema integrato di interventi e servizi sociali di cui all’articolo 22, prevedendo anche modalità per la partecipazione alla programmazione, secondo quanto previsto dall’articolo 3, comma 2, lettera b); b) prevedere, nell’ambito del riordino della disciplina, la trasformazione della forma giuridica delle IPAB al fine di garantire l’obiettivo di un’efficace ed efficiente gestione, assicurando autonomia statutaria, patrimoniale, contabile, gestionale e tecnica compatibile con il mantenimento della personalità giuridica pubblica; c) prevedere l’applicazione ai soggetti di cui alla lettera b) :
- 1) di un regime giuridico del personale di tipo privatistico e di forme contrattuali coerenti con la loro autonomia;
- 2) di forme di controllo relative all’approvazione degli statuti, dei bilanci annuali e pluriennali, delle spese di gestione del patrimonio in materia di investimenti, delle alienazioni, cessioni e permute, nonché di forme di verifica dei risultati di gestione, coerenti con la loro autonomia;
- d) prevedere la possibilità della trasformazione delle IPAB in associazioni o in fondazioni di diritto privato fermo restando il rispetto dei vincoli posti dalle tavole di fondazione e dagli statuti, tenuto conto della normativa vigente che regolamenta la trasformazione dei fini e la privatizzazione delle IPAB, nei casi di particolari condizioni statutarie e patrimoniali;
- e) prevedere che le IPAB che svolgono esclusivamente attività di amministrazione del proprio patrimonio adeguino gli statuti, entro due anni dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo, nel rispetto delle tavole di fondazione, a principi di efficienza, efficacia e trasparenza ai fini del potenziamento dei servizi; prevedere che negli statuti siano inseriti appositi strumenti di verifica della attività di amministrazione dei patrimoni;
- f) prevedere linee di indirizzo e criteri che incentivino l’accorpamento e la fusione delle IPAB ai fini della loro riorganizzazione secondo gli indirizzi di cui alle lettere b) e c) ;
- g) prevedere la possibilità di separare la gestione dei servizi da quella dei patrimoni garantendo comunque la finalizzazione degli stessi allo sviluppo e al potenziamento del sistema integrato di interventi e servizi sociali;
- h) prevedere la possibilità di scioglimento delle IPAB nei casi in cui, a seguito di verifica da parte delle regioni o degli enti locali, risultino essere inattive nel campo sociale da almeno due anni ovvero risultino esaurite le finalità previste nelle tavole di fondazione o negli statuti; salvaguardare, nel caso di scioglimento delle IPAB, l’effettiva destinazione dei patrimoni alle stesse appartenenti, nel rispetto degli interessi originari e delle tavole di fondazione o, in mancanza di disposizioni specifiche nelle stesse, a favore, prioritariamente, di altre IPAB del territorio o dei comuni territorialmente competenti, allo scopo di promuovere e potenziare il sistema integrato di interventi e servizi sociali;
- i) esclusione di nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
2. Sullo schema di decreto legislativo di cui al comma 1 sono acquisiti i pareri della Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n.281, e delle rappresentanze delle IPAB. Lo schema di decreto legislativo è successivamente trasmesso alle Camere per l’espressione del parere da parte delle competenti Commissioni parlamentari, che si pronunciano entro trenta giorni dalla data di assegnazione.3.
- Le regioni adeguano la propria disciplina ai principi del decreto legislativo di cui al comma 1 entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del medesimo decreto legislativo. Art.11.
- Autorizzazione e accreditamento) 1.
- I servizi e le strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale a gestione pubblica o dei soggetti di cui all’articolo 1, comma 5, sono autorizzati dai comuni.
L’autorizzazione è rilasciata in conformità ai requisiti stabiliti dalla legge regionale, che recepisce e integra, in relazione alle esigenze locali, i requisiti minimi nazionali determinati ai sensi dell’articolo 9, comma 1, lettera c), con decreto del Ministro per la solidarietà sociale, sentiti i Ministri interessati e la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n.281.2.
I requisiti minimi nazionali trovano immediata applicazione per servizi e strutture di nuova istituzione; per i servizi e le strutture operanti alla data di entrata in vigore della presente legge, i comuni provvedono a concedere autorizzazioni provvisorie, prevedendo l’adeguamento ai requisiti regionali e nazionali nel termine stabilito da ciascuna regione e in ogni caso non oltre il termine di cinque anni.3.
I comuni provvedono all’accreditamento, ai sensi dell’articolo 6, comma 2, lettera c), e corrispondono ai soggetti accreditati tariffe per le prestazioni erogate nell’ambito della programmazione regionale e locale sulla base delle determinazioni di cui all’articolo 8, comma 3, lettera n),4.
Le regioni, nell’ambito degli indirizzi definiti dal Piano nazionale ai sensi dell’articolo 18, comma 3, lettera e), disciplinano le modalità per il rilascio da parte dei comuni ai soggetti di cui all’articolo 1, comma 5, delle autorizzazioni alla erogazione di servizi sperimentali e innovativi, per un periodo massimo di tre anni, in deroga ai requisiti di cui al comma 1.
Le regioni, con il medesimo provvedimento di cui al comma 1, definiscono gli strumenti per la verifica dei risultati. Art.12. (Figure professionali sociali) 1. Con decreto del Ministro per la solidarietà sociale, da emanare entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, di concerto con i Ministri della sanità, del lavoro e della previdenza sociale, della pubblica istruzione e dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica, sulla base dei criteri e dei parametri individuati dalla Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n.281, ai sensi dell’articolo 129, comma 2, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n.112, sono definiti i profili professionali delle figure professionali sociali.2.
- a) le figure professionali di cui al comma 1 da formare con i corsi di laurea di cui all’articolo 6 del regolamento recante norme concernenti l’autonomia didattica degli atenei, adottato con decreto del Ministro dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica 3 novembre 1999, n.509;
- b) le figure professionali di cui al comma 1 da formare in corsi di formazione organizzati dalle regioni, nonché i criteri generali riguardanti i requisiti per l’accesso, la durata e l’ordinamento didattico dei medesimi corsi di formazione;
- c) i criteri per il riconoscimento e la equiparazione dei profili professionali esistenti alla data di entrata in vigore della presente legge.
3. Gli ordinamenti didattici dei corsi di laurea di cui al comma 2, lettera a), sono definiti dall’università ai sensi dell’articolo 11 del citato regolamento adottato con decreto del Ministro dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica 3 novembre 1999, n.509.4.
Restano ferme le disposizioni di cui all’articolo 3- octies del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n.502, introdotto dall’articolo 3 del decreto legislativo 19 giugno 1999, n.229, relative ai profili professionali dell’area socio-sanitaria ad elevata integrazione socio-sanitaria.5. Ai sensi del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n.29, e successive modificazioni, con decreto dei Ministri per la solidarietà sociale, del tesoro, del bilancio e della programmazione economica e per la funzione pubblica, da emanare entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono individuate, per le figure professionali sociali, le modalità di accesso alla dirigenza, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.6.
Le risorse economiche per finanziare le iniziative di cui al comma 2 sono reperite dalle amministrazioni responsabili delle attività formative negli stanziamenti previsti per i programmi di formazione, avvalendosi anche del concorso del Fondo sociale europeo e senza oneri aggiuntivi a carico dello Stato.
Art.13. (Carta dei servizi sociali) 1. Al fine di tutelare le posizioni soggettive degli utenti, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per la solidarietà sociale, d’intesa con i Ministri interessati, è adottato lo schema generale di riferimento della carta dei servizi sociali.
Entro sei mesi dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, ciascun ente erogatore di servizi adotta una carta dei servizi sociali ed è tenuto a darne adeguata pubblicità agli utenti.2. Nella carta dei servizi sociali sono definiti i criteri per l’accesso ai servizi, le modalità del relativo funzionamento, le condizioni per facilitarne le valutazioni da parte degli utenti e dei soggetti che rappresentano i loro diritti, nonché le procedure per assicurare la tutela degli utenti.
Al fine di tutelare le posizioni soggettive e di rendere immediatamente esigibili i diritti soggettivi riconosciuti, la carta dei servizi sociali, ferma restando la tutela per via giurisdizionale, prevede per gli utenti la possibilità di attivare ricorsi nei confronti dei responsabili preposti alla gestione dei servizi.3.
L’adozione della carta dei servizi sociali da parte degli erogatori delle prestazioni e dei servizi sociali costituisce requisito necessario ai fini dell’accreditamento. Capo III DISPOSIZIONI PER LA REALIZZAZIONE DI PARTICOLARI INTERVENTI DI INTEGRAZIONE E SOSTEGNO SOCIALE Art.14.
(Progetti individuali per le persone disabili) 1. Per realizzare la piena integrazione delle persone disabili di cui all’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n.104, nell’ambito della vita familiare e sociale, nonché nei percorsi dell’istruzione scolastica o professionale e del lavoro, i comuni, d’intesa con le aziende unità sanitarie locali, predispongono, su richiesta dell’interessato, un progetto individuale, secondo quanto stabilito al comma 2.2.
Nell’ambito delle risorse disponibili in base ai piani di cui agli articoli 18 e 19, il progetto individuale comprende, oltre alla valutazione diagnostico-funzionale, le prestazioni di cura e di riabilitazione a carico del Servizio sanitario nazionale, i servizi alla persona a cui provvede il comune in forma diretta o accreditata, con particolare riferimento al recupero e all’integrazione sociale, nonché le misure economiche necessarie per il superamento di condizioni di povertà, emarginazione ed esclusione sociale.
Nel progetto individuale sono definiti le potenzialità e gli eventuali sostegni per il nucleo familiare.3. Con decreto del Ministro della sanità, di concerto con il Ministro per la solidarietà sociale, da emanare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono definite, nel rispetto dei principi di tutela della riservatezza previsti dalla normativa vigente, le modalità per indicare nella tessera sanitaria, su richiesta dell’interessato, i dati relativi alle condizioni di non autosufficienza o di dipendenza per facilitare la persona disabile nell’accesso ai servizi ed alle prestazioni sociali.
Art.15. (Sostegno domiciliare per le persone anziane non autosufficienti) 1. Ferme restando le competenze del Servizio sanitario nazionale in materia di prevenzione, cura e riabilitazione, per le patologie acute e croniche, particolarmente per i soggetti non autosufficienti, nell’ambito del Fondo nazionale per le politiche sociali il Ministro per la solidarietà sociale, con proprio decreto, emanato di concerto con i Ministri della sanità e per le pari opportunità, sentita la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n.281, determina annualmente la quota da riservare ai servizi a favore delle persone anziane non autosufficienti, per favorirne l’autonomia e sostenere il nucleo familiare nell’assistenza domiciliare alle persone anziane che ne fanno richiesta.2.
Il Ministro per la solidarietà sociale, con il medesimo decreto di cui al comma 1, stabilisce annualmente le modalità di ripartizione dei finanziamenti in base a criteri ponderati per quantità di popolazione, classi di età e incidenza degli anziani, valutando altresì la posizione delle regioni e delle province autonome in rapporto ad indicatori nazionali di non autosufficienza e di reddito.
In sede di prima applicazione della presente legge, il decreto di cui al comma 1 è emanato entro novanta giorni dalla data della sua entrata in vigore.3. Una quota dei finanziamenti di cui al comma 1 è riservata ad investimenti e progetti integrati tra assistenza e sanità, realizzati in rete con azioni e programmi coordinati tra soggetti pubblici e privati, volti a sostenere e a favorire l’autonomia delle persone anziane e la loro permanenza nell’ambiente familiare secondo gli indirizzi indicati dalla presente legge.
- In sede di prima applicazione della presente legge le risorse individuate ai sensi del comma 1 sono finalizzate al potenziamento delle attività di assistenza domiciliare integrata.4.
- Entro il 30 giugno di ogni anno le regioni destinatarie dei finanziamenti di cui al comma 1 trasmettono una relazione al Ministro per la solidarietà sociale e al Ministro della sanità in cui espongono lo stato di attuazione degli interventi e gli obiettivi conseguiti nelle attività svolte ai sensi del presente articolo, formulando anche eventuali proposte per interventi innovativi.
Qualora una o più regioni non provvedano all’impegno contabile delle quote di competenza entro i tempi indicati nel riparto di cui al comma 2, il Ministro per la solidarietà sociale, di concerto con il Ministro della sanità, sentita la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n.281, provvede alla rideterminazione e riassegnazione dei finanziamenti alle regioni.
- Art.16. (Valorizzazione e sostegno delle responsabilità familiari) 1.
- Il sistema integrato di interventi e servizi sociali riconosce e sostiene il ruolo peculiare delle famiglie nella formazione e nella cura della persona, nella promozione del benessere e nel perseguimento della coesione sociale; sostiene e valorizza i molteplici compiti che le famiglie svolgono sia nei momenti critici e di disagio, sia nello sviluppo della vita quotidiana; sostiene la cooperazione, il mutuo aiuto e l’associazionismo delle famiglie; valorizza il ruolo attivo delle famiglie nella formazione di proposte e di progetti per l’offerta dei servizi e nella valutazione dei medesimi.
Al fine di migliorare la qualità e l’efficienza degli interventi, gli operatori coinvolgono e responsabilizzano le persone e le famiglie nell’ambito dell’organizzazione dei servizi.2. I livelli essenziali delle prestazioni sociali erogabili nel territorio nazionale, di cui all’articolo 22, e i progetti obiettivo, di cui all’articolo 18, comma 3, lettera b), tengono conto dell’esigenza di favorire le relazioni, la corresponsabilità e la solidarietà fra generazioni, di sostenere le responsabilità genitoriali, di promuovere le pari opportunità e la condivisione di responsabilità tra donne e uomini, di riconoscere l’autonomia di ciascun componente della famiglia.3.
- b) politiche di conciliazione tra il tempo di lavoro e il tempo di cura, promosse anche dagli enti locali ai sensi della legislazione vigente;
- c) servizi formativi ed informativi di sostegno alla genitorialità, anche attraverso la promozione del mutuo aiuto tra le famiglie;
- d) prestazioni di aiuto e sostegno domiciliare, anche con benefici di carattere economico, in particolare per le famiglie che assumono compiti di accoglienza, di cura di disabili fisici, psichici e sensoriali e di altre persone in difficoltà, di minori in affidamento, di anziani;
- e) servizi di sollievo, per affiancare nella responsabilità del lavoro di cura la famiglia, ed in particolare i componenti più impegnati nell’accudimento quotidiano delle persone bisognose di cure particolari ovvero per sostituirli nelle stesse responsabilità di cura durante l’orario di lavoro;
- f) servizi per l’affido familiare, per sostenere, con qualificati interventi e percorsi formativi, i compiti educativi delle famiglie interessate.
4. Per sostenere le responsabilità individuali e familiari e agevolare l’autonomia finanziaria di nuclei monoparentali, di coppie giovani con figli, di gestanti in difficoltà, di famiglie che hanno a carico soggetti non autosufficienti con problemi di grave e temporanea difficoltà economica, di famiglie di recente immigrazione che presentino gravi difficoltà di inserimento sociale, nell’ambito delle risorse disponibili in base ai piani di cui agli articoli 18 e 19, i comuni, in alternativa a contributi assistenziali in denaro, possono concedere prestiti sull’onore, consistenti in finanziamenti a tasso zero secondo piani di restituzione concordati con il destinatario del prestito.
L’onere dell’interesse sui prestiti è a carico del comune; all’interno del Fondo nazionale per le politiche sociali è riservata una quota per il concorso alla spesa destinata a promuovere il prestito sull’onore in sede locale.5. I comuni possono prevedere agevolazioni fiscali e tariffarie rivolte alle famiglie con specifiche responsabilità di cura.
I comuni possono, altresì, deliberare ulteriori riduzioni dell’aliquota dell’imposta comunale sugli immobili (ICI) per la prima casa, nonché tariffe ridotte per l’accesso a più servizi educativi e sociali.6. Con la legge finanziaria per il 2001 sono determinate misure fiscali di agevolazione per le spese sostenute per la tutela e la cura dei componenti del nucleo familiare non autosufficienti o disabili.
Ulteriori risorse possono essere attribuite per la realizzazione di tali finalità in presenza di modifiche normative comportanti corrispondenti riduzioni nette permanenti del livello della spesa di carattere corrente. Art.17. (Titoli per l’acquisto di servizi sociali) 1. Fermo restando quanto previsto dall’articolo 2, comma 2, i comuni possono prevedere la concessione, su richiesta dell’interessato, di titoli validi per l’acquisto di servizi sociali dai soggetti accreditati del sistema integrato di interventi e servizi sociali ovvero come sostitutivi delle prestazioni economiche diverse da quelle correlate al minimo vitale previste dall’articolo 24, comma 1, lettera a), numeri 1) e 2), della presente legge, nonché dalle pensioni sociali di cui all’articolo 26 della legge 30 aprile 1969, n.153, e successive modificazioni, e dagli assegni erogati ai sensi dell’articolo 3, comma 6, della legge 8 agosto 1995, n.335.2.
Le regioni, in attuazione di quanto stabilito ai sensi dell’articolo 18, comma 3, lettera i), disciplinano i criteri e le modalità per la concessione dei titoli di cui al comma 1 nell’ambito di un percorso assistenziale attivo per la integrazione o la reintegrazione sociale dei soggetti beneficiari, sulla base degli indirizzi del Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali.
- Capo IV STRUMENTI PER FAVORIRE IL RIORDINO DEL SISTEMA INTEGRATO DI INTERVENTI E SERVIZI SOCIALI Art.18.
- Piano nazionale e piani regionali degli interventi e dei servizi sociali) 1.
- Il Governo predispone ogni tre anni il Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali, di seguito denominato “Piano nazionale”, tenendo conto delle risorse finanziarie individuate ai sensi dell’articolo 4 nonché delle risorse ordinarie già destinate alla spesa sociale dagli enti locali.2.
Il Piano nazionale è adottato previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per la solidarietà sociale, sentiti i Ministri interessati. Sullo schema di piano sono acquisiti l’intesa con la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n.281, nonché i pareri degli enti e delle associazioni nazionali di promozione sociale di cui all’articolo 1, comma 1, lettere a) e b), della legge 19 novembre 1987, n.476, e successive modificazioni, maggiormente rappresentativi, delle associazioni di rilievo nazionale che operano nel settore dei servizi sociali, delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello nazionale e delle associazioni di tutela degli utenti.
- 3. Il Piano nazionale indica:
- a) le caratteristiche ed i requisiti delle prestazioni sociali comprese nei livelli essenziali previsti dall’articolo 22;
- b) le priorità di intervento attraverso l’individuazione di progetti obiettivo e di azioni programmate, con particolare riferimento alla realizzazione di percorsi attivi nei confronti delle persone in condizione di povertà o di difficoltà psico-fisica;
- c) le modalità di attuazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali e le azioni da integrare e coordinare con le politiche sanitarie, dell’istruzione, della formazione e del lavoro;
- d) gli indirizzi per la diffusione dei servizi di informazione al cittadino e alle famiglie;
- e) gli indirizzi per le sperimentazioni innovative, comprese quelle indicate dall’articolo 3, comma 4, e per le azioni di promozione della concertazione delle risorse umane, economiche, finanziarie, pubbliche e private, per la costruzione di reti integrate di interventi e servizi sociali;
- f) gli indicatori ed i parametri per la verifica dei livelli di integrazione sociale effettivamente assicurati in rapporto a quelli previsti nonché gli indicatori per la verifica del rapporto costi – benefici degli interventi e dei servizi sociali;
- g) i criteri generali per la disciplina del concorso al costo dei servizi sociali da parte degli utenti, tenuto conto dei principi stabiliti dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n.109;
- h) i criteri generali per la determinazione dei parametri di valutazione delle condizioni di cui all’articolo 2, comma 3;
- i) gli indirizzi ed i criteri generali per la concessione dei prestiti sull’onore di cui all’articolo 16, comma 4, e dei titoli di cui all’articolo 17;
- l) gli indirizzi per la predisposizione di interventi e servizi sociali per le persone anziane non autosufficienti e per i soggetti disabili, in base a quanto previsto dall’articolo 14;
- m) gli indirizzi relativi alla formazione di base e all’aggiornamento del personale;
- n) i finanziamenti relativi a ciascun anno di vigenza del Piano nazionale in coerenza con i livelli essenziali previsti dall’articolo 22, secondo parametri basati sulla struttura demografica, sui livelli di reddito e sulle condizioni occupazionali della popolazione;
- o) gli indirizzi per la predisposizione di programmi integrati per obiettivi di tutela e qualità della vita rivolti ai minori, ai giovani e agli anziani, per il sostegno alle responsabilità familiari, anche in riferimento all’obbligo scolastico, per l’inserimento sociale delle persone con disabilità e limitazione dell’autonomia fisica e psichica, per l’integrazione degli immigrati, nonché per la prevenzione, il recupero e il reinserimento dei tossicodipendenti e degli alcoldipendenti.
4. Il primo Piano nazionale è adottato entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge.5. Il Ministro per la solidarietà sociale predispone annualmente una relazione al Parlamento sui risultati conseguiti rispetto agli obiettivi fissati dal Piano nazionale, con particolare riferimento ai costi e all’efficacia degli interventi, e fornisce indicazioni per l’ulteriore programmazione.
La relazione indica i risultati conseguiti nelle regioni in attuazione dei piani regionali. La relazione dà conto altresì dei risultati conseguiti nei servizi sociali con l’utilizzo dei finanziamenti dei fondi europei, tenuto conto dei dati e delle valutazioni forniti dal Ministro del lavoro e della previdenza sociale.6.
Le regioni, nell’esercizio delle funzioni conferite dagli articoli 131 e 132 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n.112, e dalla presente legge, in relazione alle indicazioni del Piano nazionale di cui al comma 3 del presente articolo, entro centoventi giorni dall’adozione del Piano stesso adottano nell’ambito delle risorse disponibili, ai sensi dell’articolo 4, attraverso forme di intesa con i comuni interessati ai sensi dell’articolo 3 della legge 8 giugno 1990, n.142, e successive modificazioni, il piano regionale degli interventi e dei servizi sociali, provvedendo in particolare all’integrazione socio-sanitaria in coerenza con gli obiettivi del piano sanitario regionale, nonché al coordinamento con le politiche dell’istruzione, della formazione professionale e del lavoro.
- (Piano di zona)
- 1. I comuni associati, negli ambiti territoriali di cui all’articolo 8, comma 3, lettera a), a tutela dei diritti della popolazione, d’intesa con le aziende unità sanitarie locali, provvedono, nell’ambito delle risorse disponibili, ai sensi dell’articolo 4, per gli interventi sociali e socio-sanitari, secondo le indicazioni del piano regionale di cui all’articolo 18, comma 6, a definire il piano di zona, che individua:
- a) gli obiettivi strategici e le priorità di intervento nonché gli strumenti e i mezzi per la relativa realizzazione;
- b) le modalità organizzative dei servizi, le risorse finanziarie, strutturali e professionali, i requisiti di qualità in relazione alle disposizioni regionali adottate ai sensi dell’articolo 8, comma 3, lettera h) ;
- c) le forme di rilevazione dei dati nell’ambito del sistema informativo di cui all’articolo 21;
- d) le modalità per garantire l’integrazione tra servizi e prestazioni;
- e) le modalità per realizzare il coordinamento con gli organi periferici delle amministrazioni statali, con particolare riferimento all’amministrazione penitenziaria e della giustizia;
- f) le modalità per la collaborazione dei servizi territoriali con i soggetti operanti nell’ambito della solidarietà sociale a livello locale e con le altre risorse della comunità;
- g) le forme di concertazione con l’azienda unità sanitaria locale e con i soggetti di cui all’articolo 1, comma 4.
2. Il piano di zona, di norma adottato attraverso accordo di programma, ai sensi dell’articolo 27 della legge 8 giugno 1990, n.142, e successive modificazioni, è volto a:
- a) favorire la formazione di sistemi locali di intervento fondati su servizi e prestazioni complementari e flessibili, stimolando in particolare le risorse locali di solidarietà e di auto-aiuto, nonché a responsabilizzare i cittadini nella programmazione e nella verifica dei servizi;
- b) qualificare la spesa, attivando risorse, anche finanziarie, derivate dalle forme di concertazione di cui al comma 1, lettera g) ;
- c) definire criteri di ripartizione della spesa a carico di ciascun comune, delle aziende unità sanitarie locali e degli altri soggetti firmatari dell’accordo, prevedendo anche risorse vincolate per il raggiungimento di particolari obiettivi;
- d) prevedere iniziative di formazione e di aggiornamento degli operatori finalizzate a realizzare progetti di sviluppo dei servizi.
3. All’accordo di programma di cui al comma 2, per assicurare l’adeguato coordinamento delle risorse umane e finanziarie, partecipano i soggetti pubblici di cui al comma 1 nonché i soggetti di cui all’articolo 1, comma 4, e all’articolo 10, che attraverso l’accreditamento o specifiche forme di concertazione concorrono, anche con proprie risorse, alla realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali previsto nel piano.
- Art.20. (Fondo nazionale per le politiche sociali) 1.
- Per la promozione e il raggiungimento degli obiettivi di politica sociale, lo Stato ripartisce le risorse del Fondo nazionale per le politiche sociali.2.
- Per le finalità della presente legge il Fondo di cui al comma 1 è incrementato di lire 106.700 milioni per l’anno 2000, di lire 761.500 milioni per l’anno 2001 e di lire 922.500 milioni a decorrere dall’anno 2002.
Al relativo onere si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2000-2002, nell’ambito dell’unità previsionale di base di parte corrente “Fondo speciale” dello stato di previsione del Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica per l’anno 2000, allo scopo utilizzando quanto a lire 56.700 milioni per l’anno 2000, a lire 591.500 milioni per l’anno 2001 e a lire 752.500 milioni per l’anno 2002, l’accantonamento relativo al Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica; quanto a lire 50.000 milioni per l’anno 2000 e a lire 149.000 milioni per ciascuno degli anni 2001 e 2002, l’accantonamento relativo al Ministero della pubblica istruzione; quanto a lire 1.000 milioni per ciascuno degli anni 2001 e 2002, le proiezioni dell’accantonamento relativo al Ministero dell’interno; quanto a lire 20.000 milioni per ciascuno degli anni 2001 e 2002, le proiezioni dell’accantonamento relativo al Ministero del commercio con l’estero.3.
- Il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.4.
- La definizione dei livelli essenziali di cui all’articolo 22 è effettuata contestualmente a quella delle risorse da assegnare al Fondo nazionale per le politiche sociali tenuto conto delle risorse ordinarie destinate alla spesa sociale dalle regioni e dagli enti locali, nel rispetto delle compatibilità finanziarie definite per l’intero sistema di finanza pubblica dal Documento di programmazione economico-finanziaria.5.
Con regolamento, da emanare ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n.400, il Governo provvede a disciplinare modalità e procedure uniformi per la ripartizione delle risorse finanziarie confluite nel Fondo di cui al comma 1 ai sensi delle vigenti disposizioni di legge, sulla base dei seguenti principi e criteri direttivi:
- a) razionalizzare e armonizzare le procedure medesime ed evitare sovrapposizioni e diseconomie nell’allocazione delle risorse;
- b) prevedere quote percentuali di risorse aggiuntive a favore dei comuni associati ai sensi dell’articolo 8, comma 3, lettera a);
- c) garantire che gli stanziamenti a favore delle regioni e degli enti locali costituiscano quote di cofinanziamento dei programmi e dei relativi interventi e prevedere modalità di accertamento delle spese al fine di realizzare un sistema di progressiva perequazione della spesa in ambito nazionale per il perseguimento degli obiettivi del Piano nazionale;
- d) prevedere forme di monitoraggio, verifica e valutazione dei costi, dei rendimenti e dei risultati degli interventi, nonché modalità per la revoca dei finanziamenti in caso di mancato impegno da parte degli enti destinatari entro periodi determinati;
- e) individuare le norme di legge abrogate dalla data di entrata in vigore del regolamento.
6. Lo schema di regolamento di cui al comma 5, previa deliberazione preliminare del Consiglio dei ministri, acquisito il parere della Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n.281, è trasmesso successivamente alle Camere per l’espressione del parere da parte delle competenti Commissioni parlamentari, che si pronunciano entro trenta giorni dalla data di assegnazione.
Decorso inutilmente tale termine, il regolamento può essere emanato.7. Il Ministro per la solidarietà sociale, sentiti i Ministri interessati, d’intesa con la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n.281, provvede, con proprio decreto, annualmente alla ripartizione delle risorse del Fondo nazionale per le politiche sociali, tenuto conto della quota riservata di cui all’articolo 15, sulla base delle linee contenute nel Piano nazionale e dei parametri di cui all’articolo 18, comma 3, lettera n).
In sede di prima applicazione della presente legge, entro novanta giorni dalla data della sua entrata in vigore, il Ministro per la solidarietà sociale, sentiti i Ministri interessati, d’intesa con la Conferenza unificata di cui al citato articolo 8 del decreto legislativo n.281 del 1997, adotta il decreto di cui al presente comma sulla base dei parametri di cui all’articolo 18, comma 3, lettera n),
La ripartizione garantisce le risorse necessarie per l’adempimento delle prestazioni di cui all’articolo 24.8. A decorrere dall’anno 2002 lo stanziamento complessivo del Fondo nazionale per le politiche sociali è determinato dalla legge finanziaria con le modalità di cui all’articolo 11, comma 3, lettera d), della legge 5 agosto 1978, n.468, e successive modificazioni, assicurando comunque la copertura delle prestazioni di cui all’articolo 24 della presente legge.9.
Alla data di entrata in vigore del decreto legislativo di cui all’articolo 24, confluiscono con specifica finalizzazione nel Fondo nazionale per le politiche sociali anche le risorse finanziarie destinate al finanziamento delle prestazioni individuate dal medesimo decreto legislativo.10.
Al Fondo nazionale per le politiche sociali affluiscono, altresì, somme derivanti da contributi e donazioni eventualmente disposti da privati, enti, fondazioni, organizzazioni, anche internazionali, da organismi dell’Unione europea, che sono versate all’entrata del bilancio dello Stato per essere assegnate al citato Fondo nazionale.11.
Qualora le regioni ed i comuni non provvedano all’impegno contabile della quota non specificamente finalizzata ai sensi del comma 9 delle risorse ricevute nei tempi indicati dal decreto di riparto di cui al comma 7, il Ministro per la solidarietà sociale, con le modalità di cui al medesimo comma 7, provvede alla rideterminazione e alla riassegnazione delle risorse, fermo restando l’obbligo di mantenere invariata nel triennio la quota complessiva dei trasferimenti a ciascun comune o a ciascuna regione.
Art.21. (Sistema informativo dei servizi sociali) 1. Lo Stato, le regioni, le province e i comuni istituiscono un sistema informativo dei servizi sociali per assicurare una compiuta conoscenza dei bisogni sociali, del sistema integrato degli interventi e dei servizi sociali e poter disporre tempestivamente di dati ed informazioni necessari alla programmazione, alla gestione e alla valutazione delle politiche sociali, per la promozione e l’attivazione di progetti europei, per il coordinamento con le strutture sanitarie, formative, con le politiche del lavoro e dell’occupazione.2.
Entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge è nominata, con decreto del Ministro per la solidarietà sociale, una commissione tecnica, composta da sei esperti di comprovata esperienza nel settore sociale ed in campo informativo, di cui due designati dal Ministro stesso, due dalla Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano, due dalla Conferenza Stato-città e autonomie locali.
- La commissione ha il compito di formulare proposte in ordine ai contenuti, al modello ed agli strumenti attraverso i quali dare attuazione ai diversi livelli operativi del sistema informativo dei servizi sociali.
- La commissione è presieduta da uno degli esperti designati dal Ministro per la solidarietà sociale.
I componenti della commissione durano in carica due anni. Gli oneri derivanti dall’applicazione del presente comma, nel limite massimo di lire 250 milioni annue, sono a carico del Fondo nazionale per le politiche sociali.3. Il Presidente del Consiglio dei ministri, con proprio decreto, su proposta del Ministro per la solidarietà sociale, sentite la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n.281, e l’Autorità per l’informatica nella pubblica amministrazione, definisce le modalità e individua, anche nell’ambito dei sistemi informativi esistenti, gli strumenti necessari per il coordinamento tecnico con le regioni e gli enti locali ai fini dell’attuazione del sistema informativo dei servizi sociali, in conformità con le specifiche tecniche della rete unitaria delle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 15, comma 1, della legge 15 marzo 1997, n.59, tenuto conto di quanto disposto dall’articolo 6 del citato decreto legislativo n.281 del 1997, in materia di scambio di dati ed informazioni tra le amministrazioni centrali, regionali e delle province autonome di Trento e di Bolzano.
- Le regioni, le province e i comuni individuano le forme organizzative e gli strumenti necessari ed appropriati per l’attivazione e la gestione del sistema informativo dei servizi sociali a livello locale.4.
- Gli oneri derivanti dall’applicazione del presente articolo sono a carico del Fondo nazionale per le politiche sociali.
Nell’ambito dei piani di cui agli articoli 18 e 19, sono definite le risorse destinate alla realizzazione del sistema informativo dei servizi sociali, entro i limiti di spesa stabiliti in tali piani.
- Capo V
- INTERVENTI, SERVIZI ED EMOLUMENTI ECONOMICI DEL SISTEMA INTEGRATO DI INTERVENTI E SERVIZI SOCIALI
- Sezione I
- Disposizioni generali
Art.22. (Definizione del sistema integrato di interventi e servizi sociali) 1. Il sistema integrato di interventi e servizi sociali si realizza mediante politiche e prestazioni coordinate nei diversi settori della vita sociale, integrando servizi alla persona e al nucleo familiare con eventuali misure economiche, e la definizione di percorsi attivi volti ad ottimizzare l’efficacia delle risorse, impedire sovrapposizioni di competenze e settorializzazione delle risposte.2.
- a) misure di contrasto della povertà e di sostegno al reddito e servizi di accompagnamento, con particolare riferimento alle persone senza fissa dimora;
- b) misure economiche per favorire la vita autonoma e la permanenza a domicilio di persone totalmente dipendenti o incapaci di compiere gli atti propri della vita quotidiana;
- c) interventi di sostegno per i minori in situazioni di disagio tramite il sostegno al nucleo familiare di origine e l’inserimento presso famiglie, persone e strutture comunitarie di accoglienza di tipo familiare e per la promozione dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza;
- d) misure per il sostegno delle responsabilità familiari, ai sensi dell’articolo 16, per favorire l’armonizzazione del tempo di lavoro e di cura familiare;
e) misure di sostegno alle donne in difficoltà per assicurare i benefici disposti dal regio decreto-legge 8 maggio 1927, n.798, convertito dalla legge 6 dicembre 1928, n.2838, e dalla legge 10 dicembre 1925, n.2277, e loro successive modificazioni, integrazioni e norme attuative; f) interventi per la piena integrazione delle persone disabili ai sensi dell’articolo 14; realizzazione, per i soggetti di cui all’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n.104, dei centri socio-riabilitativi e delle comunità-alloggio di cui all’articolo 10 della citata legge n.104 del 1992, e dei servizi di comunità e di accoglienza per quelli privi di sostegno familiare, nonché erogazione delle prestazioni di sostituzione temporanea delle famiglie;
- g) interventi per le persone anziane e disabili per favorire la permanenza a domicilio, per l’inserimento presso famiglie, persone e strutture comunitarie di accoglienza di tipo familiare, nonché per l’accoglienza e la socializzazione presso strutture residenziali e semiresidenziali per coloro che, in ragione della elevata fragilità personale o di limitazione dell’autonomia, non siano assistibili a domicilio;
- h) prestazioni integrate di tipo socio-educativo per contrastare dipendenze da droghe, alcol e farmaci, favorendo interventi di natura preventiva, di recupero e reinserimento sociale;
- i) informazione e consulenza alle persone e alle famiglie per favorire la fruizione dei servizi e per promuovere iniziative di auto-aiuto.
3. Gli interventi del sistema integrato di interventi e servizi sociali di cui al comma 2, lettera c), sono realizzati, in particolare, secondo le finalità delle leggi 4 maggio 1983, n.184, 27 maggio 1991, n.176, 15 febbraio 1996, n.66, 28 agosto 1997, n.285, 23 dicembre 1997, n.451, 3 agosto 1998, n.296, 31 dicembre 1998, n.476, del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n.286, e delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni, approvate con decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n.448, nonché della legge 5 febbraio 1992, n.104, per i minori disabili.
- 4. In relazione a quanto indicato al comma 2, le leggi regionali, secondo i modelli organizzativi adottati, prevedono per ogni ambito territoriale di cui all’articolo 8, comma 3, lettera a), tenendo conto anche delle diverse esigenze delle aree urbane e rurali, comunque l’erogazione delle seguenti prestazioni:
- a) servizio sociale professionale e segretariato sociale per informazione e consulenza al singolo e ai nuclei familiari;
- b) servizio di pronto intervento sociale per le situazioni di emergenza personali e familiari;
- c) assistenza domiciliare;
- d) strutture residenziali e semiresidenziali per soggetti con fragilità sociali;
- e) centri di accoglienza residenziali o diurni a carattere comunitario.
- Sezione II
- Misure di contrasto alla povertà e riordino degli emolumenti economici assistenziali
Art.23. (Reddito minimo di inserimento) 1. L’articolo 15 del decreto legislativo 18 giugno 1998, n.237, è sostituito dal seguente: “Art.15. – (Estensione del reddito minimo di inserimento). – 1. Il Governo, sentite la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n.281, e le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative, riferisce al Parlamento, entro il 30 maggio 2001, sull’attuazione della sperimentazione e sui risultati conseguiti.
Con successivo provvedimento legislativo, tenuto conto dei risultati della sperimentazione, sono definiti le modalità, i termini e le risorse per l’estensione dell’istituto del reddito minimo di inserimento come misura generale di contrasto della povertà, alla quale ricondurre anche gli altri interventi di sostegno del reddito, quali gli assegni di cui all’articolo 3, comma 6, della legge 8 agosto 1995, n.335, e le pensioni sociali di cui all’articolo 26 della legge 30 aprile 1969, n.153, e successive modificazioni”.2.
Il reddito minimo di inserimento di cui all’articolo 15 del decreto legislativo 18 giugno 1998, n.237, come sostituito dal comma 1 del presente articolo, è definito quale misura di contrasto della povertà e di sostegno al reddito nell’ambito di quelle indicate all’articolo 22, comma 2, lettera a), della presente legge.
- Art.24. (Delega al Governo per il riordino degli emolumenti derivanti da invalidità civile, cecità e sordomutismo) 1.
- Il Governo è delegato ad emanare, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, nel rispetto del principio della separazione tra spesa assistenziale e spesa previdenziale, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, un decreto legislativo recante norme per il riordino degli assegni e delle indennità spettanti ai sensi delle leggi 10 febbraio 1962, n.66, 26 maggio 1970, n.381, 27 maggio 1970, n.382, 30 marzo 1971, n.118, e 11 febbraio 1980, n.18, e successive modificazioni, sulla base dei seguenti principi e criteri direttivi: a) riclassificazione delle indennità e degli assegni, e dei relativi importi, che non determini una riduzione degli attuali trattamenti e, nel complesso, oneri aggiuntivi rispetto a quelli determinati dall’andamento tendenziale degli attuali trattamenti previsti dalle disposizioni richiamate dal presente comma.
La riclassificazione tiene inoltre conto delle funzioni a cui gli emolumenti assolvono, come misure di contrasto alla povertà o come incentivi per la rimozione delle limitazioni personali, familiari e sociali dei portatori di handicap, per la valorizzazione delle capacità funzionali del disabile e della sua potenziale autonomia psico-fisica, prevedendo le seguenti forme di sostegno economico: 1) reddito minimo per la disabilità totale a cui fare afferire pensioni e assegni che hanno la funzione di integrare, a seguito della minorazione, la mancata produzione di reddito.
Il reddito minimo, nel caso di grave disabilità, è cumulabile con l’indennità di cui al numero 3.1) della presente lettera; 2) reddito minimo per la disabilità parziale, a cui fare afferire indennità e assegni concessi alle persone con diversi gradi di minorazione fisica e psichica per favorire percorsi formativi, l’accesso ai contratti di formazione e lavoro di cui al decreto-legge 30 ottobre 1984, n.726, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 dicembre 1984, n.863, e successive modificazioni, alla legge 29 dicembre 1990, n.407, e al decreto-legge 16 maggio 1994, n.299, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1994, n.451, ed a borse di lavoro di cui al decreto legislativo 7 agosto 1997, n.280, da utilizzare anche temporaneamente nella fase di avvio al lavoro e da revocare al momento dell’inserimento definitivo; 3) indennità per favorire la vita autonoma e la comunicazione, commisurata alla gravità, nonché per consentire assistenza e sorveglianza continue a soggetti con gravi limitazioni dell’autonomia.
A tale indennità afferiscono gli emolumenti concessi, alla data di entrata in vigore della presente legge, per gravi disabilità, totale non autosufficienza e non deambulazione, con lo scopo di rimuovere l’esclusione sociale, favorire la comunicazione e la permanenza delle persone con disabilità grave o totale non autosufficienza a domicilio, anche in presenza di spese personali aggiuntive.
- 3.1) indennità per l’autonomia di disabili gravi o pluriminorati, concessa a titolo della minorazione;
- 3.2) indennità di cura e di assistenza per ultrasessantacinquenni totalmente dipendenti;
- b) cumulabilità dell’indennità di cura e di assistenza di cui alla lettera a), numero 3.2), con il reddito minimo di inserimento di cui all’articolo 23;
- c) fissazione dei requisiti psico-fisici e reddituali individuali che danno luogo alla concessione degli emolumenti di cui ai numeri 1) e 2) della lettera a) del presente comma secondo quanto previsto dall’articolo 1, comma 1, secondo periodo, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n.109;
- d) corresponsione dei nuovi trattamenti per coloro che non sono titolari di pensioni e indennità dopo centoventi giorni dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo, prevedendo nello stesso la equiparazione tra gli emolumenti richiesti nella domanda presentata alle sedi competenti ed i nuovi trattamenti;
- e) equiparazione e ricollocazione delle indennità già percepite e in atto nel termine massimo di un anno dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo;
- f) disciplina del regime transitorio, fatti salvi i diritti acquisiti per coloro che già fruiscono di assegni e indennità;
- g) riconoscimento degli emolumenti anche ai disabili o agli anziani ospitati in strutture residenziali, in termini di pari opportunità con i soggetti non ricoverati, prevedendo l’utilizzo di parte degli emolumenti come partecipazione alla spesa per l’assistenza fornita, ferma restando la conservazione di una quota, pari al 50 per cento del reddito minimo di inserimento di cui all’articolo 23, a diretto beneficio dell’assistito;
h) revisione e snellimento delle procedure relative all’accertamento dell’invalidità civile e alla concessione delle prestazioni spettanti, secondo il principio della unificazione delle competenze, anche prevedendo l’istituzione di uno sportello unico; revisione dei criteri e dei requisiti che danno titolo alle prestazioni di cui al presente articolo, tenuto conto di quanto previsto dall’articolo 4 della legge 5 febbraio 1992, n.104, dal decreto legislativo 30 aprile 1997, n.157, nonché dalla Classificazione internazionale dei disturbi, disabilità ed handicap – International classification of impairments, disabilities and handicaps (ICIDH), adottata dall’Organizzazione mondiale della sanità; definizione delle modalità per la verifica della sussistenza dei requisiti medesimi.2.
Sullo schema di decreto legislativo di cui al comma 1 sono acquisiti l’intesa con la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n.281, nonché i pareri degli enti e delle associazioni nazionali di promozione sociale di cui all’articolo 1, comma 1, lettere a) e b), della legge 19 novembre 1987, n.476, e successive modificazioni, delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello nazionale e delle associazioni di tutela degli utenti.
Lo schema di decreto legislativo è successivamente trasmesso alle Camere per l’espressione del parere da parte delle competenti Commissioni parlamentari, che si pronunciano entro trenta giorni dalla data di assegnazione. Art.25. (Accertamento della condizione economica del richiedente) 1.
Ai fini dell’accesso ai servizi disciplinati dalla presente legge, la verifica della condizione economica del richiedente è effettuata secondo le disposizioni previste dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n.109, come modificato dal decreto legislativo 3 maggio 2000, n.130. Art.26. (Utilizzo di fondi integrativi per prestazioni sociali) 1.
L’ambito di applicazione dei fondi integrativi previsti dall’articolo 9 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n.502, e successive modificazioni, comprende le spese sostenute dall’assistito per le prestazioni sociali erogate nell’ambito dei programmi assistenziali intensivi e prolungati finalizzati a garantire la permanenza a domicilio ovvero in strutture residenziali o semiresidenziali delle persone anziane e disabili.
Capo VI DISPOSIZIONI FINALI Art.27. (Istituzione della Commissione di indagine sulla esclusione sociale) 1. È istituita, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, la Commissione di indagine sulla esclusione sociale, di seguito denominata “Commissione”.2. La Commissione ha il compito di effettuare, anche in collegamento con analoghe iniziative nell’ambito dell’Unione europea, le ricerche e le rilevazioni occorrenti per indagini sulla povertà e sull’emarginazione in Italia, di promuoverne la conoscenza nelle istituzioni e nell’opinione pubblica, di formulare proposte per rimuoverne le cause e le conseguenze, di promuovere valutazioni sull’effetto dei fenomeni di esclusione sociale.
La Commissione predispone per il Governo rapporti e relazioni ed annualmente una relazione nella quale illustra le indagini svolte, le conclusioni raggiunte e le proposte formulate.3. Il Governo, entro il 30 giugno di ciascun anno, riferisce al Parlamento sull’andamento del fenomeno dell’esclusione sociale, sulla base della relazione della Commissione di cui al comma 2, secondo periodo.4.
La Commissione è composta da studiosi ed esperti con qualificata esperienza nel campo dell’analisi e della pratica sociale, nominati, per un periodo di tre anni, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per la solidarietà sociale. Le funzioni di segreteria della Commissione sono assicurate dal personale del Dipartimento per gli affari sociali o da personale di altre pubbliche amministrazioni, collocato in posizione di comando o di fuori ruolo nelle forme previste dai rispettivi ordinamenti.
Per l’adempimento dei propri compiti la Commissione può avvalersi della collaborazione di tutte le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, degli enti pubblici, delle regioni e degli enti locali. La Commissione può avvalersi altresì della collaborazione di esperti e può affidare la effettuazione di studi e ricerche ad istituzioni pubbliche o private, a gruppi o a singoli ricercatori mediante convenzioni.5.
- Gli oneri derivanti dal funzionamento della Commissione, determinati nel limite massimo di lire 250 milioni annue, sono a carico del Fondo nazionale per le politiche sociali. Art.28.
- Interventi urgenti per le situazioni di povertà estrema) 1.
- Allo scopo di garantire il potenziamento degli interventi volti ad assicurare i servizi destinati alle persone che versano in situazioni di povertà estrema e alle persone senza fissa dimora, il Fondo nazionale per le politiche sociali è incrementato di una somma pari a lire 20 miliardi per ciascuno degli anni 2001 e 2002.2.
Ai fini di cui al comma 1, gli enti locali, le organizzazioni di volontariato e gli organismi non lucrativi di utilità sociale nonché le IPAB possono presentare alle regioni, secondo le modalità e i termini definiti ai sensi del comma 3, progetti concernenti la realizzazione di centri e di servizi di pronta accoglienza, interventi socio-sanitari, servizi per l’accompagnamento e il reinserimento sociale.3.
Entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, con atto di indirizzo e coordinamento deliberato dal Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per la solidarietà sociale, d’intesa con la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n.281, sono definiti i criteri di riparto tra le regioni dei finanziamenti di cui al comma 1, i termini per la presentazione delle richieste di finanziamento dei progetti di cui al comma 2, i requisiti per l’accesso ai finanziamenti, i criteri generali di valutazione dei progetti, le modalità per il monitoraggio degli interventi realizzati, i comuni delle grandi aree urbane per i quali gli interventi di cui al presente articolo sono considerati prioritari.4.
All’onere derivante dall’attuazione del presente articolo, pari a lire 20 miliardi per ciascuno degli anni 2001 e 2002, si provvede mediante corrispondente riduzione delle proiezioni per gli anni 2001 e 2002 dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2000-2002, nell’ambito dell’unità previsionale di base di parte corrente “Fondo speciale” dello stato di previsione del Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica per l’anno 2000, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica.
Art.29. (Disposizioni sul personale) 1. La Presidenza del Consiglio dei ministri è autorizzata a bandire concorsi pubblici per il reclutamento di cento unità di personale dotate di professionalità ed esperienza in materia di politiche sociali, per lo svolgimento, in particolare, delle funzioni statali previste dalla presente legge, nonché in materia di adozioni internazionali, politiche di integrazione degli immigrati e tutela dei minori non accompagnati.
Al predetto personale non si applica la disposizione di cui all’articolo 12, comma 1, lettera c), della legge 15 marzo 1997, n.59. Le assunzioni avvengono in deroga ai termini ed alle modalità di cui all’articolo 39 della legge 27 dicembre 1997, n.449, e successive modificazioni.2.
- All’onere derivante dall’attuazione del comma 1, pari a lire 2 miliardi per l’anno 2000 e a lire 7 miliardi annue a decorrere dall’anno 2001, si provvede a valere sul Fondo nazionale per le politiche sociali, come rifinanziato ai sensi dell’articolo 20 della presente legge. Art.30.
- Abrogazioni) 1.
- Alla data di entrata in vigore della presente legge sono abrogati l’articolo 72 della legge 17 luglio 1890, n.6972, e il comma 45 dell’articolo 59 della legge 27 dicembre 1997, n.449.2.
Alla data di entrata in vigore del decreto legislativo di cui all’articolo 10 è abrogata la disciplina relativa alle IPAB prevista dalla legge 17 luglio 1890, n.6972. Alla data di entrata in vigore del decreto legislativo di cui all’articolo 24 sono abrogate le disposizioni sugli emolumenti economici previste dalle leggi 10 febbraio 1962, n.66, 26 maggio 1970, n.381, 27 maggio 1970, n.382, 30 marzo 1971, n.118, e 11 febbraio 1980, n.18, e successive modificazioni.
Quali sono gli elementi innovativi della legge 328 2000?
PRIMA, D URANTE E DOPO – Di LUIGI COLOMBINI Già docente di legislazione ed organizzazione dei servizi sociali – Corsi DISSAIFE e MASSIFE, UNIVERSITÀ STATALE ROMA TRE OTTOBRE 2020 PREMESSA La vicenda dell’ assistenza nel nostro paese è strettamente connessa all’ evoluzione progressiva non solo della società italiana, ma anche dell’assetto istituzionale intervenuto nel corso di venti anni che hanno caratterizzato il periodo che intercorre dal 2000 al 2020, e di come si sono determinate profonde trasformazioni che hanno inciso sullo svolgimento delle politiche sociali, ed il loro modo di collocarsi nel contesto delle più vaste azioni che caratterizzano, sulla base della Costituzione, lo stesso modo di essere dello Stato moderno.
A tale riguardo il riferimento fondamentale da tenere presente è il quadro dei diritti civili e sociali, riconosciuti nella Costituzione, che sono anche connessi alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, e che rappresentano il pilastro fondamentale per lo svolgimento delle politiche sociali.
In tale contesto l’analisi si svolge con riguardo specifico alla legislazione statale ed alla normativa regionale intervenuta nel corso degli anni. La legge 328/2000 costituisce la mirabile sintesi di un lungo percorso di riforma dell’ assistenza, che ha costituito, nel corso del periodo cruciale delle politiche delle riforme avviate dai governi di centro-sinistra, e riconducibile agli anni ’70, un impegno costante delle forze politiche al tempo presenti, e che si è espresso nel contesto della grande innovazione istituzionale intervenuta nel 1970, con la nascita delle Regioni, di cui ricorre il cinquantenario.
- su una inziale e breve esposizione dei diritti nelle politiche sociali;
- sull’esposizione del lungo cammino parlamentare che ha portato dalla VI alla XIII legislatura all’approdo finale della legge 328/2000;
- sull’ esposizione del lungo, parallelo, percorso, delle Regioni, portato avanti per l’ attuazione delle politiche sociali nel loro complesso, fino alla legge 328/2000;
- sulle profonde modifiche costituzionali intervenute negli anni ’90, e che hanno costituito il riferimento normativo per la legge 328/2000;
- sulle specificità della legge 328/2000 e del suo impatto sul sistema dei servizi e degli interventi sociali, alla luce delle idee-forza che l’ hanno caratterizzata;
- l’esposizione della spesa sociale statale che si è venuta a configurare nel periodo 2001-2019;
- sullo stato, sull’involuzione e sull’evoluzione delle politiche sociali dopo la legge 328/2000;
- sul quadro di riferimento della normativa regionale susseguente alla legge 328/2000, con l’obiettivo di definire un quadro comparato di analisi, che tiene conto sia dei rinnovati Statuti regionali, sia delle politiche sociali e delle politiche territoriali dei servizi sociali.
PARTE PRIMA UNA PREMESSA INDISPENSABILE: I DIRITTI CIVILI E SOCIALI COME PRESUPPOSTO DELLE POLITICHE SOCIALI LA SPERANZA DI UNA NUOVA UMANITA’ La prima e della seconda guerra mondiale hanno rappresentato la massima espressione della barbarie collettiva assurta a “licenza universale” di sterminare, di stravolgere le esistenze, di distruggere gli uomini e le donne in nome di un primigenio diritto di sopraffazione da parte di alcuni popoli, razze e dittatori nei confronti di “altri” a cui non è stato riconosciuto alcun titolo ad esistere.
Con la loro fine, si è finalmente affermato, dopo i vari millenni che hanno caratterizzato la storia dell’umanità e in particolare il secolo XX, con una cifra vicina a cento milioni di morti, fra militari e civili, causati dalle due guerre mondiali (e, fra questi, sei milioni di ebrei), e quindi dopo la tragedia e l’ incessante e cieca corsa verso la barbarie, il principio del diritto dell’umanità, a vivere nella convivenza civile, nella pace, nella democrazia, nella libertà, intesi quali pilastri fondamentali per non vivere più nel terrore e nell’ingiustizia.
E’ su tale scenario (che ha portato alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo di New York del 1948) che si è andata sviluppando la legislazione sociale e il conseguente sviluppo delle politiche sociali, con la contestuale affermazione dei servizi sociali e del servizio sociale professionale.
A distanza di oltre cinquanta anni, quindi, si sono definite le linee portanti delle politiche sociali, attraverso il crisma legislativo e la regolamentazione dei principi e delle norme che sono alla base del sistema dei servizi civili e sociali. In tale contesto, quindi, non è più consentibile trattare dei servizi sociali e dei relativi interventi e prestazioni in una sorta di aspettativa messianica o beckettiana di ciò che deve avverarsi o attuarsi, ma adoperarsi concretamente, e realmente, per la piena realizzazione dei diritti delle persone, delle famiglie, dei gruppi, delle comunità a perseguire gli obiettivi di benessere e di piena realizzazione individuale e sociale, che rappresentano il fine ultimo dell’avventura umana.
E’ necessario quindi rappresentare ed illustrare gli aspetti giuridici, legislativi, normativi e regolamentari che sono alla base del sistema dei servizi sociali, e che debbono garantire da una parte gli operatori che svolgono la loro missione e la loro professione nei confronti delle persone, delle famiglie, dei gruppi, della comunità, e dall’altra gli stessi utenti sulle modalità del percorso “dovuto” che occorre seguire per giungere all’obiettivo finale del sistema dei servizi sociali: il benessere fisico, psichico, sociale e spirituale della persona integralmente e dinamicamente inserita nella società in cui vive, ricordando a tale proposito quanto ebbe ad affermare fin negli anni ’60 il prof.
Alessandro Seppilli. Pertanto l’epoca di pace e di affermazione della democrazia avviata dopo la fine della seconda guerra mondiale rappresenta il crinale che segna la fine di un mondo e l’inizio di un altro, che almeno nelle intenzioni avrebbe dovuto garantire i diritti umani e civili dell’uomo. In tale contesto la legislazione rappresenta quindi l’area del diritto, che si riferisce quindi alla dimensione dell’ osservare, del fare, del compiere dell’ eseguire, e che comunque rappresenta l’espressione esternalizzata del proprio habitus morale.
Uno dei miei Maestri, il prof. Sergio Hessen, già nel 1958 preconizzò lo stretto legame fra diritto e morale, intesa quest’ultima come la forza interiore che in senso kantiano spinge l’uomo sul piano comportamentale ad osservare la norma, (come introiezione, come direbbe il Prof.
Benigno Di Tullio, dei valori fondamentali che reggono l’azione dell’uomo e della donna) e il diritto stesso quale riferimento esterno e condiviso che spinge l’uomo a mettere in pratica la norma, pena la sanzione. LA DICHIARAZIONE UNIVERSALE Il punto di partenza, a livello planetario è costituito dalla Dichiarazione dei diritti dell’uomo di New York, e al livello italiano dalla Costituzione della Repubblica italiana.
Della dichiarazione si riportano si seguito gli aspetti ritenuti più importanti. Dal preambolo Il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, uguali ed inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo.
E’ quindi indispensabile che i diritti umani siano protetti da norme giuridiche, se si vuole evitare che l’uomo sia costretto a ricorrere, come ultima istanza, alla ribellione contro la tirannia e l’oppressione. ” I popoli delle Nazioni Unite hanno riaffermato nello statuto la loro fede nei diritti umani fondamentali, nella dignità e nel valore della persona umana, nell’uguaglianza dei diritti dell’uomo e della donna, ed hanno deciso di promuovere il progresso sociale e il miglior tenore di vita in una maggiore libertà.” ” Pertanto gli Stati membri si sono impegnati a perseguire, in cooperazione con le Nazioni Unite, il rispetto e l’osservanza universale dei diritti umani e delle libertà fondamentali.” La dichiarazione universale dei diritti umani viene quindi proclamata come ideale comune da raggiungersi da tutti i popoli e da tutte le Nazioni, al fine che ogni individuo ed ogni organo della società, si sforzi di promuovere, con l’insegnamento e l’educazione (ricordando a tale proposito Maria Montessori, di cui ricorre il 150^ anniversario della nascita), il rispetto di questi diritti e di queste libertà e di garantirne l’universale ed effettivo riconoscimento e rispetto.
I diritti soggettivi Art.1: libertà eguaglianza, fratellanza Tutti gli esseri umani nascono liberi ed uguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uno verso gli altri in spirito di fratellanza Art.2: titolarità dei diritti Ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciate nella presente Dichiarazione, senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione, politica o di altro genere, di ordine nazionale o sociale, di ricchezza, a di nascita o di altra condizione.
Art 3: i diritti fondamentali Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della propria persona. Art.4: negazione della schiavitù Nessun individuo potrà essere tenuto in stato di schiavitù o di servitù. La schiavitù e la tratta degli schiavi saranno proibite sotto qualsiasi forma.
Art.5: rispetto dell’integrità Nessun individuo potrà essere sottoposto a tortura o a trattamento a punizione crudeli, inumani o degradanti. I rapporti giuridici Art.6: riconoscimento Ogni individuo ha diritto, in ogni luogo, al riconoscimento della sua personalità giuridica.
Art.7: eguaglianza e tutela giuridica Tutti sono eguali dinnanzi alla legge ed hanno diritto, senza alcuna discriminazione, ad una eguale tutela da parte della legge Art.8: diritto al ricorso Ogni individuo ha diritto ad un’effettiva possibilità di ricorso a competenti tribunali contro atti che violino i diritti fondamentali a lui riconosciuti dalla costituzione o dalla legge.
Art.9: garanzia della libertà Nessun individuo potrà esser arbitrariamente arrestato, detenuto o esiliato. Art.10:garanzia della equità Ogni individuo ha diritto, in posizione di piena uguaglianza, ad una equa e pubblica udienza davanti ad un tribunale indipendente e imparziale, al fine della determinazione e dei suoi diritti e dei suoi doveri, nonché della fondatezza di ogni accusa penale che gli venga rivolta.
- Art.11: garanzia della difesa Ogni individuo accusato di un reato è presunto innocente sino a che la sua colpevolezza non sia stata provata legalmente in un pubblico processo nel quale egli abbia avuto tutte le garanzie necessarie per la sua difesa.
- La tutela Art.12: diritto alla privacy Nessun individuo potrà essere sottoposto ad interferenze arbitrarie nella sua vita privata, nella sua famiglia, nella sua casa, nella sua corrispondenza, né a lesione del suo onore e della sua reputazione.
Ogni individuo ha diritto ad essere tutelato dalla legge contro interferenze o lesioni. Art.13: diritto alla libertà di movimento Ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni stato. Art.14: diritto di asilo Ogni individuo ha il diritto di cercare e di godere in altri paesi asilo dalle persecuzioni.
Art.15: diritto alla cittadinanza Ogni individuo ha diritto ad una cittadinanza. Nessun individuo potrà essere arbitrariamente privato della sua cittadinanza, né del diritto di mutare cittadinanza. I rapporti sociali Art.16: La famiglia Uomini e donne in età adatta hanno il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia, senza alcuna limitazione di razza, cittadinanza o religione Essi hanno uguali diritti riguardo al matrimonio, durante il matrimonio e all’atto del suo scioglimento.
La famiglia è il nucleo naturale fondamentale della società e ha diritto ad essere protetta dalla società e dallo Stato. Art.17-21omissis La protezione sociale Art.22: la sicurezza sociale Ogni individuo, in quanto membro della società, ha diritto alla sicurezza sociale, nonché alla realizzazione attraverso lo sforzo nazionale e la cooperazione internazionale ed in rapporto con l’organizzazione e con le risorse di ogni Stato, dei diritti economici, sociali e culturali indispensabili alla sua dignità e al libero sviluppo della sua personalità.
Art.23: diritto al lavoro e diritti sindacali Ogni individuo ha diritto al lavoro, alla libera scelta dell’impiego, a giuste e soddisfacenti condizioni di lavoro e alla protezione contro la disoccupazione. Ogni individuo, senza discriminazione, ha diritto ad uguale retribuzione per eguale lavoro. Ogni individuo che lavora ha diritto ad una remunerazione equa e soddisfacente che assicuri a lui stesso e alla sua famiglia una esistenza conforme alla dignità umana ed integrata, se necessario, da altri mezzi di protezione sociale.
Ogni individuo ha diritto di fondare dei sindacati e di aderirvi per la difesa dei propri interessi. Art 24: diritto al riposo Art.25: diritto a vita dignitosa Ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute ed il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all’alimentazione, al vestiario, all’abitazione e alle cure mediche e ai servizi necessari.
Ha diritto alla sicurezza in caso di disoccupazione, malattia, invalidità, vedovanza, vecchiaia o in altro caso di perdita dimezzi di sussistenza per circostanze indipendenti dalla sua volontà. La maternità e l’infanzia anno diritto a speciali cure ed assistenza Art.26-28. omissis Art 29: la solidarietà Ogni individuo ha dei doveri verso la comunità, nella quale è possibile il libero e pieno sviluppo della sua personalità.
I DIRITTI CIVILI E SOCIALI NELLA COSTITUZIONE ITALIANA Il valore fondamentale della Costituzione consiste nell’obbligo che lo Stato deve porre nell’osservarne i principi in termini di legislazione e di realizzazione delle politiche sociali. Pertanto, trattandosi, come definito dagli studiosi, di costituzione rigida, e quindi soggetta a onerose procedure per la sua modifica, e al controllo e alla verifica di costituzionalità delle leggi da parte della Corte costituzionale, è evidente che tutti gli aspetti legati al riconoscimento dei diritti dei cittadini sono in sé stessi oggetto di tutela.
La progressione stessa degli articoli della Costituzione, determina un quadro organico di riferimento che porta comunque a distinguere nello svolgimento delle politiche sociali due distinti filoni: la politica delle tutele e la politica delle opportunità. A monte di tale orientamento è d’obbligo il riferimento all’art.1, 2 e 4 della Costituzione, dove da una parte si afferma che l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro, e dall’altra che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo che nelle formazioni sociali dove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.
A fronte di tali affermazioni, è anche esplicito il riferimento acché ogni cittadino ha il dovere di svolgere secondo le proprie possibilità e la propria scelta un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.
L’art.3 della Costituzione dichiarando che tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali di fronte alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali, in effetti conferma la possibilità a tutti i membri della comunità nazionale di partecipare in condizioni di parità alle opportunità derivanti dalla vita associata.
In tale contesto è del pari altrettanto fondamentale l’affermazione in ordine alla quale è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Si viene così a delineare, a fronte del riconoscimento di diritti primigeni e naturali della persona, di cui lo Stato prende atto (e quindi non li concede, né tantomeno li lega al rapporto Sato-citttadino), sia il primato della persona umana, così come affermato anche nella dichiarazione universale dei diritti dell’uomo sopra richiamata, sia l’obbligo di garantire pari” chances” di partenza, nel corso dell’esistenza umana, per tutti i cittadini, per garantire non solo parità di diritti, ma anche uguaglianza sostanziale, prevedendo quindi come obiettivo la redistribuzione della ricchezza, il principio della solidarietà fra i cittadini e il riconoscimento pieno dei diritto sociali, promuovendo una società più giusta e meno diseguale.
Quindi il diritto all’istruzione, alla formazione, alla casa, al lavoro, alla assistenza, alla mobilità, al benessere, costituiscono la base per lo sviluppo delle proprie e singole prospettive di realizzazione della persona nel proprio contesto sociale.
Per ciò che concerne la politica delle tutele, occorre rilevare che i precetti ivi contemplati non hanno valore programmatico, ma immediato: mentre le politiche delle opportunità si dispiegano nel corso degli anni e dei programmi di interventi a lungo respiro, la tutela dei diritti civili e sociali è di natura tale da richiedere adeguati e tempestivi interventi da parte dei Governi.
Per quanto concerne l’assistenza, l’art.38 della Costituzione è il più importante e fondamentale, e da esso sono scaturite le norme legislative di protezione ed assistenza sociale: ” Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale” ” I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità, vecchiaia, disoccupazione involontaria” ” Gli inabili ed i minorati hanno diritto all’educazione e all’avviamento professionale”.
- Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato.” ” L’assistenza privata è libera”.
- Un primo sommario commento a tale disposizione costituzionale mette in rilievo che è stato introdotto il principio della assistenza sociale, e quindi la conferma del superamento di una vetusta concezione legata alla beneficenza: peraltro tale assunto era stato già introdotto sia dalla definizione di assistenza legale con il R.D.30.12.23 e la e con la legge 847/37 istitutiva degli Enti Comunali di Assistenza.
Ciò che è stato innovativo è stato l’impegno dello Stato ad inquadrare le attività assistenziali nel contesto più ampio di interventi volti a promuovere la persona, con l’approntamento di specifici interventi anche nel campo dell’istruzione e della formazione, oltre a garantire l’assistenza economica volta a “mantenere” la persona che si trova in condizione di minorazione.
- Ulteriore riferimento di fondamentale importanza è l’assunzione dell’impegno dello Stato a provvedere o con istituti appositi o con una propria attività integrativa, prefigurando al riguardo un sistema concorrente a cui partecipano anche altri organi ed enti non direttamente dipendenti dallo Stato.
- Il riconoscimento del diritto dei lavoratori ad avere assicurati, prevedendoli, mezzi adeguati alle loro esigenze di vita e a misure di protezione sociale in caso di eventi conclamati (infortunio, malattia, invalidità, vecchiaia, disoccupazione involontaria), ha portato in effetti allo sviluppo di una legislazione sociale che via via si è andata sviluppando anche alla luce delle sentenze della Corte Costituzionale e delle successive normative statali e regionali.
L’art.32 della Costituzione rappresenta l’altro riferimento fondamentale per il riconoscimento del diritto alla salute. Infatti lo stesso articolo recita: ” la Repubblica tutela la salute come diritto fondamentale dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti” Da tale disposizione si rileva che il diritto alla salute si configura come un diritto soggettivo, di cui è titolare l’individuo in quanto tale, e quindi a tale riguardo non è condizionato allo status di cittadino: anche gli stranieri che si trovano nel territorio dello Stato italiano in quanto individui hanno il diritto di essere assistiti.
- Ciò peraltro non significa che lo Stato deve erogare i servizi e le prestazioni assumendone la gestione diretta: la scelta politica in tale contesto è discrezionale, e comunque commisurata alla entità delle risorse a disposizione.
- Inoltre ciò non significa che le cure devono essere gratuite: tale prerogativa è solo riservata agli indigenti.
Peraltro lo Stato deve comunque garantire i servizi e le prestazioni sanitarie rivolte a tutti gli individui, che devono essere convenienti ed accessibili, ed essenziali al mantenimento dello stato di salute. Pertanto è evidente che pur trattandosi di un diritto definito essenzialissimo, è interesse dello Stato stesso mantenere gli individui nella migliore condizione possibile di salute, approntando adeguati mezzi finanziari, secondo la definizione di priorità finanziarie in grado di realizzare gli interventi e i servizi adeguati.
I PRIMI ORIENTAMENTI NELLE POLITICHE ASSISTENZIALI A fronte del dettato costituzionale sopra illustrato, che presupponeva e postulava un deciso sviluppo di servizi ed interventi socio-assistenziali in connessione con la modifica istituzionale e funzionale dello Stato, specialmente con riferimento agli articoli 5, 117 e 119 della Costituzione, nel periodo 1948-1966 la tendenza, ereditata dal regime fascista, di categorizzare i cittadini si fa ancora più acuta, e così a conferma di uno Stato centralizzato e promotore di centralità sono stati ulteriormente istituiti altri Enti nazionali a carattere assistenziale (AAI, ONPI, ONMI, ENAOLI, ENPD, ONAOG, ENAOPAG,ENPMF, ecc.), e confermate le competenze centralizzate in materia assistenziale di molti ministeri (Ministero dell’interno, con la Direzione generale assistenza pubblica, Ministero della pubblica istruzione, ed enti ed organizzazioni di riferimento per particolari categorie, come l’istituto Kirner, per l’assistenza agli orfani dei professori di scuola media, l’ONAOSI, per l’assistenza agli orfani dei sanitari, ).
Inoltre sono emerse ulteriori categorie di cittadini che richiedenti specificamente prestazioni ed interventi assistenziali, così cuna ancora più accentuata diversificazione diversificate di “fette” di utenti, assegnate a vari Enti riconosciuti nella loro funzione pubblica: ANMIL, ANMIC, ENS, UIC, ANFASS, AIAS.
Tali impostazioni di politiche sociali hanno reso quindi ancora più acuta la contraddizione fra quanto propugnato a livello costituzionale e quanto effettivamente realizzato in termini di offerta di servizi e di prestazioni. Pertanto il periodo 1945-1966 in effetti è caratterizzato da un assetto istituzionale decisamente centralizzato e burocratizzato, anche in relazione alla necessità di garantire comunque una risposta organica ai bisogni della popolazione.
E’ peraltro il periodo della ricostruzione, del piano Marshall, del piano ERP, e quindi di una fase nella quale era necessario avvalersi di una organizzazione adeguata a ricevere e a distribuire gli aiuti e a provvedere alla ricostruzione del tessuto sociale, economico e civile del Paese, e a tale riguardo fu istituita l’UNRRA, e l’Amministrazione per le Attività Assistenziali Italiane ed Internazionali (AAI).
Comunque, nel passaggio da uno Stato “concessorio”, proprio dello Statuto albertino, ad uno Stato autenticamente democratico e costituzionale, i principi introdotti dai Padri fondatori della Repubblica non potevano rimanere ancora inespressi, e quindi il superamento di una concezione meramente discrezionale e paternalistica del tradizionale intervento assistenziale veniva ad affermarsi.
E’ con i primi governi di centro-sinistra (1962-1968) e nell’ambito delle cosiddette “politiche delle riforme” che l’assistenza veniva concepita non più come un fatto marginale ed occasionale, ma come un complesso di interventi e servizi sociali tendenti a garantire ad ogni cittadino un “compiuto” sistema di sicurezza sociale (basato sulla previdenza, sulla sanità e sull’assistenza) inteso come il soddisfacimento dei diritti fondamentali ed indispensabili alla realizzazione ed alla promozione dell’individuo, così come propugnato dalla Costituzione.
Tale concezione è stata quindi la risultante di un lungo e complesso processo che si è sviluppato sulla base delle idealità già indicate nella Costituzione e volte alla costruzione di uno stato basato sulle autonomie locali, secondo i principi, già individuabili nella Costituzione, sulla sussidiarietà e sulla solidarietà: concetto che fu successivamente ripreso nel Governo 1996-2001, che istituì il Ministero della solidarietà sociale, inteso quindi come riferimento istituzionale volto a promuovere il welfare comunitario, e di cui fu prima ministra l’on.le Livia Turco.
Ancor prima dell’istituzione delle Regioni, il primo documento ufficiale che ha determinato un orientamento deciso al superamento della “politica degli enti” (fino ad allora imperante), è stato il cosiddetto “Progetto 80”, il rapporto elaborato nel 1969 dal Ministero del bilancio e della programmazione economica che si proponeva di delineare lo sviluppo economico e sociale del paese negli anni a venire, e che nella parte dedicata alla realizzazione di un “compiuto” sistema di sicurezza sociale –come sopra accennato, basato sulla previdenza, sulla sanità e sull’assistenza – auspicava l’organizzazione territoriale dei servizi sociali, superando la verticalizzazione e la categorizzazione esasperata degli utenti, e la costituzione dell’Unità locale dei servizi sociali in connessione con l’Unità sanitaria locale, per la parte relativa alla sanità, di cui si auspicava analoga riforma.
In base al successivo sviluppo della “politica delle riforme” (in cui erano perni fondamentali la riforma tributaria, la politica della casa e la sicurezza sociale), fortemente voluta dalle Organizzazioni sindacali, si è dato quindi avvio a un primo complesso di interventi legislativi che hanno puntato a modificare profondamente il sistema assistenziale, sulla base di alcuni presupposti di fondo strettamente connessi al dettato costituzionale.
Si è innanzitutto privilegiata la titolarità dell’Ente locale, in quanto “Ente esponenziale degli interessi della collettività locale”, e più prossimo ai bisogni rappresentati dal cittadino, nella gestione dei servizi sociali, con la conseguente soppressione degli Enti nazionali e locali preposti all’assistenza.
A tale riguardo è emblematica la legge istitutiva degli asili-nido (legge 6.12.71, n.1044), che innovando profondamente rispetto al passato (legge 26.8.50, n.860:” Tutela fisica ed economica delle lavoratrici madri), invece che prevedere asili-nido aziendali, istituì asili-nido gestiti esclusivamente dai Comuni; a tale legge fece seguito, nello stesso disegno strategico, l’istituzione dei consultori familiari (legge 24.7.75, n.405), che sottrasse all’ONMI (successivamente soppressa con la legge n.698/75) la gestione dei consultori stessi, affidata ai comuni, singoli o associati o alle comunità montane.
IL LUNGO CAMMINO DELLA LEGGE DI RIFORMA DELL’ASSISTENZA: UNA STORIA LUNGA TRENTA ANNI In relazione a come si è arrivati alla definizione del sistema integrato degli interventi e dei servizi sociali, anche un approccio rigidamente legislativo alla complessa tematica dello sviluppo e dello stato dei servizi sociali nel nostro Paese, si pone la necessità di illustrare la “storia” delle vicende parlamentari della riforma dell’assistenza.
- Infatti essa rappresenta uno spaccato e una testimonianza viva, densa di passioni, di aspettative, di progetti, di speranze, ancora di affascinante attualità, che non può essere confinata nel dimenticatoio di un passato inespresso.
- Anzi, è proprio vero il contrario, perché la conoscenza del cammino fatto costituisce anche un riconoscimento a quanti si sono adoperati, nel corso di tanti anni, con tenacia, con pervicacia, con impegno, a portare avanti un disegno di solidarietà e di costruzione di un sistema idoneo a garantire ed assicurare ad ogni cittadino, ad ogni famiglia, ad ogni comunità, la consapevolezza di non essere soli di fronte allo stato di disagio e di bisogno.
E’ quindi un passato sempre presente, perché in esso “de re nostra agitur”, e serve per formare l’attitudine ad intendere le situazioni reali (e quindi non la semplice ed elementare sequenza di articoli di legge), riportandole alla loro genesi e collocandole nelle loro relazioni, riprendendo alcuni concetti di Benedetto Croce a proposito del valore e del significato della storiografia.
E’ per tale motivo che nella storia della Repubblica non è opportuno raccontare solo i fatti dei stretta natura politica, sociale, economica, istituzionale, ma anche di ciò che è stato lo sforzo e l’impegno a perseguire l’obiettivo di determinare nel paese la piena attuazione del dettato costituzionale, volto a promuovere il cittadino e a raggiungere politiche di benessere.
Tale analisi si colloca quale contributo di conoscenza e di approfondimento concettuale sul modo di interpretare e di proporre il sistema dei servizi sociali, e il periodo considerato è compreso fra la VI e la XIII legislatura. A tale proposito, nel corso di lunghi anni, si sono esaminati e studiati i principali disegni e proposte di legge, e se ne rappresentano di seguito le fonti politiche, le relative proposizioni normative e le prime proposte di riforma LA VI LEGISLATURA (1972-1976): L’ASSISTENZA NEL PROCESSO DELLA POLITICA DELLE RIFORME Nel complesso crogiolo delle istanze di riforma che interessavano molti settori (casa, trasporti, scuola, formazione, sanità, ecc.), anche nel settore dell’assistenza, nel periodo che si riferisce alla VI legislatura (1972-76), furono presentate varie proposte di riforma, che pur partendo da ispirazioni e da valutazioni politiche diverse, comunque prospettavano la necessità del superamento di una situazione non più sostenibile, a fronte dell’emersione di bisogni crescenti che chiedevano la realizzazione di servizi non più basati sulla beneficenza e sulla emarginazione.
Al fine di dare un contributo di conoscenza e di analisi che tiene conto di quanto all’epoca veniva prospettato anche in termini delle diversità di risposte dai vari partiti, si rappresentano di seguito i vari progetti di legge presentati.30.5.72: Signorile-Magnani-Noya (PSI) – Camera – n.142 Riforma dell’assistenza pubblica ed organizzazione dei servizi sociali.7.7.72: Adriana Lodi ed altri (PCI) – n.426 Norme generali sull’assistenza e beneficenza pubbliche.1.2.73: Franco Foschi ed altri (DC) – Camera – n- 1069 legge quadro di riforma dell’assistenza.10.4.73: Falcucci ed altri (DC) – Senato – n- 75 Legge quadro sull’assistenza.7.2.73: ANEA –Signorello- Dal Canton (DC) – n.843 Legge quadro sui servizi sociali e riforma della pubblica assistenza.15.2.73:ANEA- Artali – Senato – n.1664 Legge quadro sui servizi sociali e riforma della pubblica assistenza.
Gli aspetti istituzionali I suddetti progetti di legge, a fronte di una perdurante assenza della riforma dell’assistenza, della conclamata limitatezza dei trasferimenti di funzioni alle Regioni, e della concomitante presenza di apparati pubblici centralizzati e verticalizzati sul territorio con proprie reti di servizi, si proponevano di affrontare i nodi cruciali della politica assistenziale:
- il vertice statale e i relativi organi;
- le competenze delle Regioni in materia di assistenza;
- l’organizzazione locale dei servizi e degli interventi assistenziali, con riferimento al ruolo dei comuni e delle province;
- il destino degli enti nazionali e locali preposti all’assistenza;
- il ruolo delle IPAB;
- il rapporto fra l’assistenza pubblica e l’assistenza privata;
- il finanziamento.
Principi ed obiettivi generali Su tale aspetto, la convergenza fra i partiti è comune: è solennemente enunciato che tutti i cittadini, senza alcuna discriminazione, hanno diritto ai servizi sociali. Di rilievo l’assunto che viene sottolineata la titolarità del diritto ( e non quindi solo interesse) da parte dei cittadini a fruire dei servizi sociali, e quindi il superamento della valutazione discrezionale all’accesso ai servizi.
Le modalità e i requisiti Nel contesto della definizione delle modalità e dei requisiti dei servizi sociali, la proposta democristiana e la proposta socialista mettevano in evidenza il ruolo dei servizi sociali connessi alla funzione insostituibile della famiglia e del tessuto sociale di riferimento.
La proposta comunista sottolineava la necessità di una territorializzazione dei servizi sociali, e della loro integrazione con i servizi sanitari e formativi, con l’eliminazione di qualsiasi intervento segregativo ed emarginante, con l’orientamento di reinserire nelle comunità familiari i cittadini che ne erano stati esclusi.
- il superamento delle categorie;
- la lotta contro l’emarginazione;
- l’inserimento sociale e la reintegrazione sociale.
Il vertice statale e le funzioni L’aspetto cruciale della definizione del “vertice”, in una concezione della pubblica amministrazione ancorata ad impostazioni comunque basate su dirigismo e su centralità nelle scelte strategiche, è stato affrontato in vario modo, e rappresentano la risultante emblematica della varie concezioni politiche.
- attività volta ad unificare le competenze in materia assistenziale;
- definizione dei livelli minimi dei servizi;
- definizione dei profili professionali del personale.
Entro due anni, sempre secondo la proposta, si sarebbe dovuto costituire il Ministero della sicurezza sociale. La proposta del partito comunista, nella prospettiva di eliminare qualsiasi vertice a livello centrale, in relazione ad un disegno più complessivo volto a diminuire il potere centrale e a decentrare le funzioni, prevedeva soltanto un Comitato “consultivo” costituito in prevalenza da rappresentanti delle Regioni e dei Comuni, con le seguenti funzioni:
- studio e ricerca;
- attività di proposta in merito ai servizi sociali da presentare al parlamento, al Governo, alle regioni.
Secondo il partito socialista era opportuna la costituzione del “Ministero della sanità e dei servizi sociali” (coadiuvato dal “Consiglio superiore dei servizi sociali”, in analogia al Consiglio superiore di sanità, composto prevalentemente da rappresentanti delle regioni), con le seguenti funzioni:
- indirizzo e coordinamento;
- gestione del fondo nazionale dei servizi sociali;
- rapporti internazionali.
Secondo la proposta dell’ANEA il vertice era da collocare presso il Consiglio dei Ministri, coadiuvato dal Consiglio nazionale per l’assistenza sociale, composto da rappresentanti dei ministeri, esperti e rappresentanti di enti locali. Le funzioni previste erano le seguenti: – coordinamento dell’attività delle Regioni:
- attività di studio e di ricerca;
- definizione dei livelli minimi delle prestazioni e dei servizi;
- definizione dei requisiti del personale;
- definizione della ripartizione dei fondi per l’assistenza e i servizi sociali;
- rapporti internazionali.
Dall’esame delle proposte, pertanto, risulta evidente una convergenza sulla funzione di indirizzo e coordinamento da svolgersi nei confronti delle regioni, sulla necessità di definire i livelli assistenziali, sulla definizione degli standard, sulla gestione del fondo, e sui rapporti internazionali.
A fronte di un orientamento chiaramente convergente di DC e PSI, rimaneva distante l’atteggiamento del PCI, che limitava al massimo la funzione di indirizzo e coordinamento, subordinata peraltro al vaglio del Parlamento, secondo rigidi canoni d protocollo. Il destino degli Enti Nella tormentata vicenda della affermazione dello Stato delle autonomie e del riconoscimento di competenze e titolarità alle regioni e ai comuni, gli enti nazionali e locali preposti all’assistenza, secondo le proposte di legge, erano concordemente destinati alla soppressione.
Diverse erano comunque le modalità dell’esecuzione. Secondo la proposta democristiana il Governo, sulla base di quanto espresso dalla apposita Commissione parlamentare, era delegato ad emanare entro due anni uno o più decreti per sciogliere gli Enti nazionali assistenziali.
Secondo la proposta del PCI lo scioglimento di ventotto Enti nazionali doveva essere contestuale all’entrata in vigore della legge (con il passaggio di beni e attrezzature alle Regioni), mentre l’apposita Commissione avrebbe dovuto definire un ulteriore elenco di enti e associazioni a cui sottrarre i compiti di natura assistenziale.
La proposta del PSI preconizzava che entro un anno dall’entrata in vigore della legge di riforma, si sarebbero dovuti sciogliere trentacinque enti nazionali; inoltre veniva disposto lo scioglimento delle IPAB a carattere infraregionale. Secondo l’ANEA il Governo, sentito il Consiglio nazionale dell’assistenza integrato da cinque parlamentari, era delegato ad emanare entro due anni appositi decreti per la soppressione degli enti nazionali di assistenza; la Commissione avrebbe dovuto peraltro individuare i servizi, le prestazioni e gli interventi che per la loro specificità avrebbero dovuto rimanere alla gestione centralizzata dello Stato.
Le Regioni In relazione alla limitatissima trasmissione di competenze statali alla regioni a seguito del DPR n.9/72, e in relazione al ruolo potenzialmente sempre più incisivo ed importante delle stesse Regioni nel contesto del processo di rinnovamento amministrativo del paese, tutte le proposte dei partiti convergevano sull’opportunità di rafforzarne il ruolo e la funzione in ordine alla legislazione ed alla programmazione.
Per ciò che concerne un ruolo più marcato in materia di definizione degli ambiti territoriali, alle Regioni veniva riconosciuto il compito di individuare le unità locali dei servizi; la proposta del PCI, peraltro, era più vaga, e si richiamava ai comprensori comunali ed intercomunali.
La funzione direttiva delle Regioni era riconducibile nella titolarità a definire i tipi di servizi, nonché i criteri e le modalità per il coordinamento delle iniziative pubbliche e private, prevista dalla proposta democristiana, nell’attività di assistenza tecnica (proposta PSI) e nella definizione delle norme generali per la gestione dei servizi.
Alle stesse Regioni veniva altresì attribuita la funzione di controllo, nonché l’attività di formazione e qualificazione del personale. L’ANEA, in relazione ad una posizione caratterizzata comunque da un marcato centralismo, attribuiva alla regione compiti di carattere gestionale ed amministrativo, con l’istituzione nell’ambito dei comuni di centri di assistenza sociale, e con la redazione del piano territoriale e finanziario dei servizi sociali.
L’organizzazione locale dei servizi Tenuto conto del clima di rinnovamento e di istanze di modernizzazione della pubblica amministrazione, con particolare riferimento alla realizzazione dei servizi sanitari e sociali, le politiche territoriali dei servizi sociali nelle varie proposte di legge furono attentamente analizzate le soluzioni più consone a definire la rete dei servizi, e alla soluzione definitiva della complessa problematica degli enti assistenziali.
a) – L’unità locale dei servizi In particolare, riprendendo quanto già era diventato patrimonio culturale comune, veniva ipotizzata una diversa organizzazione locale dei servizi. Secondo la proposta democristiana tutte le competenze gestionali ed amministrative dovevano confluire nelle “Unità locali dei servizi sociali”, caratterizzate dai seguenti aspetti:
- specifica organizzazione tecnica;
- non capacità giuridica;
- gestione autonoma, sulla base di un bilancio approvato dal Consiglio comunale o dal Consiglio dei comuni.
Secondo la proposta del PCI non era necessaria una espressa qualificazione dell’unità locale; era previsto un complesso di servizi sociali di base integrabili nelle unità sanitarie locali e con i servizi formativi di base. L’aspetto più saliente era costituito dal fatto che i comuni, singoli o associati, gestivano direttamente i servizi e gli interventi.
- gestione diretta da parte dei comuni o consorzi dei comuni;
- integrazione con l’unità sanitaria locale.
L’ANEA prevedeva la costituzione di “centri di assistenza sociale” diretti da un consiglio amministrativo eletto dal Consiglio comunale o dall’assemblea del consorzio. b) – La provincia Le proposte del PCI e del PSI escludevano le province dalla gestione di servizi ed interventi in campo assistenziale.
La proposta democristiana, d’altro canto, prevedeva che la Provincia potesse gestire servizi assistenziali non realizzabili al livello delle unità locali dei servizi, mentre l’ANEA attribuiva alle stesse province il compito di promuovere l’organizzazione di servizi che non potessero essere realizzati al livello dei Centri di assistenza.
c) – ECA ed IPAB Per ciò che concerne il destino degli Enti comunali di assistenza (istituiti con la legge 3.6.37, n.847) e le IPAB (istituite con la legge 17.7.1890, n.6972), la proposta democristiana prevedeva per i primi la soppressione e il trasferimento dei beni e patrimonio all’unità locale dei servizi; per le seconde, entro due anni, sulla base di un piano redatto dalla Regione, avrebbero dovuto essere soppresse, oppure trasformate oppure fuse.
- Secondo il PSI e il PCI sia gli ECA che le IPAB avrebbero dovuto essere soppressi, con beni e personale da trasferire alla regione e alle unità locali, con vincolo di destinazione.
- Secondo l’ ANEA, era demandata al Consiglio regionale la potestà di deliberare sulla aggregazione, fusione o aggregazione degli ECA, mentre le IPAB idonee a funzionare potevano continuare ad esistere.
d) – L’assistenza privata La proposta democristiana, tenuto conto del riconoscimento costituzionale della libertà dell’assistenza privata, ne collegava e ne coordinava l’attività con quella gestita dallo Stato; prevedeva altresì presso le Regioni il registro delle istituzioni private di utilità sociale, sulla base di determinati requisiti.
- I Comuni dovevano essere sentiti in merito alla garanzia, previa istruttoria apposita, che le stesse istituzioni assicuravano in merito alle prestazioni e ai servizi offerti.
- Tale disposizione era la conseguenza dei numeroso casi di “mala assistenza” che venivano con frequenza scoperti e oggetto di furiose campagne stampa.
L’iscrizione al registro regionale dava titolo alla possibilità di partecipare alla programmazione e al programma socio-assistenziale proposto dalla regione, e dava adito alla possibilità di stipulare convenzioni con gli enti locali per la realizzazione dei servizi degli interventi socio-assistenziali.
- La stipula della convenzione determinava quale immediata conseguenza la sottoposizione delle istituzioni private alla attività di vigilanza da parte delle unità locali.
- Secondo la proposta del PCI era la stessa Regione ad esercitare le funzioni amministrative inerenti l’assistenza privata, e doveva dettare norme sulla quale base le istituzioni private dovevano conformare le proprie prestazioni, quale condizione necessaria per potere stipulare convenzioni con gli enti locali.
Inoltre la Regione definiva le norme di intervento nell’ambito delle attività pubbliche e private, secondo rigide delimitazioni. L’attività di vigilanza poteva essere svolta in qualsiasi momento da consiglieri comunali, provinciali, deputati, senatori, ed effettuare sopralluoghi appositi.
Il PSI non menzionava specificatamente l’assistenza privata. Secondo l’ANEA i Centri di assistenza sociale potevano proporre al Comune e alla regione convenzioni con le Istituzioni private, e l’attività di vigilanza demandata alla Regione stessa. Il finanziamento Il complesso della spesa sociale, sul quale vari studiosi si accingevano a studiarne la portata, era comunque particolarmente confuso e difficilmente determinabile: infatti le stesse fonti di finanziamento erano diversificate in presenza dei diversi referenti istituzionali: da una parte gli enti nazionali, con proprio bilancio e patrimonio, dall’altra gli enti comunali di assistenza, con patrimoni e finanziamenti dipendenti in parte dal Ministero dell’Interno, e con notevoli squilibri fra spese per il loro mantenimento e spesa effettiva per l’assistenza (l’ECA di Roma, ad esempio, destinava il 50% del bilancio al pagamento del personale, e vi erano casi addirittura del 70-90% del bilancio riferito alle spese per la gestione dell’ente); vi era inoltre il peso dell’assistenza erogata dai Ministeri e da altri Istituti a carattere nazionale, quale l’INPS, l’INAIL, l’INAM, l’ENPAS, per interventi assistenziali connessi alla loro prevalente attività che non era meramente assistenziale, nonché gli interventi assistenziali operati dai vari Ministeri per il proprio personale.
Nelle proposte di legge, pertanto, da parte di tutti i partiti veniva auspicato un fondo nazionale per i servizi sociali alimentati dai patrimoni finanziari degli enti soppressi, nonché dagli utili delle lotterie nazionali, da ripartire fra le Regioni.
- Lo scenario di riferimento L’analisi comparata dei sei progetti di legge, pur nella specificità delle diverse posizioni politiche, mette in evidenza il comune disegno di pervenire ad un rinnovamento profondo del sistema assistenziale del paese.
- La molteplicità degli enti assistenziali, la disseminazione sul territorio di una miriade di istituzioni, lo spreco e la assoluta inefficienza a risolvere realmente i problemi e i bisogni dei cittadini (si calcolò che nel 1970 la spesa media complessiva per l’assistenza era di £ 45 giornaliere, e all’erogazione dell’assistenza erano preposto 49.974 enti) accomunavano tutti i partiti a trovare una soluzione a tale complessa problematica, nel contesto della politica delle riforme e di un “compiuto” sistema di sicurezza sociale.
L’impegno riformistico era connesso anche alla pressione delle organizzazioni sindacali che individuavano nella politica delle riforme la soluzione più idonea per dare piena attuazione al dettato costituzionale e alle istanze di modernizzazione del paese.
La impostazione di fondo, in un clima caratterizzato da una concezione “dirigista” dello Stato, pur nel rispetto delle autonomie locali, era quella di attuare una “politica di forte espansione dei programmi di spesa pubblica diretti a soddisfare le esigenze prioritarie della vita civile”, e in tale contesto, come sottolineava il documento di programmazione nazionale, la “sicurezza sociale” assumeva un ruolo determinante e incisivo, nella sua articolazione funzionale della previdenza, della sanità e dell’assistenza.
A tale riguardo va ancora ricordato che il primo citato programma economico aveva altresì posto in evidenza come l’intervento assistenziale fosse caratterizzato da scarsa efficacia delle prestazioni, in ragione della categorizzazione degli interventi, tradizionalmente rivolti agli strati più disagiati della popolazione, e allo scarsissimo collegamento ed integrazione fra la sanità e i servizi sociali.
In altri termini, a fronte di una organizzazione assistenziale statica e non orientata nella direzione della promozione sociale e della prevenzione, esisteva una società oggetto di una crescita tumultuosa, in connessione con il processo di industrializzazione del paese, del passaggio da una società prevalentemente rurale ad una decisamente orientata verso il settore secondario o e terziario, e caratterizzata da un processo di mobilitazione eccezionale (si calcolò che in un decennio ben otto milioni di italiani avevano cambiato residenza).
In tale contesto la famiglia, intesa nella sua funzione anche assistenziale e legata ad una società di tipo arcaico non “teneva” più, e le risposte esterne, peraltro, non erano incisive. Il processo di urbanizzazione della popolazione e la conseguente intensità del bisogno assistenziale e dei servizi sociali toccava in quegli anni le punte più alte, e attraversava quindi trasversalmente tutti i ceti sociali, così che nascevano quelle che sono state definite le “nuove povertà”, le deprivazioni e nuove emarginazioni.
Tali situazioni non erano più governabili con i vecchi metodi di intervento, ed esplodeva un “sommerso” (si pensi alla condizione degli handicappati, che riuscirono ad ottenere con la legge n.118/71 il riconoscimento del loro status e la necessità di adeguati interventi socio-sanitari, in piena fase di trasformazione amministrativa dello Stato centrale allo Stato decentrato) che richiedeva risposte collettive e non emarginanti, con la conseguente necessità di prefigurare l’universalità nell’accesso ai servizi, e non limitarli all’accertamento della condizione di povertà.
In correlazione con tale orientamento, nel quadro della politica delle riforme e della modernizzazione dello Stato, si poneva la necessità di operare un decentramento politico-istituzionale in grado di corrispondere immediatamente alle esigenze ed ai bisogni rappresentati dai cittadini.
- importanza dell’assistenza intesa nella sua funzione sociale e pubblica;
- necessità di operare adeguate politiche di prevenzione sociale;
- decentramento politico-istituzionale delle attività e degli interventi assistenziali;
- unicità nella gestione dei servizi e degli interventi;
- deistituzionalizzazione e mantenimento degli assistiti nel proprio ambiente familiare e sociale;
- svolgimento di attività volte al superamento dell’isolamento e dell’emarginazione;
- personalizzazione dell’intervento;
- partecipazione dei cittadini alla gestione e al controllo dei servizi sociali.
Lo sviluppo della legislazione statale Mentre, sul fronte delle riforme, si assisteva ad una proposizione notevolmente ampia di progetti e di disegni di legge, con la legge 24.7.75, n.382, a stralcio del disegno di legge n.1657 più ampio di riforma della pubblica amministrazione, furono dettate norme per completare il trasferimento delle funzioni amministrative inerenti all’art.117 e 118 della Costituzione, stante l’assoluta insufficienza dei primi trasferimenti operati nel 1972.
Pertanto, in base alla delega ricevuta dal Parlamento, il Governo, con il DPR 24.7.77, n.616 e con il DPR 24.7.77, n.617 emanò i provvedimenti sia per completare l’ordinamento regionale, mediante il trasferimento o la delega delle funzioni amministrative, sia per sopprimere direzioni generali diventate superflue a seguito del trasferimento di funzioni alle regioni e agli enti locali.
Detto provvedimento rappresentò il frutto di un lavoro complesso e faticoso della cosiddetta “Commissione Giannini (dal professore Massimo Severo Giannini che la presiedeva), e che affrontò tutta la vasta problematica dell’ordinamento ed organizzazione amministrativa dello Stato, delle Regioni e degli Enti locali, secondo le materie indicate dall’art.117 della Costituzione, raggruppate per aree funzionali (fra questi: Titolo III: servizi sociali: polizia locale urbana e rurale; beneficenza pubblica; assistenza sanitaria ed ospedaliera; istruzione artigiana e professionale; assistenza scolastica; beni culturali).
Il quadro istituzionale, con i detti provvedimenti, risultò profondamente modificato, e fu completato, per la parte relativa all’assistenza, dalla legge n.641/78, con la quale furono soppressi gli enti assistenziali, con il contestuale passaggio di beni e personale alle Regioni e agli Enti locali Da rilevare che i suddetti provvedimenti furono adottati ancor prima della legge di riforma sanitaria (legge 23.12.78, n.833), e che furono quindi per certi versi anticipatori di quanto successivamente si sarebbe dovuto determinare.
In particolare, per ciò che concerne l’assistenza, le conseguenze politico-istituzionali più rilevanti furono:
- la cancellazione dal panorama giuridico italiano della legislazione in materia socio-assistenziale fino ad allora vigente, e che si riferiva a una miriade di enti e istituzioni assistenziali, con il passaggio dei beni e del personale alle Regioni e agli Enti locali;
- il riconoscimento della titolarità degli Enti locali, singoli o associati obbligatoriamente, secondo le leggi regionali, a gestire i servizi sociali;
- il superamento della categorizzazione e verticalizzazione degli interventi socio-assistenziali;
- la contestualità della gestione dei servizi sociali e sanitari, con un riferimento anche alla opportunità di prevedere ambiti territoriali omogenei anche per i servizi scolastici;
- la soppressione delle IPAB e il passaggio del patrimonio e personale agli enti locali;
- l’impegno, auspicato dall’art.25, comma 7 del DPR n.616/77, di approvazione della legge di riforma dell’assistenza pubblica entro il 1 gennaio 1979;
- il paradosso che, in assenza della legge di riforma, l’unico riferimento normativo era rappresentato dalla legge 17.7.1890 sulle IPAB, e dal Regio decreto 2.1.1891, recante “approvazione dei regolamenti per l’esecuzione della legge n.6972/1890.
LA VII LEGISLATURA (1976-79): LA FATICOSA RIPRESA DEL CAMMINO DELLA RIFORMA Tenuto conto di quanto era stato determinato dal DPR n.616/77, anche in considerazione della definizione dei ruoli dello Stato, della Regione, e degli Enti locali, furono presentate nella VII legislatura 1976-79 varie proposte di riforma dell’assistenza (a parte una proposta di legge di iniziativa popolare che fu presentata nel 1976 e che proponeva lo scioglimento degli enti assistenziali):
- proposta di legge Cassanmagnago Cerretti ed altri –DC-n.1484- Legge quadro sulla riforma dell’assistenza;
- proposta di legge Lodi ed altri –PCI – n.1173 – Riforma dell’assistenza
- proposta di legge Massari n.870 – PSDI – Legge quadro e riforma dell’assistenza;
- Proposta di legge Aniasi ed altri –PSI – n.1237 – Riforma dell’assistenza pubblica ed organizzazione dei servizi sociali.
Sulla base della esperienza operata nella precedente legislatura, si pervenne all’opportunità di elaborare un testo unificato a livello di Commissione parlamentare, sulla base delle convergenze che erano intervenute fra le forze politiche. Sulla base, pertanto dell’esame del testo unificato, e in considerazione anche di quanto era stato disegnato con il DPR n.616/77, si ricava il quadro seguente.
- sono stati precisati e principi relativi ad interventi di assistenza, diretti a garantire al cittadino il pieno e libero sviluppo della personalità e la sua partecipazione alla vita del paese.
- è stata rimarcata l’importanza della attività di prevenzione e di rimozione degli ostacoli di natura personale, familiare e sociale, mediante un complesso di servizi sociali coordinati ed integrati sul territorio con i servizi sanitari e formativi di base, nonché attraverso prestazioni economiche;
- è stata riconosciuta la libertà dell’iniziativa privata;
- i servizi sociali sono precipuamente rivolti a mantenere i cittadini nel loro ambiente familiare e sociale, e tendono al recupero e al reinserimento degli stessi nel loro ambiente familiare e nel normale ambiente di vita;
- i destinatari degli interventi sono tutti i cittadini che hanno diritto ad usufruire di servizi sociali, a prescindere da qualsiasi distinzione di carattere giuridico, economico, sociale, ideologico e religioso;
- è stato introdotto il principio della possibilità di richiesta agli utenti del concorso al costo di determinate prestazioni, secondo criteri stabiliti dalla regione.
Il nodo del vertice e della definizione delle competenze a livello statale, comportarono una iniziale comune determinazione nel prevedere che il Ministero della sanità avrebbe assorbito le competenze del Ministero dell’interno e in particolare le funzioni della Direzione generale dei servizi civili.
Ma in sede referente le Commissioni I e II riunite in seduta comune respinsero quanto prospettato dal Comitato ristretto. Analogo destino accolse la proposta del Comitato ristretto che prevedeva la costituzione del Consiglio nazionale per l’assistenza sociale, con funzioni consultive e composto da rappresentanti delle Regioni (a livello di Assessori) e rappresentanti dei Ministeri e delle Organizzazioni sindacali.
Per ciò che concerne il delicato problema delle prestazioni economiche (anche individuate dall’art.22 del DPR n.616/77), fu operata una distinzione fra le prestazioni ordinarie, erogate dallo Stato sotto forma di pensione sociale ed assegni continuativi di assistenza, e le prestazioni straordinarie, dirette a coloro “che si trovano in condizioni di difficoltà economiche e contingenti, ed erogate dai comuni secondo i criteri indicati dalle leggi regionali”.
- competenza a stabilire le norme generali per l’istituzione, l’organizzazione e la gestione dei servizi sociali;
- determinare i criteri generali per il concorso degli utenti al costo delle prestazioni;
- determinare le aree territoriali per una funzionale organizzazione dei servizi social
- promozione della qualificazione del personale;
- determinazione degli indirizzi per l’erogazione delle prestazioni straordinarie;
- determinazione degli indirizzi per la ripartizione ai comuni singoli o associati dei fondi;
- indicazione delle condizioni per l’iscrizione delle istituzioni private nell’apposito registro regionale;
- disciplina dell’attività di vigilanza sulle attività socio-assistenziali;
- svolgimento dell’attività di assistenza tecnica, anche con la sperimentazione di nuovi servizi.
Il ruolo delle province (delle quali si auspicava la soppressione nella precedente legislatura), anche in relazione ad un processo che puntava ad una loro valorizzazione, fu individuato nella loro funzione di ente intermedio, concorrendo alla elaborazione del piano di individuazione degli ambiti territoriali e del piano di sviluppo dei servizi sociali; esprimendo parere sulla rispondenza alla gestione dei servizi stessi alle delimitazioni territoriali.
Le funzioni amministrative tuttora svolte dalle provincie, in ogni caso si dovevano trasferire ai comuni, anche se le stesse province avrebbero potuto gestire ulteriori servizi su delega regionale. Per ciò che concerne i Comuni, a questi veniva riconosciuta la titolarità alla gestione dei servizi sociali pubblici, secondo gli indirizzi del programma regionale e nel rispetto degli ambiti territoriali definiti per i servizi sanitari, secondo il disegno che già era stato portato avanti sia con il DPR n.616/77 a livello statale, sia a livello regionale con le specifiche leggi che si riferivano ai consorzi socio-sanitari.
o alle unità socio-sanitarie locali. Nel contesto della proposta di legge oltre alla parte relativa alla assistenza privata e il registro delle istituzioni private, veniva affrontato il complesso aspetto del volontariato (anche a seguito di quanto previsto dal DPR n.616/77, di cui veniva riconosciuta la funzione, e comprendendo in esso anche le istituzioni a carattere associativo fondate su prestazioni volontarie e personali dei soci.
Lo scoglio delle IPAB non trovò convergenze, e non fu approvato dalle Commissioni riunite, così come non furono approvate le proposte relative al fondo nazionale per i servizi sociali. Lo scenario di riferimento: le Regioni e la riforma sanitaria Sul piano politico il periodo è caratterizzato dalla profonda crisi dei partiti di centro sinistra: il perseguimento delle vecchie politiche di riforma, in effetti, viene interrotto, e le vicende che portano alla cosiddetta politica di “compromesso storico” con il governo monocolore DC e con la “non sfiducia” al Governo stesso, e, dopo l’assassinio dell’on.le prof.
Aldo Moro, alla accelerazione di profonde riforme attese da tempo (legge n.180/78 sulla psichiatria; legge n.194/78 sulla procreazione e sull’aborto); legge n.675/78 sugli aiuti alle imprese; legge 833/78 sulla riforma sanitaria), che costituiscono il primo ed ultimo esempio di collaborazione fra i cattolici e la sinistra.
In tale contesto le Regioni, che rappresentano la concreta attuazione del decentramento politico-istituzionale previsto dalla Costituzione, cominciano a definire proprie politiche sociali basate sull’integrazione socio-sanitaria e sulla costituzione dei consorzi socio-sanitari, proponendo quindi modelli organizzativi assolutamente innovativi, e basati sulla politica territoriale dei servizi sociali e sanitari, anche in sintonia con quanto indicato dall’art.25 del DPR 616/77.
Senza entrare nel merito della prima riforma sanitaria, si deve comunque sottolineare che tale provvedimento, per certi aspetti, ha determinato l’interruzione del faticoso processo portato avanti dalla regioni per giungere alla effettiva unità gestionale e alla necessità dell’integrazione fra i servizi sociali e sanitari attraverso l’unità socio-sanitaria locale.
Infatti, anche se molte Regioni portarono avanti decise politiche territoriali dei servizi orientate a costruire un sistema integrato socio-sanitario, le conseguenze della riforma sanitaria sono state di aver avviato e determinato una decisa e netta separazione fra l’area dei servizi sanitari e l’area dei servizi sociali.
Peraltro, a fronte della ripresa dell’attività politica nella legislatura successiva, le incertezze e le non chiare prospettive della soluzione del rapporto fra sanità e assistenza hanno fatto sentire il loro peso. La permanenza di una situazione di stallo nella attuazione della riforma dell’assistenza, fu peraltro sottolineata anche dalla Corte Costituzionale, che con le sentenze n.173 e n.174 del 1981, oltre a dichiarare, per eccesso di delega, illegittima la parte dell’art 25 del DPR n.616/77, ove si disponeva il trasferimento “sic et simpliciter” delle IPAB ai comuni, rilevò la necessità di riformare il sistema assistenziale.
- L’ VIII LEGISLATURA (1979-1983): IL TENTATIVO DI UN DISEGNO UNITARIO Secondo una rituale prassi già avviata nelle precedenti legislature, anche nell’ VIII legislatura (anni 1979-1983) furono presentate le proposte di legge per la riforma dell’assistenza.
- Tali proposte, comunque, risentono del profondo cambiamento di clima e di prospettive, sul piano istituzionale e funzionale, della pubblica amministrazione, e dei problemi connessi all’avvio della riforma sanitaria, della mutata condizione del quadro politico nazionale, della difficoltà di proseguire nel complesso processo delle politiche delle riforme.
Le proposte di legge presentate alla Camera dei deputati erano le seguenti:
- Cabras ed altri – DC n.166 – Legge quadro sull’assistenza e i servizi sociali;
- Lodi Faustini- PCI n.913 – Riforma dell’assistenza;
- Magnani Noya e altri – PSI – n.- 998 – Legge-quadro sui servizi sociali;
- M.L. Galli ed altri (PR) – n.1670 – legge quadro sulla riforma dell’assistenza.
Analogamente, al senato furono presentati disegni di legge in sintonia con quelli presentati dai rispettivi partiti alla Camera. Considerata la complessità delle proposte presentate, secondo una prassi che successivamente è diventata usuale, fu elaborato un testo unificato, approvato dal Comitato ristretto, che comunque si arenò successivamente nelle procelle scatenate dalla prima e dalla seconda commissione della Camera dei deputati.
Principi e obiettivi generali La lettura dei testi di legge mette in evidenza una convergenza complessiva sui principi ed obiettivi diretti a garantire ai cittadini il pieno e libero sviluppo della personalità e la sua partecipazione alla vita del paese, mediante una precipua attività di prevenzione con un complesso di servizi sociali coordinati ed integrati sul territorio con i servizi sanitari e formativi di base, con il riconoscimento della libertà dell’iniziativa privata.
Nell’ambito delle finalità, anche in rapporto ad un continuo processo di definizione di concetti e di contenuti, frutto sia della elaborazione determinate dai progetti legislativi presentati nelle precedenti sessioni parlamentari, sia da quanto le legislazioni regionali avevano contestualmente portato avanti, veniva messa in evidenza la necessità di una organica politica di sicurezza sociale che, riconoscendo il diritto di tutti i cittadini alla promozione, mantenimento e recupero dello stato di benessere fisico e psichico, si basasse sull’attività del “sistema” dei servizi sociali e di quelli preposti allo sviluppo sociale volto a prevenire e rimuovere le cause di bisogno; rendere effettivo il diritto di tutta la popolazione a usufruire dei diritti sociali; sostenere la famiglia e gli interventi sostitutivi della famiglia; reinserire gli assistiti ospitati in strutture segreganti; sostenere i soggetti colpiti da menomazioni fisiche, psichiche e sensoriali; promuovere e tutelare giuridicamente i soggetti incapaci di provvedere a se stessi e privi di parenti o persone che vi provvedessero.
E’ evidente in questa concordanza di posizioni il riconoscimento della titolarità giuridica dei cittadini a fruire dei servizi sociali, sulla base di una impostazione solidaristica volta a sancire con solennità l’impegno dello Stato a creare “un sistema di servizi sociali” volti a garantire il perseguimento del benessere individuale e sociale; tale impegno solidaristico era rivolto precipuamente alla “sfera” sociale più importante quale quella rappresentata dalla famiglia, e giungeva fino a prefigurare una attività di tutela per i soggetti incapaci.
I destinatari Per ciò che concerne i destinatari, veniva sottolineato che tutti i cittadini hanno diritto a fruire dei servizi sociali. Veniva altresì rimarcata la possibilità di richiedere agli utenti e alle persone tenute al mantenimento e alla corresponsione degli alimenti il concorso al costo di determinate prestazioni in relazione alle loro condizioni economiche e tenendo conto della situazione locale e della rilevanza sociale dei servizi, secondo criteri stabiliti con legge regionale.
L’introduzione di tale principio ha rappresentato la più equa soluzione del rapporto tra domanda sociale espressa dai singoli individui in relazione ad una risposta adeguata in termini di servizi da parte della società organizzata, e l’obiettiva rispondenza alle necessità connesse al rapporto tra il costo e il beneficio della prestazione.
In altri termini si definiva il passaggio da un sistema meramente erogatorio ad un altro in cui il principio della solidarietà fosse armonizzato con la complessità, in termini di professionalità e qualità del servizio alla risposta data. A tale riguardo si fa peraltro presente che già con il decreto-legge 28.2.83, n.55, convertito, con modificazioni nella legge 26.4.83, n.131, concernenti provvedimenti per la finanza locale per il triennio 1983-85, fu introdotto il principio della contribuzione degli utenti al costo dei servizi a domanda individuale gestiti dai comuni (anche se non a carattere generalizzato), fra i quali, con apposito decreto (DM 31.12.83) furono annoverati alcuni servizi sociali (case di riposo e do ricovero; asili-nido; case per vacanze; impianti sportivi; mense; teatri, musei, pinacoteche), ai quali successivamente i Comuni hanno aggiunto, ad esempio i servizi di assistenza domiciliare.
Con tale disposizione, pertanto, a differenza di quanto auspicato nella prima impostazione delle politiche sociali (servizi gratuiti a chi ne ha bisogno, senza discriminazioni di tipo censorio ed economico, proprio perché i servizi venivano alimentati dalle risorse desumibili dal prelievo tributario), veniva introdotto il concetto, che le proposte di legge sull’assistenza riprendevano, della partecipazione al costo dei servizi erogati, sulla base di determinati criteri.
Le tipologie innovative Tenuto conto del maturato culturale, politico, propositivo che promanava dalle esperienze già in atto e dalle leggi regionali in vigore la definizione delle funzioni dei servizi socio-assistenziali nell’ambito dell’articolo approvato dal comitato ristretto metteva in evidenza l’opportunità e la necessità di una azione iniziale di promozione e di informazione sociale necessaria alla migliore conoscenza delle disposizioni legislative e dei servizi e delle prestazioni.
Veniva in tal modo dato giusto riconoscimento a tutta la problematica che si riassumeva nella espressione “segretariato sociale”, e che si collegava anche, alla opportuna azione, propria del servizio sociale professionale, del reperimento e della segnalazione dei casi necessitanti di interventi qualificati nei confronti dell’utenza, che dovevano essere garantiti dagli assistenti sociali.
Il collegamento con il DPR 616/77 era chiaramente indicato con la norma di rinvio agli articoli 22 e 23 del decreto medesimo. Inoltre veniva indicata la territorialità dei servizi, peraltro da organizzate in forma aperta. Abbastanza complessa è stata la definizione delle prestazioni economiche: sono state distinte in ordinarie, di competenza dello Stato (distinguendo fra pensione sociale e assegni continuativi di assistenza) e prestazioni straordinarie, diretta a coloro che si trovassero in difficoltà economiche contingenti e temporanee, ed erogate dai Comuni, secondo i criteri indicati dalle leggi regionali.
Tenuto conto delle varie posizioni politiche in merito a tale problema, va in proposito rimarcato che a fronte di una convergenza complessiva sulla titolarità dello Stato ad erogare pensioni ed assegni continuativi, esistevano modifiche per ciò che concerne l’organo erogante: l’NPS, secondo la DC, e il Ministero del lavoro secondo il PCI.
Il vertice Per ciò che concerne il vertice dell’ assistenza, l’orientamento complessivo che emerse nel testo unificato fu quello di indicare nel Ministero della Sanità la sede per lo svolgimento delle funzioni statali, con particolare riguardo alla funzione di indirizzo e coordinamento, alla fissazione dei requisiti per la determinazione dei profili professionali degli operatori sociali, nonché l’affidamento e la durata dei corsi.
Seguivano poi altre competenze — interventi di prima assistenza a favore di connazionali profughi e rimpatriati, interventi in favore dei profughi stranieri, pensioni e assegni di carattere continuativo, — che venivano anch’esse attribuite in via provvisoria al Ministero della sanità. Altri specifici interventi riservati alle Forze armate e agli altri dipendenti dello Stato, legate all’espletamento del Servizio, nonché interventi fuori del territorio nazionale a favore degli italiani all’estero, erano assegnati ai Ministeri competenti, cosi come i rapporti con organismi stranieri e internazionali.
Alle Regioni veniva delegata la certificazione della qualifica di assistibilità che legittimava al godimento dei benefici previsti dalle leggi vigenti, con particolare riferimento agli orfani, alle vedove e agli inabili. Tale scelta di collocare presso il Ministero della Sanità era connessa alla definitiva determinazione del vertice che si delineava con la riforma della Presidenza del Consiglio dei Ministri e alla riorganizzazione dei Ministeri.
Come è noto, tale progetto di riforma che ebbe una prima attuazione nel 1974 a livello legislativo, fu poi stralciato per la parte che concerneva le norme sull’ordinamento regionale e sulla organizzazione della pubblica amministrazione, con la nota legge n.382 del 22 luglio 1975, a cui successero i decreti presidenziali n.ri 616/77 e 617/77 per la concreta definizione delle competenze a livello statale, regionale e locale.
Sempre a livello del vertice, veniva altresì ipotizzato il Consiglio nazionale della sanità e dei servizi sociali, che si collocava all’art.8 della legge n.833/78, istitutivo del Consiglio sanitario nazionale. Tale soluzione permetteva di definire al livello centrale una unicità gestionale e coordinata delle competenze statali in merito alla sanità e dell’ assistenza, con particolare riferimento alla sua funzione di consulenza e di proposta nei confronti dei Governo per la determinazione delle linee generali dì politica sanitaria e assistenziale e per l’elaborazione e l’attuazione del piano sanitario nazionale.
Compito del Consiglio, di particolare rilievo nel settore dei servizi sociali, era quello di essere sentito obbligatoriamente in ordine sia ai programmi globali di intervento in materia assistenziale sia alla definizione dei livelli minimi dei servizi sociali da garantire a tutti i cittadini, nonché dei profili professionali degli operatori sociali e alle pensioni ed assegni di carattere continuativo di competenza dello Stato.
Lo stesso Consiglio avrebbe dovuto predisporre una relazione annuale sullo stato dei servizi sociali del Paese. E’ pertanto rilevabile al livello di vertice un deciso orientamento propositivo a individuare una sede adeguata e qualificata sia a una opportuna azione di collegamento e di coordinamento fra i servizi sanitari e sociali, sia una azione di consulenza per la attività di indirizzo e coordinamento, con particolare riferimento alla determinazione dei livelli minimi di servizi sociali e alla determinazione dei profili professionali necessari allo svolgimento dei servizi.
Le Regioni Per ciò che concerne i compiti delle Regioni, alle stesse veniva precipuamente riconosciuto un ruolo fondamentale nella attività di programmazione, coordinata con gli obiettivi definiti in sede nazionale, e con il piano di sviluppo regionale, fatta salva la partecipazione dei comuni e delle province, e tenendo conto delle proposte avanzate dalle associazioni regionali, dalle formazioni sociali e dagli organismi pubblici, privati e del volontariato.
Riprendendo quanto già acquisito nelle proposte di legge della precedente legislatura, e sulla base di una riconsiderazione complessiva del ruolo regionale, in particolare alle Regioni veniva attribuito il compito di dettare norme generali per l’istituzione, l’organizzazione e la gestione dei servizi sociali, nonché i livelli qualitativi e le forme delle prestazioni; di approvare il piano di sviluppo dei servizi sociali, coordinandolo con il piano sanitario regionale; determinare i criteri generali, del concorso degli utenti al costo dei servizi; determinare le aree territoriali più idonee per una funzionale organizzazione dei servizi.
La formazione e l’aggiornamento del personale addetto ai servizi sociali, la determinazione degli indirizzi per l’erogazione delle prestazioni economiche straordinarie, il riparto della spesa sulla base delle priorità necessarie, nonché l’attività di assistenza tecnica diretta alla istituzione e la miglioramento dei servizi sociali, nonché la sperimentazione di nuovi serviti rappresentavano gli altri compiti fondamentali attribuiti alla Regione.
In merito alla assistenza privata, confermata l’istituzione del registro regionale delle istituzioni private, la Regione avrebbe dovuto dettare norme in merito all’attività di vigilanza. Il punto centrale della soluzione istituzionale, ossia la opportunità o meno di una gestione associata obbligatoria sia di servizi sanitari e sociali, veniva demandata alla scelta autonoma della Regione, che comunque avrebbe dovuto stabilire le norme per la gestione amministrativa dei servizi sociali, assicurando il coordinamento e l’integrazione con i servizi sanitari gestiti dalle unità sanitarie locali, prevedendo altresì il collegamento con gli altri servizi finalizzati allo sviluppo sociale.
- Inoltre veniva data facoltà alla Regione di stabilire, con la stessa legge regionale, i modi e i tempi per l’unificazione degli organi di governo e di gestione dei servizi sociali e di quelli sanitari.
- In tal caso le unità sanitarie locali avrebbero cambiato la denominazione in unità socio-sanitarie locali; tale articolo, peraltro, stante la complessità e la non convergenza delle varie forze politiche, ha riscontato la riserva del PCI e del PR.
Le Province In merito alle province, anche in considerazione del superamento dei comprensori intesi quali “enti intermedi”, queste recuperavano un ruolo volto da una parte a concorrere al piano di individuazione degli ambiti territoriali della unità socio-sanitaria locale, e dall’altro ad approvare, nell’ambito di tale piano, il programma provinciale dei presidi socio-assistenziali; inoltre concorrevano alla elaborazione del piano di sviluppo dei servizi sociali, e inoltre esprimevano parere sulla rispondenza alla gestione dei servizi stessi alla delimitazioni territoriali determinate della regione; le gestioni dirette in materia assistenziale sarebbero state trasferite ai comuni.
I comuni I comuni, titolari di tutte le funzioni amministrative concernenti l’assistenza sociale, avrebbero dovuto provvedere alla organizzazione dei servizi sociali, qualificando e potenziando i servizi sociali esistenti, anche trasformando le strutture già funzionanti e istituendo nuovi servizi, prevedendo altresì la possibilità di stipulare convenzioni con le istituzioni private, iscritte nel registro regionale.
Doveva essere garantita la partecipazione dei cittadini, stabilendo le modalità di intervento degli utenti, delle famiglie e delle formazioni sociali organizzate sul territorio, volta alla gestione e al controllo dei servizi sociali, Inoltre nell’ambito della attività di programmazione dei servizi stessi, come i comuni avrebbero partecipato alla elaborazione e realizzazione e controllo del piano regionale, così gli stessi comuni avrebbero dovuto stabilire le modalità per assicurare ai cittadini il diritto di partecipare alla programmazione suddetta.
Pertanto, riconosciuta ai comuni la titolarità della funzione amministrativa dei servizi sociali, agli stessi, pur nel quadro della programmazione e degli indirizzi regionali, veniva data la capacità di realizzare e promuovere i servizi. Il privato sociale L’assistenza privata, riconosciuta secondo la norma costituzionale, veniva individuata nelle associazioni, fondazioni, istituzioni private, introducendo anche quelle a carattere cooperativo, che avrebbero dovuto essere iscritte nel registro regionale, sulla base di determinati requisiti: l’assenza di fini di lucro; idonei livelli di prestazioni, di qualificazione del personale e di efficienza organizzativa e operativa sulla base dell’ osservanza degli standard regionali; rispetto per i dipendenti delle norme contrattuali, ad eccezione delle prestazioni volontarie.
Anche in tal caso, la complessità dei problemi da affrontare a fronte diverse posizioni politiche, ha determinato la non concordanza delle varie forze politiche, con la riserva, quindi del PCI del PSI e del PR. In tale contesto è stato altresì affrontato il tema del volontariato, riconoscendone la funzione in quanto concorrente al conseguimento dei fini della assistenza sociale e prevedendo la possibilità di convenzionamento, nonché l’erogazione di incentivi finalizzati all’espletamento di attività promozionali e di servizi innovativi e sperimentali.
Le IPAB Per ciò che concerne le IPAB, il disposto dell’art.25 del DPR n.616, (con le conseguenti leggi regionali relative alle IPAB, emanate da varie Regioni, (Piemonte: L.R.10.4.80, n.20; Lombardia: L.R 7.3.81 n.13; Emilia Romagna: L.R.8.4.80, n.25; Marche: L.R.21.5.80, n.25; Umbria: L.R.17.5.80, n.46; Lazio: L.R.16.6.80, n.60; Calabria: LR.3i.4.81, Campania: L.R.11.11.80, n.65), nonché il decreto legge del dicembre 1978, riproposto 11.4.1979, fu dichiarato decaduto.
Il finanziamento Convergenza sostanziale si ritrovò nella questione relativa al finanziamento: presso il Ministero del Tesoro veniva istituito il Fondo nazionale per i servizi sociali costituita da: fondo per gli asili nido; fondo speciale ex ONMI; fondo sociale per l’equo canone, per i conduttori meno abbienti; fondi ex ENAOLI, ONPI, ANMIL; proventi dei beni in liquidazione degli enti nazionali soppressi; quote degli utili di gestione degli istituti di credito devoluti a finalità assistenziali; quota aggiuntiva di 200 miliardi per il triennio 1980-82.
- Le somme sarebbero state ripartite fra tutte le Regioni tenuto conto delle indicazioni contenute nei piani regionali e sulla base di indici e di standards individuati dal Consiglio nazionale della sanità e dei servizi sociali.
- Anche in considerazione della necessità di definire una articolazione funzionale della spesa, questa era distinta fra la spesa corrente la spesa in conto capitale.
I livelli uniformi e gli standard Scopo non ultimo della definizione degli indici e degli standard era quello di tendere a garantire livelli di prestazioni uniformi su tutto il territorio nazionale, eliminando progressivamente le differenze strutturali e di prestazioni fra le regioni.
Considerazioni Nel complesso il testo delle proposte di legge sopra illustrate, una immediata constatazione porta ad affermare che senz’altro rappresenta la risultante di un processo di elaborazione politica, culturale, amministrativa che, partendo anche dalle precedenti proposte e da quanto portato avanti dalle Regioni, e nel contesto di un comune obiettivo di adeguare le strutture pubbliche alle esigenze emergenti, ha impegnato con apporti qualificatissimi e approfonditi tutte le forze politiche.
È chiaramente palese che a fronte della conseguenza scaturita dalla legge ti.382/75, dal DPR n.616/77 e dalla legge n.833/78, nonché dalla legge n.641/78,il sistema legislativo in materia di assistenza ancora in piedi era quello rappresentato dalla legge n.6972 del 1890, istitutiva della IPAB, con tutte le connotazioni non solo giuridiche ma anche operative che tale situazione comportava, nonché dal TU delle leggi di pubblica sicurezza del 1934, per le parti riferibili all’assistenza agli anziani, ai minori e agli indigenti abbandonati.
E’ anche da dire che le modificazioni dell’assetto istituzionale, primariamente con le Regioni, hanno profondamente inciso sulla definizione del quadro di riferimento su cui orientare gli interventi e i servizi; a fronte di tale processo, si è andata determinando una modificazione della domanda sociale, quanto a richiesta di servizi e di interventi.
È su questa base, anche in riferimento ad una particolare attenzione sul problema della assistenza che interessava molti studiosi e sedi qualificate, che pertanto va visto lo sforzo fatto per giungere ad una definizione di proposta di riforma dell’assistenza verso la quale erano indubbi gli orientamenti convergenti delle varie forze politiche.
Il tema della prevenzione quale sede privilegiata e momento fondamentale della politica sociale è stato quindi concordemente sviluppato, così come ad esso collegato quello relativo alla deistituzionalizzazione e alla necessità di organizzare servizi territoriali, affidati possibilmente ad unici organi di gestione.
Il rapporto fra sanità e assistenza si è definito nei senso di conferite alla assistenza stessa un ruolo e una connotazione di pari grado rispetto al peso costituito dalla sanità, sia a livello di vertice che al livello di Regione, specialmente in sede di programmazione degli interventi, sia sanitari che assistenziali; al livello locale, peraltro, occorre rimarcare la non obbligatorietà dei comuni ad associarsi anche per i servizi sociali, essendo questa una facoltà attribuita alla Regione, in rapporto alla particolarità delle situazioni locali.
- Sotto tale aspetto va rimarcata la pausa nella definizione della politica locale dei servizi, che aveva caratterizzato in ogni caso l’attività delle Regioni.
- Nel complesso della proposta, si deve anche sottolineare lo sforzo di pervenire alla costruzione di una “complementarità” di apporti, secondo un rigoroso rispetto al sistema delle autonomie locali e delle competenze che dopo il DPR n.616/77 sono state definite per ciò che concerne lo Stato, le Regioni, e gli Enti locali.
L’aspetto relativo al rapporto fra assistenza privata e pubblica è stato affrontato in considerazione sia della complessità del tema da affrontare, e che in un Paese come l’Italia ha antiche tradizioni e culture, sia degli orientamenti giuridici e costituzionali, pervenendo in ogni caso ad una possibilità di intesa: da una parte la riconduzione al livello del territorio delle risorse disponibili (in proposito non è fuori luogo ricordare quanto la Regione Toscana nella propria legge sull’assistenza del 1976, puntualizzando che doveva essere assicurato il coordinamento dell’attività delle IPAB, secondo una linea tesa da una parte a recuperare il bagaglio di esperienze acquisite sui servizi sociali, e dall’altra a regolarizzare al meglio il quadro della assistenza privata.
Il quadro di riferimento normativo tra il 1980 e il 1989 Nelle complesse vicende parlamentari che hanno portato nel corso di venti anni alla rituale e costante riproposizione di proposte di legge di riforma dell’assistenza, pur con conseguenti differenziazioni e modifiche, si deve rilevare un percorso parallelo portato avanti con disposizioni che hanno determinato profonde revisioni e cambiamenti di prospettiva e di disegno istituzionale e funzionale della riforma stessa.
A fronte di una chiara crisi del welfare, non solo in Italia ma in tutta Europa (come rilevò uno studio dell’OCSE del 1982), a fronte della insostenibilità dei costi, sul piano concreto fu posta mano, con l’introduzione del tickets nel 1982, ad una politica di contenimento della spesa.
Di fronte ad una mancata individuazione, certa e attendibile del rapporto fra la spesa sanitaria e la spesa assistenziale, con il DPCM 5 agosto 1985 venne nei fatti, in assenza di una legge di riforma che desse dignità e rigore alla funzione e al ruolo dell’assistenza, brutalmente separata la spesa sanitaria da quella socio-assistenziale, con la conseguenza di annullare nei fatti il faticoso processo di integrazione socio-sanitaria che pur si era avviato, e quindi facendo arretrare tutta la “filosofia” della politica territoriale dei servizi sociali e sanitari, basata sull’unità socio-sanitaria locale.
Nel quadro di una mancanza di quadro organico di riferimento, va ricordata la legge 8.8.85, n.440 recante “Istituzione di un assegno vitalizio a favore dei cittadini che versino in stato di particolare necessità”. La suddetta legge fu emanata a seguito della constatazione di situazione di indigenza di cui fu vittima lo scrittore Riccardo Bacchelli, con la conseguenza che in effetti si veniva a definire un quadro differenziato di trattamento: una disparità di trattamento evidente fra, poniamo, un emigrato pensionato in lotta per la sopravvivenza (che pur aveva con il suo lavoro onorato la patria, e chi poteva in quanto “altro” godere di privilegi settecenteschi (come Goldoni che ottenne una pensione dal re di Francia).
Nel 1987, secondo una innovazione che mirava a modificare l’organizzazione assistenziale, con DPCM 10.11.87 veniva istituito il “Dipartimento per gli affari sociali, preposto allo svolgimento di compiti di notevole rilevanza, dal coordinamento delle iniziative conoscitive sui problemi sociali emergenti, agli studi e proposte di riforma in materia di servizi sociali, all’informazione e studi in materia di associazionismo sociale e di volontariato, agli studi sulla terza età, alle tossicodipendenze.
Tale impostazione ricordava, è doveroso ricordarlo, la “antica” impostazione dell’Amministrazione per le Attività Assistenziali Italiane ed Internazionali (AAI), che proprio nella sua iniziale collocazione presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri trovò il suo fulgore, prima di essere collocata nell’alveo del Ministero dell’Interno.
Tale nucleo iniziale di quello che potrebbe essere definito il vertice dell’assistenza, o quanto meno la sede di coordinamento delle politiche sociali, fu confermato nel contesto della legge 23.8.88, n.400 recante “Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri” L’attività del Dipartimento, pertanto, si collocava in un contesto in cui rappresentava un riferimento di estremo interesse in relazione al faticoso “progredire” di una “cultura” delle politiche sociali.
L’emergenza di tante situazioni di emarginazione, disagio, povertà, e in assenza di una legge quadro, portarono quanto meno a definire un complesso di iniziative concluse con apposite leggi rivolte a particolare aspetti. A tale riguardo si ricorda la legge 19.7.91, n.216, recante “Primi interventi a favore dei minori soggetti a rischio di attività criminose”, la legge quadro sul volontariato, 11.8.91, n.266, la legge sulle cooperative sociali 8.12.91, n.381.
Pur in presenza di tali atti legislativi, sul fronte della assistenza e dei servizi sociali veniva peraltro a determinarsi la necessità di definire un quadro istituzionale organico, connesso alla riforma dell’ordinamento delle autonomie locali, quale condizione essenziale per promuovere lo sviluppo dei servizi.
A titolo di esempio, la legge 184/83 sull’adozione e sull’affidamento dei minori, il DPR 448/88 sul procedimento penale a carico dei minori, presupponeva l’esistenza di un idoneo servizio sociale nei comuni in grado di garantire professionalità e competenza necessaria a fornire alla magistratura minorile gli elementi sufficienti e ponderati per le delicatissime determinazioni del giudice in materia.
Proprio in assenza del “sistema”, ci si rivolgeva impropriamente ai Consultori familiari, o si esponevano gli amministratori comunali a provvedimenti giudiziari per la non attivazione del servizio sociale. Sul fronte parlamentare e governativo, inoltre, in relazione alla stasi del processo riformatore, in relazione all’emergere di problemi gravissimi, si adottavano provvedimenti di chiaro sapore centralistico, come, ad esempio, i provvedimenti relativi alla lotta alla droga.
LA IX LEGISLATURA (1983-87): LA STASI E LA SETTORIALITÀ La legislatura è stata caratterizzata da una situazione profondamente modificata a livello dell’attività parlamentare in merito all’assistenza. Sono state presentate proposte di legge da parte della DC, del PSI, secondo il seguente prospetto: – Rognoni e altri (DC) – Camera dei deputati – Legge quadro di riforma dei servizi sociali.
- Aniasi e altri (PSI) – Camera dei deputati – Legge quadro sui servizi sociali.
- Colombo Svevo e altri (DC) – Senato della Repubblica – Legge quadro di riforma dei servizi sociali.
- Fabbri e altri (PSI) – Senato della Repubblica – Legge quadro sui servizi sociali.
- Di fronte ad una situazione di non progressione di riforma dell’assistenza, la situazione nuova è stata peraltro caratterizzata, quale risultante di grave malessere, da specifiche leggi, in qualche modo fuorvianti dal quadro generale di riferimento, che sarebbe stato garantito solo dalla legge quadro di riforma.
In merito alle proposte di legge presentate va rilevato che i testi erano strettamente collegati con quanto era stato precedentemente portato avanti nella passata legislatura, e pertanto l’impianto era analogo: le modifiche apportate intervenivano al livello dell’obbligatorietà da parte delle Regioni a stabilire entro un determinato lasso di tempo i modi e l’unificazione degli organi di governo e di amministrazione dei servizi sociali con quelli sanitari e per il collegamento con gli altri servizi finalizzati allo sviluppo sociale.
- Veniva peraltro operata una distinzione, da sancire con legge regionale, tra i servizi di base, da gestire da parte dei singoli comuni,.
- O dagli organi di decentramento comunale per i grandi comuni, nonché i compiti e le funzioni attribuite agli organi di governo e di amministrazione dell’USL, che avrebbero assunto la denominazione di unità socio-sanitarie locali.
Pertanto, a fronte della facoltà attribuita nelle proposte precedenti in merito alla gestione unificata dei servizi sociali e sanitari, nelle proposte considerate veniva posta in evidenza la obbligatorietà della gestione dei servizi sanitari e sociali, pur in considerazione della possibilità di gestione locale dei servizi di base.
Come già rilevato, per il resto veniva ricalcato quanto già individuato nella precedente legislatura secondo il testo elaborato dal comitato ristretto. Nel corso della IX legislatura sono state altresì presentate proposte di legge attinenti a particolari ambiti e settori socio-assistenziali quali proposte di legge sul volontariato (a fronte di una avviata e copiosa legislazione regionale che ha in effetti anticipato il legislatore statale) e specifiche aree di intervento (anziani, handicappati, ove pure le Regioni avevano avviato specifiche norme).
LA X LEGISLATURA (1987-1992): LE NUOVE PROSPETTIVE E’ stata caratterizzata da uno scenario profondamente diverso da quanto si era venuto a determinare con le sole forze parlamentari. Infatti, se nel passato la riforma dell’assistenza veniva quasi confinata nella ritualità di una serie di proposte di legge presentate, nel tentativo di dare corpo ad un testo unificato, e la susseguente constatazione “ad impossibilia nemo tenetur”, a causa dei veti e dei contrasti che insorgevano in sede referente, nel corso del suddetto periodo si sviluppò da una parte una attenzione diversa nei confronti delle altre realtà presenti nel mondo dell’assistenza, sia come cittadini che non potevano più attendere riforme (e, fra questi, handicappati, anziani, lavoratori in condizioni di bisogno, ecc), sia come espressioni del “privato sociale” (volontariato, associazioni, cooperative) che chiedevano pressantemente adeguati riconoscimenti legislativi alla loro funzione e al loro ruolo in una società accresciuta nei bisogni e nella domanda.
Le proposte di legge presentate, pertanto, vanno inquadrate in tale diversificato contesto, ed è significativo che alcune proposte sono state presentate da esponenti diversi di uno stesso partito, sintomo di una diversa impostazione concettuale che non fa più riferimento ad un precedente lavoro di elaborazione interna.
Le proposte sono le seguenti: -Foschi ed altri: – n.246 del 2 luglio 1987: Legge-quadro dei servizi sociali; -Aniasi ed altri: – n.259 del 2 luglio 1987: Legge-quadro sui servizi sociali; -Martinazzoli ed altri: n.683 dell’8 luglio 1987: Legge quadro per la riforma dell’assistenza e dei servizi sociali.
Oltre a tali proposte di legge, tutte presentate nel 1987, e quindi all’inizio della X legislatura, è stata presentata dal PCI (Benevelli ed altri) la proposta di legge n.3064: Riforma dell’assistenza. Inoltre al Senato è stato presentato dalla senatrice Ferraguti ed altri il disegno di legge n.2256 : Riforma dell’assistenza sociale e istituzione del servizio sociale nazionale.
Principi e gli obiettivi Il quadro di riferimento, quanto ad obiettivi e principi è “non novus, sed noviter”, nel senso che sono stati ben individuati e si qualificano non più tanto nello loro novità, bensì nella loro effettiva realizzabilità. Oltre all’ osservanza del dettato costituzionale in ordine agli articoli in essa contenuti che sanciscono gli impegni volti a garantire al cittadino il pieno e libero sviluppo della personalità e la sua partecipazione alla vita del paese, il tema della prevenzione sociale e della attività volta a prevenire il bisogno e lo stato di disagio sociale, psichico familiare, con la contestuale rimozione delle cause che generano il bisogno, è puntualizzato in tutte le proposte di legge.
Mentre nella altre proposte di legge è affidato ad un generico complesso di servizi sociali il compito del perseguimento degli obiettivi, nella proposta del PCI è prevista istituzione del “servizio sociale nazionale”, da intendere quale corrispettivo, sul versante sociale, del già istituito servizio sanitario nazionale.
Collegato con l’intervento preventivo è altresì quello della ricerca, nell’ambito dei servizi sociali latamente intesi, di una rete di opportunità di offerte (servizi scolastici, formativi, ricreativi, strettamente coordinati ed integrati fra di loro) finalizzate al superamento dell’emarginazione e quindi all’inserimento sociale e alla promozione umana.
I soggetti istituzionali Lo Stato ha la competenza a svolgere primariamente a) funzione di indirizzo e coordinamento delle attività amministrative delle regioni a statuto ordinario in materia di servizi sociali attinenti ad esigenze di carattere unitario b) interventi di primo soccorso in caso di catastrofi o calamità naturali; c) interventi di prima assistenza in favore di profughi e rimpatriati; d) favore di profughi stranieri; e) collegamento e rapporti, in materia di assistenza, con organismi stranieri ed internazionali, e gli adempimenti previsti dagli accordi internazionali e dai regolamenti comunitari; f) la fissazione dei requisiti per la determinazione dei profili professionali degli operatori sociali e le disposizioni generali in materia di ordinamento e durata dei corsi e la determinazione dei requisiti necessari per l’ammissione; g) gli interventi assistenziali a favore delle forze armate; h) le pensioni e gli assegni fissi di carattere continuativo; la certificazione della qualifica di orfano, vedova, inabile, da esercitarsi mediante delega alle regioni.
Oltre a tali compiti, nella proposta del PCI è altresì indicata quella relativa alla determinazione dei criteri per gli atti di accertamento e di certificazione di competenza delle regioni, che danno diritto alla integrazione del reddito fino al minimo vitale, nonché la ripartizione fra le Regioni del Fondo sociale nazionale (parte corrente e parte capitale.
Le Regioni, anche alla luce delle competenze che le sono attribuite dal DPR n.616/77, e a quanto per quelle che l’hanno fatto) indicato nelle leggi. regionali dì riordino dell’assistenza, svolgono eminentemente i seguenti compiti: a) programmazione degli interventi socio-assistenziali coordinati con gli obiettivi di programmazione nazionale e con gli obiettivi generali dello sviluppo regionale b) fissazione delle norme generali per la istituzione, l’organizzazione e la gestione dei servizi sociali pubblici, nonché i livelli qualitativi e le forme di prestazioni; c) elaborazione, approvazione ed aggiornamento del piano di sviluppo dei servizi sociali, coordinandolo con il piano sanitario regionale; d) determinazione dei requisiti e delle condizioni per l’iscrizione negli albi regionali degli organismi privati; e) disciplina delle modalità e i criteri della vigilanza sulle attività socio-assistenziali svolte nell’ambito regionale f) svolgimento dell’attività di assistenza tecnica diretta al miglioramento e all’istituzione dei servizi sociali e favorire la sperimentazione di nuovi servizi anche mediante istituzioni specializzate pubbliche o private Inoltre, sempre nell’ambito delle competenze afferenti alle Regioni è indicata la determinazione del concorso degli utenti al costo delle prestazioni, nonché la predisposizione di piani per la formazione e l’aggiornamento del personale addetto ai servizi sociali.
Se tale è il quadro d’assieme complessivamente comune a tutte le proposte di legge, va peraltro evidenziato che nella proposta del PCI è aggiunto che le Regioni, al fine di sviluppare la conoscenza delle condizioni, sociali della popolazione, sperimentare modalità e forme innovative di intervento per la qualificazione dei servizi sociali, mediante l’utilizzazione piena delle risorse interne ai servizi e con l’apporto di istituti specializzati ed università, promuovono studi e ricerche volti ad identificare le cause e le dimensioni del bisogno e della emarginazione e le condizioni socio-ambientali che le determinano.
Un ulteriore compito delle regioni, che comunque deve essere collegato a quanto si vedrà più avanti in merito agli aspetti organizzativi, è quello della determinazione delle aree territoriali più idonee per una funzionale organizzazione dei servizi sociali, e tale compito è peraltro da collegare anche alla legge di riforma delle autonomie locali, e a quanto determinato a livello regionale nelle singole leggi di riordino dell’assistenza.
Sempre nella proposta del PCI è altresì rimarcato il compito delle Regioni di definire gli standard di qualità da raggiungere nella gestione dei presidi pubblici e privati e nelle diverse forme di prestazione. Tale disposizione, in ordine alla attività di autorizzazione e di vigilanza sui presidi assistenziali, sarà poi ripresa dalla legge 328/2000,proprio al fine di una garanzia da dare all’utente circa un livello soddisfacente delle prestazioni e dei servizi offerti, specialmente nell’ ambito dei settore privato.
- Per ciò che concerne le province, anche in merito alla riforma dell’ordinamento delle autonomie locali, sono state considerate nella loro funzione di “ente intermedio”, anche in riferimento a quanto si è venuto a maturare nel corso dell’ esperienza di un ventennio di attività regionale.
- In proposito alla evoluzione concettuale di “ente intermedio,” deve essere ricordato che inizialmente Regioni ipotizzarono l’istituzione dei “circondati”, a cui attribuire compiti specifici nell’ambito del decentramento politico-istituzionale dalle Regioni agli enti locali (anche se sorgeva il problema della loro configurazione quali “terminali” periferici della Regione, oppure enti dotati di propria autonomia).
Su tale impostazione che tendeva ad una diversa configurazione dell’amministrazione locale, con il DPR n.616/77 la provincia è stata negletta mettendone in discussione il ruolo e la funzione. Il rilancio della “nuova” provincia, comunque, è riemerso in tutta la sua importanza nel corso della citata legge di riforma delle autonomie locali, e anche in tale senso le proposte di legge sull’assistenza mettono in evidenza che alle province è stato attribuito uno specifico ruolo di attività programmatoria, Nella proposta del PCI è altresì messo in evidenza un ruolo delle province in merito alla convocazione a scadenza annuale, di apposite conferenze dei servizi sociali con la partecipazione dei soggetti istituzionali e sociali interessati, al fine di esaminare la situazione sociale nel proprio territorio e formulare proposte per l’aggiornamento del piano e dei programmi regionali dei servizi sociali; e inoltre le province concorrono alla gestione del sistema informativo regionale.
Per ciò che concerne il livello locale, nell’ambito della proposte di legge, in coerenza con quanto indicato nel DPR n.616/77 ai comuni è affidato il compito della gestione e organizzazione dei servizi sociali. Tale compito, comunque è individuato secondo una articolazione funzionale che va dalla programmazione e pianificazione locale dei servizi alla organizzazione dei servizi e alla verifica degli stessi.
Il livello di programmazione si esplicita anche nei confronti della Regione, che nell’ambito della propria attività programmatoria deve sentire i comuni, e inoltre deve essere messo in. rilievo il ruolo dei comuni in quanto sede di coordinamento delle iniziative esistenti.
- La titolarità gestionale dei comuni è connessa anche alla competenza loro attribuita di stipulare convenzioni con le istituzioni private, nonché l’erogazione delle prestazioni economiche straordinarie e temporanee.
- Nella proposta della DC, inoltre, è previsto che i comuni debbono fornire ai cittadini l’informazione necessaria per quanto concerne le disposizioni legislative, regolamenti d’altro genere sui servizi socio-assistenziali e, occorrendo, la consulenza per la loro fruizione; tale indicazione è peraltro ripresa nella proposta del PCI, che fa esplicito riferimento alla istituzione di appositi uffici comunali o decentrati di.
segretariato sociale, che hanno compiti di relazione con gli utenti, nell’ambito della tutela dei diritti dei cittadini all’assistenza. Inoltre nella proposta del PCI è più specificamente individuata la funzione di controllo di ogni attività ed iniziativa di assistenza sociale, nonché una attività di vigilanza e di autorizzazione sull’attività delle istituzioni private.
Deve essere rilevato altresì che i comuni sono quindi individuati quale perno su cui ruota a livello locale tutta l’organizzazione dei servizi sociali, e in tale prospettiva è evidente che assume particolare rilevanza il modo con cui nelle proposte di legge sono individuati e trattati gli aspetti organizzativi.
Gli aspetti organizzativi Attesa la titolarità piena ed esclusiva dei comuni per quanto attiene la organizzazione e la gestione dei servizi sociali nelle varie proposte di legge è fatto esplicito riferimento alla competenza delle Regioni, tramite legge regionale, di stabilire i modi e i tempi per l’unificazione degli ambiti territoriali, degli organi di governo e di amministrazione dei servizi sociali e sanitari.
Nella proposta della DC è indicato che le unità sanitarie locali assumono la denominazione di unità socio-sanitarie locali; nella proposta del PCI tale evenienza non è trattata; viene altresì affrontato il problema della distrettualizzazione degli interventi, disponendo che per l’appunto i comuni provvedono alla migliore organizzazione, su base distrettuale, del complesso dei servizi sociali pubblici.
Il tema del distretto è anche sottolineato nella proposta della DC, ed è specificato che esso ha il compito di assicurare con interventi globali, sanitari e socio-assistenziali le prestazioni di base dirette alla generalità dei cittadini. Esso quindi si propone come: a) l’ambito territoriale minimo in cui sono collocati i servizi di primo livello e di pronto intervento; b) l’ambito in cui si attua l’integrazione fra i servizi sociali e sanitari; c) l’ambito di partecipazione diretta degli utenti.
L’assistenza privata In tutte le proposte di legge è riconosciuto il diritto all’assistenza privata, anche in riferimento a quanto indicato nella Costituzione; pertanto è garantita la libertà di costituzione ed attività alle associazioni, fondazioni ed altre istituzioni dotate o meno di personalità giuridica e che perseguano finalità assistenziali.
Sulla base di tale premessa, è altresì previsto che in ogni Regione è istituito un registro per l’iscrizione delle associazioni, fondazioni. e istituzioni private, anche a carattere cooperativo; secondo la proposta dei PCI fra le istituzioni private sono comprese le cooperative di solidarietà che hanno come scopo la promozione umana di soggetti svantaggiati attraverso lo svolgimento di attività idonee alla loro integrazione sociale.
L’iscrizione all’albo regionale dà titolo a partecipare alla attività di consultazione e di programmazione della Regione, nonché a stipulare convenzioni e quindi essere oggetto di erogazione di contributi. Peraltro va detto che già nelle leggi regionali di riordino dell’assistenza tale disposizione era operante e attuata, e quindi le proposte di legge non fanno altro che prendere atto di quanto già in corso nelle tredici regioni dove sono operanti le suddette leggi.
Per l’ottenimento dell’iscrizione, i requisiti richiesti sono: l’assenza di fini di lucro; idonei livelli di prestazioni e di qualificazione del personale e di efficienza organizzativa ed operativa, secondo gli standard regionali; il rispetto dei contratti collettivi nazionali di lavoro e di categoria.
Nel contesto della assistenza privata, anche alla luce delle sentenze della Corte costituzionale, rientrano anche le IPAB, e pertanto, anche in riferimento all’atto del Presidente del Consiglio dei ministri del 24 Febbraio 1990, susseguente alla sentenza della Corte costituzionale, sopra citata, si ritiene più opportuno richiamare quanto ivi contenuto, anche perché in linea di massima le proposte di legge ne ricalcano l’orientamento.
Sono riconosciute di natura privata quelle istituzioni che continuino a perseguire le proprie finalità nell’ambito dell’assistenza, in ordine alle quali sia alternativamente accertato: il carattere associativo; il carattere di istituzione promossa ed amministrata da privati; l’ispirazione religiosa.
Tali orientamenti sono peraltro contenuti anche nelle proposte di legge, e pertanto, per ciò che concerne le IPAB» così come vi è una sostanziale convergenza per ciò che concerne il passaggio al comune delle IPAB che non rientrano fra quelle da privatizzare. In ogni caso nelle proposte è indicato un preciso ruolo della Regione in merito, anche se in proposito occorre ricordare che già le Regioni stesse hanno legiferato in materia, in base all’art.25 del DPR 616/77.
Il vertice Come è noto, il nodo del vertice dell’assistenza ha rappresentato uno dei maggiori scogli per ciò che concerne le proposte di legge. Le proposte dei partiti in tal senso sono convergenti: la DC e il PSI individuano nei Ministero della sanità la sede propria anche per ciò che concerne l’assistenza sociale; il PSI prevede, anzi un cambiamento di denominazione: Ministero della sanità e dei servizi sociali.
Secondo la proposta del PCI è prevista l’istituzione del Ministero della Sicurezza sociale, che assomma le competenze della sanità e dell’assistenza. Nell’ambito delle definizione del vertice, è stato previsto altresì il Consiglio con funzioni di consulenza e di proposta nei confronti del Governo; le proposte della DC e del PSI prevedono quindi la istituzione del Consiglio della sanità e dei servizi sociali, che sostituisce l’attuale Consiglio sanitario nazionale e garantisce l’integrazione e il coordinamento fra gli interventi sanitari e gli interventi assistenziali le relative politiche attuative.
La proposta del PCI prevede l’istituzione del Consiglio Sociale nazionale, che ha composizione analoga a quella del Consiglio Sanitario Nazionale, ma ne ha pari dignità e peso. La tipologia dei servizi Nelle proposte di legge sono indicati i modi, con i quali i servizi e gli interventi svolgono la loro azione, per il perseguimento delle finalità della legge, e pertanto, oltre a richiamare quanto già indicato nel DPR n.616/7, si elencano di seguito le funzioni previste: • informazione e segretariato sociale per quanto concerne le disposizioni legislative e regolamentari e d’altro genere sui servizi socio-assistenziali, e la consulenza per la loro fruizione; • promozione all’utilizzazione dei servizi da parte dei Cittadini, compresi quelli con handicaps fisici-psichici e sensoriali; • erogazione di servizi in forme aperte con carattere domiciliare o di centri diurni adeguatamente distribuiti sul territorio.
Nella proposta del PCI è altresì fatto più specifico riferimento alla promozione di attività educative, di socializzazione ed aggregative di supporto agli interventi assistenziali, e di interventi incentivanti l’integrazione sociale, e infine il sostegno alla persona e alla famiglia e al nucleo ospitante anche attraverso l’attivazione di reti della solidarietà sociale e di promozione di mutuo aiuto fra le persone e le famiglie.
Inoltre sono indicate le prestazioni economiche secondo quanto già in precedenza indicato nelle trascorse proposte. Gli aspetti finanziari Secondo quanto disposto con il DPR n.616/77, i fondi relativi alla assistenza sociale, a parte quelli concernenti la pensione sociale e le pensioni di invalidità e l’assegno di accompagnamento, sono attualmente riferibili alle preesistenti gestioni assistenziali degli enti soppressi, e, quindi, in base alla legge n.641/78, sono trasferiti alle Regioni che provvedono alla erogazione ai comuni ed alle province.
Accanto a tali fondi occorre anche tenere presenti quelli che si riferiscono a leggi nazionali che li hanno istituiti (asili nido, consultori, equo canone) e quelli rivolti a particolari categorie di cittadini (hanseniani, malati di tubercolosi, ecc.) e quelli volti a problemi di particolare gravità (droga).
A fronte di tale quadro di risorse, peraltro tutte orientate in senso riparatorio e non nel senso della prevenzione sociale e di una risposta più adeguata ai nuovi bisogni (che richiedono investimenti “sociali” volti a promuovere la persona e ad attivare le opportunità sociali e delle sviluppo delle risorse presenti nella collettività – privato sociale, volontariato), nella proposta di legge della DC si rileva la necessità di un superamento di una concezione tradizionale e sorpassata dell’intervento finanziario, e di pervenire invece ad una certezza di finanziamento che da una parte riaggreghi (depurata del “peso” della spesa sanitaria) nel fondo unico tutti i filoni di spesa sociale, e dall’altra individui sulla base di precisi standard ed indici (atti a garantire livelli di prestazioni uniformi sul territorio nazionale) l’erogazione di fondi in conto corrente e in conto capitale alle Regioni, secondo le indicazioni contenute nei piani regionali.
- Tale indicazione è complessivamente condivisa anche nella proposta del PSI, che aggiunge, peraltro, una somma aggiuntiva al fondo sociale di 4.000 miliardi nel triennio.
- La proposta del PCI, in merito al finanziamento della legge, lo lega più opportunamente all’ammontare del PIL e altresì lo riferisce alla durata ed agli obiettivi dei piani e dei programmi annuali e pluriennali nazionali.
Inoltre vengono predeterminati alcuni indicatori sociali idonei a garantire una più aderente distribuzione del fondo, quali la situazione, la struttura, le dinamiche e il reddito della popolazione; un ulteriore elemento positivo, nella proposta di legge, è quello che si riferisce alla destinazione del 50% delle spese in conto capitale in relazione diretta al tasso di invecchiamento della popolazione e destinato dai piani e dai programmi regionali agli investimenti di ristrutturazione e di realizzazione di strutture residenziali assistite, secondo quanto indicato dall’art.20 della legge n.67/88 (legge finanziaria).
- Il personale La proposta del PCI lega il personale all’istituzione del servizio sociale nazionale; inoltre definisce la “centralità” del personale professionalmente qualificato, affiancato da personale amministrativo, tecnico ed ausiliario.
- Pertanto viene anche definita una “graduazione” di competenze e di professionalità che, articolate secondo il titolo professionale acquisito (laurea, diploma professionale e relativi abilitazioni), conferiscono certezza non solo agli operatori – superando le obsolete indicazioni del DPR n.761/79 – ma anche a coloro che sono interessati in via primaria: ossia le Regioni, gli Enti locali e la sanità.
Nel contesto della proposta di legge è altresì prevista la laurea in scienze sociali, il cui diploma costituisce titolo abilitante all’esercizio della professione di assistente sociale nel servizio sociale nazionale. Inoltre nella proposta viene indicata anche il quadro delle dotazioni funzionali il fabbisogno di personale, sulla base dileggi regionali, in relazione alle modalità organizzative e ai livelli di prestazione definiti dalla programmazione regionale.
- Infine è prevista la pubblicazione dell’elenco del personale addetto ai servizi sociali.
- Il volontariato e il “privato sociale” Pur in presenza di numerose proposte dì legge sul volontariato, e anche in riferimento a ciò che è venuto a crescere nel campo del “privato sociale” nelle proposte di legge di riforma dell’assistenza i temi suddetti sono trattati, anche se in proposito occorre anche precisare che ormai è ben ricca la legislazione regionale in materia, e quindi la legge di riforma dell’assistenza non farebbe altro che sancire una situazione già in atto e ben presente al livello locale.
Comunque nelle proposte di legge viene puntualizzato e riconosciuto il ruolo del volontariato, basato sulla gratuità e sulla spontaneità dell’attività assistenziale, e viene prevista sia la iscrizione delle istituzioni di volontariato negli appositi registri, sia la possibilità di convenzioni con gli enti locali per lo svolgimento della attività.
Oltre che il volontariato, nelle proposte di legge è altresì previsto il ruolo del cosiddetto “privato sociale”, e la proposta della DC in particolare ne definisce le caratteristiche: Sono di solidarietà sociale le cooperative che svolgono la propria attività allo scopo di soddisfare interessi morali, assistenziali, educativi, sociali, culturali, sportivi, e ricreativi anche di non soci e alla cui attività i soci prendono parte quali fornitori di lavoro, di servizi, di prestazioni volontarie o di beni, ovvero in qualità di destinatari non esclusivi dell’attività stessa.
La proposta del PCI individua le cooperative di solidarietà sociale quali aventi lo scopo della promozione umana di soggetti svantaggiati attraverso lo svolgimento di attività idonee allo loro integrazione sociale. Il reddito minimo garantito Nel contesto delle politiche assistenziali, è ben evidente che il perseguimento dell’obiettivo del minimo vitale è stata oggetto di una diversificata attività svolta a livello dei comuni, secondo una discrezionalità e valutazione quanto mai disomogenea fra le varie zone del Paese.
Le proposte della DC e del PSI indicano fra i compiti delle regioni quello di fissare i criteri per l’erogazione dell’assistenza economica straordinaria, che potrebbe quindi essere intesa quale prestazione concorrente alla definizione del minimo vitale. Nella proposta del PCI viene invece istituito il Reddito Minimo Vitale.
In base a tale disposto tutti coloro che abbiano superato il limite di età lavorativa o per varie cause risultino inabili al lavoro e percepiscano un reddito personale inferiore al minimo vitale, hanno diritto ad un assegno integrativo pari alla differenza fra il minimo vitale e il reddito percepito.
- Il reddito minimo garantito è definito dalla Presidenza del Consiglio dei ministri sulla base delle indicazioni della Commissione nazionale di indagine sulla povertà.
- Dal reddito percepito vanno dedotte le spese di alloggio documentate e l’assegno di indennizzo sociale cui hanno diritto i cittadini che per varie cause non siano in condizioni di autosufficienza e inoltre l’assegno di indennizzo sociale è proporzionato al grado di handicap di cui il cittadino è portatore.
L’attività propositiva e legislativa nel corso delle due legislature, a fronte di sormontanti e profonde modificazioni della geografia politica e istituzionale, non ha potuto esprimersi, anche per la brevità del mandato, in atti particolarmente significativi.
- Sul piano legislativo è peraltro stata confermata una linea volta a rafforzare il ruolo del Dipartimento affari sociali, che ha cominciato ad essere individuato quale riferimento istituzionale per lo svolgimento delle politiche sociali.
- La legge n.142/90 sull’ordinamento delle autonomie locali ha determinato una diffusa realizzazione degli Statuti comunali, che nell’ambito della loro realtà territoriale hanno valenza normativa, e ha sancito il ruolo dei comuni, che in quanto enti esponenziali degli interessi della collettività locale, sono titolari di competenze proprie, e, fra queste, quelle relative ai servizi sociali.
Sul piano dei principi di trasparenza amministrativa, la legge n.241/90 ha determinato l’obbligo da parte dei comuni di regolamentare le loro attività e le loro prestazioni, anche nel campo, ovviamente, dei servizi sociali. Con il D. lgs n.502/92, a fronte di una decisa azione volta al superamento della prima riforma sanitaria, sono stai comunque indicati, fra i compiti delle ASL rinnovate, la gestione dei servizi sociali e rilievo sanitario, con particolare riferimento ai tossicodipendenti, agli handicappati, agli anziani non autosufficienti, ai malati di mente.
La legge n.104/92 ha determinato un quadro organico di interventi a favore delle persone handicappate. A fronte di tali principali provvedimenti di politiche sociali e sanitarie, le legislature citate si sono quindi caratterizzate per un deciso orientamento a proporre provvedimenti di settore, al di là della riforma dell’assistenza.
Da rilevare che comunque nel corso della XII legislatura, al fine di dare un impulso determinante alla realizzazione della riforma dell’assistenza, da parte delle Organizzazioni sindacali dei pensionati SPl CGIL, FNP CISL e UILP è stata presentata una proposta di legge di iniziativa popolare.
Nel corso della legislatura, si è ripresa con vigore la attività propositiva, e accanto alla riproposizione della proposta di legge di iniziativa popolare delle OO.SS. citata, varie sono state le proposte di legge presentate. Tali proposte non solo sono state di derivazione parlamentare, ma anche di altri organismi come la Fondazione Zancan.
Fra queste, quelle più importanti sono state: • Signorino ed altri: Interventi di sostegno sociale per la prevenzione delle condizioni di disagio e di povertà, per la promozione di pari opportunità e di un sistema di diritti di cittadinanza; • Sindacati: Legge di riordino dell’assistenza sociale; • Lumia ed Altri: Norme in materia di assistenza e servizi sociali, nonché di interventi in favore del singolo, della famiglie e del nucleo familiare; • Zancan: Legge quadro per i servizi alle persone.
i titoli delle proposte sono significativi di una evoluzione concettuale nell’approccio alla
problematica assistenziale: rispetto alle precedenti proposte, viene accentuata la dimensione preventiva e di integrazione sociale e di perseguimento del benessere e del pieno sviluppo dell’individuo-cittadino, destinatario di servizi ed interventi personalizzati ed individualizzati;
l’ingresso del terzo settore nel sistema assistenziale è ampiamente riconosciuto e sostenuto,
così come l’associazionismo e le organizzazioni di tutela dei diritti;
viene ulteriormente individuato il ruolo della famiglia nel contesto degli interventi e servizi
assistenziali;
è considerato preliminare al sistema dei servizi ed interventi socio-assistenziali l’istituzione
dell’assegno sociale e del minimo vitale. Nel prosieguo dell’esame delle proposte, si è inteso procedere per aree tematiche al fine di trarre le indicazioni più importanti e significative in ordine all’assetto complessivo delle ipotesi politico-istituzionali ed operative che sono a monte del disegno riformatore.
- I soggetti istituzionali: Lo Stato Il “vertice” dell’assistenza ha rappresentato uno dei punti nodali nel passato, e nelle attuali proposte di legge sono prospettare varie soluzioni.
- Secondo la prima proposta (Signorino) è prevista l’istituzione del Dipartimento per la promozione della salute e delle attività sociali presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri; l’organizzazione dipartimentale, peraltro, è già presente nel settore del turismo, e costituisce una modalità organizzativa più snella dei dicasteri tradizionali.
Ulteriore innovazione della proposta è quella della articolazione funzionale del Dipartimento in due agenzie, che provvedano alla funzione di programmazione, indirizzo e coordinamento degli interventi sanitari, socio-assistenziali e di integrazione sociale.
- Ulteriore compito dell’agenzia per le attività sociali è quello di svolgere attività assistenziali non attribuite ad enti previdenziali.
- La istituzione del Dipartimento, comunque, assorbe le funzioni attualmente attribuite al Ministero della sanità, al Ministero per la solidarietà sociale e al Ministero dell’interno, per ciò che concerne l’erogazione delle pensioni a favore degli invalidi civili, dei ciechi e dei sordomuti.
Secondo la proposta dei Sindacati, è istituito il Ministero per gli affari sociali, con l’attribuzione ad esso di tutte le funzioni statali in materia di assistenza e conseguente passaggio di risorse e personale. La proposta Lumia prevede l’istituzione del Ministero della sicurezza sociale, secondo un ventaglio di attribuzioni più ampie che coinvolgono non solo il Ministero della sanità e la solidarietà sociale, ma anche il Ministero del lavoro e della Previdenza Sociale e il Ministero dell’Interno.
La proposta Zancan prevede un comitato di coordinamento interministeriale istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, e di cui fanno parte il Ministro per gli Affari Sociali e il Ministro della Sanità; è prevista anche la partecipazione del Ministro del Tesoro, e il compito del comitato è quello di predi-sporte il piano nazionale dei servizi alle persone.
Sempre per ciò che concerne la definizione del vertice, la proposta Signorino prevede altresì la Commissione nazionale per le politiche sociali, che ha il compito di verificare la realizzazione del piano triennale e di consulenza e proposta nei confronti del Governo; la Commissione è istituita, occorre sottolinearlo, nell’ambito della Conferenza permanente per i rapporti fra Stato, Regioni e province autonome.
La proposta dei Sindacati prevede, come organismo consultivo, il Consiglio nazionale per gli Affari sociali, che svolge anche compiti di proposta per la determinazione delle linee generali della politica socio-assistenziale e per l’attuazione del piano assistenziale nazionale. In merito alla necessaria acquisizione di dati conoscitivi significativi intorno alle politiche sociali, la proposta Signorino prevede altresì l’istituzione di un Osservatorio permanente per il monitoraggio dei fenomeni sociali; la proposta dei Sindacati prevede l’istituzione di un sistema informativo dei servizi sociali a cui concorrono lo Stato, le Regioni e i Comuni.
Le competenze dello Stato sono comunemente individuare in una funzione di indirizzo e coordinamento delle attività delle Regioni; gli interventi di primo soccorso in caso di calamità naturali; gli interventi di prima assistenza nel caso di connazionali profughi e rimpatriati, nonché gli interventi a favore dei profughi stranieri, agli stranieri, agli apolidi, e ai coniugi di cittadini italiani fino al momento della definizione delle rispettive posizioni; i rapporti con gli organismi stranieri ed internazionali; l’erogazione delle prestazioni economiche (Signorino) nonché l’assegno sociale per i soggetti anziani l’assegno di inabilità e invalidità e i buoni servizi (Sindacati); la ripartizione fra le Regioni del Fondo sociale nazionale; l’emanazione di atti sostitutivi in caso di inadempienza degli organismi regionali.
- Le Regioni Le proposte, a fronte di una evoluzione del quadro normativo scaturito anche dalla legge n.142/90, hanno in genere ulteriormente puntualizzato le competenze delle Regioni, delle quali si dà di seguito il prospetto.
- Secondo la proposta Signorino, le Regioni determinano gli ambiti territoriali per la gestione deL servizi sociali d’intesa con i Comuni e con le province; emanano norma sui requisiti per la apertura, il funzionamento, la vigilanza, l’accreditamento delle strutture private; definiscono gli standard di qualità dei servizi; svolgono attività di coordinamento dei piani e dei programmi in materia di assistenza, con quelli della sanità, della scuola, dell’avviamento al lavoro e reinserimento lavorativo, e del tempo libero; disciplinano le modalità per la programmazione coordinata fra Comuni e Unità sanitarie locali (già del resto operante in Emilia Romagna, Toscana, Umbria) tramite accordi di programma e individuano gli ambiti di integrazione; promuovono le forme associative fra i comuni e le gestioni dei servizi sociali secondo gli art.23 e 26 della legge n.142/90; promuovono e favoriscono sperimentazioni per l’organizzazione e la gestione dei servizi e degli interventi; provvedono alla redazione del piano socio-assistenziale, anche con riferimento al ruolo che debbono svolgere le IPAB; stabiliscono i criteri e i requisiti per i seguenti aspetti: iscrizione delle istituzioni private nei registri regionali; accreditamento delle strutture non a scopo di lucro e delle strutture private; emissione dei buoni di servizio da parte dei comuni; entità del concorso da parte degli utenti al costo delle prestazioni; inoltre le Regioni predispongono e finanziano i piani per la formazione e l’aggiornamento del personale e definiscono gli indicatori per la verifica di qualità e forme di consultazione di organismi associativi.
La proposta dei Sindacati, a proposito delle competenze delle Regioni, aggiunge che le stesse “approvano ed aggiornano periodicamente i piani e i programmi regionali di integrazione sociale”, e assicurano l’autonomia tecnico-funzionale dei servizi, e infine definiscono i criteri e le modalità per l’erogazione dei contributi straordinari da parte dei comuni.
La proposta Lumia accentua il ruolo programmatorio della Regione, ruolo orientato verso gli interventi a favore del singolo, della famiglia e del nucleo familiare in condizione di disagio economico e sociale; inoltre accomuna le province, i comuni e il privato sociale nella partecipazione alla programmazione regionale; particolare attenzione merita altresì la competenza attribuita alla Regione di stabilire i livelli di reddito in base ai quali le prestazioni sono a titolo gratuito, parzialmente oneroso; infine prevede che la Regione debba fissare i modi e i tempi per l’unificazione economica e gestionale degli ambiti territoriali e degli organi preposti agli interventi di assistenza sociale con quelli di assistenza sanitaria ed ospedaliera.
La proposta Zancan conferma il ruolo programmatorio della Regione, e di definizione degli ambiti territoriali; inoltre prevede la predisposizione di criteri e strumenti in ordine alla assegnazione di dotazioni finanziarie, al monitoraggio, alle modalità di accreditamento dei soggetti privati; particolare di notevole rilievo è la previsione dell’istituzione del “garante dei diritti sociali del cittadino”.
Il sistema locale I Comuni Per ciò che concerne il sistema di rete dei servizi, le proposte si caratterizzano per una diversità di ruolo dei comuni: la proposta Signorino e la proposta dei Sindacati riconoscono il ruolo e la titolarità dei comuni, singoli o associati, per l’esercizio delle funzioni amministrative concernenti l’assistenza e l’integrazione sociale; la proposta Lumia prevede che le Regioni istituiscono una o più Unità per l’assistenza sanitaria e sociale, dotate di autonomia giuridica, di autonomia imprenditoriale e di proprio statuto approvato dal Consiglio regionale.
La proposta Zancan mentre conferma che il comune è titolare delle funzioni, soggiunge che le stesse funzioni sono esercitate tramite le Aziende per i servizi alle persone, nonché le aziende ospedaliere. La riconduzione al comune delle competenze comporta che organi delle Aziende per i servizi alle persone sono: l’assemblea dei Sindaci, il direttore generale (che è nominato dalla assemblea dei sindaci), e il collegio dei revisori.
Le funzioni, secondo la proposta Signorino sono le seguenti: organizzano l’informazione dei cittadini; stipulano accordi di programma con altri enti e coordinano i programmi e le attività; erogano prestazioni socio-assistenziali integrate con quelle sanitarie sulla base di specifici progetti di recupero individuale e di intervento sulla famiglia definiti da una unità di valutazione multi disciplinari, accreditano le istituzioni private iscritte nel registro regionale e le associazioni di volontariato; autorizzano il funzionamento delle strutture residenziali e svolgono il relativo controllo; garantiscono la partecipazione dei cittadini, degli utenti e delle associazioni; realizzano i collegamenti operativi con tutti i servizi; emettono buoni-servizio.
La proposta sindacale accentua il ruolo di interfaccia nei confronti della Regione per l’attività programmatoria, prevedono la istituzione periodica di una conferenza dei servizi, prevista anche dalla proposta Signorino: prevedono forme di tutela attraverso l’istituto del difensore civico, dell’operatore dell’ente di patronato e dei rappresentanti delle organizzazioni sindacali dei pensionati.
La proposta Lumia specifica che l’Unità per l’assistenza sanitaria e sociale eroga le prestazioni economiche al nucleo familiare, che viene quindi individuato come riferimento-base per le prestazioni; costituisce nuove istituzioni pubbliche ed effettua affidamenti in istituzioni pubbliche. I distretti La proposta sindacale prevede l’istituzione del distretto sociale di base, che costituisce un punto di forza nella organizzazione del sistema di rete; il distretto di base rappresenta altresì la sede dove è assicurata l’integrazione con i servizi sanitari e il coordinamento con gli altri servizi dell’area sociale, ed è organizzato dai comuni.
La proposta Lumia definisce i distretti quali organismi strumentali dell’Unità per l’assistenza sanitarie e sociale, ed è la sede di raccordo di tutte le esigenze della popolazione in ordine ad interventi collegati con l’assistenza sociale; i distretti, inoltre, hanno autonomia gestionale e non hanno rilevanza imprenditoriale.
La programmazione Il piano nazionale ha una validità triennale, con l’obiettivo comune di definire i livelli essenziali di prestazioni socio-assistenziali; la proposta Signorino sottolinea che il piano individua le attività sostituibili con l’erogazione di buoni servizio; inoltre il piano definisce le aree prioritarie di intervento nonché le azioni da coordinare con le politiche della scuola, della formazione professionale e delle attività sperimentali.
Connessa alla individuazione delle competenze statali, è altresì demandata al piano l’incombenza di indicare le misure e gli indicatori per la verifica dei livelli di assistenza, nonché i criteri per la distribuzione dei fondi alle Regioni. La Regioni redigono piani e programmi triennali (che già del resto alcune fanno) sulla base del piano nazionale.
- La proposta sindacale accentua anche il ruolo dei Comuni nella redazione dei piani, a scadenza annuale, individuando l’organizzazione e le modalità di erogazione delle prestazioni e le metodologie per accertare il raggiungimento degli obiettivi.
- La proposta Zancan si sofferma in particolare sul ruolo della assemblea dei Sindaci dell’Azienda per i servizi alle persone, con il compito specifico di indicare gli indirizzi strategici e l’individuazione degli obiettivi da raggiungere.
Le IPAB Come è noto, dopo le sentenze della Corte costituzionale che risalgono al 1981, al 1988, al 1992, le IPAB (sulle quali si ritornerà con un apposito studio) sono state riconosciute nel loro ruolo e nella loro collocazione nel sistema socio-assistenziale.
Tenuto conto della loro importanza, la proposta Lumia specifica che le IPAB possono assumere, su richiesta, la personalità giuridica di diritto privato (tale evenienza già è peraltro operativa a seguito di una circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri del febbraio 1990, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale del marzo 1988).
È previsto, altresì, che ove dichiarate estinte, il personale delle IPBA passa alle Unità di assistenza sanitaria e sociale, ai distretti di base e ad altre istituzioni pubbliche, mentre il patrimonio è trasferito al Comune dove l’IPAB ha la sede legale.
La proposta Zancan demanda ad un decreto interministeriale la revisione del regime delle IPAB, che deve prevedere: la trasformazione in associazioni o fondazioni di diritto privato o in istituzioni ai sensi della legge 142/90, art.22; la garanzia della destinazione del patrimonio secondo le originarie finalità adeguate, se necessario, alle esigenze attuali.
Il privato In genere è garantita la libertà di costituzione e di attività delle associazioni, fondazioni ed altre istituzioni private che perseguano finalità assistenziali. È prevista l’istituzione del registro regionale delle associazioni, fondazioni e istituzioni private.
Il registro determina l’opportunità di esercitare attività socio-assistenziali e concorrere alla costruzione della rete dei servizi tramite le modalità dell’accreditamento (Signorino); l’iscrizione al registro è necessario perché le istituzioni private possano essere consultate nella fase preparatoria della programmazione dei servizi sociali e concorrere alla stipula di convenzioni con i comuni (Sindacati), così come è necessaria per la gestione dei servizi sociali in seminternato e in internato (Lumia).
La proposta Zancan si sofferma sui ruolo dei privato sociale al livello locale, specificando che le associazioni di volontariato, la cooperazione sociale e le altre forme del privato sociale che collaborano nella produzione di servizi di pubblica utilità, nel quadro dei piani di zona, sono autorizzati dalla Azienda per i servizi alla persona a svolgere attività di servizio sulla base della verifica dei requisiti di idoneità e di standard qualitativi.
- I destinatari Dalle proposte si ricava una evoluzione rispetto a quanto indicato nelle iniziali ipotesi di venti anni fa.
- Infatti destinatari sono non solo i cittadini italiani, ma anche i cittadini appartenenti all’Unione europea e residenti in Italia; i soggetti non appartenenti alla comunità europea sono assistiti quando si tratti della soddisfazione di diritti sociali fondamentali, con modalità e limiti definiti dalle leggi regionali (Zancan); la proposta Lumia differenzia il singolo, la famiglia ed il nucleo familiare.
Le prestazioni Dalle proposte si ricava una differenziazione quanto a concettualizzazione operativa e progettuale dei servizi e degli interventi, accompagnata da una diversificata individuazione del “target” di utenza. La proposta Signorino specifica che gli interventi socio-assistenziali e di integrazione sociale si realizzano attraverso una attività di informazione e di consulenza nei servizi; interventi economici temporanei e permanenti (minimo vitale; assegno sociale per i cittadini ultrasessantacinquenni in condizioni economiche disagiate; assegno di mantenimento, per minori di anni 18, non deambulanti e portatori di inabilità; assegno di inabilità, ai cittadini dai 18 ai 64 anni; assegno di invalidità; assegno di dipendenza, concesso ai cittadini che non siano in grado di provvedere autonomamente alla cura di se stessi e che necessitano di assistenza continuativa), gestiti dal Dipartimento per la promozione della salute e delle attività sociali; prestazioni domiciliari e residenziali, anche a carattere diurno; interventi per favorire l’accesso alla istruzione, alla formazione professionale; al lavoro; promozione di attività per l’integrazione sociale ai soggetti emarginati.
- È altresì prevista la erogazione di cosiddetti “buoni servizio per l’acquisizione di prestazioni di assistenza domiciliare e residenziale presso organismi ed istituzioni accreditate.
- La proposta dei Sindacati specifica che i servizi di assistenza e di integrazione sociale si esplicano mediante le attività di segretariato sociale; la promozione di attività educativa e di socializzazione; il sostegno alla persona, alla famiglia e al nucleo ospitante anche attraverso l’attivazione di reti di solidarietà sociale e di mutuo aiuto; servizi domiciliari, reti di soccorso e di telesoccorso, ospitalità diurna, pronta e temporanea accoglienza, ospitalità residenziale; prestazioni economiche ordinarie e straordinarie (assegno sociale destinato a cittadini italiani e dell’unione europea che abbiano superato i sessantacinque anni e che si trovino in determinate condizioni.
La prestazione è a carico del Fondo nazionale, ma i requisiti sono accertati dai comuni che provvedono all’erogazione. L’assegno sociale determina la soppressione di qualsiasi altro intervento economico assistenziale; assegno di inabilità. La proposta Lumia specifica le prestazioni di mantenimento per i cittadini inabili al lavoro; misure economiche a favore della famiglia e del nucleo familiare; integrazione economica a favore della formazione del nucleo familiare; integrazione economica a favore del nucleo familiare, tesa a rafforzare il legame di solidarietà e a ridurre il rischio di disgregazione del nucleo; servizi sociali tesi a garantire in via prioritaria la continuità e la solidarietà familiare (con l’istituzione di centri di ascolto di consulenza e di assistenza domiciliare); solo in caso di impossibilità di garantire la compattezza familiare si farà ricorso alle strutture semiresidenziali o residenziali, oppure ad affidamenti etero-familiari.
- La proposta Zancan definisce un sistema dei servizi alle persone quale comprensivo dei servizi di assistenza sociale e sanitaria, e si articola in tre livelli istituzionali: locale, regionale, nazionale.
- Il sistema deve essere impostato nella direzione di risolvere i problemi che sono causa del bisogno e di potenziare e sviluppare le risorse individuali per il superamento della dipendenza assistenziale.
A livello locale, pertanto, sono previsti i seguenti interventi: segretariato sociale; pronto intervento; servizio consultoriale e di sostegno alla famiglia; servizio domiciliare; servizi di accoglienza e riabilitazione diurni e residenziali; servizio psico-socio-educativo per la prima infanzia e l’età evolutiva.
Il minimo vitale è di competenza dell’Azienda per i servizi alle persone, è erogato al cittadino maggiorenne che per ragioni indipendenti dalla propria volontà non raggiunge la soglia del reddito minimo. Il concorso al costo delle prestazioni Tutte le proposte prevedono il concorso al costo delle prestazioni in relazione al reddito; a tale proposito, si deve rilevare che già nelle leggi regionali operanti è prevista questa disposizione, e il collegamento relativo alle modalità delle prestazioni è anche previsto dalla legge n.241/90, art.12, che ha indotto già i comuni ad emanare propri regolamenti di servizi.
Il personale Nelle proposte è specificato che compete allo Stato la fissazione dei requisiti per la determinazione dei profili professionali degli operatori sociali, le disposizioni generali in materia di ordinamento e durata dei corsi di formazione e la determinazione dei requisiti necessari per l’ammissione agli stessi.
La proposta Lumia precisa che alla copertura dei posti per le Unità per l’assistenza sanitaria e sociale, nonché per i distretti di base e le istituzioni pubbliche si provvede con il personale preposto alla erogazione di prestazioni economiche e di assistenza sociale già operanti nello Stato, nelle regioni, nelle province e negli enti locali, e del personale delle IPAB assorbite dai comuni.
La formazione e l’aggiornamento del personale, anche quello del privato sociale, è svolto dalle Regioni. Le risorse Tutte le proposte prevedono la costituzione di un fondo sociale nazionale, alimentato dal sistema fiscale generale per la copertura delle prestazioni economiche.
Secondo la proposta Signorino le risorse finanziarie attribuite al Fondo sono determinate in relazione al PIL e non sono comunque inferiori al 3,5%. Il fondo sociale regionale è alimentato dal Fondo sociale nazionale e le Regioni provvedono al loro riparto a favore dei comuni e dei soggetti accreditati; il fondo regionale è sussidiario e complementare rispetto alle disponibilità finanziarie che spetta ai comuni impegnare.
La proposta Lumia specifica, altresì, che con il fondo sociale si provvede, tramite l’INPS, all’assegno di mantenimento. Il residuo fondo viene ripartito fra le regioni e le province autonome che lo trasferiscono direttamente alle unità per l’assistenza sanitaria e sociale.
La proposta Zancan specifica che la dotazione finanziaria della Azienda per i servizi alle persone è composta di trasferimenti effettuati da parte di tutti i soggetti titolati di funzioni inerenti il sistema dei servizi alle persone (Stato, regioni, province autonome, comuni, che possono anche integrare con propri tributi).
La proposta Zancan riconduce alla competenza dei comuni tutta la strategia complessiva degli interventi e dei servizi sociali e sanitari, demandando alla assemblea dei sindaci la nomina del direttore generale e la programmazione locale. Osservazioni Le proposte di legge di riforma dell’assistenza si connettono ad un percorso che, pur avviato nel 1971, ha subito notevoli variazioni di prospettiva e di organizzazione.
A livello sanitario, la istituzione delle Aziende sanitarie locali intese non più come strutture operative dei Comuni, ma come strumentali della Regione (che provvede a nominare i direttori generali e a finanziarle), ha avuto una ripercussione determinante sulla separazione fra i servizi sociali e i servizi sanitari.
A tale proposito si deve denotare la distanza da quanto veniva preconizzato nel 1971 a proposito dell’unità socio-sanitaria locale, e quanto di impostazione diversificata è attualmente contenuta nelle proposte di legge. Di rilievo l’orientamento comune di pervenire all’istituzione del “minimo vitale” quale garanzia esistenziale per i cittadini.
Ulteriore osservazione riguarda il ruolo del “terzo settore”, che viene inteso quale elemento fondamentale per le politiche di partenariato che ormai rappresentano lo strumento per una più opportuna utilizzazione delle risorse locali e una maggiore possibilità di legare la rete dei servizi sociali allo sviluppo della comunità, nel disegno del “welfare community”, che, fra l’altro, ha sempre contraddistinto la crescita e lo sviluppo della civiltà comunale nel nostro Paese.
Infine un accenno merita la non menzione o richiamo sulla istituzione”, intesa dalla legge n.142/90 quale strumento operativo del comune per la gestione dei servizi sociali senza rilevanza imprenditoriale. Il ricorso a tale forma organizzativa, sulle quali si è poco approfondita l’importanza, può rappresentare, nel contesto della riorganizzazione dei servizi sociali su base locale, una opportunità fondamentale, così da rappresentare un valido interfaccia rispetto all’organizzazione sanitaria, e la sede per la promozione e lo sviluppo dei servizi sociali, in forma snella ed efficiente.
- Su tale aspetto è pertanto fatto cenno solo nella proposta Zancan, che comunque la limita ad una ricomposizione delle IPAB, e non già in una visione più ampia, attribuendo all’Azienda socio-sanitaria tutta la gestione dei servizi alla persona.
- PARTE SECONDA IL CAMMINO DELLO STATO E DELLE REGIONI NELLE POLITICHE DI WELFARE A)LO STATO In relazione al lungo processo che a livello statale ha portato alla riforma dell’assistenza con la legge n.328/00, si ritiene utile rappresentare quanto si è venuto a determinare al livello delle Regioni nel corso dei primi trenta anni che hanno caratterizzato la loro attività normativa ed amministrativa.
Infatti l’analisi che ormai può definirsi storica delle “assistenze regionali” per come sono state vissute e prospettate nelle varie Regioni, consente di individuare i livelli di welfare regionale per come si sono venuti a delineare nel corso delle varie legislature.
Per tale motivo si è svolta una apposita ricerca per analizzare e valutare i modi con cui le Regioni hanno inteso affrontare la complessa problematica dei servizi sociali (e dei connessi servizi socio-sanitari e sanitari), e come ne è scaturito, a seconda dei vari provvedimenti che a livello statale hanno inciso profondamente sulla loro attuazione, un diversificato quadro di riferimento istituzionale, organizzativo e finanziario.
I periodi da considerare in tale contesto sono emblematici dei continui aggiustamenti, cambiamenti di rotta, oppure delle riconferme e riproposizioni organizzative che si sono consolidate nel corso dell’esperienza. Infatti il complesso e mai esaurito processo di impostazione, sperimentazione, avvio, verifica delle politiche di welfare regionali è connesso alla profonda evoluzione che sul piano istituzionale, legislativo, programmatorio, gestionale e partecipativo è intervenuto nel corso di cinquanta anni di realtà regionale.
A tale riguardo, anche in relazione a quanto già illustrato sopra, si ritiene opportuno ridelineare un quadro di riferimento che ha caratterizzato le varie fasi “storiche” delle politiche sociali. Il lungo lasso di tempo trascorso, infatti, equivale a due generazioni, e tale parametro diventa quanto mai utile per delineare, secondo una cadenza più opportunamente riferita a ” trentenni”, i vari “quadri” di quelle che oggi sono per l’appunto chiamate le politiche di welfare, e che hanno caratterizzato generazioni di italiani, dall’unità d’Italia ad oggi.
Il primo trentennio (1861-1891) In Italia, a fronte del nascente conflitto Stato-Chiesa, il problema dell’assistenza si rivelò uno snodo cruciale: il Ministro Camillo Benso, conte di Cavour, il “Tessitore” dello Stato Italiano, che già aveva avuto modo di approfondire la problematica dell’assistenza in occasione di appositi studi ed analisi sull’organizzazione assistenziale degli altri paesi europei, il 17 febbraio 1851, parlando alla Camera dell’allora Regno di Sardegna, ebbe ad affermare: “Credo che esista contro la carità legale un enorme pregiudizio, e che si possa predire che tutte le società, arrivate ad un certo punto di sviluppo, debbano necessariamente ricorrere alla carità legale”.
” E porto avviso che l’esperienza dimostrerà in un non lontano avvenire come la carità legale, ben governata da savie norme, possa produrre immensi benefici senza avere quelle funeste conseguenze che alcuni temono.” Il discorso del Cavour segna l’inizio di quella fase durante la quale la beneficenza passa nelle redini dello Stato, e tale evoluzione si concretizza nella legge del 1862 relativa all’assistenza, sulle Congregazioni di carità, appena un anno dopo la costituzione del Regno d’Italia.
Nel prosieguo di un processo volto a determinare una più incisiva azione e funzione dello Stato nel campo dell’assistenza, l’altro provvedimento più importante è dato dalla legge 17 luglio 1890, n.6972, istitutiva delle Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficenza.
Le conseguenze più importanti di questa legge furono la definizione dell’assistenza legale, a carattere imperativo, e amministrata dalle Congregazioni di Carità, e la introduzione della assistenza privata, fino a qualche decennio prima in posizione assolutamente preminente e identificabile con la Chiesa, da intendere quale attività sussidiaria e suppletiva.
Tale legge, è bene ricordarlo, è rimasta in vigore per 110 anni, e ha rappresentato in tale lungo lasso di tempo l’unico riferimento normativo per ciò che concerne i criteri e gli indirizzi in materia assistenziale. Il secondo trentennio (1891-1921) E’ stato caratterizzato dal deciso orientamento a privilegiare l’apparato pubblico costituito da Province e Comuni in ordine alle gestione dei servizi più direttamente rivolti nel campo della sanità e di specifici interventi di natura assistenziale.
E’ stata emesso il regolamento di organizzazione e gestione delle IPAB. Il terzo trentennio (1921-1951 ) E’ stato caratterizzato da due distinti periodi: Con il periodo fascista (1922-1943) si è avviata una politica sociale fortemente accentrata e basata sulla “entificazione” dei bisogni, così come erano “corporativizzati” ed “entificati” i “regnicoli”.
E’ il tempo in cui sono nati tutti gli innumerevoli enti sanitari ed assistenziali che in effetti hanno costituito, con la loro rigida impostazione burocratica e centralizzata, un “terziario” pubblico” che, assieme agli altri enti istituiti nei settori economici, agricoli, industriali, ecc.
- Ha portato a definire servizi amministrativi a cui potevano accedere, come impiegati e funzionari solo i possessori di tessera del partito, primo e non ultimo esempio di “Spoly sistem”.
- Ancora in piena belligeranza, le Nazioni Unite, a seguito di vittorie strategiche fondamentali, e quindi a un anno di distanza dalla battaglia di El Alamein (11 novembre 1942), e a pochi mesi di distanza dalle battaglie di Stalingrado (2 febbraio 1943), e di Kursh 23 agosto 1943), e in Italia, dalla caduta del fascismo (25 luglio 1943), stipularono un Accordo il 9 novembre 1943, in base al quale, al termine della guerra, nelle zone liberate, la popolazione avrebbe ricevuto aiuto e sollievo dalla dalle sue sofferenze (vitto, vestiario, e protezione sanitaria, ecc.) attraverso l’UNRRA (Amministrazione delle Nazioni unite per l’Assistenza e la Riabilitazione.
In Italia con D.L.L.g.19 marzo 1945, n.79 fu approvato l’Accordo stipulato a Roma l’ 8 marzo 1945, fra il Governo Italiano e l’UNRRA, ed il 14 aprile con D.L.L.g, n.147 fu costituita la delegazione del Governo italiano presso la Missione italiana dell’UNRRA, con a capo il sen.
- Lodovico Montini, e quindi undici giorni prima della completa liberazione dell’Italia dal nazismo e dal fascismo (25 aprile).
- Dall’UNRRA è scaturita l’ Amministrazione per le Attività Assistenziali Italiane ed Internazionali (AAI), che si è distinta nel panorama assistenziale per la sua attività di promozione e la sperimentazione di servizi sociali innovativi (colonie di vacanza, sperimentazione Uffici di Zona per lo svolgimento dei servizi sociali di base: segretariato sociale e servizio sociale professionale; promozione di servizi per minori anziani, handicappati, assistenza domiciliare) per l’assistenza tecnica alle Scuole di Servizio Sociale, curando la pubblicazione di innumerevoli pubblicazioni e quaderni specifici rivolti agli srudenti.
A seguito della Resistenza, delle lotte partigiane, della riaffermazione della democrazia e delle libertà, che hanno portato alla liberazione del paese, e con la nascita della Repubblica (1946-1951) e con la Costituzione si è introdotto il principio dell’obbligo generale dello Stato a provvedere al mantenimento, oltre che all’assistenza, dei cittadini inabili al lavoro e sprovvisti dei mezzi necessari alla vita, secondo quanto si desume dai lavori della Assemblea costituente.
Cionondimeno si è assistito ad una prima politica di welfare volta a privilegiare il mantenimento degli enti assistenziali, con una decisa accentuazione del potere centrale e una articolazione dell’offerta basata essenzialmente sulla organizzazione provinciale, e sulla categorizzazione dei cittadini.
Inoltre sono emerse ulteriori categorie di cittadini che hanno rivendicato specificamente prestazioni ed interventi assistenziali, accentuando le ancor più diversificate fette di utenti, assegnati a vari Enti: ENS, UIC, ONPI, ENAOLI. Il quarto trentennio: 1951-1981 E stato caratterizzato da una progressiva, tenace azione di adeguamento e di quadro di coerenza con il dettato costituzionale, pur fra difficoltà e resistenze di vario genere, che hanno profondamente inciso sulle politiche sociali.
Il servizio sociale professionale, con la sua prorompente affermazione nel campo dell’assistenza, ha iniziato il proprio percorso quale strumento di cambiamento e di progresso civile: è stato riconosciuto con la legge /56 quale servizio fondamentale del tribunale dei minorenni, e inquadrato in vari enti assistenziali (ONMI, ENAOLI, ENPMF, ecc.) Con i governi di centro-sinistra (1962-1977) si è avviata una decisa azione della cosiddetta “politica delle riforme”, con il contributo fondamentale dell’On.le Aldo Moro e dell’on.le Pietro Nenni, che ha portato a prefigurare un profondo rinnovamento anche nello Stato assistenziale, sfociato nel “progetto ‘80”; le Regioni hanno finalmente iniziato la loro funzione istituzionale; si è portata avanti la prima riforma dello Stato, con la legge 382/75 ed il DPR 616/77.
Con la politica di “compromesso storico” (1976-1979) si è svolta una profonda azione di rinnovamento delle politiche sociali: è stata approvata la legge n.833/78 sul Servizio sanitario nazionale, dopo trenta anni di attesa Commissione parlamentare “D’Aragona, 1947), si è approvata la legge “Basaglia” sulla psichiatria e sulla soppressione dei manicomi (legge 180/78); si è approvata la legge sulla procreazione e sull’aborto (Legge 194/78).
Il quinto trentennio: 1981-2011 Le politiche sociali sono state caratterizzate da interventi di settore (adozione, lotta alla droga, riconoscimento del terzo settore, immigrati), da una profonda riforma del S.S.N. Nel 1993 è stata finalmente riconosciuta giuridicamente la figura dell’assistente sociale.
E’ stata avviata una profonda riforma dello Stato, con la legge 59/97, il d.lgs 112/98, e la legge costituzionale n.3/2001 (riforma Titolo V della Costituzione). Sono state rinnovate le politiche rivolte all’infanzia, e, finalmente istituito il sistema dei servizi ed interventi sociali, e definito il primo Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali (2000-2001).
Dopo una lunga stasi (2001-2006) delle stesse politiche sociali, caratterizzate comunque dalla rigida Osservanza del patto di stabilità e del piano di rientro da parte delle Regioni con vistoso debito sanitario, la crisi economica mondiale (2008) ha fatto sentire i suoi effetti, ed è iniziato un progressivo definanziamento delle politiche sociali, scaturito nello “spending rewiei.” (2011).
B)LE REGIONI E’ con l’avvento delle Regioni (1970-2020) che si è determinato un diverso assetto delle politiche sociali, e con la loro “storia” la nascita di diversificati welfare regionali. Per tale motivo si è svolta una apposita ricerca volta ad analizzare e valutare i modi con cui le Regioni hanno inteso affrontare la complessa problematica dei servizi sociali (e dei connessi servizi socio-sanitari e sanitari), e come ne è scaturito, a seconda dei vari provvedimenti che a livello statale hanno inciso profondamente sulla loro attuazione, un diversificato quadro di riferimento istituzionale, organizzativo e finanziario.
I cinquanta anni di esperienza regionale, peraltro, sono stati caratterizzati da varie fasi significative, e i periodi da considerare in tale contesto sono emblematici dei continui aggiustamenti, cambiamenti rotta, oppure delle riconferme e riproposizioni organizzative che si sono consolidate nel corso dell’esperienza.
Pertanto si ritiene opportuno mettere in evidenza i periodi che nelle loro scansioni annuali hanno caratterizzato la storia normativa delle Regioni. La normativa statale, intrecciata a vari provvedimenti, è riferita sia al d.lgs.112/98, sia al d. lgs.229/99, sia alla legge 328/00.
Che cosa è il sistema integrato di interventi e servizi sociali?
Il sistema integrato di interventi e servizi sociali si realizza mediante politiche e prestazioni coordinate nei diversi settori della vita sociale, integrando servizi alla persona e al nucleo familiare con eventuali misure economiche, e la definizione di percorsi attivi volti ad ottimizzare l’efficacia delle risorse,
Che cosa si intende per sistema integrato dei servizi?
Cosa sono gli Ambiti PLUS (L.R.n.23/2005, art.20) – Gli Ambiti dei PLUS sono territori definiti omogenei all’interno dei quali i comuni che ne fanno parte individuano un ente capofila (Comune o Unione dei Comuni o Comunità Montana) presso il quale viene istituito l’Ufficio di Piano per la gestione unitaria e associata dei servizi socio-assistenziali-sanitari rivolti ai cittadini dello stesso Ambito che li richiedono perché ne hanno bisogno.
Nel PLUS vengono descritte le attività di programmazione, realizzazione e valutazione dei servizi e delle prestazioni volte a favorire il benessere delle persone e delle famiglie che si trovino in situazioni di bisogno sociale, esclusi gli interventi predisposti dal sistema sanitario, previdenziale e di amministrazione della giustizia.
La Regione finanzia l’attività di ciascun Ambito PLUS mediante il Fondo regionale per il sistema integrato dei servizi alla persona (L.R.n.23/2005, art.26). Il finanziamento è trasferito all’ente gestore del PLUS (Comune capofila o Unione dei Comuni o Comunità Montana) ed è destinato alla gestione associata dei servizi e al funzionamento dell’ufficio di piano.
Chi ha emanato la legge 328 del 2000?
Una legge fondamentale e innovativa, in parte ancora da attuare – L’8 novembre di 20 anni fa il Parlamento Italiano approvava la Legge 328 intitolata “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali” Legge 8 novembre 2000, n.328 ( pubblicata sulla GU Serie Generale n.265 del 13-11-2000 – Suppl.
concepire l’intervento socialenon come intervento riparatore di un “danno” ma come strategia integrata finalizzata al Bene Essere della Persona, definendo i livelli essenziali delle prestazioni sociali, da finanziare anche attraverso il Fondo Nazionale per le Politiche Sociali e la realizzazione del Piano Sociale Nazionale; concepire le diverse competenze istituzionali non come confini burocratici e amministrativi entro cui difendere le proprie autonomie, ma come condizione di chiarezza sulle responsabilità dei diversi soggetti del sistema integrato; concepire il ruolo dei soggetti di Terzo Settore non come supplente o più conveniente rispetto ai ruoli e ai costi della Pubblica Amministrazione, ma come portatori di interessi diffusi, a partire dal ruolo di advocacy e tutela dei diritti, delle istanze e dei bisogni dei cittadini, e quindi da intendere con ruoli attivi nella co-progettazione e nella ideazione degli interventi e dei servizi alla persona.
All’interno di questo corposo disegno c’è soprattutto un articolo che per le persone con disabilità riveste una importanza assoluta: si tratta dell’ articolo 14 (Progetti individuali per le persone disabili) che prevede il diritto di ogni persona con disabilità – e di chi lo rappresenta – di chiedere al Comune di scrivere il proprio progetto personalizzato di vita, d’intesa con la ASL e dei diversi soggetti sociali e istituzionali che devono agire per realizzare la piena integrazione sociale.
Un altro articolo di fondamentale importanza, rimasto del tutto disatteso, è l’articolo 24 (Delega al Governo per il riordino degli emolumenti derivanti da invalidità civile, cecità e sordomutismo) che prevede la revisione dei sistemi di accertamento di invalidità civile e stato di handicap e delle provvidenze economiche collegate con il fine di meglio orientare l’obiettivo di tali misure verso il contrasto alla povertà e la promozione di incentivi alla rimozione delle limitazioni e valorizzazione delle capacità ed autonomie delle persone con disabilità, nonché lo snellimento delle procedure connesse.
Tuttavia, nonostante l’importanza di quanto previsto da questa Legge per migliorare la qualità di vita delle persone con disabilità e dei loro genitori e familiari, a distanza di ben 20 anni :
i livelli essenziali di assistenza non sono stati definiti, il Fondo Nazionale per le Politiche Sociali è stato più volte tagliato, il Piano Sociale Nazionale (approvato nel 2001) è rimasto lettera morta; le competenze attribuite alle Regioni, alle Province e ai Comuni sono state sì chiarite e definite, ma siamo ancora molto lontani dal vedere le politiche integrate tra loro, e siamo ancora distanti dalla tanto attesa e agognata integrazione socio-sanitaria ; il ruolo dei soggetti di terzo settore è ancora troppo spesso inteso in modo sbagliato o come supplenti delle difficoltà e delle inerzie della Pubblica Amministrazione, o come soggetti che, al massimo, devono essere sentiti e ascoltati, ma senza creare le condizioni di partecipazione e negoziazione auspicate dalla Legge 328; l’art.14 rimane largamente disatteso, inapplicato, ignorato; l’art.24 non è stato applicato ed i sistemi di accertamento sono basati su paradigmi superati e svolti con modalità che spesso creano iniquità e discriminazioni a danno delle persone con disabilità!